SICUREZZA SUL
LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
NEWSLETTER N. 222
DEL 03/08/15
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
PRIME
OSSERVAZIONI A PROPOSITO DELLE REVISIONE DELLE FORME CONTRATTUALI E DELLA
SICUREZZA SUL LAVORO DERIVANTI DAL “JOBS ACT”
|
1
|
IL
DANNO DIFFERENZIALE IN CASO DI INFORTUNIO O DI MALATTIA PROFESSIONALE
|
2
|
TURNI
NOTTURNI: ECCO TUTTI I DANNI CHE CAUSANO
|
4
|
AGRICOLTURA
E NORMATIVA DI SICUREZZA
|
7
|
LA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE SUI CAMPI ELETTROMAGNETICI
|
9
|
STORIE DI
INFORTUNIO: UNA STORIA DI ORDINARIA SCHIAVITU’
|
12
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ALBERGHI:
LE NUOVE DISPOSIZIONI DI PREVENZIONE INCENDI
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15
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PRIME OSSERVAZIONI
A PROPOSITO DELLE REVISIONE DELLE FORME CONTRATTUALI E DELLA SICUREZZA SUL
LAVORO DERIVANTI DAL “JOBS ACT”
Da
Portale Consulenti
27
luglio 2015
di
Chiara Lazzari
Partendo
dal “Working Paper” di Olympus scaricabile all’indirizzo:
segnaliamo
le prime osservazioni a proposito della revisione delle forme contrattuali e
sicurezza sul lavoro a seguito dei Decreti attuativi del cosiddetto “Jobs Act”.
Il
documento di Olympus mira a verificare come la revisione delle forme
contrattuali, realizzata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015 emanato in
attuazione della Legge n. 183 del 2014 (il cosiddetto “Jobs Act”) incida sulle
questioni relative alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, soffermando
in particolare l’attenzione sulle criticità prodotte dal recente intervento
legislativo e sulla sua conformità rispetto all’ordinamento comunitario.
Da
pochi giorni è stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo
n. 81 del 2015, recante disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione
della normativa in tema di mansioni, emanato in attuazione della delega
contenuta nell’articolo 1, comma 7 della Legge n. 183 del 2014.
Trattasi
di un provvedimento che si inserisce in quell’ambizioso percorso di profonda
trasformazione del diritto del lavoro italiano che va sotto il nome di “Jobs
Act”, attorno al quale si stanno affaticando la dottrina giuslavoristica e il
mondo politico e sindacale, per l’evidente estensione del raggio d’azione dell’intervento
riformatore, oltre che per il suo carattere dirompente rispetto allo status
quo.
Peraltro,
obiettivo delle pagine del documento di Olympus non è quello di condurre una
riflessione, ad ampio spettro, su dove vada “il diritto del lavoro ai tempi del
renzismo”, ma quello, più circoscritto, di comprendere in che termini tale
direzione di marcia impatti sulle questioni della salute e sicurezza sul
lavoro. Segnatamente, si vuole qui verificare se la revisione delle forme
contrattuali, realizzata dal citato Decreto Legislativo in attuazione,
introduca elementi migliorativi, o peggiorativi, nel grado di tutela garantito
dall’ordinamento al diritto alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori,
ovvero lo lasci inalterato.
E
ciò sull’evidente presupposto che lo “scopo di rafforzare le opportunità di
ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di
occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli
maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e
produttivo”, enunciato nel menzionato articolo 1, comma 7 della Legge n.
183/14, non può certamente essere perseguito in dispregio delle esigenze di
tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Il
documento “Prime
osservazioni a proposito di revisione delle forme contrattuali e sicurezza sul
lavoro” del portale Olympus è scaricabile all’indirizzo:
IL
DANNO DIFFERENZIALE IN CASO DI INFORTUNIO O DI MALATTIA PROFESSIONALE
Da
FILCAMS CGIL Lombardia
L’obiettivo
principale della nostra attività, così come di quella dei Rappresentanti dei Lavoratori
per la Sicurezza,
è la prevenzione. Identificare i rischi per l’integrità fisica e la salute dei
lavoratori e proporre soluzioni per prevenirli migliorando ambienti e metodi di
lavoro.
La
prevenzione dovrebbe essere al centro dell’interesse degli stessi datori di
lavoro, ma a volte questo non capita tant’è che infortuni più o meno gravi,
malattie professionali e inidoneità dovute all’attività lavorativa sono all’ordine
del giorno.
Quando
un lavoratore subisce un infortunio o acquisisce una malattia professionale,
inizia per lui il non facile tentativo di farsi riconoscere il danno dall’INAIL.
Gli
indennizzi che INAIL riconosce nono sono gli unici che il lavoratore può
richiedere. Infatti, l’indennizzo dell’INAIL risponde alla funzione sociale di
garantire mezzi adeguati al lavoratore oggetto d’infortunio o malattia
professionale.
Qualora
però le motivazioni dell’infortunio o della malattia professionale possano
essere riconducibili a una colpa o un’omissione nel predisporre misure di
prevenzione da parte del datore di lavoro, il lavoratore può richiedere al
datore di lavoro un ulteriore indennizzo: il cosiddetto “danno differenziale”.
Il
“danno differenziale” è rappresentato da quelle componenti di danno alla salute
di un cittadino che abbia subito un infortunio sul lavoro o soffra di una
malattia professionale che non sono soddisfatte dall’intervento dello Stato (articolo
38 della Costituzione), attraverso l’assicurazione INAIL.
Schematicamente
quindi:
Danno
differenziale = Risarcimento civilistico – Indennizzo INAIL.
Anche
dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.38 del 2000, che ha ampliato
l’intervento indennitario dell’INAIL estendendolo al danno biologico, sussiste
comunque un danno biologico differenziale tutelabile nei confronti del
responsabile dell’infortunio o della malattia.
Le
prestazioni erogate dall’INAIL, infatti, sono per la loro specifica natura
indipendenti dall’esistenza di un illecito civile e non coprono componenti
fondamentali di danno quali:
-
il
danno biologico temporaneo;
-
il
danno morale;
-
il
danno biologico permanente fino al 5% compreso;
-
il
danno biologico da morte;
-
il
danno esistenziale.
Inoltre
le tabelle INAIL per il danno biologico non ne esauriscono il ristoro in quanto
vi è o può esservi la differenza ai fini risarcitori tra danno alla salute e
danno biologico tabellato, ovvero tra una valutazione prettamente individuale
dei pregiudizi che la menomazione ha cagionato e quella statica, con indici
fissi generalizzati e quindi suscettibili di una “personalizzazione standardizzata”.
