domenica 16 giugno 2013

Intervista ad alcuni operai in presidio all'Om Carrelli elevatori


"Siamo stati letteralmente abbandonati al nostro destino, bastonati,
raggirati, offesi, umiliati, dimenticati. Però abbiamo imparato più in
questi due anni che nel resto della nostra vita. E quel che abbiamo appreso
sulla nostra pelle vogliamo denunciarlo".

Gli operai al presidio dell'Om Carrelli elevatori di Modugno (Ba) aprono un
solco netto tra prima e dopo il 5 luglio 2011, il giorno in cui la
multinazionale tedesca Kion annunciò in maniera irrevocabile la chiusura
della fabbrica barese. Un prima fatto di apparente tranquillità sociale, un
dopo che ha fatto esplodere tutte le contraddizioni già presenti dentro e
fuori la fabbrica.



Alla notizia della chiusura dello stabilimento come avete reagito?

Antonio: Siamo stati presi alla sprovvista. Eravamo impreparati. Non 


sapevamo che cosa fare. Sentivamo che dovevamo reagire in qualche modo, ma
eravamo ignoranti e incerti su tutto. I sindacalisti, tutti, ci hanno detto
di stare buoni, di non agitarci, avrebbero visto loro il da farsi. Con molta
fatica abbiamo messo su, i più decisi, un piccolo presidio esterno alla
fabbrica.



Il primo presidio è durato due mesi, luglio e agosto del 2011, poi l'avete
interrotto. Il secondo presidio l'avete messo su a fine aprile 2013. Che
cosa è accaduto fra l'uno e l'altro?

Tommaso: Il primo presidio è stato spontaneo. Almeno ad alcuni di noi è
parso naturale ritrovarci fuori dalla fabbrica e discutere su quanto stava
accadendo e su che cosa fare. Non sapevamo come muoverci, non avevamo una
strategia, non eravamo organizzati né capaci di organizzarci. Abbiamo
chiesto alle Rsu interne, che però avevano appreso insieme con noi della
volontà della Kion di chiudere lo stabilimento e non sapevano che fare come
noialtri. Siamo rimasti fuori, abbiamo preso un piccolo tendone, quattro
sedie, un tavolo, una radio e aspettato. A fine agosto la prima vittoria,
così ce l'hanno presentata, in realtà la prima illusione, il primo inganno:
la cassa integrazione speciale fino a giugno 2013. Poi la seconda vittoria,
sempre così ce l'hanno fatta vedere: il ritorno al lavoro, per tutti, anche
se non in modo continuo, ciascuno 5-10 giorni, una-due settimane al mese, a
seconda, ci hanno detto, delle esigenze della produzione, cioè della Kion,
che aveva ancora commesse da sbrigare.

Claudio: Intanto sono cominciati le ipotesi di acquisto della fabbrica da
parte di vari soggetti, italiani ed esteri. E noi a sperare, a illuderci.
Siamo sempre stati alla coda delle decisioni altrui, ora ce ne siamo
accorti, abbiamo sbagliato tutto. A febbraio del 2012, quando nessuna
ipotesi di acquisto reggeva, abbiamo ceduto, sotto la pressione e le minacce
dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, a fare uscire tutti i carrelli prodotti fino
allora. Forse pensavamo, facendo i buoni, di rabbonire la Kion. Invece poco
dopo la multinazionale tedesca ha ribadito la volontà di chiudere la
fabbrica.

Giovanni: La Kion ha giocato sporco perché sapeva e sa che ha tutti dalla
sua parte, tranne gli operai. Lavorandoci ai fianchi con i sindacalisti, ci
ha divisi, persino messi gli uni contro gli altri. Ha incentivato l'esodo
degli operai e degli impiegati con alcune migliaia di euro. Eravamo 320,
siamo rimasti in poco più di 200, quasi tutti operai. Intanto coloro che
erano rimasti hanno continuato a lavorare, quando sì e quando no. Lo scorso
gennaio, alla notizia dell'accordo Kion-Frazer Nash per costruire i taxi
elettrici londinesi, i sindacalisti hanno stappato lo spumante in fabbrica!
E allora tutti sotto a lavorare, per terminare le ultime commesse della
Kion. Eravamo positivi, ma sotto sotto dubbiosi. I sindacati ci dicevano di
muoverci, di lavorare a tutto spiano. Eppure qualcosa non andava. Ad aprile,
man mano che montavamo gli ultimi carrelli, la Kion smontava i suoi
macchinari e li disponeva sul piazzale, pronti per la partenza. Il giorno
dopo che abbiamo completato l'ultimo carrello e che l'ultimo macchinario è
stato smontato è scoppiata la notizia che l'accordo Kion-Frazer Nash era
saltato. Che coincidenza di tempi! I sindacati sapevano tutto e ce l'avevano
nascosto complottando con la direzione della fabbrica. È stato spontaneo,
anche se tardivo, riprendere il presidio.



Alla notizia nel 2011 della chiusura della fabbrica e dopo le Rsu hanno
cercato di prendere in mano la situazione o si sono defilate?

Marcello: I sindacalisti nostri rappresentanti si sono comportati da
vigliacchi e opportunisti. Uno ha strepitato per 5-6 giorni, ha addirittura
minacciato di incatenarsi al recinto esterno alla fabbrica e attuare lo
sciopero della fame, poi una settimana dopo l'annuncio della chiusura della
fabbrica ha rassegnato le dimissioni e si è licenziato! Non l'abbiamo più
visto, avrà trovato qualche altra opportunità! Secondo me si è venduto per
soldi. Gli altri sono rimasti senza fare granché, accodandosi al presidio,
poi hanno approfittato degli incentivi all'autolicenziamento disposti dalla
Kion, poco più di 40.000 euro, per andarsene anche essi.



