domenica 31 agosto 2025

31 agosto - info da tarantocontro: Ex Ilva - per una effettiva decarbonizzazione occorre dare battaglia - ma centrale sono gli operai

 

Sia chiaro, tutti i rilievi negativi e contrari, come alcune proposte per una effettiva decarbonizzazione dell'ex Ilva, per esempio quelle fatte nei giorni scorsi nella conferenza stampa dal Dr. Giua, o da altri esperti, devono essere sostenute, e noi lo faremo, devono essere recepite, dal governo in primis, e portare subito a dei cambiamenti - questione dell'utilizzo dell'idrogeno verde prodotto da energie alternative, in alternativa all'uso del gas, quindi No alla nave rigassificatrice, nè a Taranto nè a Gioia Tauro, questione collocazione eventuali impianti Dri molto lontano dalle zone abitate; e ancora, Si a tutti i fondi necessari per la gestione dei forni elettrici, la fondamentale questione di ridurre di molto i tempi - non si può stare per altri anni 8/12? con gli altoforni e il sistema di produzione attuale dell'acciaio, il No all'Aia attuale targhettata per una produzione ancora a carbone per 12 anni, Sì ad una nuova Aia che risponde alle esigenze della salute, dell'ambiente, della sicurezza in fabbrica; ecc. ecc. 

Su questo bisogna dare battaglia! Gli interventi per avviare una effettiva decarbonizzazione devono cominciare da subito, non da quando e se si conclude la (s)vendita dello stabilimento. Così come bisogna dare ora battaglia, con la lotta, gli scioperi sulla piattaforma operaia indicata dallo Slai cobas per il sindacato di classe e di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi più volte.

Ma occorre comprendere che centrale in tutto questo sono gli operai dell'ex Ilva, che invece anche per chi vuole entrare nel merito, restano invisibili, al massimo dei numeri da ricollocare in un futuro generico, in una cosiddetta "economia diversificata" - che dovrebbe essere attenta alla salute e non al profitto. 

Gli operai non sono numeri! Non sono gente da collocare anche con proposte offensive (ultima, in attività di badanti, assistenti di anziani con demenza senile, o da distribuire 10 in un lavoro, 20 in un altro, ecc.); si tratta di proposte ripetiamo offensive (noi rispettiamo e stimiamo il Prof. Marescotti quando le sue ricerche, dati possono servire alla classe per ribellarsi e lottare con conoscenza, ma ora, onestamente, dice "stupidaggini"); o si sciorinano elenchi infiniti di proposte illusorie, che tra l'altro vorrebbero far credere che c'è un capitalismo cattivo/nocivo e un capitalismo buono/che rispetta la salute e i diritti dei lavoratori e delle masse; o, peggio, proposte che, se venissero attuate, dovrebbero creare nuovi posti di lavoro per i tanti disoccupati, per i precari e invece vogliono alimentare un inevitabile contrasto tra disoccupati, precari di Taranto che da anni aspettano lavoro vero, stabile, reddito - vedi i lavoratori ex Isola verde - e gli operai ex Ilva messi fuori dalla fabbrica chiusa.

Gli operai ex Ilva, dell'appalto, tutti, compreso i "dimenticati" 1600 operai in cigs dal 2018 in Ilva AS, sono una ricchezza di conoscenza, di esperienza, di professionalità, sono un bagaglio di "soluzioni" per la salute l'ambiente, sia in fabbrica che fuori, frutto del loro lavoro decennale in Ilva, "soluzioni" vissute sulla propria pelle. Sono una comunità, una forza che pesa se resta collettiva, unita; se non viene mandata a casa, o divisa/dispersa, se non viene messa per anni e anni in una cassintegrazione che alla fine corrompe. 

Gli operai sono la "soluzione" insieme alla popolazione di Taranto, per l'opposizione, il freno, la barriera ai piani nefasti di governi e nuovi padroni.

Gli operai dell'ex Ilva - che tanti sono morti per tumore, ma di questi non si parla nelle assemblee degli ambientalisti - sono i primi che vogliono dire NO all'inquinamento, e l'hanno fatto in tutti questi anni, ma sono stati lasciati soli, dentro la fabbrica dai sindacati confederali e fuori dalle realtà ambientaliste. Andatevi a leggere le testimonianze operaie al processo di 1° grado "Ambiente svenduto", fatte anche da chi poi ha promosso i "liberi e pensanti". E, a proposito di dati, andate a scoprire le lotte che hanno fatto negli anni per la sicurezza e la salute, rischiando direttamente il posto di lavoro. Tutto questo viene taciuto e gli operai ex Ilva diventano o "poveri cristi" da vedere come sistemare o addirittura complici dei padroni e governi assassini.

Gli operai sono sfiduciati, stanchi di sentire da 14 anni e più parole. E chi fa "parole" sono i sindacati confederali, più l'Usb, che li tengono a freno; mentre, invece, quando sono stati chiamati allo sciopero in generale hanno risposto e bene. 

Poi c'è un'altro aspetto. Chi attuerebbe le proposte costruttive, serie, che vengono da alcuni ambientalisti se non gli operai ex Ilva? a partire dal lavoro per le bonifiche in fabbrica e nell'area industriale. Ma devono essere parte di un'unica realtà operaia!


sabato 30 agosto 2025

Info Stellantis: Fiat chiama 800 lavoratori da Nepal e Marocco per costruire la Grande Panda in Serbia

 A Kragujevac, lo storico stabilimento in Serbia, arrivano lavoratori stranieri per compensare la carenza di manodopera locale, mentre in Marocco Stellantis raddoppia la produzione e conquista nuovi mercati


Pietro Mella Bitti

redazione@torinocronaca.it

A Kragujevac, lo storico stabilimento in Serbia, arrivano lavoratori stranieri per compensare la carenza di manodopera locale, mentre in Marocco Stellantis raddoppia la produzione e conquista nuovi mercati

redazione@torinocronaca.it

Lo stabilimento Fiat di Kragujevac, cuore industriale della Serbia centrale e oggi parte dell’universo Stellantis, si prepara a vivere una nuova fase. Nella fabbrica destinata alla produzione della nuova Fiat Grande Panda, arriveranno a breve circa 800 lavoratori stranieri provenienti da Nepal e Marocco. La conferma è arrivata dal consigliere comunale per l’economia, Radomir Erić, in dichiarazioni riportate da Televizija Kragujevac.