Ne
consegue che, sulla base di tale normativa e in considerazione della diversa
natura delle prestazioni INAIL, in caso d’infortunio sul lavoro o di malattia
professionale rispetto al risarcimento del danno dell’infortunato, spetta al
lavoratore il diritto di agire in giudizio onde ottenere il risarcimento del
danno cosiddetto “differenziale” dal datore di lavoro in relazione all’ipotesi
in cui l’ammontare del danno, liquidato secondo gli ordinari criteri
civilistici, sia d’importo superiore alla liquidazione in capitale o alla
rendita erogata dall’INAIL.
E’
necessario tutelare il danno differenziale, poiché:
-
limitare
l’intervento delle organizzazioni sindacali, attraverso i patronati, alla sola
tutela previdenziale, significa precludere ai lavoratori vittime d’infortunio o
di una malattia professionale, dovuto a responsabilità di terzi, di vedere
soddisfatti diritti primari previsti dalla stessa Costituzione (articolo 32);
-
parlare
di prevenzione senza preoccuparsi di sanzionare i comportamenti scorretti del
datore di lavoro è una contraddizione in termini;
-
la
tutela risarcitoria è strettamente collegata all’obiettivo della prevenzione.
Troppo
spesso i lavoratori in caso d’infortunio o di malattia professionale ritengono
che sia sufficiente ricevere il riconoscimento dell’INAIL e non sanno che la
legge prevede la possibilità per loro di rivalersi anche contro chi è
responsabile del danno subito.
I
servizi della CGIL, INCA Uffici Vertenze hanno le capacità e le competenze per
intervenire sulla materia e fornire assistenza ai lavoratori, ma non sempre
RLS/RSA e i lavoratori sono informati di tali possibilità.
Il
risarcimento a fronte di un danno subito non è questione solo individuale, ma
riguarda tutti, perché se chi non ha investito in prevenzione si ritrova a
risarcire in modo ricorrente i danni provocati prima o poi considererà l’opportunità
di cambiare politica e di rispettare finalmente l’articolo 2087 “Tutela delle
condizioni di lavoro” del Codice Civile: “L’imprenditore è tenuto ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro”.
TURNI NOTTURNI:
ECCO TUTTI I DANNI CHE CAUSANO
TURNI
NOTTURNI: ECCO TUTTI I DANNI CHE CAUSANO
Da
La Schiavitù
del Lavoro
Lo
sai che lavorando durante le ore notturne il tuo cervello invecchia
precocemente?
In
Europa ben 1 lavoratore su 5 svolge le sue mansioni durante la notte, questo lo
sottopone con maggiore probabilità rispetto ad un lavoratore “diurno” a
patologie come il diabete, l’obesità, all’aggravarsi di problemi digestivi e
malattie cardiovascolari, a depressione frequente e a una grave carenza di
vitamina D, per l’insufficiente esposizione alla luce solare.
Il
lavoratore notturno è costretto al riposo durante le ore solari, questo
scombussola enormemente il naturale ciclo del sonno/veglia, causando spesso nel
lavoratore insonnia, costringendolo cosi a ricorrere a psicofarmaci e sedativi
per recuperare il sonno perduto.
I
danni causati dal lavoro notturno non finiscono qui, poiché colpiscono anche il
metabolismo che viene a sua volta sconvolto nei suoi ritmi circadiani naturali,
noti anche come “orologio biologico”.
Le
capacità mentali di un lavoratore che per 10 anni ha svolto i turni notturni,
vengono drasticamente ridotte: Una ricerca franco-gallese che ha pubblicato i
suoi risultati sul giornale Occupational and Environmental Medicine, ha
evidenziato che il cervello del lavoratore notturno, che ha svolto questi turni
per 10 anni consecutivi, è invecchiato di ben 6 anni e mezzo, rispetto al
cervello di un lavoratore diurno.
In
conclusione, la notte è fatta per dormire! Perché un conto è fare le ore
piccole nel weekend, un’altro è farlo ossessivamente per 5 giorni la
settimana...
Daniele
Reale
*
* * * *
TURNI
DI NOTTE: ECCO I DANNI CHE IL NOSTRO CERVELLO SUBISCE NEL TEMPO.
Da
Notizie dal web
I
danni dei turni sul lavoro: nei turni di notte il cervello invecchia più in
fretta.
Chi
per più di dieci anni ha lavorato di notte ha una capacità mentale paragonabile
a quella di un individuo più vecchio di sei anni e mezzo. Ma il processo è
reversibile.
Il
cervello di una persona impegnata in turni notturni o comunque in orari
anomali, quindi sottoposta a un’alterazione del naturale ritmo sonno/veglia,
invecchia più velocemente. E’ questa la conclusione alla quale è giunta una
ricerca franco-gallese che sottolinea però che con l’arresto dell’attività
notturna si può assistere a un netto miglioramento della salute cerebrale.
I
ricercatori hanno sottoposto tremila volontari a test di memoria, di velocità
di pensiero e di abilità cognitiva. I risultati, pubblicati sul giornale
Occupational and Environmental Medicine, dimostrano che chi per più di dieci
anni ha svolto una professione notturna ha una capacità mentale paragonabile a
quella di un individuo più vecchio di sei anni e mezzo. La buona notizia è che
quando una persona cessa di lavorare di notte, il suo cervello riprende
progressivamente ad allinearsi all’età biologica, benché questo richieda cinque
anni di tempo. La scoperta di questa capacità rigenerativa del cervello
potrebbe avere importanti conseguenze nella cura della demenza, condizione nota
per danneggiare il sonno di chi ne soffre.
La
ricerca dei due atenei è soltanto l’ultima a investigare gli effetti nocivi
della mancanza di sonno. Precedenti studi, infatti, avevano sottolineato i
gravi rischi per la salute legati ai turni in generale e in particolare a
quelli notturni. Uno dei più ampi, pubblicato nel 2012 e condotto da un team
canadese-norvegese su più di due milioni di persone, ha rilevato che tra i
lavoratori che seguono i turni si registra una crescita del 23 per cento dei
rischi di infarto, un aumento del 24 per cento di eventi coronarici e un 5 per
cento in più di incidenza di ictus rispetto ai lavoratori normali. Ancora
peggio la situazione di chi i turni li fa di notte e si ritrova a fronteggiare
un rischio di patologie cardiovascolari aumentato del 41 per cento. Uno studio
della University of Pennsylvania portato avanti su cavie da laboratorio ha
evidenziato la morte del 25 per cento delle cellule di alcune aree cerebrali a
seguito di una prolungata mancanza di sonno. Infine nel 2007 l’International
Agency for Research on Cancer definì il lavoro notturno come un possibile
agente cancerogeno.
Nell’impossibilità
di eliminare la turnazione lavorativa l’unica risposta possibile appare essere
una maggiore sensibilizzazione dei lavoratori che dovrebbero sottoporsi a
frequenti controlli medici e prestare maggiore attenzione a eventuali sintomi
patologici.
