Centrale in questa fase è tornare alle fabbriche per analizzarne le condizioni strutturali e le ricadute sui lavoratori dei piani dei padroni in materia di lavoro, salario, condizioni di lavoro, salute, sicurezza. Per noi rimangono centrali le grandi fabbriche, sia pure in una situazione in cui sono tutte praticamente in crisi, perché solo dalle grandi fabbriche è possibile ripartire con la forza operaia che possa via via coinvolgere tutte le fabbriche del Paese e offrire un punto di riferimento operaio all'intero movimento, sia sul piano sindacale, sia oggi soprattutto sul piano politico, per l'opposizione ai piani dei padroni che sono orientati verso la guerra imperialista.
Parlare delle grandi fabbriche significa entrare nel merito delle contraddizioni che si stanno vivendo, non solo per analizzarle e denunciarle ma anche per cogliere gli elementi su cui è importante che la classe operaia e soprattutto le organizzazioni che operano nelle file della classe operaia, sindacali e politiche, possano intervenire per poter ricostruire una minoranza operaia all'interno delle fabbriche su posizioni classiste e combattive e di opposizione ai padroni e al governo, sia interni - il governo Meloni, i padroni italiani - sia europei, sia mondiali, caratterizzati oggi dalla guerra di tutti i contro tutti ispirata innanzitutto dall'imperialismo americano e dalla nuova presidenza Trump.
E' in questo quadro che torniamo ancora una volta sulla situazione del gruppo ex Ilva/Acciaierie Italia e in particolare sullo stato delle cose del più grande stabilimento siderurgico del nostro paese che resta Acciaierie d'Italia a Taranto, che è oggi anche uno dei più grandi stabilimenti europei dell'acciaio, e quindi una partita che al di là delle contraddizioni specifiche che presenta, in particolare nella città di Taranto, richiede che la classe operaia di questa grande fabbrica assuma un ruolo attivo all'interno dello
scontro tra padroni, governo e l’attuale situazione di crisi, di ristrutturazione ed eventuale rilancio, e dall'altra offra la possibilità di ricostruire all'interno di questa fabbrica una forza operaia spendibile.
Nei giorni scorsi è stata annunciata la vittoria - temporanea o definitiva questo saranno i fatti a dirlo - del raggruppamento degli azeri della Baku Steel, la multinazionale che dovrà prendere in carico Acciaierie d'Italia come nuova proprietà.
Scrive la Repubblica, “sull'Ilva sventolerà la bandiera dell'Azerbaijan”. Il giornale è il primo ad ammetterlo: nulla sarà come prima. E' il primo elemento che va messo in rilievo che la Baku Steel, che ha vinto la gara con la concorrenza indiana della Jindal Steel Internazionale e della statunitense Bedrock Industries, che in realtà ha avuto un ruolo abbastanza defilato dopo un inizio che sembrava anche per loro promettente. La prima contraddizione sta nel fatto che la Baku Steel produce attualmente 800.000 tonnellate d'acciaio l'anno, cioè meno della metà di quanto si realizza a Taranto anche attualmente con gli impianti al minimo. Quindi questa società è una piccola società, inferiore del 10% di quello che è lo stabilimento Ilva a regime pieno. Questa è la prima stranezza di questa vicenda, frutto di una gara che evidentemente non è stata sulla base di un effettivo piano industriale che prevedesse il rilancio alla grande delle Acciaierie, così come hanno dichiarato soprattutto gli esponenti di questo governo, proponendosi come risolutori della questione Ilva.
In realtà questo è già un bluff.
Non solo, l'utile netto di esercizio di questa Baku Steel è di 40 milioni, mentre il patrimonio netto è di 49 milioni, che peraltro copre soltanto il 33% dell'attivo totale, quindi una percentuale di utile e di patrimonio che è nettamente inferiore alla quasi totalità dei grandi gruppi siderurgici in Europa che operano a livello globale.
Lo stesso giornale - che è un giornale appartenente alla sfera dei giornali dei padroni - dice che questa procedura pone più di un interrogativo. Perché ha vinto questa gara la Baku Steel? Quali sono gli accordi non oscuri, segreti, che sono corsi tra governo e questo gruppo industriale, il suo Stato, che ha un peso rilevante poi nell'acquisizione dell'Ilva sul piano finanziario e di prospettiva? Quali interessi internazionali sono nascosti dietro a questa scelta che sono abbastanza lontani dagli effettivi interessi di rilancio della produzione, di occupazione degli operai e appaiono estremamente distanti dalla soluzione della questione Acciaierie Taranto sul piano del risanamento ambientale e del rapporto che si è creato tra fabbrica, produttrice di inquinamento e morte a Taranto e possibilità di continuità sia della fabbrica sia della sua bonifica di strutturazione?