La notizia ha suscitato reazioni contrastanti, perché arriva in una città che conta circa 9mila disoccupati, secondo i dati diffusi da Autoklub.hr. Kragujevac ha un passato glorioso come polo manifatturiero serbo. Qui sono nate le auto della storica Zastava, simbolo della motorizzazione jugoslava, e qui, dal 2010, Fiat ha investito massicciamente per trasformare la città in un polo automobilistico moderno. Eppure, il nodo resta sempre lo stesso: la difficoltà di garantire condizioni di lavoro e retribuzioni in grado di attirare e trattenere personale locale.

Lo storico sindacalista Jugoslav Ristić, presidente dell’associazione “Nova sveltst” ed ex leader della fabbrica di armi Zastava, lo spiega senza giri di parole: «Gli abitanti di Kragujevac non sono interessati a stipendi leggermente superiori a 70.000 dinari (circa 597 euro), perché non sono sufficienti per sopravvivere. Ecco perché si cercano lavoratori dal Nepal e dal Marocco, Paesi molto più poveri della Serbia».

Secondo Ristić, la forbice economica è evidente: in Nepal, con una popolazione di 27 milioni di abitanti, oltre la metà delle persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno. In Marocco, che conta 37 milioni di abitanti, il PIL pro capite è più di tre volte inferiore rispetto a quello serbo. Nello stabilimento di Kragujevac, ha aggiunto il sindacalista, un operaio può arrivare a guadagnare circa 90.000 dinari (768 euro) al mese, ma solo lavorando tutti i sabati, ben oltre le 40 ore settimanali standard. Un salario che resta comunque al di sotto della media nazionale serba, fissata a circa 108.000 dinari (920 euro). Il confronto con i lavoratori stranieri inviati in passato dall’Italia è impietoso: «Quelli prendevano circa 100 euro al giorno, cifre incomparabili con gli stipendi offerti ai serbi», ricorda Ristić.

La conclusione, per il sindacalista, è amara: «Se la Fiat pagasse 1.000 euro al mese, troverebbe sicuramente lavoratori locali. Ma lo Stato, che possiede un terzo delle azioni dell’azienda, non interviene. Il messaggio è chiaro: la Serbia deve rimanere una zona di manodopera a basso costo. È la politica delle multinazionali, sostenuta dal nostro governo». Il caso di Kragujevac rappresenta bene un paradosso diffuso nei Balcani: alta disoccupazione ufficiale, ma difficoltà croniche a reperire personale disposto ad accettare stipendi bassi e turni gravosi.

Mentre in Serbia Stellantis fatica a trattenere personale e si affida a manodopera straniera, in Marocco il gruppo automobilistico ha intrapreso una strada opposta: quella della crescita e degli investimenti strategici. Lo stabilimento di Kenitra, inaugurato nel 2019 a nord di Rabat, è diventato in pochi anni uno dei fiori all’occhiello del gruppo. Nel 2025 Stellantis ha annunciato un piano da 1,2 miliardi di euro per raddoppiare la capacità produttiva: da 200mila a 535mila veicoli all’anno.

Il contrasto tra Kragujevac e Kenitra è evidente: in Serbia, Stellantis deve importare forza lavoro da Paesi ancora più poveri per compensare salari non attrattivi e condizioni considerate dure dagli stessi serbi. In Marocco, invece, il gruppo ha trovato un ambiente favorevole: salari competitivi, politiche industriali stabili, incentivi pubblici e una manodopera giovane e disponibile.

Stellantis, è fuga dall’azienda: i dipendenti si licenziano, è il caos totale

23 Agosto 2025 di Giovanni Messi

sabato 23 agosto 2025

23 agosto - info: Stampa Taranto - su ex Ilva e Slai Cobas

 da TarantoBuonasera Ex Ilva, lo Slai Cobas attacca: “Solo incertezze, lavoratori condannati a cassa integrazione ed esuberi”

Ex Ilva, lo Slai Cobas attacca: “Solo incertezze, lavoratori condannati a cassa integrazione ed esuberi”

Il sindacato di classe critica duramente l’intesa firmata il 12 agosto: nessuna garanzia su salute, occupazione e investimenti. Il 29 agosto assemblea pubblica a Taranto

Francesco Alberti

redazione.taranto@buonasera24.it


21 Agosto 2025 - 10:05

TARANTO - Lo Slai Cobas per il sindacato di classe boccia senza appello l’intesa sottoscritta il 12 agosto sul futuro dell’ex Ilva. Secondo l’organizzazione, l’accordo punta esclusivamente alla realizzazione di 3 forni elettrici nello stabilimento ionico, senza fornire risposte concrete né sui tempi della decarbonizzazione né sulla localizzazione degli impianti Dri o del rigassificatore. Restano così irrisolti i nodi occupazionali, ambientali e di sicurezza che continuano a gravare sulla fabbrica e sulla città.

Per il sindacato, l’unico effetto certo riguarda la cassa integrazione, che coinvolgerà 4.000 dipendenti, con ulteriori discussioni fissate per il 28 agosto tra Commissari e rappresentanze sindacali. “È un sì a scatola chiusa – accusa lo Slai Cobas – che spalanca la strada a nuove riduzioni di personale e lascia campo libero al sistema degli appalti, senza vincoli immediati per la manutenzione né per la riduzione dell’inquinamento”.

Particolarmente contestata è anche la clausola che conferma, con l’Accordo di Autorizzazione Integrata Ambientale, altri 12 anni di produzione con il modello attuale, ritenuto insostenibile sia dal punto di vista ambientale sia da quello sanitario. Intanto, osserva il sindacato, si continua a puntare a un obiettivo produttivo di 6 milioni di tonnellate annue, con il rischio di spingere gli impianti esistenti oltre i limiti di sicurezza.

