sabato 20 marzo 2021

19 marzo - conoscere per intervenire: INCHIESTA OPERAIA - LA SITUAZIONE NELLE FABBRICHE BRESCIANE - IVECO

 DIETRO OGNI RISTRUTTURAZIONE, DIETRO LA PACE SOCIALE IN FABBRICA CONDIZIONE NECESSARIA PER LO SFRUTTAMENTO IN FABBRICA, CI SONO LE CENTRALI SINDACALI CONFEDERALI

Sotto l’ombrello di una delle centrali sindacali confederali più importanti del paese con la parte predominante coperta dalla Fiom/Cgil, si consuma a Brescia lo sfruttamento quotidiano di decine di migliaia di metalmeccanici divisi tra le aziende siderurgiche tondino metalmeccaniche armi posate e la storica ex OM, Iveco, oggi parte del gruppo Stellantis. Osservare più da vicino la situazione in un paio di queste fabbriche, Alfa Acciai e Iveco, con le trasformazioni in corso, aiuta a farsi un’idea della condizione della classe operaia, dei compiti necessari nello scontro di classe con i padroni, nella ricostruzione dell’organizzazione di classe degli operai.

All’Iveco, una fabbrica simbolo per la presenza e ruolo nelle lotte operaie del secolo scorso, il destino produttivo e occupazionale è legato alla ristrutturazione del gruppo FCA passato a Stellantis, e alla temuta vendita dello stabilimento ad una multinazionale cinese.
Ma prima di questi scenari, in fabbrica sta passando una ristrutturazione interna con circa 300 esuberi e a seguire piani di CdS e Cig, attraverso la trattativa sindacale, con la sponda del MISE, ovvero le condizioni meno favorevoli per la difesa dei posti di lavoro. Trattativa, non di una vertenza conflittuale si tratta, dove la parola d’ordine sia difesa dell’occupazione, difesa delle condizioni di lavoro, difesa dei diritti sindacali e dei contratti a tempo indeterminato propri degli operai dichiarati in esubero. Nella guerra quotidiana dei padroni ‘al posto fisso’, l’esito di questa trattativa, qualunque saranno i numeri effettivi finali e l’incentivo raggiunto per convincere i volontari a liberare il campo, verrà capitalizzato dall’avversario di classe, come un ‘più 300 verso la precarietà a vita’. Ragione che dovrebbe essere di per sè sufficiente per fare dell’Iveco una vertenza provinciale, pur volendo considerare questi esuberi solo dallo stretto punto di vista sindacale. Ma cosi non è, e il peso della grande fabbrica, che può essere trainante nello scontro di classe, può assumere anche il peso di grande sconfitta, quando a passare sono accordi negativi, in questo caso, strategicamente negativi, senza dare battaglia. Nello stabilimento bresciano, l'Iveco ha contabilizzato 600 operai RCL, ovvero a Ridotte Capacità Lavorative, tra questi il 70% di livello 3, nella concezione aziendale inadatti ai ritmi della produzione nello stabilimento. Numeri da guerra del profitto, che ci avvicinano ai 300 esuberi dichiarati, per una operazione che in un colpo solo ottiene l’eliminazione degli operai diventati improduttivi - usati/consumanti -, la riduzione del 25% dei contratti indeterminati ‘tutelati’, la legittimazione dello sfruttamento intensivo, scientifico delle catene di montaggio, che rendono prematuramente gli operai troppo giovani per andare in pensione, ma ormai troppo vecchi per tenere il loro posto in fabbrica. Un nuovo salto nella crescita del plusvalore, vista la tendenza a spalmare il più possibile le mansioni degli operai eliminati, tra i colleghi rimasti sulle catene di montaggio, considerando l’assenza di conflittualità verso le ristrutturazioni. Utile sapere che il 2020, con le pessime condizioni di lavoro imposte dalla pandemia, l’azienda dichiara, sia stato l’anno migliore degli ultimi cinque, come risultato nel rapporto tra la cadenza impostata sulle linee e il prodotto effettivo. Dopo gli esuberi, con la gestione dell’odl attraverso la flessibilità dei CdS, si giocherà questa riorganizzazione delle linee, più camion con meno operai e sempre più veloci. Aumentando i ritmi di lavoro, i carichi individuali, la saturazione. Prospettiva ben interpretata dai nuovi operai ‘jolly rambo’, portati in palmo di mano, gratificati a mò di esempio da capi e capetti, riverenti verso il padrone, meno conflittuali possibili, e più produttivi perché incentivati a lavorare di più, ‘un bravo del capo reparto vale più di 100 euro in busta paga ormai…’ Operai formati ed inquadrati all’ombra di sindacati tradizionalmente aziendalisti, in fabbrica non manca nessuno, Fim Uilm Ugl Fismic e il sindacato dei capi AqcfR, ma non spicca certo la scelta di campo della Fiom ancora maggioritaria. Le bandiere verdi, blu, e ‘rosse’ sventolano fianco a fianco alle portinerie, comunicati e trattativa rigorosamente unitaria. Ma tra gli operai, tra quelli che in fabbrica ci resteranno ancora, dire che prevale la rassegnazione ai piani di ristrutturazione, non sarebbe corretto. Piani che non vedono al momento un’opposizione, è vero. Non quella di delegati e loro organizzazioni, dato che sono impegnati a far quadrare i conti dell’azienda e a tenere sotto controllo il malcontento nei reparti. ‘Nessuno verrà licenziato, solo volontari, tanto sono vicini alla pensione gli conviene...’ è il ritornello stonato che equivale a ‘non mettetevi in mezzo o è peggio per voi, per chi protesta non ci sarà posto nella nuova produzione’. Fatevi gli affari vostri. E difficilmente alle portinerie, vigilate dal sindacato, si alza la testa. Non c'è ancora la ribellione degli operai, ingabbiata nella demoralizzazione di sentirsi senza strumenti, isolati, in mezzo agli altri che vanno nella direzione inversa, dove il ‘tanto fanno sempre quello che vogliono, si sono già messi d’accordo’, via via è diventato distacco alle ‘cose sindacali’ e condivisione degli obiettivi e dei principi del padrone ‘, ci mette i soldi, la fabbrica non è una onlus, anch’io farei lo stesso se fossi al suo posto’. Dove la coscienza di classe, superata dal miraggio della professionalità e dalla competitività tra colleghi, per una scalata dove si procede salendo solo sulle spalle dell’altro, per una fabbrica in cui ognuno deve dare il massimo, per la produzione per il profitto…, spinge gli operai ad essere convenienti dal punto di vista produttivo per concorrere con gli operai della Polonia o della Cina. Dove gli operai fanno capire che non c’è più posto per la solidarietà di classe, che è stata seppellita sotto montagne di accordi sindacali, perdenti dal punto di vista sindacale ed economico, disastrosi dal punto di vista politico ideologico che hanno spinto gli operai nell’individualismo padronale. Ma il pericolo sta nel credere, adattandosi, a chi, pensa, afferma, pratica, che questa ormai sia la condizione senza prospettive, la dura legge della fabbrica, dove è normale lo sciovinismo, la concorrenza tra stabilimenti personificata negli operai aziendalisti, e nei comunicati sindacali che recitano che ‘il tal modello perde quote rispetto al tal altro della concorrenza, ma il modello di punta regge garantendo anche in queste condizioni una forte redditività al padrone’. Viva lo sfruttamento, e gli operai con le masse popolari diventano effetti collaterali.


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