Riporto
a seguire un complesso, ma interessante articolo di Cinzia Frascheri,
Responsabile nazionale CISL salute sicurezza sul lavoro, sulle ricadute a
livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori derivanti da
uno dei Decreti attuativi del Jobs Act, il Decreto Legislativo 15 giugno 2015,
n. 81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa
in tema di mansioni”.
Tale Decreto (a differenza del Decreto Legislativo 14
settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione
delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre
disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”, sempre attuativo
del Jobs Act, di cui tratterò in dettaglio la prossima settimana) non va a
modificare, se non in maniera marginale il D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla
sicurezza), ma ha comunque pesanti ricadute (spesso negative) sulla tutela
della salute e della sicurezza.
Un altro passo nella riduzione dei diritti dei lavoratori del
governo Renzi.
L’articolo di Cinzia Frascheri, oltre a riportare nel
dettaglio le ricadute che il D.Lgs.81/15 ha sulla tutela della salute e della
sicurezza, indica in maniera chiara il ruolo che, alla luce del dettato
normativo, devono avere i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza per
garantire tale tutela.
Marco Spezia
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* * * *
Da:
PuntoSicuro
29
settembre 2015
LE
DISPOSIZIONI DI NATURA PREVENZIONALE NEL NUOVO DECRETO LEGISLATIVO N.81 DEL 15
GIUGNO 2015
Il
giorno 15 giugno 2015, in attuazione della Legge delega n.183 del 2014
(denominata Jobs Act) è stato varato il D.Lgs.81, recante la “Disciplina
organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di
mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n.
183” (Gazzetta Ufficiale n.144 del 24/06/15), entrato in vigore il 25/06/15.
La
portata del Decreto è di estrema rilevanza e ampiezza per le novità che
introduce in merito alla regolazione dei contratti di lavoro e delle mansioni;
da questo, specifiche disposizioni e importanti riflessi vengono a determinarsi
per quanto riguarda gli aspetti legati alle tutela della salute e sicurezza sul
lavoro (regolata attualmente dal D.Lgs.81/08 che non va confuso con il Decreto
in parola, vista l’identica numerazione).
Ritenendo
utile evidenziare e illustrare, in maniera specifica, quanto disposto dal Decreto
in oggetto sui temi della prevenzione e protezione in ambiente i lavoro, si
analizzano di seguito, procedendo secondo la sequenza prevista dall’articolato,
gli aspetti più significativi nell’ambito del quadro della nuova regolazione
dei contratti di lavoro e delle mansioni, con preciso riferimento a quanto
concerne la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.
Vista
l’incidenza diretta delle novità introdotte dal testo normativo sull’attività
svolta in ambiente di lavoro da parte delle figure di rappresentanza, a partire
dai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (aziendali RLS e
territoriali RLST), sono stati previsti, nella nota a seguire, per ciascuna
tipologia contrattuale e provvedimento, degli specifici richiami correlati all’esercizio
del ruolo.
CAPO
I DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RAPPORTO DI LAVORO - DISCIPLINA DELLE MANSIONI
ARTICOLO
3 COMMA 1
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Sostituendo
quanto previsto all’articolo 2103 del Codice Civile si prevede che il
lavoratore, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che
incidono sulla sua posizione lavorativa, possa essere assegnato a mansioni
appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella
medesima categoria legale.
Tale
mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo
formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto
di assegnazione delle nuove mansioni.
Ulteriori
ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento
inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere
previste dai contratti collettivi.
Possono,
inoltre, essere stipulati (nelle sedi e secondo le modalità previste) accordi
individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di
inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla
conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità
o al miglioramento delle condizioni di vita.
In
questa ipotesi, il lavoratore dovrà farsi assistere dal sindacato cui aderisce
o conferisce mandato o da un avvocato o consulente del lavoro.
NOTA
DI COMMENTO
La
rilevanza che tale disposizione determina (anche) nei riguardi del tema della
tutela della salute e sicurezza sul lavoro, è ampia.
Ponendo,
in primo luogo, l’attenzione a quanto previsto dal secondo capoverso (o secondo
comma) del testo dell’articolo, è utile andare ad analizzare i diversi concetti
che emergono, raccordandoli alle disposizioni ad oggi vigenti in tema di
prevenzione (ai sensi del D.Lgs.81/08).