Lo Slai Cobas sottolinea che le risorse promesse dal ministro Urso rappresentano “solo una boccata d’ossigeno per tamponare il deficit crescente” senza aprire prospettive di rilancio reale. La prospettiva, afferma il sindacato, è quella di migliaia di ore di cassa integrazione e di esuberi, con pesanti ricadute anche per l’indotto locale.

Nella sua nota il sindacato ricorda come anche Confindustria, attraverso le pagine de Il Sole 24 Ore, abbia ribadito il valore strategico dell’acciaio di Taranto per l’industria automobilistica, navale e della difesa, evidenziando la funzione dello stabilimento in un contesto geopolitico segnato da nuove tensioni e dalla corsa agli armamenti.

Di fronte a questo scenario, lo Slai Cobas invoca una piattaforma operaia unitaria che rivendichi la difesa del salario con integrazione al 100%, il rifiuto degli esuberi, il mantenimento dei lavoratori in Cigs dal 2018, l’impiego diretto degli addetti nei programmi di bonifica e trasformazione ambientale, oltre a un contratto unico metalmeccanico negli appalti. Apertura anche a finestre di prepensionamento, definite “risarcitorie” per i 25 anni di crisi che hanno segnato l’ex Ilva.

“Solo la lotta e gli scioperi – afferma il sindacato – possono cambiare i piani di padroni e governo. Gli operai, che sono 15 mila, rappresentano una forza determinante e non possono essere dispersi in lavori precari e frammentati”.

Lo Slai Cobas ha annunciato per il 29 agosto, dalle 16.30 alle 19.30, nella sede di via Livio Andronico 47 a Taranto, una riunione pubblica del coordinamento nazionale per discutere della vertenza.


mercoledì 20 agosto 2025

21 agosto - info da tarantocontro: Ex Ilva, confusione al servizio dei piani di governo e nuovi padroni - ma gli effetti su operai e masse della città sono chiari e concreti

 

L'intesa sottoscritta il 12 agosto da tutte le parti volutamente parla realmente solo dei tre forni elettrici a Taranto che dovrebbero sostituire via via gli altoforni attuali. Per il resto - Impianti Dri dove istallarli, gas/nave rigassificatrice, tempi di decarbonizzazione, non dice nulla, soprattutto non parla degli effetti della permanenza della situazione attuale - sempre grave dal punto di vista del lavoro, della sicurezza e dell'inquinamento,- e di quella futura sugli operai e sulla popolazione: rispetto a questo l'unica cosa certa (ad latera, però, dell'intesa) è la permanenza/aumento della cassintegrazione per 4.000 operai di cui dovrebbero discutere il 28 agosto Commissari e OO.SS.

Questa intesa è da un lato volutamente reticente, perchè l'obiettivo era portare tutti, anche il Sindaco di Taranto (quello dei: No, però, Sì), alla firma, compresa l'accettazione dell'Aia che prevede ancora 12 anni del modo di produzione attuale; dall'altro non poteva non essere reticente perchè sono in ballo diverse soluzioni (spezzatino, collocazione di Dri e gas) e soprattutto è tornata alla casella di partenza la questione dei nuovi padroni che si prendono l'ex Ilva. Su questa svendita/regalo anche a settembre non si definirà ancora niente.  

Quindi si è trattato di un SI a scatola chiusa.

In cui ciò che è certo sono, ora e anche con la vendita, migliaia di ore di cassintegrazione e poi esuberi per gli operai dell’Acciaierie con l’inevitabile caduta a cascata sugli operai dell’appalto, nessun vincolo immediato per manutenzione ordinaria e straordinaria, per interventi di riduzione inquinamento; anzi l'obiettivo, questo sì in tempi rapidi, di 6 milioni di tonnellate (cosa assurda) farà sì comunque di spingere al massimo gli impianti attuali con effetti ancora più pesanti sull'inquinamento e salute e sullo sfruttamento, rischi di sicurezza per gli operai che restano in fabbrica. 

I soldi che Urso ha promesso servono solo a dare una boccata d'ossigeno allo status quo, ai debiti che aumentano ogni mese.

Tutto questo, in una normale opposizione sindacale e difesa degli interessi dei lavoratori e delle masse popolari, dovrebbe portare i sindacati in fabbrica ad iniziative di lotta. Ma, al di là dei lamenti e dichiarazioni sulla stampa e Tv il massimo è la richiesta ai partiti parlamentari, tutti, di un incontro per fine agosto...; mentre per la cassintegrazione viene richiesta una riduzione dei numeri.

Il Solo 24 Ore, giornale della Confindustria, ha già rappresentato come vedono la questione i padroni: "L’ex Ilva - ha scritto a giugno - ha un senso strategico se può produrre un particolare tipo di acciaio, l’acciaio acquistato dai produttori di auto, da chi realizza navi, da chi opera nelle infrastrutture - per citare due nomi di clienti storici, Fincantieri ed Fca/Stellantis. Il contesto geo politico segnato dalle nuove guerre sta spingendo l’Europa, Germania in testa, alla conversione dell’industria automobilistica alla produzione di mezzi corazzati per la difesa. Per fare automobili, carri armati, navi da guerra, navi civili, turbine industriali e componenti di grandi dimensioni per le infrastrutture serve da sempre l’acciaio di Taranto”. Quindi, si riafferma di fatto la centralità, l’importanza strategica dello stabilimento che si inserisce nell’unica economia possibile, che è oggi l’economia di guerra o di grandi opere inutili, vedi il Ponte sullo stretto.

Altra cosa certa dal punto di vista di padroni, tutti, e dei governi al loro servizio è dunque che l’Ilva svolga questa funzione. Solo che questa funzione deve essere svolta secondo le leggi del profitto del capitale nella fase acuta attuale di guerra tra banditi, in cui agisce l’irruzione della politica dei dazi di Trump.

