INDICE
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
PIACENZA,
IL SILENZIO COMPLICE E LA RISPOSTA NECESSARIA
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
ABD
VIVE NELLE LOTTE: ACCORDO RAGGIUNTO CON GLS PER LA STABILIZZAZIONE DEI
LAVORATORI A TERMINE
Resistenza resistenza@lists.riseup.net
PIOMBINO: PER GLI INTERESSI COLLETTIVI, PER UN
LAVORO UTILE E DIGNITOSO
Alessio
Di Florio abruzzo@ritaatria.it
DALLE LOTTE DELLA
LOGISTICA A PIACENZA ALL’ILVA DI TARANTO, QUANDO SI MUORE DI LAVORO
Muglia La
Furia noreply+feedproxy@google.com
INFORTUNI IN ALTO ADIGE:
ECCO I PERCHE’
To:
L’AIEA ONLUS PARTECIPERA’ALL’ASSEMBLEA DEI POPOLI
CHE SI TERRA’ ALL’AJA IN OCCASIONE DEL TRIBUNALE MONSANTO
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
CONVOCATO TAVOLO TECNICO PER RIESAME LAVORATORI
OTTANA E ASSEMINI
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
PROCESSO
ILVA “AMBIENTE SVENDUTO”: MEDICINA DEMOCRATICA RICONOSCIUTA PARTE CIVILE
La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
IL MERCATO DEL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
PER L’UNIFICAZIONE DATA SCIOPERO GENERALE INDETTO DALLE SIGLE DEL SINDACALISMO DI
BASE
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From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
October 02, 2016 8:18 PM
Subject: PIACENZA, IL SILENZIO
COMPLICE E LA
RISPOSTA NECESSARIA
Ieri, sabato 17, a Piacenza, eravamo
almeno in 3.000 a
ricordare Abd Elsalam. Più del doppio dei numeri annunciati il giorno prima dai
giornali, che riprendevano le comunicazioni della questura.
Gli stessi giornali
invitavano gli abitanti e i commercianti del centro città a chiudere case e
negozi, annunciando pericoli senza alcun fondamento, come ha dimostrato la
manifestazione: determinata, decisa ma composta. Puro terrorismo psicologico finalizzato a isolare un corteo che si è
snodato per le vie blindate di una città semi-deserta e che è stato
clamorosamente oscurato dai media: pochi articoli in alcuni
giornali locali e nell’edizione locale di Repubblica, che minimizzavano la
partecipazione e millantavano scontri mai avvenuti. Non solo omissioni e mezze
verità, ma anche vere e proprie falsità quelle usate dai giornali per
nascondere la reazione di rabbia e solidarietà che ha suscitato il tragico
avvenimento di giovedì notte. L’unico telegiornale che ha dato un po’ di spazio
alla giornata di ieri è stato il TG3, che ne ha fornito una cronaca fedele all’interno
di un servizio dedicato alle due drammatiche morti bianche avvenute all’ILVA e
all’ATAC.
Se degli operai,
quindi, si può parlare (e se ne deve parlare, perchè si tratta della vita di
decine di milioni di abitanti del paese), lo si deve fare presentandoli come
vittime di tragedie e mai come possibili protagonisti del proprio destino. Per
questo la morte di Abd Elsalam è stata immediatamente oggetto di un
revisionismo sfacciato, per questo la Procura ha agito sin da subito perchè quanto
accaduto potesse essere spacciato per un incidente, addirittura un banale
incidente stradale! Quando mai si è visto un Pubblico Ministero chiudere le
indagini in meno di due ore e avanzare la tesi più garantista possibile verso
il proprio accusato?
La questione,
chiaramente, non è quella della responsabilità giuridica del singolo, o almeno
non primariamente. La questione centrale è che in
questo modo si oscurano le dinamiche politiche e sociali che ci hanno portato a
questa tragedia e che non hanno niente di accidentale. Sono
quelle che hanno lasciato mano sempre più libera ai padroni nel trattare i
propri dipendenti come merci da smistare. Sono i governi antioperai, sono gli
opportunismi sindacali, è la spietata concorrenza internazionale dei capitali
che si accompagna alle leggi che ci dividono lungo confini nazionali sempre più
militarizzati: è tutto questo che fa sì che i padroni non sopportino e non
contemplino nemmeno l’idea che qualcuno possa alzare la testa e protestare,
facendolo davvero, colpendo i loro profitti. Per loro dovremmo morire in
silenzio, ottenendo al massimo una notizia in seconda o terza pagina.
Per questo la morte
di Abd Elsalam non è una morte come le altre e per questo bisognava spacciarla
come tale. Perchè c’era in nuce quel protagonismo operaio a cui spesso ci hanno
abituato le lotte della logistica, quel protagonismo che può invertire la rotta
che ci ha portato fino a questo punto e che va quindi nascosto e ostacolato. Lo
si fa parlando di incidente o anche buttandola sulla guerra tra poveri, come se
la concorrenza tra lavoratori e le divisioni che lacerano il corpo della nostra
classe non fossero uno strumento dell’interesse padronale, fomentato e montato
ad arte dai padroni stessi. Le catene di subappalti, l’intermediazione
di manodopera, il caporalato, i finti padroncini, le finte partite IVA, le coop
truffaldine, ecc., sono strumenti nelle mani dei padroni per dividere il fronte
dei lavoratori.
E il rimedio sta in
quella lotta che portano avanti, tra gli altri, proprio sindacati di base come
l’USB, a cui Abd era iscritto, e che secondo l’editoriale del Corriere della
Sera sarebbero paradossalmente da annoverare tra le patologie infiltratesi nel
settore al pari dei fenomeni mafiosi di cui sopra.
Per questo
probabilmente, intervistati in lacrime durante il corteo dalle telecamere del
TG3, la moglie e il fratello di Abd ripetevano che l’unica cosa che conta ora
per loro è che emerga la verità. Perché davvero la verità è rivoluzionaria. Non
solo la verità che fa emergere i fatti facendosi strada tra le menzogne della
propaganda giornalistica, ma anche quella che sa guardare oltre le apparenze,
oltre le divisioni di cui approfitta chi ci vuole sottomessi e in lotta tra noi
per le poche briciole che ci concede.
Ieri chi era a
Piacenza ha scorto dei barlumi di questa unità, ha visto la possibilità che
diventi qualcosa di più: c’era tanto mondo del lavoro, al di là delle divisioni
sindacali, con i cori dei facchini del Si Cobas che hanno intonato lungo l’intero
percorso “siamo tutti Abd Elsalam”. E c’erano anche compagni e compagne da
tutta Italia a portare la loro solidarietà. E soprattutto ci sono
i presidi e, ancor di più, gli scioperi spontanei che hanno coinvolto
decine di città e di luoghi di lavoro, dalla logistica alle fabbriche
metalmeccaniche, nei giorni scorsi. Episodi importanti, per niente scontati in
questi tempi di sconforto e che cercheremo di sostenere e valorizzare nelle
prossime giornate. Episodi che inoltre si intrecciano col significativo impatto
che sembra aver avuto questa storia nella sensibilità collettiva almeno agli inizi,
almeno a giudicare dal numero di condivisioni e visualizzazioni del primo
articolo di Repubblica sull’accaduto e dalla copertura dell’hashtag #piacenza
su twitter.