Considerato
che l’obbligo del datore di lavoro di formare il lavoratore alla nuova mansione
(sia essa anche di inquadramento inferiore), sorge solo nel caso sia ritenuto “necessario”
(dovendosi ipotizzare che il lavoratore potrebbe già conoscere le procedure
previste), a fronte, in ogni caso, del mancato adempimento di tale obbligo, l’atto
di assegnazione alla nuova mansione non viene ritenuto nullo.
Se
sulle prime tale nuova disposizione potrebbe risultare in contrasto con l’obbligo
formativo a favore dei lavoratori, in tema di prevenzione, previsto dal D.Lgs.81/08
(articolo 37, commi 1 e 4), alla luce di un analisi puntuale dei testi, lo si
può escludere.
Sul
punto, difatti, nel dettato normativo si parla di mancata nullità dell’atto,
non di assenza di eventuali sanzioni a riguardo.
Come
in tema di prevenzione, difatti, la mancata formazione dei lavoratori non
determina (purtroppo) la nullità dell’atto di assegnazione del lavoratore alla
mansione o, peggio, il suo svolgimento, ponendo solo le condizioni per una
sanzione nei riguardi del datore di lavoro; sul punto in commento, il
legislatore si premura unicamente di precisare che, in caso di mutamento della
mansione, il mancato svolgimento della formazione, non determina la nullità di
tale atto.
Resta,
quindi, inteso che per quanto concerne gli obblighi di formazione, in tema di
prevenzione, valgono le disposizioni e le relative sanzioni a oggi previste,
tra cui quelle riferite a tale eventuale mancato assolvimento da parte del datore
di lavoro nei riguardi dei lavoratori (articolo 55, comma 5, lettera c) del D.Lgs.81/08).
Più
complessa, invece, risulta la lettura combinata tra l’articolo in commento e l’articolo
42 del D.Lgs.81/08, in tema di assegnazione ad altra mansione in caso di
inidoneità del lavoratore a questa.
L’ipotesi
da porre in esame è quella di un lavoratore che dovesse trovarsi a stipulare un
accordo individuale di modifica della propria mansione (con un inquadramento e
relativa retribuzione anche più bassi della precedente), spinto dall’interesse
alla conservazione dell’occupazione o al miglioramento delle condizioni di vita
(che potrebbe anche solo essere...il conservare uno stipendio in più in
famiglia).
Se
in base alla nuova disciplina dei contratti di lavoro tale condizione assume
oggi il carattere di piena legittimità, una tale situazione, a fronte di una
condizione di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione (non
determinata necessariamente da infortunio o malattia professionale), ancora
oggi, di contro, non potrebbe essere perfezionata.
Sulla
base, difatti, delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro,
in caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione specifica, il
datore di lavoro sarebbe comunque obbligato ad adibire quest’ultimo (ove
possibile, ma di certo a seguito di motivazioni espresse in caso contrario) ad
altra mansione, equivalente o inferiore, garantendogli però in ogni caso il “trattamento
corrispondente alla mansione di provenienza” (ai sensi dell’articolo 42).
In
tal caso, il datore di lavoro non potrebbe, quindi, stipulare con il lavoratore
(anche se consenziente), un accordo di modifica della mansione, prevedendo un
inquadramento e relativa retribuzione, più bassi della precedente. In quanto,
considerato che se la mansione lavorativa sussiste, anche inferiore, in tale
situazione il trattamento dovrà rimanere corrispondente alla condizione di
provenienza, mentre, se non sussiste, alcun accordo individuale, anche di
livello di inquadramento inferiore, si potrà andare a stipulare.
Utile
attenzione deve anche essere rivolta alle parole utilizzate dal legislatore nei
riguardi della possibilità di stipulare un accordo individuale di modifica
della mansione.
Riferendosi
all’ “interesse del lavoratore”, il legislatore lo lega in un’unica soluzione
di continuità con le ragioni della “conservazione dell’occupazione”, andando
così a stemperare di molto un aspetto potenzialmente valutabile come positivo
(l’interesse del singolo), a fronte di un unica triste condizione (la
conservazione del posto di lavoro, e null’altro).
Il
quadro che si delinea, quindi, è di una tale complessità normativa, nella
comprensione e armonizzazione delle disposizioni vigenti, che richiede un
necessario alto presidio e supporto (competente) da parte dei RLS nei confronti
dei lavoratori, non potendoli lasciare soli, in balia dei datori di
lavoro/consulenti, specie in una prima fase di utile informativa.