Noi guardiamo tutto questo dall’altra collina; dal punto di vista degli interessi della classe operaia e della sua funzione storica di guida delle masse popolari per opporre a questo piano l’alternativa nella fase storica che attraversiamo.

Proprio perché gli operai sono il fattore determinante, nel contesto attuale la questione principale e urgente è la difesa rigida del lavoro, delle condizioni di lavoro, della salute e della sicurezza. 

Gli operai non hanno altra alternativa alla “piattaforma operaia” che dal particolare al generale assicuri la difesa dei loro interessi di classe e degli interessi generali delle masse.

E’ su questa base che occorre dire NO all’estensione attuale della cassintegrazione, No agli accordi che peggiori la condizione attuale sul terreno della salute e dell’inquinamento.

Ma su questo senza l’unità e la lotta dei lavoratori le cose non possono cambiare. Questo deve essere chiaro agli operai e alle realtà ambientaliste sincere.

Il capitale, tutto, è nocivo sempre, sia quando produce, sia quando chiude, sia quando dovrebbe fare le bonifiche, sia quando si riconverte. Solo la lotta, gli scioperi, uno scontro di classe concreto può ostacolare i piani nocivi del capitale, e nella lotta, porre le condizioni per una lotta più generale per rovesciare questo sistema capitalista di sfruttamento e morte. 

E qui i numeri contano per la forza: 15 mila operai sono una forza; chi li vuole mandare a casa o disperderli in tanti mini, medi, precari, ipotetici posti di lavoro alternativi o lavora (consapevolmente o meno) per il "nemico" o non ha capito e non vuole capire l'abc del sistema sociale. 

Unità per la riduzione dei numeri dei cassintegrati; la difesa del salario con l’integrazione – che per noi deve essere del 100%, o comunque una integrazione che riguardi tutti gli operai sia diretti dello stabilimento che dell’appalto; il rifiuto degli esuberi, che comprende il mantenimento dentro la platea dei lavoratori in Cigs dal 2018; la tutela le condizioni di salute e sicurezza; l’utilizzo pieno dei lavoratori in cig (e potenzialmente futuri esuberi) nei piani di bonifica/trasformazione/ambientalizzazione della fabbrica e dell'area industriale, occupati non da varie ditte terze, ma dallo stesso padrone di Acciaierie d'Italia, perchè fanno parte di un'unica realtà operaia ex Ilva; Sì ad un eventuale finestra di prepensionamento, anche risarcitoria per la situazione prodottasi in tutti questi anni all’Ilva - 25 anni bastano!; Sì al contratto unico, metalmeccanico, nell’appalto; stop ai contratti a termine.

E’ chiaro che questo richiede un braccio di ferro con padroni, governo e i loro complici di varia natura, possibile con la linea e l’organizzazione sindacale di classe e l’utilizzo di tutte le forme di lotta necessarie.


martedì 19 agosto 2025

20 agosto - Sindacato Lavoratori Arabi - Nazareth

 

Abbiamo respinto gli appelli israeliani a partecipare allo sciopero generale di domenica prossima perché non chiede la fine dell'aggressione e della fame contro il nostro popolo a Gaza.
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L'Unione dei Lavoratori Arabi a Nazareth ha respinto le richieste delle associazioni israeliane di invitare i lavoratori arabi a partecipare allo sciopero annunciato domenica prossima per fare pressione sul governo israeliano affinché raggiunga un accordo per liberare gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza.

Wahba Badarneh, direttore dell'Unione Araba dei Lavoratori a Nazareth, ha dichiarato: "Ci siamo rifiutati di partecipare e chiediamo questo sciopero perché non chiede esplicitamente la fine della guerra e la fame del nostro popolo a Gaza. Gli appelli a fermare la guerra sono una richiesta concreta per liberare gli ostaggi e aprire la strada alla continuazione della guerra e al genocidio, alle uccisioni e alla fame del nostro popolo a Gaza. Questo nonostante la presenza di alcune voci sulla strada israeliana che chiedono la fine del genocidio e della fame a Gaza. "Badarneh ha aggiunto: "Le richieste umanitarie sono indivisibili. È impossibile chiedere libertà e giustizia per i rapiti mentre le sofferenze umanitarie degli abitanti della Striscia di Gaza vengono completamente ignorate. Qualsiasi appello di protesta e sciopero che non tenga conto della necessità di fermare la guerra e la catastrofe a Gaza può essere considerato solo un segno dell'ipocrisia della società israeliana. Pertanto, ci rifiutiamo categoricamente di partecipare a questo sciopero e invitiamo i lavoratori palestinesi all'interno di Israele a non rispondere alle richieste di partecipare allo sciopero. "

Nazareth: 12 agosto 2025


lunedì 18 agosto 2025

18 agosto - Stellantis Melfi: meno operai più sfruttamento

Dal 25 agosto Stellantis a Melfi al montaggio riduce gli operai ma per fare le stesse operazioni o, in alcuni casi, più operazioni, in tempi più stretti. Quindi vi sarà un aumento del carico di lavoro per i lavoratori rimasti, aumento dei ritmi di lavoro e di conseguenza attacco alla salute. E c'è il rischio che la situazione possa ulteriormente peggiorare, con sempre meno operai a gestire le linee di produzione. 

OCCORRE RIBELLARSI! E' GIUSTO RIBELLARSI. Proprio la fabbrica di Melfi ha dimostrato che è possibile; che se gli operai, i delegati decidono autonomamente di avviare la lotta, la lotta si fa, riesce. 

Anche oggi occorre accendere la scintilla: scioperare contro il padrone, ma anche contro i sindacati (Fim, Uilm, Fismic) che accompagnano le decisione del padrone e ne sono gli agenti tra gli operai.

Dalla stampa:

Dal 25 agosto, alla ripresa della produzione nello stabilimento Stellantis di Melfi, sulle linee di montaggio ci saranno ancora meno operai, pur mantenendo invariato il numero di auto da produrre. Lo annunciano i sindacati Fim, Uilm e Fismic in un messaggio ai lavoratori: “A parità di auto prodotte saranno tolti altri due addetti linea.