*
* * * *
LAVORARE
CON I TURNI: CONSEGUENZE SULLA SALUTE E SULL’ALIMENTAZIONE
Da: The European
Food Information Council
I
moderni stili di vita, in particolare i lavori con i turni, hanno modificato
molto i ritmi quotidiani della vita. Questi cambiamenti causano dei danni alla
salute? Si possono prendere delle misure preventive per i datori di lavoro e
per i lavoratori?
In
Europa circa un lavoratore su cinque ha un lavoro a turni. Questo tipo di
impiego non segue il convenzionale periodo lavorativo diurno di 8 ore, bensì è
caratterizzato da turni notturni, turni a rotazione oppure da ore di lavoro
irregolari. Se paragonati con individui che lavorano le tipiche 8 ore diurne, i
soggetti che lavorano a turni presentano un maggiore rischio di alcune patologie,
quali l’obesità, il diabete tipo 2, malattie cardiovascolari, problemi
digestivi, disordini del sonno, depressione e carenza di vitamina D (per la
ridotta esposizione alla luce del sole). Ad esempio, il lavoro in turni
notturni è collegato ad un aumento del 40% delle malattie alle coronarie. Ma
perché il lavoro a turni può causare questi effetti negativi per la salute?
Alcuni
di questi problemi di salute possono essere in parte dovuti allo stile di vita
e ad abitudini alimentari irregolari conseguenti al lavoro a turni, ma
dipendono anche da profonde alterazioni del metabolismo. Il lavoro notturno va
essenzialmente contro i ritmi circadiani dell’organismo umano, noti anche come “orologio
biologico”, che sono un insieme di fluttuazioni fisiologiche all’interno delle
24 ore che sono soggette alla luce solare e alla temperatura. Uno studio recente
ha mostrato che un ridotto riposo notturno per periodi prolungati e la rottura
dei ritmi circadiani alterano il metabolismo, riducono il metabolismo a riposo
(consumo dell’energia basale), aumentano i livelli ematici di glucosio
(zucchero), in conseguenza di un’inadeguata risposta all’insulina dopo un
pasto, e aumentano inoltre il rischio di obesità e di diabete. In aggiunta
anche lo stress psico-sociale e l’inattività fisica possono contribuire ad
alterare il metabolismo.
Il
lavoro a turni può modificare la distribuzione di energia nel corso della
giornata. Chi lavora con i turni tende a fare dei frequenti spuntini piuttosto
che dei pasti completi, anche se questo non sembra influenzare l’energia totale
assunta. Sono pochi gli studi che hanno valutato con attenzione l’apporto dei
nutrienti e l’impatto del numero di spuntini. I fattori che influiscono
principalmente sul consumo alimentare sono la mancanza della routine dei pasti
con familiari e amici, mangiare da soli, la qualità degli alimenti e delle
mense. Inoltre, durante il lavoro il tempo per il pasto non è mai la priorità e
può sottostare a problemi di personale e di orari.
E’
necessario effettuare ricerche più approfondite per conoscere il rapporto tra
orologio biologico e stile di vita e metabolismo dei lavoratori a turni. Un
nuovo progetto dell’UE, il progetto EuRhythDia, avrà il compito di indagare
sulle conseguenze delle modificazioni dello stile di vita (dieta, esercizio,
esposizione alla luce e assunzione di melatonina).
E’
difficile formulare delle raccomandazioni dietetiche per i lavoratori a turno,
ma è possibile identificare delle linee guida generali per datori di lavoro e
lavoratori per promuovere degli stili di vita sani, oltre al concetto generale
di un’alimentazione sana e una corretta gestione della fatica.
Negli
ambienti lavorativi si deve sviluppare una strategia nutrizionale che permetta
di effettuare scelte salutari di alimenti e bevande in un ambiente tranquillo.
Gli
orari dei turni devono essere formulati per permettere ai lavoratori di avere
un tempo adeguato tra i turni per mantenere uno stile di vita salutare, con dei
pasti regolari e degli adeguati tempi per l’esercizio fisico e per il riposo.
I
lavoratori a turni dovrebbero cercare di avere un ritmo di assunzione di
alimenti il più possibile normale. Evitare di mangiare, o cercare di assumere
una ridotta quantità di energia, nel periodo che va da mezzanotte alle sei del
mattino; e cercare di mangiare all’inizio e alla fine del turno. Ad esempio,
chi lavora nel turno del pomeriggio dovrebbe assumere il pasto principale nel
mezzo della giornata, piuttosto che a metà del turno. Chi lavora di notte
dovrebbe mangiare il pasto principale prima di iniziare il turno, alla solita
ora di cena. Fare la colazione prima di andare a letto di giorno evita che ci
si possa risvegliare per la fame. Tuttavia, questa prima colazione deve essere
leggera, una colazione troppo pesante (effettuata 1 o 2 ore prima di coricarsi)
può rendere difficoltoso prendere sonno.
Bere
regolarmente aiuta a prevenire la disidratazione che può aumentare la
sensazione di fatica.
Sostanze
stimolanti come la caffeina possono rimanere nell’organismo diverse ore dopo l’assunzione
e possono aumentare la vigilanza e pertanto interferire con il sonno. Se i
turnisti sentono la necessità di caffeina durante il loro turno, devono cercare
di assumerla all’inizio del turno per passare con il progredire del turno a bevande
senza caffeina. Infine è bene evitare di assumere alcool per riuscire ad
addormentarsi.
AGRICOLTURA E NORMATIVA DI SICUREZZA
Da
Articolo 19 (Città Metropolitana)
di Leopoldo Magelli
Tra le tante cose umoristiche e
improbabili che si sentono dire a proposito del D.Lgs.81/08 sulla sicurezza e
salute nei luoghi di lavoro, una delle più incredibili è l’affermazione che
tale normativa non si applica alle aziende agricole, ovvero che il mondo
dell’agricoltura non ricade sotto la citata normativa.
Non si capisce in base a quali
elementi e considerazioni qualcuno proponga una simile interpretazione. Ad ogni
buon conto, è bene spiegare, con puntuali riferimenti, perché è esattamente il
contrario e anche tutte le attività agricole ricadono sotto le disposizioni del
citato D.Lgs.81/08.
In realtà, basterebbe leggere
l’articolo 3 (campo di applicazione) comma 1: “Il presente decreto legislativo
si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le
tipologie di rischio”.