Certo, ancora poco
rispetto alla gravità di quanto accaduto e, soprattutto, rispetto a quello di
cui avremmo bisogno. Ma se fossimo in una situazione diversa probabilmente Abd
Elsalam sarebbe ancora qui.
Questo è il materiale
che abbiamo a disposizione, sta a noi tradurlo in una mobilitazione in grado di
invertire la tendenza che ci vuole servi nei luoghi di lavoro e sudditi fuori
di essi, lottando contro le forme assunte dallo sfruttamento e i progetti
dittatoriali travestiti da riforme costituzionale.
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From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
October 02, 2016 8:18 PM
Subject: ABD VIVE NELLE
LOTTE: ACCORDO RAGGIUNTO CON GLS PER LA STABILIZZAZIONE DEI
LAVORATORI A TERMINE
Lo abbiamo scritto: Abd Elsalam è morto lottando in
difesa degli interessi dei propri colleghi precari, buttati fuori come pacchi
una volta scaduto l’appalto della cooperativa a cui la GLS affida la sua manodopera.
Lottando contro questa forma legalizzata di
caporalato, come da anni ormai succede davanti ai magazzini della logistica, è
stato travolto da un TIR che ha sfondato il picchetto seguendo le pressioni dei
capetti aziendali.
Pochi giorni fa, anche a seguito della
mobilitazione seguita a questo tragico incidente, è stato siglato un
accordo per la ricollocazione di questi e altri lavoratori precari tra la GLS e le controparti
sindacali: USB, a cui Abd era iscritto, SI Cobas e ADL Cobas, da sempre
protagonisti di queste lotte e ormai maggioritari nei magazzini dell’azienda.
Pubblichiamo allora di seguito il comunicato di ADL
e SI Cobas, che sottolinea l’importanza della mobilitazione comune per
costringere le aziende ad ascoltare i lavoratori rivolgendosi a chi li
rappresenta davvero. Considerazioni importanti in vista della riforma della
contrattazione collettiva e della revisione del diritto di sciopero che aleggia
nei piani del Governo.
PIACENZA: RAGGIUNTO IN PREFETTURA UN ACCORDO CHE
APRE UN NUOVO PERCORSO SULL’UTILIZZO DEI CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO
DETERMINATO PER TUTTI QUEI LAVORATORI CHE HANNO AVUTO PRECEDENTI RAPPORTI DI
LAVORO IN GLS
Nella serata di
giovedì 22 settembre, presso la
Prefettura di Piacenza è stato siglato un accordo tra le
parti sociali, GLS, SEAM, Natana, Comune di Piacenza, Questura, SI Cobas, ADL Cobas,
USB, alla presenza del Prefetto, nel quale si è cominciato a mettere le basi
per ricercare regole certe per la collocazione lavorativa di chi ha avuto
precedenti rapporti di lavoro a tempo determinato all’interno del magazzino GLS
di Piacenza, senza lasciare all’arbitrio delle aziende appaltatrici la decisione
di assumere un lavoratore piuttosto che un altro.
GLS si è impegnata ad
investire dei capitali per aprire un nuovo Hub nell’area piacentina entro sei
settimane, nel quale dare avvio a questo percorso con un aumento della forza
lavoro oltre il numero di occupati nel vecchio magazzino dove è morto Elsalam.
Certo, la questione
di regolamentare l’uso dei tempi determinati è molto complessa, in quanto si
intrecciano esigenze vere (picchi di lavoro, persone in malattia, maternità,
ferie e quant’altro) con l’uso strumentale di questo istituto che, grazie alle
nuove normative, di fatto, non è neanche più impugnabile dai sindacati per vie
legali.
Diventa allora
importante essere riusciti, attraverso la lotta, a costringere GLS ad aprire
questo tavolo, previsto dall’accordo, nel quale si dovranno concordare modalità
e criteri per ricollocare lavoratori che sono stati precedentemente impiegati a
tempo determinato nell’attuale Hub di Piacenza.
Questa lotta aveva
visto realtà sindacali diverse scendere in campo attorno alle vicende del
magazzino GLS di Piacenza con forti divisioni. Il fatto che alla fine ci sia
stato un tavolo congiunto e che si sia arrivati a condividere un accordo è il
dato politicamente più significativo e dovrebbe servire anche ad aprire una profonda
riflessione nei rapporti che esistono tra realtà sindacali che si muovono sul
terreno del conflitto. In particolar modo ci preme sottolineare (cosa che
abbiamo fatto anche in sede di trattativa in Prefettura) che qualsiasi tipo di
accordo che riguardi direttamente i lavoratori di una fabbrica o di un
magazzino debba muoversi nella direzione di trovare il consenso dei lavoratori
che sono presenti al loro interno. Diversamente la firma di accordi siglati
anche in sedi istituzionali, che non abbiano questo fondamentale requisito,
rischiano di riprodurre dinamiche che ci vedono in netto contrasto con tale
impostazione, che è invece una caratteristica costante delle politiche di CGIL,
CISL e UIL le quali, in nome della rappresentatività formale perché firmatari
di contratti nazionali, firmano accordi in sede aziendale anche con pochissimi
iscritti in barba alla stragrande parte dei lavoratori (come è già avvenuto in
tanti casi dove SI Cobas e ADL Cobas erano in stragrande maggioranza
rappresentativi).
Per questo abbiamo
insistito molto, come Si Cobas e ADL Cobas, anche mettendo in atto forme di
pressione molto forti, fermando tutti i magazzini dove rappresentiamo la
stragrande maggioranza dei lavoratori, sul fatto che un tavolo in Prefettura a
Piacenza senza la presenza delle nostre due Organizzazioni Sindacali non solo
era sbagliato, ma avrebbe contribuito a lacerare ulteriormente il clima che si
era venuto a creare a seguito della morte di Abd ElSalam.
A seguito di queste
riflessioni abbiamo accolto positivamente la convocazione del tavolo congiunto
che ha portato poi all’accordo.
Nessuno potrà mai
restituire la vita ad Abd El Salam e oggi, ci sentiamo ancora di più vicini ai
suoi cari ed è per questo motivo che dobbiamo onorare questo lavoratore, morto
ammazzato per rivendicare diritti per chi non aveva un rapporto di lavoro
stabile e per avere lottato contro l’uso strumentale della precarietà.
Metteremo in atto
tutto quello che è possibile fare per aiutare la famiglia (già nei primi giorni
abbiamo raccolto nei magazzini di Piacenza 8.500 euro che abbiamo dato alla
moglie) e cercheremo di ricavare un grande insegnamento da quello che è
successo, sia concretizzando l’accordo della Prefettura con il mantenimento
delle conquiste che avevamo ottenuto sul piano economico e normativo nel
magazzino dove è partita la lotta dove ha perso la vita Abd Elsalam ottenendo
nuovi diritti per i lavoratori che avevano lavorato con contratti a tempo
determinato, sia imparando a costruire relazioni tra realtà sindacali diverse che
non sfocino in sterili contrapposizioni, avendo sempre l’attenzione a mettere
al primo posto gli interessi dei lavoratori.