Melfi, con la ripartenza post-ferie cambierà il mix dei modelli assemblati: la Jeep Compass nella sua versione precedente uscirà definitivamente di produzione; la Renegade sarà prodotta soltanto in configurazione ibrida-elettrica fino alla fine di ottobre; la 500X, richiesta in un ordine speciale a tiraggio limitato, passerà da 75 a 110 unità per turno. Contestualmente, aumenterà gradualmente la produzione di sette nuovi modelli, elettrici e ibridi, tra cui la nuova Compass e la DS8, già in fase di avvio.

Secondo la Commissione sindacale del Montaggio, la nuova organizzazione prevede l’eliminazione dei modelli più impegnativi in termini di manodopera, ma non una riduzione della produzione complessiva. In pratica, per un ipotetico turno da 175 vetturegli addetti saranno di nuovo ridotti. È un trend che si protrae da tempo: già a luglio era stata effettuata un’ulteriore sforbiciata al personale in linea.

Ci vogliono robotizzare sempre di più”, denuncia un operaio del reparto montaggio, sottolineando come le nuove auto non siano necessariamente più semplici da assemblare. “Il carrier dei nuovi modelli non è più un pezzo unico: servono più operazioni nello stesso tempo. Senza l’indotto, tocca fare tutto a noi”. Il timore di molti lavoratori è che, a fronte di una riduzione costante di personale, cresca il carico di lavoro individuale, con operazioni sempre più serrate ritmi difficili da sostenere. “Negli ultimi mesi ho perso diversi chili per stare dietro alla linea – racconta un addetto – Temo che presto rimarremo in tre per linea, e il peso ricadrà solo su chi ancora è disposto a scendere in fabbrica”.

Negli ultimi due anni, tolto il turno di notte, la produzione è stata centellinata e la rotazione del personale applicata senza criteri chiari. Risultato: sempre meno operai attivi, sempre più “robotizzati” e con poco margine per contestare le scelte organizzative.

Fim, Uilm e Fismic assicurano che la Commissione Unità Montaggio resterà attiva per monitorare l’evoluzione e risolvere eventuali criticità. Ma per i lavoratori, il rientro del 25 agosto significherà una cosa sola: stessi volumi, meno mani in catena.

lunedì 11 agosto 2025

11 agosto - dal blog tarantocontro: EX ILVA, SERVE UNA POSIZIONE DI CLASSE E UNITARIA

 

Noi ci battiamo perché ci sia una piattaforma dei lavoratori, e una piattaforma ambientale. 

Tutti i processi di ristrutturazione, vendita, piani A-B vengono di fatto scaricati sugli operai con licenziamenti, cassintegrazione, peggioramento delle condizioni di lavoro, mancanza di sicurezza e scaricati sulle masse popolari, sul territorio. 
Gli operai e i lavoratori non vogliono finire senza lavoro né in una cassintegrazione senza ritorno, né stare alla mercè di eventuali improbabili piani di ricollocazione dei lavoratori. Tutti i piani che in questa città sono falliti con la Belleli, con la Cementir. Quindi il punto fermo è che i lavoratori devono rimanere operai nella zona industriale, devono essere parte integrante del processo di eventuale riconversione, ambientalizzazione, senza diventare, dopo essere state vittime di sfruttamento, di morti sul lavoro, anche le vittime del processo di cambiamento della fabbrica.

Noi escludiamo che la chiusura della fabbrica risolva i problemi dei lavoratori, della salute e dell’ambiente in questa città. 

Questo sistema capitalista è nocivo a prescindere, perchè difende solo dei profitti dei padroni e il loro tagli dei costi. E' nocivo quando produce, è nocivo quando riconverte, è nocivo quando chiude una fabbrica e fa le "bonifiche" (Bagnoli non è una propaganda è un fatto); come è nociva/tossica l'attività agricola e di supersfruttamento per chi vi lavora, l'attività turistica con le mega navi inquinanti del mare che arrivano a Taranto; è nocivo anche lì dove, a fronte di una chiusura dell'ex Ilva si costruisse in quell'area impianti fotovoltaici - come ha proposto un esponente di Giustizia per Taranto il 6/8 - li abbiamo visti gli effetti in altre realtà: distruzione di territori, sfruttamento di tipo schiavista per chi dovrebbe costruirli, con minimi costi, pericolo per la salute per chi vi abita vicino. Chi propone piani avveniristici di diversificazione dell'economia di Taranto che difenderebbero la salute e occuperebbero migliaia di operai ex Ilva (!?) non dice poi che questi ipotetici piani in questo sistema borghese sono sempre nelle mani dei padroni e seguono sempre le loro stesse leggi. 

Solo il potere in mano ai proletari potrà far sì che le fabbriche - tutte le fabbriche, tutte le attività lavorative - non siano nocive.

Dobbiamo opporre alla produzione per il massimo profitto e allo scarico sui lavoratori e cittadini della crisi e ristrutturazione, la lotta dei lavoratori in coordinamento, unità con la lotta delle masse popolari della città. 

La piattaforma operaia ha questo scopo. Dice no agli esuberi, no alla cassa integrazione permanente, dice che i lavoratori, che non possono essere utilizzati nella produzione attualmente, devono e possono essere occupati nei lavori di ambientalizzazione e di bonifiche della fabbrica e della zona industriale. Gli operai ex Ilva sono un patrimonio di conoscenza della fabbrica, di cosa fare e di cosa non fare, di come produrre per limitare i danni alle persone e all'ambiente (l'hanno già detto anche in testimonianze nel 1° processo di "Ambiente svenduto" - che tutti dovrebbero leggere, invece di parlarne in modo stupidamente offensivo e senza minimamente conoscere la loro storia in fabbrica). 

Siamo perché ci sia una postazione ispettiva dentro la zona industriale che sia di deterrenza e di controllo effettivo di come procede tutta questa riconversione/decarbonizazione. 