Al comma 2 dello stesso articolo
vengono poi elencate le attività escluse, oppure quelle cui il decreto si
applica con modalità particolari, e tra queste non rientrano le attività
agricole. Un richiamo alle attività agricole lo troviamo invece al comma 13,
che in effetti prevede alcune modalità particolari per le aziende agricole, ma
solo in ordine agli obblighi di informazione, formazione e sorveglianza
sanitaria: “In considerazione della specificità dell’attività esercitata dalle
imprese medie e piccole operanti nel settore agricolo, il Ministro del lavoro,
della salute e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri della salute
e delle politiche agricole, alimentari e forestali, entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore del presente decreto, nel rispetto dei livelli
generali di tutela di cui alla normativa in materia di sicurezza e salute nei
luoghi di lavoro, e limitatamente alle imprese che impiegano lavoratori
stagionali ciascuno dei quali non superi le cinquanta giornate lavorative e per
un numero complessivo di lavoratori compatibile con gli ordinamenti colturali
aziendali, provvede ad emanare disposizioni per semplificare gli adempimenti
relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal
presente decreto, sentite le organizzazioni sindacali e datoriali
comparativamente più rappresentative del settore sul piano nazionale. I
contratti collettivi stipulati dalle predette organizzazioni definiscono specifiche
modalità di attuazione delle previsioni del presente decreto legislativo concernenti
il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nel caso le imprese
utilizzino esclusivamente la tipologia di lavoratori stagionali di cui al
precedente periodo”.
E’ evidente che, se all’articolo 13
si stabiliscono della clausole specifiche per informazione, formazione e
sorveglianza sanitaria per il settore agricolo, ciò significa senza la minima
ombra di dubbio che il D.Lgs.81/08 si applica anche al settore agricolo, (solo
per opportuna informazione, il suddetto Decreto Ministeriale applicativo è
stato emanato il 27 marzo 2013).
Quindi, tutte le regole generali di
cui al titolo I del D.Lgs.81/08, dalla valutazione dei rischi alla
programmazione e realizzazione degli interventi preventivi e protettivi, dalla
attivazione del Servizio di Prevenzione e Protezione e del suo Responsabile
alla nomina del medico competente, dalla formazione alla sorveglianza
sanitaria, dalla riunione periodica alla consultazione dei Rappresentanti di
Lavoratori per la Sicurezza,
ecc., si applicano senza se e senza ma anche alle aziende agricole.
E così pure tutti gli altri titoli,
dall’uso delle attrezzature e dei Dispositivi di Protezione Individuali (ad
esempio nell’allegato V sui requisiti di sicurezza delle attrezzature, alla
parte II, punto 2, si parla di attrezzature di lavoro mobili, semoventi e non,
ad esempio trattori, dal punto 5.13.8 al punto 5.13.11 si parla di
trebbiatrici, ecc.), dalla movimentazione dei carichi agli agenti fisici, dagli
agenti biologici alle sostanze pericolose, si applicano pienamente anche alle
aziende agricole.
Qualche cosa di più specifico va
detto relativamente alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro: se è vero che
(Titolo II, Capo I, articolo 62, comma 2: “le disposizioni di cui al presente
titolo non si applicano [...]ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti
parte di un’azienda agricola o forestale”, è altrettanto vero che al contrario
si applicano pienamente agli altri locali chiusi di lavoro e comunque
pertinenti al lavoro, nonché ad altre caratteristiche “logistiche” dei luoghi
di lavoro. Infatti (anche se molti passaggi appaiono ormai desueti e di
interesse più storico che attuale) il punto 6 dell’Allegato IV (Requisiti dei
luoghi di lavoro) porta come titolo “Disposizioni relative alle aziende
agricole”, e come capoversi:
-
abitazioni e
dormitori;
-
dormitori
temporanei;
-
acqua;
-
acquai e
latrine;
-
stalle e
concimaie;
-
mezzi di
pronto soccorso e profilassi.
Da ultimo, riprendendo quel fondamentale
processo di prevenzione che è la valutazione dei rischi, ovviamente devono
essere prese in considerazione tutte le diverse attività svolte, sia
all’esterno che nei locali di lavoro (ad esempio da imprese agroalimentari), in
tutte le loro componenti di rischio, inclusi i rischi legati all’organizzazione
del lavoro, alle modalità operative, all’uso di macchine diverse, alle
operazioni di carico e scarico, ai problemi posturali, ergonomici, di
movimentazione dei carichi, all’uso dei Dispositivi di Protezione Individuali e
alle procedure di sicurezza, ecc.: esattamente come in tutte e altre aziende!
Naturalmente, va presa attentamente
in esame la presenza di lavoratori stranieri, con tutte le necessarie ricadute
in termini di formazione, addestramento, ecc.
LA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE
SUI CAMPI ELETTROMAGNETICI
Da:
PuntoSicuro
28 luglio
2015
di Tiziano
Menduto
Un
intervento affronta l’esposizione e le misurazione dei campi elettromagnetici
nei luoghi di lavoro e presenta una breve rassegna delle principali normative
dal D.Lgs.81/08 alla Direttiva 2013/35/UE e degli obblighi del datore di
lavoro.
In questi
ultimi vent’anni è aumentata sempre più la sensibilizzazione sulle conseguenze
dell’esposizione dell’uomo ai campi elettromagnetici. Sensibilizzazione che è
andata di pari passo con l’attenzione del legislatore: se le prime norme erano
specifiche solo per alcuni campi di applicazione e per precisi valori di
frequenza, ora la normativa comprende tutta la gamma di radiazione
elettromagnetica.
Proprio per
poter fare una breve rassegna della normativa correlata ai campi
elettromagnetici, ci soffermiamo oggi su un intervento che si è tenuto al
seminario “Campi elettromagnetici negli ambienti di lavoro” promosso da
Assoservizi e Unindustria Rimini, in collaborazione con Elettroprogetti.
L’intervento
“Esposizione dei lavoratori, valutazioni e misure, Esempi pratici in alcuni
ambienti di lavoro”, a cura degli ingegneri Marco Moretti e Fabio Melucci, non
solo riporta utili indicazioni sulla strumentazione per la valutazione dei
campi elettromagnetici, sull’individuazione delle sorgenti e sull’esecuzione
delle misurazioni, ma presenta le principali normative sui campi elettromagnetici.
La Raccomandazione del Consiglio europeo del 12 luglio
1999 (1999/519/CE), relativa alla limitazione dell’esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz, specifica dei valori
limiti di base (Valori limite di esposizione) basati direttamente sugli effetti
sulla salute accertati e su considerazioni biologiche di meccanismi di
accoppiamento tra i campi ed il corpo, i quali si manifestano con un
assorbimento di energia elettromagnetica da parte dell’individuo.
Le grandezze
fisiche che si utilizzano sono grandezze cosiddette dosimetriche cioè che sono
direttamente estrapolate dall’organismo.
Le
principali di queste sono:
-
tasso
specifico di assorbimento di energia (SAR);
-
densità di
corrente indotta (Is).
Essendo le
grandezze dosimetriche e esposimetriche non misurabili, la Raccomandazione prescrive
anche i livelli di riferimento (valori di azione) di grandezze direttamente
misurabili espressi in termini di:
-
intensità di
campo elettrico E (V/m);
-
intensità di
campo magnetico H (A/m);
-
induzione
magnetica B (T);
-
densità di
potenza ad onda piana equivalente Seq (W/m2).
E dunque il
rispetto di tutti i livelli di riferimento raccomandati garantisce il rispetto
dei limiti di base.