E i sindacati provinciali che posizioni hanno preso in questi due anni?

Claudio: Ci hanno venduti. Letteralmente! Saverio Gramegna della Fiom-Cgil,
Franco Busto della Uilm-Uil e Gianfranco Michetti della Fim-Cisl se ne sono
strafottuti di noi. Ci hanno sempre tenuti in disparte, hanno voluto sempre
decidere loro per noi, ci hanno sempre raccomandato di mantenere la calma e
stare zitti. Chi fra loro è venuto, raramente, al presidio ci ha esortato a
stare buoni e ci ha buttato 20-30 euro per il caffè o la birra. Un'elemosina,
mentre noi sganciamo fior di quattrini con le tessere sindacali. Anzi,
sganciavamo, perché noi operai in gran parte abbiamo stracciato la tessera
sindacale.

Antonio: I sindacalisti provinciali, sulla falsariga di quelli regionali e
nazionali, pensano esclusivamente a mantenere il loro posto e il loro comodo
stipendio. Se li pressiamo a darci risposte ci guardano scocciati, come se
dovessero farci chissà che favore e non attendere a un loro preciso dovere
nei nostri confronti. Oppure ci rispondono a muso duro che hanno tante
vertenze a cui badare e che non possono pensare solo a noi della Om! Ma come
si comportano con noi così fanno anche con gli operai della Bridgestone,
altra fabbrica barese a rischio di chiusura, quelli della Osram, ugualmente
in pericolo, e di altre fabbriche. Invece di unire e lotte ci tengono
accuratamente lontani gli uni dagli altri.



In questi due anni siete stati aiutati da qualcuno esterno alla fabbrica?

Marcello: Da nessuno, tranne che da singoli operai o altri che sono venuti a
esprimerci la loro solidarietà. Qualcuno ha anche scritto e diffuso dei
volantini su noi e per noi o ci ha portato delle casse di birra o da
mangiare. In un periodo di scarsità di soldi per gli operai e altri semplici
lavoratori sono cose che abbiamo molto apprezzato. Poi, nessun altro. I
politici, come Vendola e il sindaco di Bari Emiliano, sono passati una-due
volte ai cancelli a fare retorica, a prometterci chiacchiere, a dirci di
stare buoni e che avrebbero risolto loro la questione: in sostanza sono
venuti a fare i pompieri del presidio e a farsi riprendere dalle televisioni
per le loro campagne elettorali, niente di più.

Giovanni: Anche i preti non sono mancati. Anche loro ci hanno esortato a
stare tranquilli, perché così tutto sarebbe andato a posto. L'arcivescovo di
Bari, monsignor Cacucci, ha lodato pubblicamente l'accordo di gennaio scorso
fra la Kion e la Frazer Nash, poi andato a finire male. Durante la messa
officiata nel piazzale della Bridgestone il giorno di Pasqua, ha invitato
gli operai di quella fabbrica ad avere fiducia nei loro padroni e nelle loro
rappresentanze sindacali perché sicuramente avrebbero trovato una soluzione
al loro problema, così come era accaduto all'Om. Peccato che solo pochi
giorni dopo l'accordo alla Om è svanito come una bolla di sapone. Cercano
tutti di tenerci buoni, e non abbiamo fatto niente, noi operai. Hanno paura
di noi? Figuriamoci se avessimo veramente alzato la testa.



Avete cercato di discutere, unirvi, formare un comitato di lotta comune con
gli operai della Bridgestone e di altre fabbriche baresi?

Claudio: A Bari le fabbriche della zona industriale hanno sempre vissuto
ciascuna per proprio conto. Prima non abbiamo mai preso contatto con operai
di altre fabbriche. Dopo il 5 luglio qualche operaio di altre fabbriche ha
manifestato solidarietà a livello individuale. Più che altro si tratta di
amici. Anche quando, lo scorso maggio, la Kion e la polizia e i carabinieri
hanno cercato di forzare il presidio e di far uscire i carrelli e i
macchinari smontati, alcuni operai di altre fabbriche sono venuti a darci
man forte, ma erano amici che abbiamo avvisato per telefonino. Ci siamo
sentiti con gli operai Bridgestone, la cui fabbrica è a poche centinaia di
metri, ma essi stanno facendo ora lo stesso errore che abbiamo commesso noi:
con la promessa di un accordo hanno ripreso tutti a lavorare, e non pensano
a noi. Poi si accorgeranno anche loro che è solo un tranello per
addormentarli. Tutti hanno paura, di perdere il posto, di compromettersi.
Siamo stati abituati troppo a farci i fatti propri, a delegare, abbiamo
perduto lo spirito di solidarietà che è proprio della classe operaia.



Ora che l'accordo Kion-Frazer Nash è definitivamente saltato che prospettive
avete? Come pensate di organizzarvi?

Tommaso: Siamo soli, pochi, ma determinati. Finché il presidio rimarrà in
piedi i carrelli e i macchinari non usciranno. Non vogliamo l'elemosina
della cassa integrazione o della mobilità, vogliamo il lavoro. Vogliamo
anche far sentire la nostra voce, raccontare la nostra esperienza, affinché
sia di insegnamento ad altri operai che ripongono le loro speranze nella
bontà dei padroni o si illudono che i sindacalisti siano dalla loro parte.
La verità, meschina, amara, brutale, è che i padroni comandano e i
sindacalisti sono i loro zelanti mercenari, disposti a tutto pur di piegare
gli operai. L'abbiamo vissuto sulla nostra pelle e ne portiamo i segni.
Possiamo anche perdere, ma per noi non sarà mai più come prima.

a cura  di operaicontro

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