SI COBAS
ADL COBAS
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To:
Sent: Monday, October 03, 2016 8:25 AM
Subject: PIOMBINO: PER GLI INTERESSI COLLETTIVI, PER UN
LAVORO UTILE E DIGNITOSO
La lettera
che riportiamo è un contributo all’iniziativa “Non vogliamo
contrapposizione tra lavoro e ambiente: bonifiche, salvaguardia del territorio,
strade e ferrovie, UNA LOTTA COMUNE!” promossa dal coordinamento “Articolo 1
Camping CIG” di Piombino all’interno del “Camping Abd Elsalam Ahmed Eldanf”
(tenuto a Piombino dal 23 al 30 settembre) a cui una compagna del Partito dei
CARC ha partecipato.
L’iniziativa
ha avuto come obiettivo il confronto tra diverse realtà di lotta sugli
obiettivi da porsi per risollevare un territorio come Piombino martoriato dallo
smantellamento del suo polo industriale e dalla grave crisi ambientale in cui
si ritrova. Lo scritto vuole essere un ulteriore strumento per alimentare il
dibattito sulle prospettive che oggi le masse popolari organizzate e la
classe operaia possono mettere in campo per mettere mano alla crisi in corso, a
cui la classe dominante non vuole e non può trovare soluzione.
***
Ho
partecipato ad un’assemblea che si è tenuta presso Camping CIG, col proposito
di portare la mia esperienza e dare un contributo per lo sviluppo della lotta
comune per un lavoro che sia utile e dignitoso.
La tematica
del tavolo era relativa alla bonifiche e anche se poi gli organizzatori hanno
deciso di trattare di altro, sono emersi spunti che si legano alla mia
esperienza e che mettono in evidenza che per ogni questione che ci troviamo ad
affrontare, che sia la perdita di posti di lavoro, che sia la realizzazione di
un piano industriale o la costruzione di una strada, ci ritroviamo a discutere
di qual è l’amministrazione comunale, regionale o governo nazionale che
rispetta il bene comune e che caratteristiche deve avere: quella della “sudditanza”
alle multinazionali e a chi ha ricchezze o quella di stare dalla parte di chi
le ricchezze le produce, di chi vive sul territorio e ne incarna lo sviluppo?
Si è
trattato anche della contraddizione tra lavoro e ambiente e ho pensato alla
realtà di Massa, in cui vivo, dove, dopo gravi incidenti dell’84 e dell’88,
alcune fabbriche furono smantellate perché inquinanti e si persero posti di
lavoro, invece di procedere nell’immediato alla bonifica del territorio e alla
riconversione assegnando a quelle aziende un altro tipo di produzione di beni e
servizi utili alla collettività.
Il punto è
questo: si tratta di eliminare produzioni inutili e dannose, riconvertire le
fabbriche destinandole alla produzione di beni e servizi utili alla
collettività mantenendo posti di lavoro e creandone anche degli altri e laddove
le fabbriche sono utili, si tratta di ridurre al massimo l’inquinamento che
producono: è una questione di volontà politica e di amministrazioni disposte ad
attuare questa strada, disposte ad agire per il bene e nell’interesse della
collettività e nel fare questo abbiano il coraggio e la spinta a prendere le
misure necessarie che porteranno inevitabilmente ad uno scontro perché saranno
per lo più misure di rottura con gli interessi delle multinazionali e in
generale dei poteri forti. Tutto ciò è emerso molto bene nella discussione
presso il tavolo organizzato da Camping CIG, dove in diversi hanno messo in
evidenza come l’attuale amministrazione sia completamente al servizio di
Rebrab, ma a differenza delle precedenti non si troverà neppure ad avere una
contropartita in posti di lavoro stante la crisi dell’acciaio, la mancanza di
fondi e di piani industriali chiari e seri.
Oggi abbiamo
bisogno di Amministrazioni che tutelino il posto di lavoro, così come l’ambiente,
la sanità, l’istruzione, le infrastrutture, i sentimenti e le aspirazioni delle
masse popolari e dei lavoratori di condurre una vita dignitosa. E’ possibile
questo? Si, è possibile se ci organizziamo in comitati in ogni fabbrica, nei
quartieri, nelle scuole e se ci coordiniamo per difendere e migliorare i
diritti conquistati fino ad arrivare a fare quello che le istituzioni non
fanno. In altre parole si tratta di applicare quanto dice la Costituzione che non
a caso vogliono riformare, per avere mano ancora più libera nel produrre
profitti che distruggono le nostre vite, che non ci assicurano il lavoro, la
sanità, le scuole, i trasporti efficienti...
L’esperienza
di Coordinamento Camping CIG va in questa direzione, così come quella delle
Mamme No Inceneritore della piana fiorentina, il Movimento No TAV...
Quello che
si sta muovendo sui territori è quindi molto importante e dev’essere ampliato,
valorizzato perché è l’unica strada che realmente può portarci verso l’uscita
dal marasma.
Dobbiamo
prendere in mano l’iniziativa, passare dalla protesta alla proposta di nuove
soluzioni e di attuarle noi stessi laddove è già possibile farlo e con i mezzi
di cui disponiamo altrimenti i mezzi ce li dobbiamo cercare. E’ importante lo
scambio di esperienze ed è fondamentale il coordinamento di questi organismi
che oggi ci sono, esistono, combattono, ma ancora in maniera confusa e
scoordinata. Questi sono i primi passi per vedere rispettati nuovamente i
nostri diritti e come dice bene il Coordinamento Camping CIG a partire dall’articolo
1 che recita che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Elena
Tartarini
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To:
Sent:Tuesday, October
04, 2016 09:47 AM
Subject: DALLE LOTTE DELLA
LOGISTICA A PIACENZA ALL’ILVA DI TARANTO, QUANDO SI MUORE DI LAVORO
ALL’IMPROVVISO
HO VOGLIA DI DORMIRE
DALLE LOTTE DELLA
LOGISTICA A PIACENZA ALL’ILVA DI TARANTO, QUANDO SI MUORE DI LAVORO
di Alessio Di Florio
“Un nostro compagno,
un nostro fratello è stato assassinato durante il presidio e lo sciopero dei
lavoratori della SEAM, ditta in appalto della GLS questa notte davanti ai
magazzini dell’azienda. […] Questo assassinio è la tragica conferma della
insostenibile condizione che i lavoratori della logistica stanno vivendo da
troppo tempo. L’USB si impegna alla massima denuncia dell’accaduto: violenza,
ricatti, minacce, assenza di diritti e di stabilità sono la norma inaccettabile
in questo settore. […] Il responsabile del magazzino della GLS incitava i
camion ad investire i lavoratori che avevano fatto un picchetto davanti ai
cancelli dell’azienda”.
A dichiararlo è
Elsayed Eldani, il fratello del lavoratore del GLS ucciso ieri notte a
Piacenza. “Diceva “andate avanti, andate avanti, asfaltatelo come un ferro da
stiro”” racconta in lacrime il fratello.
I giorni passano,
frenetici e vorticosi, e i riflettori della cronaca hanno abbandonato Piacenza.
Abbiamo letto, visto, ascoltato tante parole, testimonianze, dichiarazioni.