Il Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8 luglio 2003 è relativo alla
fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli
obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese
tra 100 kHz e 300 GHz.
Dunque anche
in questo caso vengono fissati:
-
limiti di
esposizione (sono valori definiti ai fini della tutela della salute da effetti
acuti che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della
popolazione e dei lavoratori);
-
valori di
attenzione (sono valori che non devono essere superati negli ambienti
abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate);
-
obiettivi di
qualità (sono valori definiti dallo Stato ai fini della progressiva
minimizzazione dell’esposizione ai campi).
Invece con
il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8 luglio 2003 sono
fissati i limiti di esposizione e i valori di attenzione, per la protezione
della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici e magnetici alla
frequenza di rete (50 Hz) connessi al funzionamento ed all’esercizio degli
elettrodotti.
A tale
proposito, il documento ricorda che non deve non deve essere superato il limite
di esposizione di 100 µT per l’Induzione Magnetica e di 5 KV/m per il Campo Elettrico.
A titolo di misura precauzionale per la protezione di possibili effetti a lungo
termine nelle aree di gioco, in ambienti scolastici e nei luoghi adibiti a
permanenze non inferiori alle 4 ore si assume il valore di 10 µT da intendersi
come mediana dei valori nell’arco delle 24 ore nelle normali condizioni di
esercizio.
E viene
posto un obiettivo di qualità: ai fini della progressiva minimizzazione
dell’esposizione ai campi generati da elettrodotti operanti alla frequenza di
50 Hz viene fissato l’obiettivo di qualità di 3 µT inteso sempre come mediana
dei valori nell’arco delle 24 ore.
Veniamo ora
al Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi
di lavoro, il Decreto legislativo n.81 del 9 Aprile 2008 e successive modifiche
e integrazioni.
Dopo aver
ricordato che il campo di applicazione (specificato all’articolo 206 del
Decreto) è per frequenze da 0 Hz a 300 GHz, vengono riportate diverse
definizioni e informazioni sull’identificazione dell’esposizione e valutazione dei
rischi (ai sensi dell’articolo 209 del Decreto).
Riprendiamo
qualche indicazione dell’articolo 210 relativo alle misure di prevenzione e
protezione.
Secondo
l’articolo 210 se, a seguito della valutazione dei rischi, risulti che i valori
di azione sono superati, il datore di lavoro elabora e applica un programma
d’azione che comprende misure tecniche e organizzative intese a prevenire
esposizioni superiori ai valori limite di esposizione, ad esempio con
riferimento a:
-
altri metodi
di lavoro che implicano una minore esposizione ai campi elettromagnetici;
-
scelta di
attrezzature che emettano campi elettromagnetici di intensità inferiore, tenuto
conto del lavoro da svolgere;
-
misure
tecniche per ridurre l’emissione dei campi elettromagnetici, incluso se necessario
l’uso di dispositivi di sicurezza, schermature o di analoghi meccanismi di
protezione della salute;
-
appropriati
programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi e delle postazioni
di lavoro;
-
progettazione
e struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro;
-
limitazione
della durata e dell’intensità dell’esposizione;
-
disponibilità
di adeguati dispositivi di protezione individuale.
E si ricorda
che in nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai
valori limite di esposizione.
Veniamo
infine alla Direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013 che dà le disposizioni
minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai
rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici). La Direttiva non affronta
gli effetti a lungo termine derivanti dall’esposizione a campi
elettromagnetici, dal momento che non si dispone attualmente di prove
scientifiche accertate dall’esistenza di una relazione causale.
In
particolare la Direttiva
stabilisce le prescrizioni minime, lasciando quindi agli Stati membri la
facoltà di mantenere o di adottare disposizioni più favorevoli in materia di
protezione dei lavoratori, in particolare fissando valori inferiori per i
Livelli di Azione (LA) o i Valori Limite di Esposizione (VLE) per i campi
elettromagnetici. L’attuazione della Direttiva non dovrebbe tuttavia
giustificare un regresso rispetto alla situazione esistente in ciascuno Stato
membro.
L’intervento
ricorda poi che è opportuno che i datori di lavoro siano tenuti ad assicurare
che i rischi derivanti dai campi elettromagnetici sul luogo di lavoro siano
eliminati o ridotti al minimo. E’ tuttavia possibile che, in casi specifici e
in circostanze debitamente giustificate, i VLE stabiliti nella Direttiva siano
superati solo in via temporanea. In tal caso i datori di lavoro dovrebbero
prendere le misure necessarie per ripristinare quanto prima il rispetto dei
VLE.
Riguardo
alla Direttiva 2013/35/UE l’intervento riporta le molte definizioni rilevanti
contenute, ad esempio in relazione agli effetti, ai livelli d’azione LA
(livelli stabiliti per semplificare il processo di dimostrazione della
conformità ai pertinenti VLE o, eventualmente, per prendere le opportune misure
di protezione o prevenzione) e ai valori limite d’esposizione VLE (i VLE relativi
agli effetti sanitari, sono i valori di esposizione al di sopra dei quali i
lavoratori potrebbero essere soggetti a effetti nocivi per la salute, quali il
riscaldamento termico o la stimolazione del tessuto nervoso o muscolare, mentre
i VLE relativi agli effetti sensoriali, sono i valori di esposizione al di
sopra dei quali i lavoratori potrebbero essere soggetti a disturbi temporanei
delle percezioni sensoriali e a modifiche minori delle funzioni cerebrali).
Inoltre si
ricorda che con la Direttiva
gli Stati membri dispongono che il datore di lavoro assicuri che l’esposizione
dei lavoratori ai campi elettromagnetici sia limitata ai VLE relativi agli
effetti sanitari e ai VLE relativi agli effetti sensoriali di cui all’allegato
II, per gli effetti non termici, e di cui all’allegato III, per gli effetti
termici. Il rispetto dei VLE relativi agli effetti sanitari e dei VLE relativi
agli effetti sensoriali deve essere dimostrato ricorrendo alle pertinenti
procedure di valutazione dell’esposizione di cui all’articolo 4. Qualora
l’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici superi il VLE, il datore
di lavoro adotta misure immediate in conformità dell’articolo 5, paragrafo 8. E
ai fini della Direttiva, ove sia dimostrato che i pertinenti LA di cui agli
allegati II e III non sono superati, si considera che il datore di lavoro
rispetta i VLE relativi agli effetti sanitari e i VLE relativi agli effetti
sensoriali.
Ricordiamo
per concludere che la
Direttiva 2013/35/UE, che abroga la precedente Direttiva
2004/40/CE, deve essere recepita dagli Stati membri entro il 1° luglio 2016 e
stabilisce che i riferimenti alla Direttiva abrogata si intendono fatti alla
Direttiva 2013/25/UE, secondo le tavole di concordanza riportate in allegato
IV.