CAPO
II – LAVORO A ORARIO RIDOTTO E FLESSIBILE
SEZIONE
I – LAVORO A TEMPO PARZIALE LAVORO SUPPLEMENTARE, LAVORO STRAORDINARIO,
CLAUSOLE ELASTICHE
ARTICOLO
6 COMMI 1, 2 E 3
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Nel
rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la
facoltà di richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro (nei
termini del D.Lgs.66/03), lo svolgimento di prestazioni supplementari,
intendendosi per tali quelle svolte oltre l’orario concordato fra le parti,
anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi.
Nel
caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non
disciplini il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere al
lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare. In tale
ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare
ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di
formazione professionale.
Nel
rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni
di lavoro straordinario. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti
collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire,
per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione
temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento
della sua durata.
NOTA
DI COMMENTO
Pur
nel rispetto di quanto disposto dai contratti collettivi (e in primis, dalla
nuova normativa oggi vigente), non può in nessun caso essere trascurato, in
tema di lavoro supplementare, straordinario o regolato sulla base di clausole
elastiche, la ricaduta che tali regole possono determinare nei riguardi della
tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
In
tal senso, deve essere posta in evidenza (informando puntualmente i lavoratori)
la prevista possibilità, a loro favore, di rifiutarsi di svolgere le
prestazioni di lavoro supplementare per “motivi di salute”.
A
tale riguardo, occorre ricordare che un inadeguato rapporto tra tempo di veglia
e tempo di sonno, può determinare gravi conseguenze alla salute dei lavoratori,
così come un calo dell’attenzione, portando ad un aumento significativo dell’esposizione
al rischio di infortuni.
Sono
ormai molti i dati che dimostrano come negli ultimi anni vi sia stata una
evidente crescita nella popolazione di uso/abuso di sostanze che servono a
resistere alla fatica e al sonno. Sostanze che, già nel breve e medio termine,
portano ad alterazioni pesanti del sistema nervoso centrale, con conseguenze
molte rilevanti per la salute (importanti studi hanno dimostrato il rapporto tra
infertilità e ridotte pause di riposo, così come anche l’individuazione della
fatica e dell’alterazione delle fasi veglia-sonno, quali concause dei tumori al
seno).
La
mancata lucidità e le condizioni non idonee del singolo lavoratore, non va
dimenticato, non determinano solo un pericolo per se stessi, ma anche per gli
altri lavoratori che operano nello stesso contesto lavorativo, senza
dimenticare gli eventuali effetti sulla collettività, specie in caso di
svolgimento di mansioni che ne prevedono il rapporto.
La
precisazione testuale mediante la quale viene prevista la possibilità di
rifiuto dello svolgimento del lavoro supplementare, da parte del lavoratore per
motivi, tra gli altri, di salute, solo “ove giustificato da comprovate esigenze”,
riporta in primo piano il ruolo del medico competente che, deve certificare,
anche in questi casi “delicati”, tali condizioni.
Un
medico, quest’ultimo che, pur vista la sua posizione in azienda non del tutto
svincolata e pienamente autonoma dal datore di lavoro, dal quale riceve l’incarico
(e il relativo compenso), dovrà approfondire in modo adeguato e competente le
ragioni, a favore e contro, lo svolgimento di prestazioni di lavoro
supplementare, da parte di un determinato lavoratore (anche a fronte di un
certificato esibito di un medico specialista).
E’
importante, quindi, un ruolo attivo e informato da parte dei RLS, sia nelle
fasi della contrattazione, che nell’esercizio del ruolo. Concentrando,
comunque, le energie nell’azione di presidio e monitoraggio delle diverse fasi
di valutazione dei rischi e dei relativi interventi di prevenzione e
protezione, a partire, nel caso specifico, dal promuovere un’analisi puntuale
dei livelli di stress lavoro-correlato.
CAPO
II – LAVORO A ORARIO RIDOTTO E FLESSIBILE
SEZIONE
I – LAVORO A TEMPO PARZIALE TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
ARTICOLO
8 COMMI 3 E 4
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
I
lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie
oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti (per le
quali residui una ridotta capacità lavorativa) anche a causa degli effetti
invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita
presso l’ASL territorialmente competente, hanno diritto, su richiesta, alla
trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Su
richiesta del lavoratore si può procedere a contrario.
Se
le problematiche sopra evidenziate, riguardano coniuge, figli, genitori o
persone assistite convivente con totale e permanente inabilità lavorativa (con
connotazione di gravità in base alla L.104/92) che abbia necessità di
assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani
della vita, è riconosciuta al lavoratore, su richiesta, la priorità della trasformazione
del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Così anche in caso di
figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente
portatore di handicap ai sensi della L.104/92).