Siamo perché ci sia un’integrazione salariale per operai delle Acciaierie e operai dell’appalto nei periodi di cassa integrazione. Siamo naturalmente per tutte le misure che possano alleggerire anche in forma di risarcimento i problemi occupazionali, come ’estensione dei benefici per i lavori usuranti e per l’amianto - noi siamo stati i primi a rivendicarli, e questa è l’unica voce esuberi che accettiamo all’interno di un piano generale che preveda l’occupazione di tutti i lavoratori nella zona industriale, tutti dipendenti da padroni o governo, momentaneamente, che prendesse l'ex Ilva.

Noi vogliamo che il processo di ambientalizzazione debba essere accelerato al massimo. Non c’è da avere alcuna fiducia nel rispetto dei tempi da parte dei padroni e dei governi, anche questo è frutto dei rapporti di forza della lotta di classe. 

La piattaforma operaia è la soluzione per gli operai, ma deve essere anche la soluzione alla situazione della città, recependo le istanze, proposte che vengono dagli abitanti dei quartieri inquinati, e da una parte sincera degli ambientalisti.
Lo scambio, voluto dal governo a cui le istituzioni locali si prestano, a partire dal Comune, è da respingere. Le nuove "opportunità lavorative" che vengono poste nel cosiddetto Accordo di programma alternativo - attività che devono essere fatte a prescindere - non devono essere per occupare gli esuberi del piano di ristrutturazione e di ridimensionamento delle Acciaierie, ma devono essere un’opportunità di lavoro per la grande massa dei lavoratori precari, dei giovani, delle donne, dei disoccupati della città. 

Noi riteniamo che bisogna fare una battaglia rigida rispetto alle fonti inquinanti, per ostacolare tutti i quei processi produttivi in questo tempo di ristrutturazione che possano appesantire il carico inquinante e sanitario della città. Questo va fatto insieme: abitanti di Taranto e operai Acciaierie/appalto che sono fonte di conoscenza. Una battaglia rigida che permetta la ristrutturazione della fabbrica, con la massima riduzione del danno.

Questa battaglia in corso a Taranto non è possibile senza un ruolo determinante dei lavoratori che tutelino lavoro, salute e sicurezza per sé e per tutti i soggetti della città.

Per questo un ostacolo grosso tra i lavoratori sono i sindacati in fabbrica collaborazionisti che non rispondono agli interessi dei lavoratori; puntano a dare "soluzioni" ai piani del governo e non parlano di piani concreti dal punto di vista degli interessi di classe. Il primo fronte di lotta degli operai è contro questo "ostacolo". Qualcosa si è sentito in alcune assemblee in fabbrica di luglio, ma è ancora troppo poco.

Rafforziamo la piattaforma operaia, sviluppiamo gli elementi della piattaforma ambientale che possono permettere di contrastare i piani del governo, dei futuri padroni e delle Istituzioni locali.

Questa è la posizione dello Slai Cobas e su questo continueremo a lavorare, innanzitutto verso gli operai

Costruiamo insieme la piattaforma operaia/piattaforma ambientale e andiamo allo sciopero generale a Taranto nella prima quindicina di settembre. 

SLAI COBAS per il sindacato di classe - Acciaierie/appalto

Taranto - 10.8.25





giovedì 7 agosto 2025

7 agosto - info EX ILVA TARANTO

 

Il governo Meloni/Urso per conto dei padroni vecchi e nuovi italiani e 
stranieri privati e di stato marcia verso la soluzione capitalista della 
crisi ex Ilva ai danni di operai e masse popolari -
Unirsi per respingere soluzione spezzatino/ristrutturazione ridimensionamento 
dell’ex Ilva Taranto/permanenza aggravamento situazione ambientale 
Costruiamo insieme la piattaforma operaia/piattaforma ambientale e andiamo
allo sciopero generale a Taranto nella prima quindicina di settembre. 
Slai Cobas per il sindacato di classe Taranto slaicobasta@gmail.com 
wa 351 9575628



martedì 5 agosto 2025

5 agosto - APPELLO GPI

 lo Slai Cobas per il sindacato di classe aderisce all'appello e alle iniziative conseguenti

MaskOffMaersk: fermare le spedizioni di F-35 a “Israele” e porre fine alla complicità nel genocidio – GPI

Ago 4, 2025

Come Giovani Palestinesi d’Italia, insieme a 5 sindacati di base, rilanciamo la campagna per fermare la produzione e la spedizione degli F-35 e altro materiale militare verso “Israele”.

Dal 2019, la multinazionale Leonardo S.p.A., in collaborazione con Lockheed Martin, ha effettuato oltre 165 spedizioni di componenti per F-35 dall’Italia agli USA, tutte trasportate dalle navi Maersk. Questi jet da guerra raggiungono poi la base “israeliana” di Nevatim, da cui partono i bombardamenti su Gaza e le operazioni di pulizia etnica in Cisgiordania.
Proprio a Cameri, in Piemonte, si assemblano gli F-35 destinati a “Israele”: l’Italia è parte integrante della catena di morte.

Invitiamo movimenti, sindacati, lavoratori e cittadine/i a:
– fare pressione su Maersk per fermare i trasporti militari (inclusi prodotti a duplice uso civile/militare) verso “Israele”;
– fermare la produzione, il commercio e la logistica degli F-35 e delle armi di Leonardo S.p.A;
– bloccare l’accesso nei porti mediterranei delle navi Maersk Detroit e Nexoe Maersk;
– mobilitarsi nei porti, magazzini e hub logistici contro ogni complicità nei crimini “israeliani”;
– rispondere all’appello dei sindacati palestinesi per rafforzare le campagne #BlockTheBoat e #MaskOffMaersk.