Il giorno successivo,
supportata anche dal Pubblico Ministero, ha cercato d’imporsi una “verità” che
non ci fosse nessun picchetto, nessuna manifestazione, che fosse stata solo una
tragica fatalità. Una dinamica che ricorda quanto accaduto dopo la morte di
Emanuel a Fermo.
Ma queste parole,
delle ore immediatamente successive, sono rimaste intatte, non si son lasciate
accantonare e, anzi, restano (e devono rimanere) scolpite. Per Abd Elsalam, per
i lavoratori che in queste settimane hanno animato scioperi, manifestazioni,
picchetti e tanto altro nel suo nome.
E per tutti noi.
Perché i fatti di quella notte parlano, gridano, a tutti. Impongono riflessioni che non si fermano a Piacenza, ma attraversano l’Italia intera. Descrivendo la realtà di un lavoro che troppo spesso fa rima con diritti negati, invisibilità, sopravvivenza o morte.
E incapacità di
alzare la testa, di indignarsi, protestare, costruire un qualsivoglia movimento
che possa modificare lo stato di cose presenti. Abd Elsalam non era uno dei
lavoratori coinvolti nella vertenza, non era uno dei precari che stavano
rischiando il lavoro.
Aveva un contratto a
tempo indeterminato, la sua situazione economica personale non era a rischio. E
quindi per molti, per tanti, quella sera poteva anche rimanere a casa,
stendersi sul divano davanti il televisore. Perché quella non era una lotta che
lo riguardava. E invece no, Abd Elsalam è andato, si è schierato in prima fila,
ha preso un megafono e ha fatto sentire la sua voce.
Uno straordinario
italiano, don Lorenzo Dilani, che non divideva il mondo tra compatrioti e
stranieri ma tra “diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori
dall’altro” aveva fatto appendere alle pareti della sua scuola due parole “I
Care”, mi interessa, m’importa, è anche mio.
E Abd Elsalam, che
non sappiamo se conoscesse don Milani e la scuola di Barbiana, ha catturato e
impresso nel cuore il suo “I Care”. “I Care” della sorte di quei lavoratori, di quei precari, di
quelle persone che erano costrette a stare lì, anche di notte e sotto la
pioggia, per poter affermare la loro esistenza, i loro diritti, per non
rimanere invisibili.
Ma di “I Care”, di Abd
Elsalam, l’Italia di oggi non abbonda. Come ha scritto il direttore Angelo
Miotto, “hanno atomizzato il lavoro, le vite, hanno disperso le forze, hanno
distrutto l’essere insieme”. Ma queste cose ormai sono del tutto evidenti.
Manca la forza che
unisce, perché non è più vissuta come una priorità. Manca un pensiero, che sia
pratica e che dica sempre cosa si può fare per spostare un centimetro più in là
il progresso e i diritti di una civiltà.
E dovremmo
domandarci, ancor di più dopo il suo sacrificio, il perché. Guardarci intorno,
interrogarci, riflettere. E agire.
Mentre quest’articolo
si va a completare, l’USB annuncia che a Piacenza è stato siglato un “positivo
accordo” che prevede un “percorso di stabilizzazione per precari e condizioni
contrattuali di miglior favore”.
Non può che essere
salutato come un passo, un avanzamento, dei lavoratori. E quindi di ogni
cittadino, di ogni lavoratore, di ogni figlio o figlia dell’umanità presente su
questa porzione del globo.
Un passo di un
percorso che attraversa tutta l’Italia delle tante Piacenza dove i precarissimi
della logistica vivono le stesse condizioni. Antonello Mangano su
Terrelibere.org già 3 anni lo definì “caporalato delle merci”.
Pubblicando un’inchiesta
di RaiNews24 riportò che “il comparto comprende circa 500.000 addetti e fattura
200 miliardi di euro l’anno” dove “marocchini, egiziani, pachistani. Sono la
manodopera che carica, scarica, trasporta ogni giorno tonnellate di merce con
paghe basse e ritmi forsennati”.
Ma non è solo questo.
Parole simili tante volte, ma mai abbastanza, le abbiamo lette e sentite per un
altro settore dell’economia di questo Paese. Un settore che appare
inscindibile, nell’Italia del 2016, dalla parola caporalato: l’agricoltura.
Quel caporalato che
ha trovato, negli ultimi anni, addirittura forza e nuovi schiavi persino in
provvedimenti di questo Stato. Lo abbiamo già raccontato quasi 3 anni fa: il
documentario “Schiavi: le rotte di nuove forme di schiavitù” del regista RAI e
giornalista indipendente Stefano Mencherini ha documentato come la cosiddetta “Emergenza
Nord Africa”, nata dopo l’inizio della guerra alla Libia, ha portato “un enorme
spreco di denaro pubblico e le tantissime violazioni dei diritti umani dei
migranti, evidenziando come moltissimi siano poi divenuti vittime di una vera e
propria schiavitù”.
Un’inchiesta sempre
di Antonello Mangano pubblicata da L’Espresso nell’aprile dell’anno scorso ha
documentato come a Mineo “il caporalato non c’era, è nato con il Cara” perché “i
richiedenti asilo non ricevono i documenti previsti dalla legge italiana ed
europea” e “di conseguenza, possono lavorare solo in nero” alimentando “uno
sfruttamento mai visto prima”.
Mentre qualche mese
prima avevano denunciato “il nuovo orrore delle schiave romene” a Ragusa che
subiscono “ogni genere di violenza sessuale” durante veri e propri festini
padronali. Meno di due giorni dopo Abd Elsalam, altri due lavoratori sono
morti.
Un operaio rimasto
folgorato nel deposito ATAC dei treni a Roma, “un incidente assurdo” secondo la FILT CGIL Roma e Lazio
secondo cui “come ogni morte sul lavoro, poteva essere evitato, nessun ritardo
può costare una vita e in nessuna circostanza la pressione e la fretta per
garantire un servizio adeguato alla domanda di trasporto possono sopperire alle
carenze negli organici, nell’organizzazione del lavoro, negli investimenti
sulla sicurezza. Mancanze croniche, segnalate da anni e che adesso sarebbe
troppo facile elencare, ma che conducono nelle peggiori ipotesi a questo genere
di incidenti. Le procedure di lavoro devono essere rispettate, gli organici
completati, i turni di riposo garantiti in ogni circostanza”.
E un altro operaio,
Giacomo Campo, si è aggiunto al drammatico elenco di coloro che hanno trovato
la morte nell’ILVA di Taranto, la fabbrica accusata sempre più di inquinamento
devastante e della strage tumorale in città. Oltre che di non garantire alcuna
sicurezza ai propri lavoratori.
Il 18 aprile 2006 un
malore uccide Antonio Mingolla. Un anno dopo la vedova, Francesca Caliolo,
scrive una lettera aperta al marito.
Una lettera
commovente, violenta nei sentimenti, nella rabbia, nell’indignazione, quanto
tenera nei ricordi e in quell’amore che resiste, che racconta come Antonio
aveva visto diversi colleghi morire.