NOTA
DI COMMENTO
Se
tali rilevanti disposizioni, è importante che vengano ad essere oggetto di
informazione diffusa nei riguardi dei lavoratori, anche attraverso l’azione
svolta dai RLS, occorre che non si trascurino le possibilità che la normativa
prevenzionale già ad oggi dispone, ai sensi dell’articolo 42 del D.Lgs.81/08,
in caso di sopravvenuta inidoneità (che non necessariamente deve essere per
ragioni di infortunio o malattia professionale); così come anche, in base al
più ampio ed articolato obbligo previsto in capo al datore di lavoro, di dover
tenere conto, nell’affidare i compiti ai lavoratori, “delle capacità e delle
condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla loro sicurezza”
(articolo 18, comma 1, lettera c).
Non
di meno, in tal senso merita ricordare, la collaborazione espressamente
richiesta al medico competente (un obbligo sanzionato a suo carico), per quanto
concerne la valutazione dei rischi ai fini della predisposizione delle misure
di tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori (articolo 25,
comma 1, lettera a).
La
possibilità, difatti, offerta ai lavoratori affetti da patologie oncologiche o
da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, di richiedere la
trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, porta
con sé, comunque, la problematicità rappresentata dalla diminuzione della
retribuzione che, per molti lavoratori può essere motivo di mancato utilizzo di
tale facoltà.
La
conservazione del posto di lavoro, in effetti, è il prioritario interesse per
questi lavoratori e, tale disposizione, si muove in tal senso, garantendo a
tutti il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro, senza
compromettere la propria occupazione. Ma, poter avere la possibilità di
conciliare la propria condizione di “inidoneità” con lo svolgimento
agevolato/facilitato delle proprie mansioni, potrebbe consentire a tali
lavoratori di mantenere, per quanto possibile, il proprio contratto di lavoro a
tempo pieno, senza andare a compromettere le proprie particolari condizioni di
salute o la possibilità di garantire il proprio necessario aiuto, ai congiunti
affetti da tali gravi patologie.
Il
ruolo della contrattazione, in questo senso, può divenire davvero determinante,
così come la promozione da parte dei RLS di accordi aziendali volti al
benessere organizzativo.
CAPO
II – LAVORO A ORARIO RIDOTTO E FLESSIBILE
SEZIONE
II – LAVORO INTERMITTENTE
ARTICOLI
13 COMMI 1 E 2, 14 COMMA 1, LETTERA C), 15 COMMA 1, LETTERA F).
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Il
contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un
lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzare
tale prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le
esigenze individuate dai contratti collettivi. Sono possibili anche casi di
utilizzo del lavoro intermittente in assenza di contratto collettivo, se
espressamente individuati con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali.
Il
contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con meno di
24 anni di età e con più di 55 anni.
E’
vietato il ricorso al lavoro intermittente da parte di quei datori di lavoro
che non hanno effettuato la Valutazione dei Rischi (VdR), ai sensi della
normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Il
contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della
prova di alcuni elementi tra cui le misure di sicurezza necessarie in relazione
al tipo di attività prevista dal contratto.
Il
datore di lavoro è tenuto a informare, con cadenza annuale, le RSA o le RSU
sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente. Sono fatte
salve le previsioni più favorevoli previste dai contratti collettivi.
NOTA
DI COMMENTO
Quanto
disposto in merito all’obbligo da parte dei datori di lavoro di doversi dotare
della VdR, per poter ricorrere alla forma di lavoro intermittente, è senza
dubbio importante, ma è nei riguardi della realizzazione adeguata di questo
obbligo, che i RLS devono operare al meglio.
Porre,
in effetti, quale condicio “sine qua non”, l’effettuazione della VdR da parte
del datore di lavoro, al fine del poter far ricorso a una specifica tipologia
contrattuale, dimostra con evidenza la scarsa attenzione del legislatore,
estensore del testo in commento, ai temi prevenzionali.
Ponendo,
in effetti, tale clausola, pur di certo importante, sembra volersi considerare
la possibilità, da parte di un datore di lavoro, di scegliere se dotarsi, o
meno, di una VdR, accedendo così, o rinunciando, alla stipula di contratti di
lavoro intermittente.
La
VdR, va sottolineato, è un obbligo a carico del datore di lavoro, a prescindere
dalla decisione di stipulare forme contrattuali particolari.