Dunque con
la pubblicazione prima della Direttiva 2012/11/UE e poi della Direttiva
2013/35/UE sono stati modificati i termini di entrata in vigore delle
disposizioni relative al Titolo VIII (Agenti Fisici), capo IV (Protezione dei
lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici) del D.Lgs.81/08:
entrata in vigore che è spostata al 1° luglio 2016.
In ogni
caso, in attesa della riformulazione del Titolo VIII, Capo IV del D.Lgs.81/08,
ai fini del recepimento della nuova Direttiva rimane valido il principio
generale (ai sensi degli articoli 28 e 181 del D.Lgs.81/08) che impegna il
datore di lavoro alla valutazione di tutti i rischi per la salute e la
sicurezza con riferimento anche a quelli derivanti dalle esposizioni a campi
elettromagnetici.
Il documento
“Esposizione dei lavoratori, valutazioni e misure, Esempi pratici in alcuni
ambienti di lavoro”, a cura degli ingegneri Marco Moretti e Fabio Melucci, è
scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150526_CEM_esposizione_lavoratori_esempi_pratici.pdf
STORIE DI INFORTUNIO: UNA STORIA DI
ORDINARIA SCHIAVITU’
Da:
PuntoSicuro
28 luglio
2015
Durante i
lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una
ferita da schiacciamento alla mano destra: come è avvenuto l’incidente, le
cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.
Il Centro
regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte
(Dors) raccoglie storie d’infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi
PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la
convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione
indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione. In questa
storia, dal titolo “Io sono Cheng: una storia di infortunio di ordinaria schiavitù”
(a cura di Marcello Libener, Servizio PreSAL della ASL Alessandria), durante i
lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una
ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente
del 46%.
CHE COSA E’
SUCCESSO
Durante i
lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una
ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente
del 46%.
CHI E’ STATO
COINVOLTO
Cheng è un
operaio cinquantenne di origine cinese che vive in Italia da cinque anni. Da
quando è emigrato ha sempre lavorato presso un piccolo laboratorio della pietra
come addetto al taglio.
Conosce
pochissime parole di Italiano, ma il lavoro che svolge, di tipo manuale e
perlopiù individuale, non prevede grossi scambi con colleghi e superiori e non
necessita quindi di un vocabolario molto articolato. Inoltre, il rumore
assordante e la diversa provenienza dei lavoratori (Marocco e Cina) complicano
ulteriormente la comunicazione durante le ore di lavoro.
DOVE E
QUANDO
L’infortunio
è avvenuto in provincia di Torino, nell’autunno del 2008, in un piccolo
laboratorio di lavorazione della pietra.
COME
La denuncia
di infortunio pervenuta al Servizio PreSAL riportava una dinamica di
accadimento non molto chiara:
“Mentre
tranciava una pietra inavvertitamente si feriva alla mano...”.
Nel corso di
un primo sopralluogo in azienda, il datore di lavoro della ditta aveva riferito
che l’evento era avvenuto in un piazzale dello stabilimento, dove operano gli
scalpellini che preparano i blocchi di pietra per il successivo trancio, in
un’area priva di macchinari.
Dai primi
accertamenti pareva quindi che l’infortunio fosse avvenuto per pura
accidentalità: il lavoratore che si era dato una martellata sulle mani...
Non è stato
facile mettersi in contatto con Cheng, trasferitosi nel frattempo in un’altra
provincia, ma quando si è potuto sentire la versione dell’infortunato e dei
suoi colleghi, si è riusciti ricostruire la vera dinamica dell’infortunio.
Il
laboratorio in cui è avvenuto l’infortunio svolge attività di lavorazione della
pietra. In particolare la lavorazione parte da blocchi in pietra naturale, da
cui vengono prodotte lastre, cordoli, cubetti o quanto richiesto dal cliente.
La creazione dei cubetti avviene mediante presse tranciatrici, dette anche
“cubettatrici”, macchine dotate di due lame semoventi che spezzano i blocchi di
pietra in elementi di più piccole dimensioni.
Cheng,
operaio addetto a una pressa cubettatrice, il giorno dell’infortunio, come
d’abitudine, stava procedendo alla realizzazione dei cubetti mediante una
vecchia tranciatrice, quando ha subito una ferita alla mano destra per
schiacciamento fra un blocchetto in pietra e la lama superiore della macchina.
L’infortunato è stato portato al Pronto Soccorso, quindi trasportato al CTO di
Torino, dove è stato sottoposto a ripetuti interventi chirurgici alla mano. In
seguito all’infortunio, Cheng ha recuperato solo in parte l’utilizzo della
mano.
“Quando mi
sono fatto male, i miei colleghi cinesi sono venuti ad aiutarmi. L’altro mio
collega arabo ha telefonato al capo. Dopo circa due ore, il mio capo è arrivato
e mi ha portato in ospedale a Pinerolo.
Adesso non
riesco più a muovere la mano e il polso lo muovo poco perché mi fa ancora
male”.
PERCHE’
L’infortunio
di Cheng è potuto accadere in quanto la macchina tranciatrice al momento
dell’infortunio non garantiva un sufficiente grado di sicurezza: la lama
superiore, attivata dal comando a pedale, scendeva sul banco di lavoro anche
senza il consenso delle fotocellule che intercettano la presenza delle mani
dell’operatore (dotate di guanti con catarifrangenti) nell’area di sicurezza.
Il
malfunzionamento del sistema di sicurezza, che evita lo schiacciamento delle
mani da parte degli elementi mobili della macchina, potrebbe essere stato
determinato dai seguenti motivi:
-
mancanza o
insufficienza di interventi di controllo periodici o straordinari, secondo
frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dal fabbricante,
necessarie a verificare le buone condizioni di sicurezza della macchina;
-
mancata o
insufficiente manutenzione sulla macchina tranciatrice volta a garantire nel
tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza previsti dal costruttore; in
azienda non era presente il libretto d’uso e manutenzione della macchina e non
vi era alcun registro comprovante gli interventi di controllo e di manutenzione
sulle macchine;
-
eventuale
manomissione del sistema di sicurezza costituito da fotocellule e guanti dotati
di banda catarifrangente, che potrebbe determinare la possibilità di operare
senza l’utilizzo dei guanti dotati di catarifrangente.
In sintesi,
l’azienda ha evidentemente privilegiato la velocità del lavoro a scapito della
sicurezza; a tal proposito, Cheng ha riferito che:
“A volte,
senza schiacciare il pedale, le lame si muovevano. Quando mi sono fatto male io
non ho schiacciato il pedale, ma la lama è scesa... Avevo i guanti, ma senza il
catarifrangente. Sulla mia macchina le fotocellule non funzionavano. Non hanno
mai funzionato. Io usavo dei guanti senza catarifrangente... Avevo detto più
volte al mio capo che la macchina non funzionava bene: la macchina qualche
volta era stata aggiustata, ma le fotocellule non hanno mai funzionato”.