Sentiva di essere predestinato. Un giorno poteva toccare a lui. Ogni sera che tornava a casa era un altro giorno strappato al destino. Una famiglia da mantenere, i figli, la moglie. E sentiva di non poterci fare nulla.
Francesca Caliolo
scrive che “a fine giornata pareva un bollettino di guerra, con incidenti di
tutti i tipi: ustioni, intossicazioni, fratture e, qualche volta si moriva
anche. Le morti ci lasciavano attoniti a pensare all’esagerato tributo da
pagare in cambio di un lavoro di per sé duro e alienante” e le ultime parole
che il marito potrebbe aver pensato “voglio cambiare lavoro, non ce la faccio
più, sono stanco, stanco, così stanco che all’improvviso ho voglia di dormire,
mi si chiudono gli occhi, squilla il cellulare, dormo”.
Fulvio Colucci e
Giuse Alemanno nel 2011 hanno scritto un libro “Invisibili: vivere e morire all’ILVA
di Taranto”.
Un titolo più che
eloquente di quel che viene riportato nel libro. “I lavoratori dell’appalto
sembrano gli ultimi degli ultimi, a volte vedo capisquadra che approfittano di
quelli delle ditte sottomettendoli. C’è chi lavorava con i jeans, chi ha
indossato la tuta marrone. Con la polvere, di notte, è ancora più invisibile.
Rischia di essere schiacciato da camion e auto” leggiamo nella testimonianza di
Colucci riportata da Comune-Info.
“Ora stanno lì:
africani, indiani, turchi. Lavorano indossando quello che trovano: entrano nel
forno, smantellano i refrattari, senza maschere. E’ venuta l’ASL ha fatto i
controlli. L’amianto è stato smantellato da un’azienda specializzata. Gli
extracomunitari sono andati allo sbaraglio. Il forno è diventato una torre di
Babele ed è pericoloso, se non ci capiamo. Io ogni giorno faccio cinque
chilometri a piedi, con la polvere; certe volte mi esce il sangue dal naso
perché la polvere nel naso si indurisce. Arriviamo allo spogliatoio divorati
dalla polvere, la polvere è come una estrema unzione. Mi hanno impressionato i
lavoratori sulle passerelle a 90 metri di altezza. Vai giù e nemmeno ti
accorgi che sei morto. Agli ingegneri segnaliamo tutto. I carriponte sono
pericolosi, rischiano di cadere con un peso di 50 tonnellate. Se cadono è una
strage. Chi si trova sul fronte del fuoco, o ad altezze così è più chiuso, non
ha voglia di parlare. Mi sono trovato vicino alla ghisa liquida quando prende
fuoco, una bomba che fa tremare tutto in un raggio di chilometri. Lo scoppio è
improvviso, lo senti davvero nelle viscere. Ti stordisce, ti afferra, ti svuota”.
Antonia Battaglia di
PeaceLink ha scritto su Micromega online che Giacomo Campo è stato “uno dei
tanti, purtroppo, sacrificati ad un impianto vetusto, dove i fumi si disperdono
come accadeva in epoca vittoriana”.
Poche ore prima l’emittente
televisiva tarantina Tv Med ha diffuso un video di “emissioni in uscita dalla
cokeria” dell’ILVA che, scrive Antonia, “conferma le violazioni dell’Autorizzazione
Integrata Ambientale”. Secondo Francesco Rizzo dell’USB di Taranto l’incidente “non
è una fatalità” ma un “omicidio” dovuto ad “una vera e propria mancanza di
rispetto delle regole della sicurezza”.
La visita di Renzi il
29 luglio scorso a Taranto fu accompagnata da pesanti contestazioni, con i
manifestanti che gli hanno gridato “assassino” e il comitato “Verità per
Taranto” che ha denunciato “questa è la città in cui muoiono il 20 per cento di
bambini più che nel resto d’Italia”.
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From: Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
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Thursday, October 06, 2016 5:04 PM
Spesso, nella mia attività di formazione, mi sono sentito rivolgere questa
domanda: “Come mai l’Alto Adige, nonostante il discreto benessere
socio-economico, una disoccupazione minore che in altre zone, per quanto a
numero di infortuni sul lavoro, si colloca ai primi posti in Italia?”
La risposta la trovate in questo articolo (vedi link) leggendo le
dichiarazioni del Presidente della Provincia Kompatscher che non ha perso l’occasione
della visita del Ministro del Lavoro Poletti, così come pochi giorni prima
avevano fatto l’assessora al lavoro Stocker e il senatore SVP Berger in
occasione della visita del senatore Sacconi, già Ministro del Lavoro, e
presentatore di un indecente disegno di legge per la riforma (semplificazione)
del sistema prevenzionistico in Italia.
L’articolo, stando alle dichiarazioni riportate, trasuda presupponenza,
ignoranza ed arroganza.
Leggetelo e avrete la risposta del perchè in Alto Adige il numero di
infortuni è doppio rispetto alla vicina provincia di Trento (a parità di
popolazione occupata e di settori produttivi). Io non lo commento (non sono
mica Muglia La Furia
io). Ricordo solo per inciso che le Direttive europee fissano il livello “MINIMO”,
ebbene qui si vorrebbe star sotto quel minimo. Comunque fate voi... a noi
farcene una ragione!
Visto? Maggiori controlli? Più formazione per tutti? Maggiori investimenti
nel settore della prevenzione? Ma neanche parlarne, quello che si chiede è “DEROGARE”
all’applicazione della normativa per reintrodurre un sistema di vigilanza
basato sulle “DIFFIDE” (che Sacconi quand’era Ministro voleva introdurre) ma
che è stato eliminato dal nostro sistema legislativo.
La diffida made in Suedtirol funzionerebbe così: prima stabilisco per quali
violazioni punirti (attenzione stiamo parlando di un sistema sanzionatorio
penale) poi ti minaccio e solo se non ti metti in regola ti sanziono. Come
dite? Non lo possono fare? Vero ma le vie dello statuto speciale sono autonomia
e occhio che la riforma costituzionale che ha modificato il Titolo V non
interesserà appieno le province autonome di Bolzano e Trento.
Quindi per il futuro possiamo aspettarci di tutto.
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To:
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Saturday, October 08, 2016 11:06 AM
Subject: L’AIEA ONLUS PARTECIPERA’ALL’ASSEMBLEA
DEI POPOLI CHE SI TERRA’ ALL’AJA IN OCCASIONE DEL TRIBUNALE MONSANTO
Si prega di
darne la massima diffusione nei nostri canali di stampa.
Maura
Crudeli
AIEA Onlus
COMUNICATO STAMPA
14-16 OTTOBRE 2016, L’AIEA ONLUS PARTECIPERA’ ALL’ASSEMBLEA
DEI POPOLI CHE SI TERRA’ ALL’AJA IN OCCASIONE DEL TRIBUNALE MONSANTO
Navdanya, l’organizzazione fondata e presieduta da Vandana Shiva, coordinerà, in
collaborazione con altre organizzazioni della società civile, il Tribunale Monsanto e l’Assemblea dei Popoli che si
svolgeranno a L’Aia dal 14 al 16
ottobre 2016. Il Tribunale contro Monsanto determinerà le responsabilità
della Monsanto chiamata a rispondere alle accuse di crimini contro l’umanità,
violazione dei diritti umani ed ecocidio, mentre l’Assemblea si occuperà,
parallelamente, di radunare tutti i più importanti movimenti e attivisti
impegnati a livello globale per la difesa del nostro ambiente e del nostro cibo
esponendo attraverso testimonianze audiovisive gli impatti dell’industria
agrochimica nel mondo. Oltre 800
organizzazioni internazionali, tra cui AIEA ONLUS, hanno già
aderito all’iniziativa mentre oltre
100 assemblee popolari e tribunali popolari sono già stati
organizzati a livello locale in tutto il mondo.