Il
legislatore, in tal senso, avrebbe dovuto legare la condizione di ricorso al
lavoro intermittente, così come per altre forme contrattuali (come la
somministrazione di lavoro), non alla mera effettuazione della VdR, ma bensì
alla sua piena rispondenza ai criteri previsti dal D.Lgs.81/08 (articoli 28 e
29).
Non
basta, difatti, rimanendo al caso in commento, che nella VdR vengano ad essere
annoverati specificatamente tali lavoratori, ma occorre che vengano previsti
interventi adeguati di prevenzione, non solo sul piano info-formativo, ma anche
per quanto concerne, ad esempio, la dotazione, se necessario, di Dispositivi di
Prevenzione Individuale (DPI).
Tale
strumenti, difatti, considerata in alcuni casi la brevità della prestazione
lavorativa svolta (tipica nel caso di lavoro intermittente), non vengano ad
essere consegnati; dispositivi che, anche per questi lavoratori, devono avere
le caratteristiche di adeguatezza, ergonomicità, comfort, normativamente
previsti per ogni lavoratore (quindi, anche, lavoratrice) che svolge
determinate mansioni.
Considerato,
inoltre, che il lavoro intermittente può essere svolto da soggetti con meno di
24 anni di età e con più di 55 anni, la VdR non potrà non considerare le
ricadute, in termini di esposizione a rischio, sulla base del fattore
trasversale dell’età che, come si sa, alla luce del modello a matrice,
introdotto dal D.Lgs.81/08, costituisce una variabile fondamentale di incidenza
nel valutare i rischi tradizionali a cui un lavoratore è esposto.
Specie
per gli over 55, la valutazione dovrà essere molto specifica e accurata, visto
l’aumento significativo delle problematiche che da tale età (dati confermati
ormai ampiamente dalle statistiche) si vanno a determinare in ambiente di
lavoro, nello svolgimento di determinate mansioni.
Un
attenzione che, considerata anche la variabile genere (sia nel caso delle
lavoratrici, ma non meno dei lavoratori, per le problematiche specifiche),
assume una valenza ancor più determinante.
A
tutto questo, anche il caratterizzante elemento della discontinuità e/o dell’intermittenza
della prestazione lavorativa, va ad aggiungere potenziali problematicità che
devono trovare, in una analisi complessiva e sinergica, adeguate valutazioni e
risposte, in termini di prevenzione e protezione della salute e della sicurezza
sul lavoro.
Il
ruolo attivo fondamentale dei RLS, in questa circostanza, è di limpida evidenza,
considerati i diritti a loro legislativamente riconosciuti in merito alla
consultazione previa sulla valutazione dei rischi e sull’adozione di interventi
di prevenzione e protezione.
CAPO
III LAVORO A TEMPO DETERMINATO
ARTICOLI
19, COMMI 1, 3 E 4, 20 COMMA 1, LETTERA D)
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Al
contratto di lavoro subordinato può essere previsto un termine di durata non
superiore a 36 mesi.
Un
ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata
massima di 12 mesi, può essere stipulato presso la Direzione Territoriale del Lavoro
competente per territorio.
Con
l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione
del termine al contratto è priva di effetto se non risulta, direttamente o
indirettamente, da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal
datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della
prestazione.
L’apposizione
di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa
da parte di quei datori di lavoro che non hanno effettuato la VdR, ai sensi
della normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
NOTA
DI COMMENTO
Anche
in caso di contratto di lavoro a tempo determinato, il dettato normativo
attribuisce al rispetto dell’obbligo di effettuare la VdR, a carico del datore
di lavoro, un ruolo di spartiacque tra la possibilità, o meno, di poter
usufruire delle disposizioni previste per tale tipo di contratto.
Rimandando
alle considerazioni fatte nel paragrafo precedente (in merito al lavoro
intermittente), sull’inesattezza di una tale disposizione, la VdR, non solo
dovrà essere effettuata, stando ai RLS il dover verificare la veridicità di
tale condizione (non potendo contare, per questo, su un monitoraggio
sistematico da parte degli organi di vigilanza), ma dovrà soprattutto essere
redatta in modo adeguato e finalizzato al garantire una tutela mirata per tutti
i lavoratori, tra i quali, nel caso di specie, coloro che hanno un contratto a
tempo determinato.
Va
considerato, difatti, che se la durata di tali contratti, nelle condizioni
ordinarie, non può superare i 36 mesi, è possibile che nella maggior parte
delle situazioni il periodo di lavoro subordinato sia di molto inferiore.