E’ stato
inoltre sentito Lorenzo, un tecnico manutentore intervenuto subito dopo
l’infortunio:
“Abbiamo
verificato che a volte i coltelli, azionando il comando a pedale, scendevano
anche senza posizionare i guanti con catarifrangente al di sotto delle
fotocellule”.
COSA SI E’
APPRESO DALL’INCHIESTA
La macchina
su cui è avvenuto l’infortunio presentava le seguenti situazioni di rischio:
-
il
dispositivo di protezione della macchina, costituito da fotocellule (protezioni
opto-elettroniche attive) e guanti dotati di banda catarifrangente, sono
facilmente eludibili in quanto permettono l’utilizzo di catarifrangenti
generici che quindi possono essere posizionati in qualunque parte della mano o
del braccio dell’operatore; a titolo di esempio, qualora l’addetto indossasse
una giacca o qualsiasi indumento con bande catarifrangenti sulle maniche, il
sistema potrebbe permettere la discesa della lama anche se le mani non si
trovano in posizione di sicurezza;
-
il mancato
funzionamento di elementi costituenti i dispositivi di sicurezza della macchina
non impedisce l’avviamento o il movimento degli elementi mobili; in
particolare, i dispositivi di sicurezza della macchina, costituiti da
fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente non sono di tipo
intrinseco (al verificarsi del minimo guasto o anomalia la macchina dovrebbe
fermarsi), contrariamente a quanto previsto dalle norme di buona tecnica (UNI
EN), permettendo quindi alla macchina di essere azionata con il comando a
pedale, anche in caso di guasto delle fotocellule.
Il fatto che
in azienda non fosse reperibile il libretto d’uso e manutenzione della macchina
oggetto dell’infortunio o documentazione comprovante interventi manutentivi
effettuati, comprova che la tranciatrice non sia mai stata oggetto degli
specifici interventi di manutenzione e controllo secondo modalità e frequenze
previste dal costruttore. Tra le condizioni indispensabili per un corretto
funzionamento della macchina riportate sul libretto d’uso, vi è anche la
necessità di “controllare ogni sei mesi la funzionalità dei relé che vanno ad
eccitare le elettrovalvole per evitare che i contatti si incollino e la lama
salga o scenda in modo inatteso”.
Secondo
Lorenzo, un tecnico manutentore:
“Potrebbe,
al momento dell’infortunio, esserci stato un falso contatto o qualche anomalia
di tipo elettrico che ha consentito la discesa del coltello anche senza il
posizionamento dei guanti”.
Nel corso
degli accertamenti è stato richiesto al datore di lavoro della ditta di
visionare il documento di valutazione dei rischi, che è risultato però assente.
L’azienda era passata recentemente di proprietà e c’era un documento a firma
del titolare dell’azienda precedente, ma con contenuti generici.
Poiché la
macchina oggetto dell’infortunio era marcata CE, e quindi rientrava nel campo
di applicazione della cosiddetta “Direttiva Macchine”, sono state eseguite
verifiche in merito alla rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti
essenziali di sicurezza”, inviando le dovute comunicazioni alle autorità
nazionali di sorveglianza del mercato per le non conformità rilevate.
Nel corso
delle indagini sono anche stati approfonditi aspetti inerenti la formazione dei
lavoratori, verificando che gli stessi erano stati formati e informati sull’uso
dei macchinari consegnando loro anche degli opuscoli scritti in cinese.
RACCOMANDAZIONI
In azienda
devono essere messe a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro
conformi alle specifiche disposizioni legislative, idonee ai fini della salute
e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere.
Specialmente
quando si utilizzano macchine di non recente costruzione, per verificare se queste
possano essere adeguate dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, è
importante valutare tutti i rischi legati al loro utilizzo: rischi intrinseci
della macchina, della lavorazione, e dell’ambiente in cui verrà utilizzata. Il
compito principale della valutazione dei rischi è infatti quello di far
emergere eventuali carenze antinfortunistiche e indicare quali misure di prevenzione
e di protezione devono essere attuate per far fronte ai rischi, nonché l’elenco
dei Dispositivi di Protezione Individuali da utilizzare.
E’ inoltre
importante che sulle macchine venga svolta una corretta manutenzione secondo le
modalità e periodicità indicati dal costruttore. Questo, oltre ad allungare la
vita residua della macchina, può evitare che la macchina si comporti in modo
inatteso, causando come nel caso in esame, un infortunio. E’ quindi
fondamentale avere a disposizione il libretto d’istruzioni d’uso e manutenzione
e conoscerne i contenuti.
Quando le
macchine sono marcate CE, e quindi si rientra nella cosiddetta “Direttiva
Macchine”, le verifiche di conformità devono riguardare anche la rispondenza
dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, eseguendo
anche le necessarie comunicazioni alle Autorità nazionali di sorveglianza del
mercato. Ricerche di mercato e normative, possono poi portare ad acquisire
informazioni utili sull’attuale progresso tecnologico, nuovi sistemi di
protezione delle macchine.
Nel caso di
infortuni su attrezzature di lavoro non conformi, a fini prevenzionistici è
importante verificare se in azienda ve ne siano di simili, al fine di
prescrivere che queste vengano messe in sicurezza prima del loro utilizzo.
L’efficacia
della formazione deve essere verificata non solo dal punto di vista formale
(presenza degli attestati di formazione), ma anche sostanziale, acquisendo le
testimonianze dai singoli lavoratori. Tale elemento risulta fondamentale
specialmente nel caso di lavoratori stranieri che possono avere problemi di
comprensione della lingua.
Una corretta
gestione delle emergenze all’interno dell’azienda con l’individuazione e la
formazione delle persone addette può a volte ridurre il danno. Specialmente nel
caso di infortuni gravi è infatti fondamentale saper intervenire rapidamente e
in modo corretto, ad esempio per fermare un’emorragia.
Il
coinvolgimento dei diversi livelli dell’organizzazione aziendale (datore di
lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori) nella gestione delle problematiche
relative alla sicurezza del lavoro, ha un effetto positivo sulla prevenzione.
Responsabilizzare le varie figure aziendali porta a una maggiore consapevolezza
del pericolo e alla volontà di affrontare i problemi anche per timore di
eventuali responsabilità penali.
Nell’azienda
in cui è avvenuto l’infortunio, nonostante le ripetute segnalazioni di
malfunzionamento della macchina da parte del lavoratore, sia al datore di
lavoro che al diretto superiore (preposto di fatto), non sono mai stati
effettuati interventi risolutivi. In azienda non è mai stata data importanza alle
segnalazioni o agli “incidenti”. Un’adeguata attenzione ai “near miss” (quasi
infortuni) è di importanza fondamentale per ridurre l’incidenza infortunistica
in qualsiasi realtà lavorativa.