AIEA Onlus porterà all’Assemblea dei
popoli come testimonianza i suoi 25 anni di lotta contro l’amianto e alcuni dei
grandi risultati che ha ottenuto come la legge del 1992 che ha bandito l’amianto
in Italia e gli innumerevoli processi che stanno portando le grandi industrie
nelle aule dei tribunali perché colpevoli di aver ucciso migliaia di persone
non garantendone la loro salute e sicurezza pur sapendo la nocività della fibra
e le malattie asbesto-correlate causate dalla sua inalazione.
Convinti che il movimento dal basso, il
coinvolgimento della società civile e la forza dell’associazionismo possano
davvero far cambiare la rotta alla storia e arrestare la sete di profitto delle
grandi multinazionali, AIEA Onlus aderisce a questo movimento internazionale
per la tutela e il benessere del nostro pianeta e la lotta contro i poteri
forti che ignorano i principi fondamentali dei diritti dell’uomo.
Nell’ultimo secolo le grandi società dell’agribusiness,
nate dall’industria bellica, hanno avvelenato milioni di persone, distrutto la
biodiversità e espropriato le terre dei piccoli agricoltori nel tentativo di
prendere il controllo su ogni aspetto della nostra vita. Il pericolo aumenta
man mano che queste multinazionali diminuiscono di numero grazie a fusioni e
accordi. Ne è esempio la recente
offerta della Bayer di acquisire Monsanto per 66 miliardi di dollari. Un
accordo che estenderà ulteriormente il controllo delle multinazionali sul
sistema agricolo e sulla produzione di cibo. Questo processo si può tradurre in
un solo modo: massima attenzione ai profitti, minima attenzione per l’ambiente,
per la qualità del nostro cibo, per i consumatori e i lavoratori del settore.
Le grandi multinazionali stanno
promuovendo azioni di lobby per far accettare ai governi democraticamente
eletti le politiche neoliberiste e i
trattati internazionali di libero scambio come il TTIP: la corsa alla
deregolamentazione è un attacco senza precedenti alla biodiversità e alla vita
stessa sulla terra. Multinazionali come la Monsanto hanno già avuto modo di espandere il
loro controllo sui nostri semi, sul nostro cibo e sulla nostra libertà,
deprivandoci dei nostri diritti umani fondamentali e della democrazia. Per
mezzo di brevetti e diritti di proprietà intellettuale hanno stabilito monopoli
e minacciato i diritti degli agricoltori e dei consumatori.
All’Assemblea dei Popoli parteciperanno
movimenti e associazioni, guardiani dei semi, agricoltori e giornalisti
provenienti da tutto il mondo. Il compito dell’Assemblea sarà quello di fare
chiarezza sui crimini contro la natura e contro l’umanità perpetrati dalle
grandi industrie chimiche e biotecnologiche attraverso l’analisi delle
politiche che hanno permesso l’introduzione di brevetti sui semi e favorito l’invasione
degli OGM. In base alle esperienze dell’ecocidio e del genocidio dell’ultimo
secolo, l’Assemblea delineerà le azioni necessarie per un futuro basato sul
diritto degli agricoltori di conservare e scambiare i semi, sull’autodeterminazione
della nostra alimentazione, sull’agro-ecologia, sui diritti dei consumatori e
dei lavoratori del settore, sui nostri beni comuni e sull’economia della
condivisione, sui diritti della natura e la democrazia della terra.
Tra i relatori: Vandana Shiva, Nnimmo
Bassey, Andre Leu, Ronnie Cummins, Hans Herren, Dr. Eric Séralini, Percy
Schmeiser, e molti altri.
Risorse per
giornalisti
L’Assemblea dei
Popoli si svolgerà, dal 14 al 16 ottobre all’Aia, Bazar of Ideas (next to
the Student Hotel) – Hoefkade 9, 2526 BN Den Haag
Per maggiori informazioni,
per materiale audiovisivo, per accrediti e per interviste con il presidente di
Navdanya, Vandana Shiva, e con il direttore dell’ufficio di Navdanya in Italia,
Ruchi Shroff si
prega di contattare Ufficio
Stampa Navdanya International
telefono/what’s
app 328 63 34 318 – 329 86 22 125
PER
INFO AIEA:
Maura
Crudeli
Presidente
AIEA Onlus
telefono
338 97 65 786
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To:
Sent:
Saturday, October 08, 2016 6:16 PM
Subject: CONVOCATO TAVOLO TECNICO PER RIESAME LAVORATORI OTTANA E ASSEMINI
Soddisfazione di AIEA, ANMIL e CGIL per la convocazione da parte INAIL
Sardegna del Tavolo Tecnico per il riesame delle domande dei lavoratori dei
poli chimici di Ottana e Assemini, secondo quanto da tempo richiesto
Soddisfazione
è stata espressa dalla presidente regionale AIEA Sardegna, Sabina Contu, dal
presidente provinciale ANMIL di Nuoro Tonino Sechi e dal segretario generale
della CGIL di Nuoro Salvatore Pinna, per la convocazione da parte dell’INAIL
del Tavolo Tecnico per il riesame delle domande dei lavoratori ex esposti
amianto delle aree industriali di Ottana e Assemini, prevista per il prossimo
12 ottobre a Cagliari.
Si tratta,
hanno dichiarato, di una importante apertura verso le richieste e le attese di
quanti hanno lavorato, fin dagli anni ‘70, nelle aziende dei due poli chimici
sardi e dalle loro famiglie: ci si augura, come promesso dai responsabili
regionali INAIL in occasione della conferenza stampa dello scorso 4 febbraio a
Cagliari, che vengano riviste le procedure che, nel tempo, hanno portato al
rigetto della quasi totalità delle domande per il riconoscimento dello status
di lavoratori ex esposti all’amianto e al riconoscimento di malattia
professionale: per citare il caso Ottana, rispettivamente appena 12 su 1.441 e
soltanto 6 su 77!
Come è noto,
e ripetutamente denunciato, tali scelte furono conseguenti alla relazione Contarp
INAIL del 2003, che negava la presenza di amianto in quantità pericolose per la
salute, in base ai parametri di legge. I drammatici eventi che si sono
susseguiti negli anni, hanno purtroppo dimostrato che sono innumerevoli i casi
di lavoratori ex Enichem, malati e deceduti per patologie amianto-correlate,
per i quali si chiede, da un lato giustizia, e dall’altro misure di prevenzione
efficaci, con l’adeguamento dei protocolli di sorveglianza sanitaria, su cui si
attendono, a breve, indicazioni da parte della Regione, come a suo tempo
annunciato.