In
tali casi, in modo inverso, la brevità del tempo di durata del contratto
aumenta potenzialmente l’esposizione a condizioni di maggior rischio, sia per
la salute che per la sicurezza sul lavoro, richiedendo per questo una
valutazione mirata e declinata sui lavoratori titolari di tali posizioni
contrattuali.
Considerato,
poi, che i soggetti titolari di un contratto di lavoro a tempo determinato
rientrano a tutti gli effetti nella più ampia categoria dei lavoratori (ai
sensi della definizione prevista all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08),
nei loro confronti dovranno essere rispettati tutti gli obblighi di natura
prevenzionale, previsti a favore dei lavoratori a tempo indeterminato.
I
RLS potranno, pertanto, a fronte di una VdR che a loro giudizio non risponde ai
criteri previsti, oltre a far pervenire al datore di lavoro le proprie note
critiche al momento della consultazione (in funzione del loro duplice diritto,
sia dell’essere preventivamente e tempestivamente consultati, sia del poter
esprimere note sul contenuto, scritto o mancante, della VdR), rifiutarsi di
procedere alla firma del documento, in fase di procedura di attestazione della
data certa, determinando in questo modo una frattura nell’iter di approvazione
del documento di VdR, mandando un segnale chiaro di mancato accoglimento di
quanto predisposto.
CAPO
IV SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
ARTICOLI
30, 31 COMMI 1 E 4, 32 COMMA 1, LETTERA D), 33 COMMI 1 E 3, 34 COMMA 3, 35
COMMA 4, 37, COMMA 3, 40 COMMA 1, 55 COMMA 1, LETTERA E)
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
E’
abrogata la disposizioni prevista all’articolo 3, comma 5, del D.Lgs.81/08.
Il
contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o
determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione
di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la
durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la
direzione e il controllo dell’utilizzatore.
Salvo
diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il
numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro
a tempo indeterminato non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza presso l’utilizzatore.
Salvo
alcune disposizioni, la disciplina della somministrazione a tempo indeterminato
non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Il
contratto di somministrazione di lavoro è vietato da parte di quei datori di
lavoro che non hanno effettuato la VdR, ai sensi della normativa di tutela
della salute e sicurezza dei lavoratori.
Il
contratto di somministrazione di lavoro é stipulato in forma scritta e contiene
i seguenti elementi:
a)
gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
b)
il numero dei lavoratori da somministrare;
c)
l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e
le misure di prevenzione adottate;
d)
la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
e)
le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l’inquadramento dei
medesimi;
f)
il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei
lavoratori.
Il
lavoratore somministrato non è computato nell’organico dell’utilizzatore, fatta
eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul
lavoro.
Il
somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute
connessi alle attività produttive e li forma e addestra all’uso delle
attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per
la quale essi vengono assunti, nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs.81/08.
Il
contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore.
L’utilizzatore
osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione
e protezione cui è tenuto nei confronti dei propri dipendenti, nel rispetto di
quanto disposto dalla normativa vigente e dai contratti collettivi.
Gli
obblighi dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali
previsti dal D.P.R.1124/65 sono determinati in relazione al tipo e al rischio
delle lavorazioni svolte.
I
premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio o medio
ponderato, stabilito per l’attività svolta dall’impresa utilizzatrice, nella
quale sono inquadrabili le lavorazioni svolte dai lavoratori somministrati,
ovvero in base al tasso medio o medio ponderato della voce di tariffa
corrispondente alla lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore somministrato,
ove presso l’impresa utilizzatrice la stessa non sia già assicurata.
La
violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli articoli 33, comma 1,
nonché, per il solo utilizzatore, di cui agli articoli 31 e 32 e, per il solo
somministratore, di cui all’articolo 33, comma 3, sono punite con la sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250.
NOTA
DI COMMENTO
Abrogando
quanto disposto all’articolo 3, comma 5 del D.Lgs.81/08, il dettato del D.Lgs.81/15
in tema di diritti di tutela prevenzionale dei lavoratori titolari di contratto
di somministrazione di lavoro diviene il riferimento normativo principale e
completo sul tema (privando il testo prevenzionale di ogni riferimento a tale
fattispecie contrattuale); una completezza del quadro regolativo, quella
prevista dal testo del Decreto del 2015, che comunque non può trascurare quanto
già disposto in tema di formazione di tali lavoratori nell’ Accordo
Stato-Regioni del 21 dicembre 2011, in tema di salute e sicurezza sul lavoro (e
nelle Linee applicative, emanate nel luglio dell’anno seguente).
