Melzo,
azienda licenzia operaio disabile: al suo posto mette un robot
Milano, benservito a un disabile
dopo 30 anni. "La posa di tappi? In automatico"
di MONICA
AUTUNNO
25 maggio
2018
Melzo
(Milano), 25 maggio 2018 - Una macchina che svolge esattamente
il suo lavoro, all’azienda non serve più: licenziato dopo trent’anni operaio
disabile. Al suo posto un robot che non prende stipendio, non rischia infortuni
e non ha neppure una famiglia da mantenere. L’uomo, Osmu Labib,
originario del Marocco, ha 61 anni e una mano in meno, la destra. Gli
rimase sotto una pressa il 6 marzo 1991, nella stessa azienda dalla
quale ora viene allontanato, la Grief Italia srl; una ditta che produce
taniche e contenitori a Melzo, nel Milanese, e che nell’aprile
scorso, via missiva e senza nessun tipo di preavviso, gli ha dato il
benservito.
La lettera che ha distrutto la serenità di Osmu,
in Italia da quasi quarant’anni, sposato e con figli, parla di licenziamento
per giustificato motivo, e per questo senza obbligo di preavviso. Tutto
molto semplice.In fabbrica il marocchino era da molti anni assegnato
all’attività di posa di tappi sui recipienti prodotti, prima del processo
ultimo di verniciatura. Una mansione semplice, ma adatta alle sue
condizioni fisiche. La macchina installata a fine febbraio («in seguito a
una riorganizzazione aziendale e ottimizzazione dei processi produttivi»), il «Paint
cap applicator», «svolge in automatico il medesimo lavoro sino a oggi da
lei svolto». Posizione in organico dunque soppressa. «Abbiamo valutato la
possibilità – precisa nella nota, quasi per gentile concessione, la dirigenza
aziendale – di assegnarla ad altre mansioni riconducibili alla sua
professionalità. Purtroppo non è stata reperita alcuna posizione lavorativa
vacante, essendo tutti i posti già occupati da altri dipendenti».
Fine della storia. E notifica dell’avviamento della procedura per la risoluzione del rapporto. Fine della storia ma non per l’uomo, troppo anziano per cercare un’altra collocazione, gravato da una disabilità importante, troppo giovane per una pensione «a cui mi mancavano pochi anni - racconta lui -. Non accetto tutto questo». Delusione su tutti i fronti. «Ho la tessera della Cgil da trent’anni, mi sono rivolto subito a loro, e all’Ispettorato del Lavoro. Hanno inviato una lettera, ma non c’è stata risposta». Un tentativo fallito di conciliazione davanti alla direzione territoriale del lavoro, cui l’azienda fa riferimento. Poi dritto dall’avvocato. Il primo, indicato da conoscenti, il penalista milanese Mirko Mazzali. «Sono un penalista e non un avvocato del lavoro e l’ho indirizzato altrove, consigliandogli comunque di tornare, innanzitutto, al sindacato. Una vicenda che si commenta da sola». Ancora Osmu. «L’Italia è il mio Paese da anni, e in quell’azienda ho sempre lavorato, era la mia casa. Non mi aspettavo un trattamento del genere». Il suo telefono, ieri, ha suonato tutto il pomeriggio. «Grazie a tutti per l’interessamento, speriamo di ottenere qualcosa», ha detto ancora. La fabbrica, una casa con dei rischi, visto quanto accaduto all’operaio nel 1991. «Quel giorno lavoravo a una pressa, mi rimase dentro la mano. La destra. Ma non ho mai smesso di lavorare, facevo cose diverse». Una mano sola per posizionare le «paint cap». «Ora farà tutto la macchina automatica». Osmu avanza almeno una richiesta all’azienda che lo ha sostituito con un apparato elettromeccanico: «Che mi sia pagato almeno quello che è giusto: i contributi, per arrivare alla pensione».
Fine della storia. E notifica dell’avviamento della procedura per la risoluzione del rapporto. Fine della storia ma non per l’uomo, troppo anziano per cercare un’altra collocazione, gravato da una disabilità importante, troppo giovane per una pensione «a cui mi mancavano pochi anni - racconta lui -. Non accetto tutto questo». Delusione su tutti i fronti. «Ho la tessera della Cgil da trent’anni, mi sono rivolto subito a loro, e all’Ispettorato del Lavoro. Hanno inviato una lettera, ma non c’è stata risposta». Un tentativo fallito di conciliazione davanti alla direzione territoriale del lavoro, cui l’azienda fa riferimento. Poi dritto dall’avvocato. Il primo, indicato da conoscenti, il penalista milanese Mirko Mazzali. «Sono un penalista e non un avvocato del lavoro e l’ho indirizzato altrove, consigliandogli comunque di tornare, innanzitutto, al sindacato. Una vicenda che si commenta da sola». Ancora Osmu. «L’Italia è il mio Paese da anni, e in quell’azienda ho sempre lavorato, era la mia casa. Non mi aspettavo un trattamento del genere». Il suo telefono, ieri, ha suonato tutto il pomeriggio. «Grazie a tutti per l’interessamento, speriamo di ottenere qualcosa», ha detto ancora. La fabbrica, una casa con dei rischi, visto quanto accaduto all’operaio nel 1991. «Quel giorno lavoravo a una pressa, mi rimase dentro la mano. La destra. Ma non ho mai smesso di lavorare, facevo cose diverse». Una mano sola per posizionare le «paint cap». «Ora farà tutto la macchina automatica». Osmu avanza almeno una richiesta all’azienda che lo ha sostituito con un apparato elettromeccanico: «Che mi sia pagato almeno quello che è giusto: i contributi, per arrivare alla pensione».
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