Il caso dei
lavoratori sardi esclusi dai benefici di legge relativi alla esposizione
amianto, ha assunto nell’arco degli ultimi mesi una valenza nazionale, con
interrogazioni e interpellanze regionali e nazionali e con una audizione in
Senato e con l’avvio di una indagine della Magistratura tutt’ora in corso.
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From:
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent:
Saturday, October 08, 2016 6:16 PM
Subject: PROCESSO ILVA “AMBIENTE
SVENDUTO”: MEDICINA DEMOCRATICA RICONOSCIUTA PARTE CIVILE
COMUNICATO
STAMPA
PROCESSO
ILVA “AMBIENTE SVENDUTO”: MEDICINA DEMOCRATICA RICONOSCIUTA PARTE CIVILE
Oggi
è ripreso il processo ILVA contro i 47 imputati accusati di numerosi e pesanti
reati: associazione per delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di
sostanze alimentari, corruzione, concussione e altro.
Medicina Democratica, Movimento di lotta per la
salute, difesa dall’avvocato Sergio Bonetto del foro di Torino, è stata
riconosciuta parte civile. Anche se si tratta di un ennesimo riconoscimento
occorre sottolineare che questo processo è assolutamente importante e di vaste
dimensioni. Sono tante le vittime. Non solo lavoratori, ma anche cittadini; una
grande fabbrica siderurgica e un’intera città.
Ancora una volta e con grande ampiezza si è posta
la contraddizione fra lavoro, salute e ambiente. Che si deve fare: chiudere la
fabbrica e licenziare i lavoratori oppure per salvaguardare l’occupazione
accettare l’enorme carico di nocività e di inquinamento ambientale dato?
“La fabbrica va fermata o rallentata per diminuire
al minimo i danni prodotti”. Così si è pronunciato il presidente della Regione
Puglia Michele Emiliano che ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale l’ultimo
decreto legge ILVA “per lesione del principio leale di collaborazione che
dovrebbe ispirare l’operato del legislatore”. Che cosa potrebbe succedere se
passassero le modifiche stabilite alla Costituzione?
Medicina Democratica seguirà puntualmente lo
svolgersi del processo, come ha già fatto per quelli contro la Thissen-Krupp e la Eternit e darà il suo
apporto perché l’intero movimento di lotta per la salute si unisca per mostrare
come salute e lavoro non sono in contraddizione: la vera e fondamentale
contraddizione è il profitto.
per Medicina Democratica
Fulvio
Aurora
Milano 4
ottobre 2016
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday,
October 09, 2016 10:43 PM
Subject: IL MERCATO DEL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT
08/10/2016
IL MERCATO DEL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT
Dalle rilevazioni ISTAT, INPS e Ministero del Lavoro emerge come dall’attuazione del Jobs Act la segmentazione del mercato del lavoro e con essa il precariato si siano accentuate.
Di fronte alle
contradditorie informazioni sull’andamento dell’occupazione che giungono dalle
diverse fonti (ISTAT, INPS, Ministero del Lavoro,
OCSE, ecc.) sembra
sempre più complicato formarsi una chiara opinione sugli effetti del Jobs Act. E certo non aiutano le sistematiche
strumentalizzazioni governative nella lettura dei dati.
Nonostante la
confusione sul tema, tuttavia, non è il caso di disperare né di abbandonarsi a
un fatalismo rassegnato o, peggio, alla tentazione di pensare che “qualcosa di
buono starà pure accadendo”.
Una volta eliminate
le distorsioni del governo e della grancassa mediatica al suo seguito, dai dati
emergono infatti alcune chiare indicazioni. Vediamo di sintetizzarle: nell’insieme
si tratta di sottolineare nuovamente i modesti effetti sulla dinamica dei nuovi
occupati e, per altro verso, il ruolo giocato dal Jobs Act, dopo diversi anni di
crisi, nell’ulteriore deterioramento della qualità dell’occupazione.
Sul primo punto c’è
poco da dire. In effetti, il governo è rimasto solo a magnificare i risultati
della riforma. Dall’UE, all’OCSE e fino alla BCE sono arrivati nelle ultime
settimane chiari segnali di un netto ridimensionamento della capacità di
stimolo alla crescita occupazionale: l’incremento dei posti di lavoro in
Italia, nel bel mezzo della presunta “rivoluzione copernicana”, è stato debole
e inferiore a quello degli altri paesi dell’UE, deludendo così le attese.
Beninteso, nessuno
degli organismi e istituzioni citate manca mai di rinnovare l’appoggio al Jobs
Act. Anzi! Ma questo è piuttosto ovvio: è perlomeno dagli inizi degli anni
novanta che nella loro agenda di riforma del mercato del lavoro italiano e
europeo l’UE, la BCE
e l’OCSE promuovono molte delle iniziative centrali nella riforma del governo
Renzi, prima fra tutte la definitiva eliminazione di qualsiasi protezione
contro i licenziamenti. Com’è noto, peraltro, le ricette in questione nel tempo
non hanno dato alcuna prova della loro efficacia.
Passando al secondo
punto, è opportuno soffermarsi su alcuni dati che evidenziano le macroscopiche
responsabilità del Jobs Act rispetto alla perdurante perdita di qualità dell’occupazione:
da tutte le rilevazioni (ISTAT, INPS e Ministero del
Lavoro) emerge come dall’attuazione della riforma la
segmentazione del mercato del lavoro e con essa il precariato si siano
accentuate. E’ cresciuta cioè la quota di lavoratori a tempo determinato; il
lavoro si precarizza sempre più anche in virtù del massiccio utilizzo del lavoro accessorio. In tal senso, l’esplosione del
fenomeno è documentata dalla inarrestabile crescita nell’utilizzo dei voucher; è cresciuto il lavoro part
time, per sua natura lavoro poco qualificato e una delle
principali cause della segregazione di genere nel mercato del lavoro; la
disoccupazione giovanile rimane a livelli impressionanti e, come emerge dagli
ultimi dati ISTAT relativi ad agosto, la nuova occupazione nei primi otto mesi
del 2016 continua a essere concentrata quasi per intero sugli over 50.
Un fenomeno
recentemente registrato dai dati del Ministero del Lavoro merita una
particolare attenzione. Secondo i dati ministeriali relativi al secondo
trimestre 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, c’è stata una riduzione
delle nuove attivazioni di rapporti di lavoro pari al 12%. Le attivazioni a
tempo indeterminato (volendo classificare così i contratti a tutele crescenti)
dal secondo trimestre del 2015 diminuiscono invece del 29% (del 30% rispetto al
primo trimestre del 2015, quando prende avvio la riforma). Le attivazioni si
riducono anche rispetto al 2014 (-5% rispetto al secondo trimestre).
I dati del Ministero
forniscono poi ulteriori spunti. In primo luogo, nel secondo semestre aumentano
significativamente su base annua (+7,4%) i licenziamenti tra le cause di
cessazione dei rapporti di lavoro. Mentre diminuiscono le cessazioni per
richiesta del lavoratore (-25%). A ciò si aggiunga che, in parallelo con la
diminuzione dell’utilizzo di contratti a tempo indeterminato, si assiste a una
sensibile crescita delle attivazioni in apprendistato (+26%) che, in virtù
delle misure di incentivo previste (tra l’altro) dal programma Garanzia Giovani (GG), godono di sostanziosi bonus per le
assunzioni. Il collegamento tra i due fenomeni appare chiaro: si tratta di una
strategia di risparmio (salariale e contributivo) da parte delle imprese, con
un effetto di sostituzione dei contratti a “tutele crescenti” in una fase in
cui gli sgravi per le assunzioni si sono notevolmente ridotti.