Considerato
l’ampio utilizzo che di questa forma contrattuale vien fatto nella generalità
dell’attività lavorativa svolta, specie nelle piccole realtà lavorative
(emblema, per numero e diffusione, del nostro sistema produttivo), è quanto mai
importante che venga ampiamente conosciuta (specie da parte dei RLS) la
regolazione, in tema di diritti di tutela della salute e sicurezza sul lavoro,
previsti per tale tipologia contrattuale.
Sostanzialmente
equiparati ai lavoratori dipendenti dell’utilizzatore, nei riguardi dei
lavoratori somministrati sono previsti gli stessi diritti di tutela
prevenzionale destinati ai primi.
Diritti
che, se riconfermati dalla nuova articolazione introdotta dal D.Lgs.81/15 non aggiungono
alcunché all’impianto normativo disposto dal Decreto in materia prevenzionale
dove, superato il concetto di necessaria subordinazione tra il datore di lavoro
e i lavoratori, si equipara a essi la più ampia platea di soggetti titolari di
una qualsiasi forma contrattuale finalizzata alla svolgere un’attività
lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o
privato, ricomprendendo così, tra le altre, la somministrazione di lavoro.
Anche
il diritto di informazione sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro,
così come la formazione generale e l’addestramento all’uso delle attrezzature
di lavoro, quali interventi utili allo svolgimento dell’attività lavorativa per
la quale tali lavoratori sono assunti, pur previsti in capo al somministratore,
potranno essere trasferiti, quali obblighi all’utilizzatore, che dovrà farsene
carico (oltre alla formazione specifica), non potendo attribuire ad alcuna
mansione i lavoratori senza avervi provveduto, incorrendo eventualmente, come
per ciascun proprio dipendente, alle sanzioni previste per tali mancanze.
Sanzioni
che, previste in capo al somministratore, da parte del Decreto del 2015,
saranno comminate in caso di mancanza delle informazioni specifiche, all’atto
della stipula del contratto, tra cui, gli eventuali rischi per la salute e la
sicurezza del lavoratore, le misure di prevenzione adottate e le mansioni alle
quali i lavoratori saranno adibiti.
Trova,
così, piena coerenza anche per questa tipologia contrattuale (al di là delle
critiche dapprima avanzate), la disposizione che prevede il divieto, da parte
dei datori di lavoro (utilizzatori) che non hanno effettuato la VdR, di poter
stipulare tali contratti (al di là del limite percentuale massimo previsto di
lavoratori a tempo indeterminato posti in forza presso l’utilizzatore, nei
riguardi del numero dei propri dipendenti, escluse le diverse previsioni di
natura contrattuale collettiva).
Una
VdR che, come più volte evidenziato, non potrà solo limitarsi all’essere
effettuata (considerato che questo è un obbligo che si sostanzia con l’avvio
dell’attività lavorativa e non con la scelta di determinate forme
contrattuali), ma che dovrà rispondere ai criteri minimi previsti necessari al
garantirne la completezza e l’idoneità, quale strumento operativo di
pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione, così come di misure
atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza
(articolo 2, comma 1, lettera q) del D.Lgs.81/08).
La
piena equiparazione tra i dipendenti dell’utilizzatore e i lavoratori
somministrati porta con sé anche gli obblighi relativi all’assicurazione contro
gli infortuni e le malattie professionali, determinati in relazione al tipo e
al rischio delle lavorazioni svolte nella realtà lavorativa dell’utilizzatore.
A
fronte di tale quadro complessivo, è a carico dei RLS dell’utilizzatore
preoccuparsi del monitorare la gestione dei diritti di tutela in materia di
prevenzione dei titolari di tali contratti di lavoro, partendo dalla verifica
dell’effettuazione della VdR, ma principalmente dall’analisi dei rischi ai
quali i lavoratori somministrati sono esposti, considerando anche riferite a
loro le incidenze determinate dai diversi fattori trasversali (che ricordiamo
essere, oltre appunto all’attenzione alle diverse tipologie contrattuali, l’età,
il genere, lo stress lavoro-correlato e la provenienza da altri paesi).
CAPO
V APPRENDISTATO
ARTICOLI
41 COMMI 1 E 2, 42 COMMA 2 E 6, LETTERA A).
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
L’apprendistato
è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e
alla occupazione dei giovani.
Il
contratto di apprendistato si articola nelle seguenti tipologie:
a)
apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione
secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
b)
apprendistato professionalizzante;
c)
apprendistato di alta formazione e ricerca.