ALBERGHI: LE NUOVE DISPOSIZIONI DI
PREVENZIONE INCENDI
Da: PuntoSicuro
29 luglio
2015
di Tiziano
Menduto
Pubblicato
in Gazzetta Ufficiale il Decreto che contiene le disposizioni di prevenzione
incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti
letto superiore a 25 e fino a 50. Gli obiettivi e la gestione della sicurezza.
Come sempre
in ritardo rispetto ai tempi preventivati e dopo le proroghe di questi ultimi
anni, è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del
Ministero dell’interno del 14 luglio 2015 concernente le “Disposizioni di
prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero
di posti letto superiore a 25 e fino a 50”.
Il Decreto
era stato già preannunciato dal comma 2 dell’articolo 11 del Decreto Legge n.
150 del 30 dicembre 2013, come modificato dalla Legge n. 15 del 27 febbraio
2014.
Questo il
secondo comma dell’articolo 11 “Proroga di termini in materia di turismo” del
Decreto Legge n. 150 del 30 dicembre 2013:
“Con Decreto
del Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della Legge di conversione del presente Decreto, si provvede
ad aggiornare le disposizioni del citato Decreto del Ministro dell’interno 9
aprile 1994, semplificando i requisiti ivi prescritti, in particolare per le
strutture ricettive turistico-alberghiere fino a cinquanta posti letto”.
Dunque
ampiamente in ritardo rispetto alle previsioni, il Decreto del 14 luglio
approva una nuova regola tecnica di prevenzione incendi, aggiornando le
disposizioni del Decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994 e
semplificando i requisiti antincendio per le strutture che hanno un numero di
posti letto superiore a 25 e fino a 50.
Entriamo nel
dettaglio del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale dando informazioni sul
campo di applicazione (articolo 1).
Le
disposizioni del nuovo Decreto si applicano per la progettazione, la
realizzazione e l’esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere,
così come definite dal Decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994 e
successive modificazioni, con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50,
esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
L’articolo 2
riporta poi gli obiettivi.
Secondo il
Decreto, ai fini della prevenzione incendi,
“allo scopo
di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia
delle persone e alla tutela dei beni contro i rischi di incendio, le strutture
turistico-ricettive di cui all’articolo 1, sono realizzate e gestite in modo
da:
-
minimizzare
le cause di incendio;
-
garantire la
stabilità delle strutture portanti al fine di assicurare il soccorso agli
occupanti;
-
limitare la
produzione e la propagazione di un incendio all’interno della struttura
ricettiva;
-
limitare la
propagazione di un incendio a edifici o aree limitrofe;
-
assicurare
la possibilità che gli occupanti lascino i locali e le aree indenni o che gli
stessi siano soccorsi in altro modo;
-
garantire la
possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza”.
E per
raggiungere tali obiettivi è approvata (articolo 3) la regola tecnica di
prevenzione incendi di cui all’Allegato 1, che costituisce parte integrante del
Decreto.
Senza
dimenticare che (articolo 4) le disposizioni tecniche di cui all’articolo 3 (la
regola tecnica) si applicano alle attività ricettive turistico-alberghiere
indicate dal Decreto anche nel caso di interventi di ristrutturazione o di
ampliamento, limitatamente alle parti interessate dall’intervento e comportanti
l’eventuale rifacimento dei solai in misura non superiore al 50%.
E’ fatta
salva tuttavia la facoltà, per il responsabile delle attività di optare per
l’applicazione delle pertinenti disposizioni di cui al Decreto del Ministro
dell’interno 9 aprile 1994 e successive modificazioni.
Ci
soffermiamo ora sulla “Regola tecnica di prevenzione incendi per le attività
ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino
a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del Decreto”, di cui
all’Allegato 1, che contiene molte indicazioni: dalle caratteristiche
costruttive alle misure per l’evacuazione, dai mezzi di estinzione degli
incendi alla gestione della sicurezza.
Riguardo
alla gestione della sicurezza la regola tecnica indica che il responsabile
dell’attività ricettiva deve rispettare gli obblighi connessi con l’esercizio
dell’attività previsti dalla normativa vigente in materia e in edifici a
destinazione mista dovrà essere assicurato il coordinamento della gestione
della sicurezza e delle operazioni di emergenza tra le attività presenti
nell’edificio.
Tra le
misure finalizzate al coordinamento della gestione dell’emergenza, si dovrà
prevedere:
-
l’installazione
di almeno un pulsante manuale di allarme, posizionato nelle parti comuni
dell’edificio misto, con cui si attivi una segnalazione d’allarme all’interno
dell’attività alberghiera;
-
la
possibilità di estendere la segnalazione di allarme agli spazi dell’edificio
non destinati ad attività alberghiera.
Inoltre il
responsabile dell’attività ricettiva è tenuto a predisporre un piano di
emergenza contenente le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare
in caso incendio. Tale piano di emergenza deve essere mantenuto costantemente
aggiornato.
Devono poi
essere pianificate (e indicate nel piano di emergenza) le procedure per
l’assistenza a persone con limitate capacità sensoriali e/o motorie, che
possono incontrare difficoltà specifiche nelle varie fasi dell’emergenza.
E a ciascun
piano, lungo le vie di esodo, devono essere esposte planimetrie d’orientamento.
In tali planimetrie deve essere adeguatamente segnalata, tra l’altro, la
posizione e la funzione di eventuali spazi calmi o di spazi compartimentati,
destinati alla sosta in emergenza di eventuali persone con impedite o ridotte
capacità sensoriali e/o motorie.
Anche in
ciascuna camera, con apposita cartellonistica esposta bene in vista, devono
essere fornite precise istruzioni sul comportamento da tenere in caso di
incendio. Oltre che in italiano, il testo deve essere redatto in lingue
diverse, di maggiore diffusione tra la clientela della struttura ricettiva. Le
istruzioni debbono essere accompagnate da una planimetria, che indichi
schematicamente la posizione della camera rispetto alle vie di evacuazione,
alle scale ed alle uscite.
Concludiamo
la presentazione del Decreto con le “disposizioni finali” (articolo 6).
Tali
disposizioni finali sottolineano come il Decreto entri in vigore il trentesimo
giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (avvenuta
il 24 luglio 2015).
E tali
disposizioni indicano che con riferimento all’attuazione del piano
straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi
(previsto dal Decreto del Ministro dell’interno 16 marzo 2012 e successive modificazioni)
“alle attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto
superiore a 25 e fino a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del
Decreto del Ministro 9 aprile 1994, si applicano le corrispondenti prescrizioni
della regola tecnica di prevenzione incendi di cui all’articolo 3 del presente
Decreto, con le modalità e i tempi fissati dal citato decreto del Ministro
dell’interno 16 marzo 2012 e successive modificazioni”.
Il Decreto
del Ministero dell’interno del 14 luglio 2015 “Disposizioni di prevenzione
incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti
letto superiore a 25 e fino a 50”
è visionabile all’indirizzo:
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