IL POPOLO STA CON GAZA
EMBARGO SULLE ARMI ORA



lunedì 4 agosto 2025

4 agosto - CARNEFICINA SENZA FINE. OPERAI COME CARNE DA MACELLO

 Incidenti sul lavoro, due operai muoiono nel Veneziano pulendo una fossa biologica di una villa: avevano 21 e 39 anni

di Antonella Gasparini

L'episodio nel comune di Santa Maria di Sala: fatali le esalazioni durante le operazioni di pulizia della cisterna

Due operai egiziani sono morti lunedì mattina cadendo in una cisterna per la raccolta di residui biologici, a Santa Maria di Sala, in
provincia di Venezia. Si tratta di Sayed Abdelwahab Hamad Mahmoud, 39 anni, e Ziad Saad Abdou Mustafa, di 21 anni. Secondo le prime informazioni, entrambi erano impegnati nelle operazioni di pulizia di una fossa biologica quando hanno perso la vita: fatali sarebbero state le esalazioni anche se l'esatta dinamica non è ancora chiara. L'incidente sul lavoro si è verificato verso le 10 all'interno del giardino di una villa in via Desman. La tempestività dei soccorsi non è bastata perché i due lavoratori potessero salvarsi.

Incidente mentre lavora nei campi, morto un operaio bresciano

La Redazione Web

Mario Malzani, 50enne nato a Pontoglio, è deceduto questa mattina a Canneto sull’Oglio nel Mantovano, paese nel quale abitava. Sarebbe stato risucchiato dagli ingranaggi di un macchinario


Report dei morti per infortuni sul lavoro dal 1 gennaio al 31 luglio 2025

Ogni 6 ore muore un lavoratore. Il 2025 è l’anno più tragico da quando esiste l’Osservatorio (18 anni)

Dati aggiornati al 31 luglio 2025

Dall’inizio dell’anno sono morti 873 lavoratori, di cui 621 sui luoghi di lavoro (esclusi gli incidenti in itinere). Il ritmo delle morti è spaventoso: ogni 6 ore e pochi minuti un lavoratore perde la vita. Se si considerano solo i dati INAIL, che escludono migliaia di lavoratori non assicurati o assicurati con altri enti, le denunce (comprensive di itinere) al 30 maggio 2025 sono appena 389. Un’enorme sottostima della realtà.

Regioni italiane con più morti sul lavoro (rapportate alla popolazione) e senza i morti in itinere che è opportuno mettere a parte per non creare confusione. INAIL li diffonde insieme

Regione (dalla peggiore)

Morti

Popolazione

Morti/milione (senza itinere)

1

Abruzzo

31

1.280.000

24,2

2

Basilicata

10

540.000

18,5

3

Trentino-Alto Adige

15

1.080.000

13,9

4

Toscana

50

3.660.000

13,7

5

Umbria

11

860.000

12,8

6

Emilia-Romagna

56

4.460.000

12,6

7

Liguria

18

1.490.000

12,1

8

Veneto

56

4.850.000

11,5

9

Calabria

19

1.820.000

10,4

10

Campania

58

5.580.000

10,4

11

Puglia

40

3.860.000

10,4

12

Sardegna

16

1.550.000

10,3

13

Marche

15

1.500.000

10,0

14

Friuli Venezia Giulia

12

1.200.000

10,0

15

Sicilia

46

4.870.000

9,4

16

Valle d’Aosta

1

125.000

8,0

17

Piemonte

31

4.250.000

7,3

18

Lombardia

73

10.060.000

7,3

19

Lazio

38

5.630.000

6,7

20

Molise

1

290.000

3,4

Le responsabilità politiche e normative

  • Jobs Act: dall’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (2015), l’aumento dei morti è stato del 43%.

  • Appalti a cascata: la legge voluta dal ministro Salvini, entrata in vigore nel giugno 2023, ha provocato un aumento del 15% dei decessi, soprattutto in edilizia e appalti pubblici.

Le grandi tragedie degli ultimi tempi

  • Brandizzo – Ferrovie dello Stato

  • Suviana – Enel

  • Calenzano – ENI

  • Esselunga di Firenze (16 febbraio 2024): 5 operai morti in un cantiere con ben 49 aziende subappaltatrici.

  • Napoli 3 morti

Dati allarmanti del 2025

  • Oltre il 30% dei morti sui luoghi di lavoro ha più di 60 anni.
    Di questi, il 17% ha più di 70 anni.

  • Il 32% delle vittime è costituito da lavoratori stranieri.
    A loro andrebbe riconosciuta la cittadinanza italiana dopo 5 anni. […]

  • Molti lavoratori del Sud Italia muoiono in trasferta al Nord.

  • Le donne muoiono meno sui luoghi di lavoro, ma quasi quanto gli uomini in itinere, spesso per la fretta e la stanchezza nel conciliare lavoro e famiglia. […]

Categorie più colpite

    • 94 morti per schiacciamento da trattori o mezzi agricoli (erano 143 nel 2024)

    • 88 autotrasportatori deceduti

    • 88 morti per fatica o stress da superlavoro (operai, braccianti, medici, infermieri, ecc.)

    • 48 morti per infortuni domestici

    • 11 morti durante potatura di alberi

    • Il 32,5% delle vittime ha più di 60 anni; il 17% oltre 70.

    • Gli stranieri sotto i 65 anni diventeranno presto la maggioranza delle vittime sui luoghi di lavoro.

Un lavoro quotidiano di memoria e denuncia

L’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro è nato il 1° gennaio 2008, all’indomani della strage della Thyssenkrupp di Torino.

È il primo e unico osservatorio italiano che monitora tutti i caduti sul lavoro, anche quelli non coperti da INAIL, lavoratori in nero o con assicurazioni diverse.

Ogni vittima è registrata con nome, età, professione, nazionalità e luogo della tragedia. Una voce fuori dal coro che rifiuta ogni minimizzazione di fronte a una carneficina.