Il
contratto di apprendistato ha una durata minima non inferiore a sei mesi, fatto
salvo quanto previsto dalle disposizioni relative.
Per
gli apprendisti l’applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza
sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:
a) assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b) assicurazione
contro le malattie;
c) assicurazione
contro l’invalidità e vecchiaia;
d) maternità;
e) assegno
familiare;
f) assicurazione
sociale per l’impiego.
NOTA
DI COMMENTO
E’
importante rimarcare quanto disposto per il contratto di apprendistato, in
quanto, già ricompresi i sottoscrittori nella categoria dei lavoratori (ai
sensi della definizione prevista all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08),
e quindi titolari dei diritti a questi previsti, in tema di tutela della salute
e sicurezza sul lavoro, viene prevista in coerenza a loro favore, l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Considerato
che tale contratto, nelle sue diverse tipologie, prevede non solo la formazione
dei soggetti contrattualizzati, ma anche la loro presenza in ambito lavorativo,
le tutele in materia di prevenzione, al pari dei lavoratori, così come l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, offrono un’adeguata
condizione di prevenzione e protezione dai rischi.
Necessario,
in tal senso, che da parte dei RLS ci sia il monitoraggio del rispetto di tali
disposizioni, a partire dal vedere rispettati tutti i diritti che per tali
soggetti sono previsti, pur nel rispetto e nei limiti delineati per tale
contratto e per le specifiche tipologie nelle quali è previsto si possa
articolare.
CAPO
VI LAVORO ACCESSORIO
ARTT.
48, 49 COMMA 5.
DISPOSIZIONI
DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Per
prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno
luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a
7.000 euro nel corso di un anno civile.
Fermo
restando il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti
imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a
favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro.
Prestazioni
di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori
produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di 3.000 euro di
compenso per anno civile, da percettori di prestazioni integrative del salario
o di sostegno al reddito.
Il
ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico
è consentito, nel rispetto delle disposizioni previste, così come in
agricoltura.
E’
vietato, invece, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione
di appalti di opere o servizi, fatte salve specifiche ipotesi individuate con Decreto
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali.
Sono
previsti i versamenti per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL.
NOTA
DI COMMENTO
Nei
riguardi del lavoro accessorio, per quanto concerne gli aspetti relativi alla
tutela della salute e sicurezza sul lavoro, il riferimento normativo esaustivo
a cui riferirsi, non trova collocazione nelle disposizioni testé riportate, ma
nell’articolo 3, comma 8 del D.Lgs.81/08.
Essendo
però, ad oggi imminente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del, già
approvato, schema di Decreto legislativo recante disposizioni di
razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a
carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di
lavoro e pari opportunità, non si può trascurare quanto in esso previsto, a
modifica delle disposizione contenute nel D.Lgs.81/08, relative al lavoro
accessorio.
Individuando
non tanto gli ambiti di esclusione, ma indicando specificatamente quelli nei
quali si prevede il possibile utilizzo delle prestazioni di lavoro accessorio,
viene previsto che le disposizioni in materia di tutela prevenzionale si
applichino nei soli casi in cui la prestazione del lavoratore è svolta a favore
di un committente imprenditore o professionista; ponendo tutti gli altri casi
sotto il regime dettato dall’articolo 21 (nel quale sono le facoltà e non gli
obblighi, a trovare regolazione), conservando della normativa previgente la
totale esclusione dall’applicazione delle disposizioni in materia di salute e
sicurezza sul lavoro di quei lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a
carattere straordinario, compreso l’insegnamento privato e l’assistenza
domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.
Fornita
invece dal D.Lgs.81/15, all’articolo 48, comma 6, la chiara e puntuale
esclusione del ricorso, fatta eccezione per alcune ipotesi che potranno essere
determinate, alle prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione
di appalti di opere o di servizi.
Equiparati,
pertanto, in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro i titolari di
contratto accessorio prestato a favore di un committente imprenditore o
professionista ai lavoratori, anche nei loro confronti i RLS dovranno
monitorare il rispetto dei diritti a loro favore, a partire dalla valutazione
dei rischi, riferita alle mansioni svolte da questi lavoratori (attuata nel
rispetto del modello di analisi a matrice, che considera i rischi tradizionali
riletti alla luce dei fattori trasversali), dall’attuazione degli interventi di
prevenzione previsti nei loro confronti, fino all’elaborazione di piani di
miglioramento delle condizioni di vita.
Il
Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 “Disciplina organica dei contratti di
lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni” è scaricabile all’indirizzo:
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