Il riferimento al programma GG ci consente di approfondire alcuni
interessanti aspetti. Com’è noto GG è il più importante (e costoso) esempio di
politica attiva del lavoro; ossia un esempio di quelle politiche che dovrebbero
puntare a formare, aggiornare e rendere “occupabile” il lavoratore disoccupato.
E’ altrettanto noto come la forte enfasi sulle politiche attive, al pari della
già citata richiesta di eliminazione delle protezioni contro i licenziamenti
ingiustificati, sia ormai da decenni un cavallo di battaglia delle politiche
dell’UE e dell’OCSE. La stessa enfasi è andata di pari passo con la richiesta,
che purtroppo ha trovato anch’essa puntuale riscontro nei governi europei, di
riduzione delle “politiche passive”. Insomma, più politiche attive e meno
sussidi di disoccupazione.
Inutile dire (perché
esperienza comune di chiunque si sia trovato inserito in percorsi di “attivazione”)
che le politiche attive, in particolar modo in una fase di elevata disoccupazione
come l’attuale, non hanno avuto alcuna capacità di migliorare la condizione dei
milioni di disoccupati italiani. E ciò è facilmente comprensibile: quando il
numero di posti vacanti rappresenta una percentuale irrisoria rispetto al
numero di disoccupati le politiche attive a poco servono. O meglio, date tali
condizioni, la qualificazione dell’offerta per una domanda di lavoro
inesistente finisce per essere utile solo alle agenzie di formazione che
ricevono enormi flussi di finanziamento pubblico.
A vedere i risultati
di GG dopo più di due anni dalla sua attuazione questo quadro viene confermato
in toto: i contratti di lavoro (spesso precari e che permettono alle imprese
che assumono di godere di un bonus occupazionale) raggiungono appena il 5% degli
iscritti al programma, mentre una quota assai più elevata di “misure” erogate
ai partecipanti si concretizza in tirocini extracurriculari e altre forme di
lavoro sottopagato (ovviamente precario) e sovvenzionato con fondi pubblici.
Tirando le somme, non
è difficile vedere quali siano le principali implicazioni del Jobs Act: un
mercato del lavoro in cui si generalizza la ricattabilità e con essa la
disciplina e il controllo sul lavoro. In cui si restringono per i lavoratori i
margini di organizzazione e mobilitazione e aumentano sensibilmente, al
contrario, i margini per il dispotismo delle imprese. Insomma un quadro
caratterizzato dalla chiara volontà di imporre riduzioni salariali, aumenti dei
carichi e dell’intensità del lavoro.
D’altra parte è chiaro
come tale autoritarismo trovi una sua
espressione più propriamente politica (nel senso di statuale) nella riforma costituzionale su cui il referendum del 4 dicembre prossimo ci chiamerà ad
esprimerci. Una riforma che non a caso trova il sostegno dell’UE, dell’OCSE,
della BCE ecc.
Insomma, una riforma
che “tutti ci chiedono”.
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From:
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Monday, October 10, 2016 2:42 PM
Subject: PER L’UNIFICAZIONE DATA SCIOPERO GENERALE
INDETTO DALLE SIGLE DEL SINDACALISMO DI BASE
LETTERA DA
CUB, CAT, USB TOSCANA PER L’UNIFICAZIONE DELLA DATA DELLO SCIOPERO GENERALE
INDETTO DALLE SIGLE DEL SINDACALISMO DI BASE IN 3 DATE DIVERSE
Alle strutture nazionali del sindacalismo di base.
La fase che viviamo vede i lavoratori sempre più compressi dall’aggressione
del fronte padronale e dalle vergognose scelte governative in ossequio ai
dettami del capitale che, incontrastato, non si accontenta e punta al “banco”.
Alla risposta complice, flebile e patetica che viene da parte del
sindacalismo concertativo (ma soprattutto asservito) nei luoghi di lavoro si
stanno affiancando molte realtà di lotta (reale) che chiedono a gran voce e da
tempo di potersi riconoscere in un riferimento sindacale unitario e unito.
In Ferrovia, da oltre due anni e mezzo scioperiamo e lottiamo per avversare
le controriforme governative (Legge Fornero, Jobs Act, cancellazione articolo 18)
e per la democrazia sindacale, contro la privatizzazione e per la sicurezza
(abbiamo colleghi tuttora licenziati per averla difesa e pretesa), e da mesi
per un CCNL che migliori le condizioni di lavoro ormai insostenibili. E questa
vertenza ha già visto 14 scioperi nazionali molto partecipati proclamati quasi
tutti nelle stesse date dalle sigle del sindacalismo di base riunite in un
fronte di lotta.
E in Toscana gli attivisti del sindacalismo di base delle ferrovie hanno
dato vita a un coordinamento che, scevro dal condizionamento di sigla e
cosciente della gravità della situazione, punta a costruire dal basso la reale
unità di intenti dei ferrovieri che nasca dal fare e soprattutto dal fare
insieme. Tanto è vero che vi prendono parte anche lavoratori non iscritti ad
alcun sindacato.
I ferrovieri e le ferroviere che partecipano alle vertenze e alle
mobilitazioni, guardano con grandissimo interesse a tutti i processi unitari e,
ad oggi, vedono con sgomento la frammentazione con cui, OGNI SIGLA, veleggia SOLA E FIERA verso il proprio SCIOPERO GENERALE, ciascuna in concorrenza con l’altra,
sottolineando le divisioni e il prevalere delle ragioni della propria
appartenenza di sigla anziché l’interesse generale della classe lavoratrice.
Non solo: questa micronizzazione dello sciopero è deleteria perchè da una
parte mette ogni lavoratore nella condizione di dover scegliere a quale
sciopero aderire (con il rischio prevedibile che, contrariato e confuso, non
parteciperà ad alcuno di essi), dall’altra impedisce, nei settori come le
Ferrovie sottoposti alla “legge antisciopero” (146/90, 83/00), per effetto
della rarefazione oggettiva, qualsiasi azione sul versante delle vertenze
aziendali, nazionali o territoriali, in corso.
E proprio perchè è dal fare e dal lottare Uniti che auspichiamo possa
nascere quel riferimento che serve ai lavoratori per cominciare a invertire i
rapporti di forza, lanciamo l’appello affinchè, con urgenza, si pervenga alla
convergenza delle iniziative di sciopero (manifestazione, corteo e quant’altro)
in un’unica data, per concentrare e rendere efficace lo sforzo e la
partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici.
CHIEDIAMO CON FORZA UN’UNICA DATA PER LO SCIOPERO
GENERALE!
7 ottobre 2016
Attivisti di base delle Ferrovie Toscana
CUB Trasporti
CAT Toscana
USB Unione Sindacale di base
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