 Carlo Soricelli è curatore dell’Osservatorio Nazionale di Bologna Morti sul Lavoro



domenica 3 agosto 2025

3 agosto - EX ILVA TARANTO

 

Le riunioni a Roma del 31 luglio e del 1 agosto 
di sull'ex Ilva dimostrano che il piano di padroni/governo
non è soddisfacente 
nè sul fronte del lavoro nè su quello della 
salute per operai e masse popolari

Per questo la lotta deve continuare in città e 
deve riprendere nella fabbrica - dobbiamo 
costruire insieme uno sciopero generale 
di operai e masse popolari a Taranto a settembre 
su una piattaforma operaia e ambientale - 
che non preveda la chiusura - ma che sia in 
grado di contrapporsi agli interessi del 
capitale il suo stato, i suoi governi, i 
suoi partiti, il sindacalismo collaborazionista 
gli interessi e gli obiettivi operai e popolari 

Slai Cobas per il sindacato di classe Taranto 
- wa 3519575628



3 agosto - CON QUESTO GOVERNO GLI OPERAI MUOIONO/UCCISI IN ITALIA E IN TRASFERTA ALL'ESTERO

 Tragedia in Pakistan, 36enne barese muore lavorando su una nave: travolto e schiacciato da alcune lamiere

Sebastiano Brunetti, originario di Mola di Bari, è morto durante un turno di lavoro nel porto di Karachi, in Pakistan, dove si trovava per conto della compagnia navale genovese Ignazio Messina. Il padre: “Temo violazioni nelle procedure. Mio figlio era un ragazzo prudente, faceva in modo di non trovarsi in situazioni di pericolo”.
A cura di Davide Falcioni


Sarebbe dovuto tornare a casa alla fine di agosto, come faceva da anni: ancora poche settimane e Sebastiano Brunetti avrebbe rivisto la sua Mola di Bari. Ma quel ritorno non ci sarà. Il 36enne marittimo infatti è morto durante un turno di lavoro nel porto di Karachi, in Pakistan, dove si trovava per conto della compagnia navale genovese Ignazio Messina, la stessa per cui lavorava da anni.
A comunicarne ufficialmente il decesso è stato il Consolato italiano di Karachi, che ha informato il Comune di Mola. La notizia è stata poi diffusa dal sindaco Giuseppe Colonna: "Abbiamo appreso con dolore che Sebastiano è deceduto sul posto di lavoro", ha dichiarato il primo cittadino, esprimendo il cordoglio dell’intera comunità.
Secondo quanto riportato negli atti ufficiali, Brunetti sarebbe stato travolto e schiacciato da alcune lamiere durante le operazioni di carico a bordo della nave Jolly Verde, ormeggiata nel porto asiatico. Un incidente che non gli ha lasciato scampo.
Partito ad aprile per l’ennesima missione, Sebastiano era abituato alla vita lontano da casa e gli capitava di passare anche sette mesi lontano da casa, soprattutto in Africa. Viaggiava spesso tra un porto e l'altro, ricoprendo il ruolo di giovanotto di coperta: mansioni pratiche, manutenzioni, movimentazione merci, supporto alle manovre e alle esercitazioni. Un lavoro umile ma essenziale, che svolgeva con dedizione.
"Era fiero del suo lavoro – racconta il padre Saverio, sentito da Repubblica – Era cresciuto in fretta, ma non si era mai dimenticato da dove veniva. Quando dal Consolato mi hanno telefonato per dirmi che Sebastiano era morto in quelle circostanze, ho subito pensato che potessero esserci state violazioni nelle procedure. Mio figlio era un ragazzo prudente, faceva in modo di non trovarsi in situazioni di pericolo".
Il corpo di Sebastiano si trova ancora in Pakistan, dove sarà sottoposto a un esame autoptico prima del trasferimento in Italia.

Verbano Cusio Ossola

Villadossola, muore folgorato mentre smonta un ponteggio: aveva 21 anni

L'incidente sul lavoro in cui ha perso la vita Pashtrik Krasniqi è avvenuto ieri, sabato 2 agosto

Stava smontando un ponteggio, quando è rimasto folgorato.

Ha perso la vita così Pashtrik Krasniqi, a soli 21 anni. Il giovane, originario del Kosovo, stava lavorando insieme ad alcuni colleghi della ditta BS coperture di Gravellona Toce per smontare l'impalcatura che copriva un palazzo in piazza Repubblica a Villadossola, quando è rimasto folgorato.

I soccorsi e le indagini

Saranno le indagini a stabilire l'esatta dinamica dell'incidente ma, dalle prime informazioni, sembra che l'operaio abbia urtato un cavo della bassa tensione mentre si trovava a 6 metri di altezza, intento a smontare il ponteggio. Sono stati i colleghi a lanciare l'allarme: nonostante l'intervento del personale del 118 e i lunghi tentativi per cercare di rianimare il giovane, per Pashtrik Krasniqi non c'è stato nulla da fare. Sul posto sono arrivati i carabinieri, i tecnici di Enel e dello Spresal dell'Asl Vco, che si occuperanno di ricostruire la dinamica dell'incidente.

Una strage che non accenna a fermarsi”

In meno di due mesi ci lascia un altro lavoratore nel Vco - scrive la Cgil Novara e Vco -. Al cordoglio per la perdita si aggiunge anche l’ulteriore atterrimento vista la giovane età della vittima e lo sbigottimento per le prime informazioni relative alle dinamiche emerse a mezzo stampa”. La Cgil tutta si stringe ai suoi cari e continua a denunciare il ripetersi di quelli che vengono definiti troppo spesso come “incidenti”. Attendiamo di conoscere nel dettaglio quanto successo; nel mentre continueremo a richiedere nei tavoli istituzionali preposti, nelle assemblee, nelle piazze e nei luoghi di lavoro politiche e interventi adeguati a bloccare la strage che non accenna a fermarsi. È di tutta evidenza quindi che il rispetto delle regole passi anche attraverso una minore ricattabilità occupazionale, l'intensificazione dei controlli, l'aumento della prevenzione e maggiore formazione, queste sono le basi da cui partire per bloccare la scia di sangue. Ogni volta che accade un fatto di questo tipo ci troviamo a ripetere queste cose, purtroppo constatiamo che non vi è un'inversione di tendenza”.