L'unica cosa certa che si può dire è che l'Ilva sarà nettamente ridimensionata e che quindi l'obiettivo dei cosiddetti 12 milioni di tonnellate raggiunte negli anni migliori della gestione Riva, così come quelle degli 8 milioni prima, dei 6 milioni dopo, rilanciate come scopo della vendita dell'Ilva, risultano abbastanza poco credibili sotto tutti i punti di vista.
Dice sempre la Repubblica che “con l'acquisizione dell'ex Ilva gli azeri puntano ad espandersi in Europa, puntando su acciaio ed energia, in particolare il gas”. In realtà sempre hanno questi interessi relativi al gas e all'energia le ragioni più consistenti per cui la Baku Steel e lo Stato dell'Azerbaijan che la controlla, che metterà parecchi soldi anche in questa acquisizione, sono quelli degli interessi del gas.
Non a caso la Baku Steel propone e deve avere avuto assicurazioni per la sua realizzazione di un rigassificatore galleggiante nel porto di Taranto. Quindi in realtà la prima questione che appare nitida è che non c'è nessuna possibilità di risanamento ambientale con questa operazione pilotata dal governo Meloni-Urso, perché si avrà di fatto ancora un carico da 90 messo nella città sul piano ambientale, vista la necessaria e naturale opposizione al rigassificatore galleggiante in piena città, perché il porto di Taranto è quasi contiguo al centro cittadino, oltre che raggiungere i quartieri che sono stati maggiormente colpiti dagli inquinamenti prodotti dalla fabbrica capitalistica nella fase Riva e sostanzialmente continuata nella fase di Arcelor Mittal.
Quindi l'intervento peraltro dello Stato attraverso la finanziaria controllata al 100% dal governo azero ha come scopo principale investimenti nel settore non petrolifero che permettano di rafforzare il peso economico, strategico, dell'industria dell'Azerbaijan.
Quindi su questo terreno le richieste continue di piano industriale che vengono fatte dai sindacati sono o ingenue oppure evidentemente siamo al gioco delle parti perché è ben chiaro che il piano industriale, secondo gli intendimenti espressi o valutabili nello stato delle cose di chi acquisisce l'Ilva, sono abbastanza chiare e sono un netto ridimensionamento. Questa trattativa, che si dice dovrebbe essere chiusa entro giugno, volge sulla transizione energetica, il rilancio della produzione, la salvaguardia dei livelli occupazionali e il risanamento ambientale. Per gli ultimi due soprattutto si tratta di affermazioni senza alcuna base materiale.
Attualmente con la riaccensione dell'Altoforno 1 a cui si è aggiunto all'Altoforno 2 la produzione dell'Acciaieria è risalita 2 milioni di tonnellate alla fine del 24 e l'obiettivo sarebbe di raggiungere i 4 milioni alla fine di quest'anno. Nello stesso tempo questo però è condizionato in maniera pesante dai finanziamenti statali che devono arrivare all'Ilva per la conduzione ordinaria dell'azienda secondo la gestione commissariale anche sul fronte della liquidità. Lo Stato sta mettendo soldi anche se una parte di essi viene sottratta proprio al fondo che inizialmente doveva essere adibito essenzialmente alle bonifiche e al risanamento della fabbrica.
Tornando all'acquisizione dell'Ilva siamo di fronte al fatto che la Baku Steel dovrebbe assumere il rilancio di 8 stabilimenti in tutta Italia che si estendono per 18 milioni di metri quadrati di cui 15 milioni a Taranto.
Su questa offerta noi abbiamo parlato di svendita non perché siamo sostenitori di una vendita delle Acciaierie con più soldi, noi siamo contro la vendita di Acciaierie alle multinazionali private, sia italiane che internazionali, proprio perché questa esperienza ha già attraversato l'Ilva e le Acciaierie di Taranto. Ogni operazione di questo genere è una riproposizione, sotto altre vesti, di quello che ha portato all'acquisizione dell'Ilva da parte di Mittal.
Ora, con i soldi che ci hanno messo in realtà e con quello che promette di metterci la Baku Steel - 1,1 miliardi di cui 500 milioni sono per l'acquisizione del valore del magazzino, non sono fondi direttamente volti alla nuova produzione -, appaiono assolutamente inadeguati rispetto alla situazione generale dello stabilimento. Va considerato che il piano di azione europeo per l'acciaio prevede investimenti di 100 miliardi e quindi si può capire il rapporto che c'è tra i 100 miliardi che prevede l'investimento nella siderurgia a livello europeo e poco più di un miliardo che ci mette per acquisire lo stabilimento la Baku Steel.
E’ sembrato durante l'avanzamento dell'operazione che ci potrebbe essere un accordo tra i competitor per acquisire l'Ilva e in particolare si è parlato per alcuni giorni della possibilità di un cordata che comprendesse sia la Baku Steel sia la Jindal Steel.
In realtà questo accordo non c'è stato, tra l'altro Jindal pretendeva comunque di avere la governance dello stabilimento mettendo sul campo la sua maggiore capacità di gestione di grandi impianti industriali, cosa che sostanzialmente era vera.
L'altra questione fondamentale è che gli azeri vogliono la partecipazione dello Stato con incentivi pubblici per 5,5 miliardi fra investimenti, energie e crediti garantiti dalla Sace. Non solo, ma anche il governo dopo aver detto no all'inizio, prevede la presenza di Invitalia con una percentuale del 10%.
Quindi in sostanza siamo comunque a una riedizione dell'operazione Mittal e non ci sono nessun tipo di condizioni né industriali né ambientali né dentro la crisi mondiale, la guerra commerciale in corso, ecc.ecc. per prevedere che un'operazione come questa della Baku Steel possa avere esiti differenti di quella che ha avuto con Mittal.
Baku Steel prevede l'utilizzo di circa 7 mila degli attuali 9869 dipendenti di cui attualmente 2680 sono in cassa integrazione straordinaria. A questo vanno aggiunti i 1711 ex Ilva in AS che sono usciti fuori dal 2018 e non sono più rientrati nonostante restasse in piedi l'accordo che dovevano essere assorbiti prima entro il 1923 e poi entro il 1925. Quindi in realtà se si fa la somma si arriva a quei 4.500-5.000 circa operai esuberi che comunque l'acquisizione da parte di Baku Steel prevede che si debbano lasciare a terra.
E’ solo su questo che si sta sviluppando la trattativa. I sindacati confederali le uniche cose che pongono dietro le richieste di piano industriale, presenze e così via, è soprattutto di verificare nel concreto se si possono ridurre di alcune centinaia i numeri e se si possono trovare degli ammortizzatori sociali sia vecchi sia nuovi utilizzando i benefici amianto, gli incentivi all'esodo, che possono ridurre l'impatto di questi esuberi. Ma se i numeri sono questi è evidente che l'operazione proposta dai sindacati confederali non ha nessuna possibilità di compensare gli esuberi.
Gli esuberi che se rimangono - perché anche questo dobbiamo dire, noi siamo scettici e non si può non esserlo circa gli obiettivi di rilancio della produzione, ma è evidente che se si pensa di fare 6 milioni di produzione tenendo conto questa quantità di esuberi che viene prima in qualche maniera di questo possibile rilancio produttivo è evidente che si prevede un utilizzo degli operai in condizioni di maggior sfruttamento e che non può che riflettersi anche sulla annosa questione presente in Acciaierie degli infortuni, delle morti sul lavoro e delle condizioni di insicurezza che dalla fabbrica poi si allargano nella città.
Siamo di fronte in realtà a una macelleria sociale. Su questo solo la Uilm per bocca di Palombella di tanto in tanto dice che questo piano non ha senso, che questo tipo di impostazione va ritirato. Ma in realtà Palombella è tra i sindacalisti che ha accolto con grande entusiasmo, quasi da guida interna allo stabilimento, l'attività di questo governo.
Il panorama sindacale in fabbrica risulta quanto mai critico dal punto di vista degli operai e delle masse popolari compreso rispetto alle grandi aspettative che vi sono a livello cittadino circa il risanamento ambientale.
La Fim sappiamo che da tempo ha assunto una posizione di puro collateralismo a padroni e a governo e su questo non abbiamo dubbi che anche in questa occasione non potrà che essere uno dei puntelli del governo per far passare piano industriale e piano ambientale con le caratteristiche che abbiamo denunciato.
La Fiom ha un diverso atteggiamento tra Taranto e Genova e che ora come ora la mette sul piano delle necessità del confronto, della trasparenza, ma anch'essa - come tutti e tre i sindacati confederali - confinano gli operai in un ruolo di attesa e di osservatore di dove andrà a finire l'intero piano.
Nelle dichiarazioni fatte immediatamente dopo l'assegnazione della gara con la vincita temporanea della gara da parte degli azeri, l'USB tra tutti i sindacati è quello che ha atteggiamenti più collaborativi col governo e col Ministro Urso circa l'operazione che si sta mettendo in campo.
Dal punto di vista quindi del sindacalismo di base, del sindacalismo classista e combattivo che è necessario in questa fabbrica, siamo all'anno zero, occorrerà ricostruire dal basso la forza sindacale degli operai per contrastare gli effetti più negativi di questo piano e farne leva per contrastare l'intero piano.
Su questo fondamentale è il rapporto tra gli operai dello stabilimento e gli operai dell'indotto, dato che nell'appalto si rifletteranno gli esiti finali di questo piano industriale e con i ridimensionamenti dei numeri degli operai si può immaginare l'effetto a catena che avrà nel campo delle ditte dell'appalto, peraltro già martoriate dai contratti precari a tempo determinato, dalla trasformazione dei contratti in contratti multiservizi che rendono gli operai dell'appalto alla mercè del ricatto padronale e mantengono all'interno tutta l'area dell'appalto una divisione tra operai tra categorie e realtà che evidentemente fa il gioco dei padroni, passati, presenti e futuri e ancor più di padroni e padroncini che gestiscono le ditte dell'appalto.
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