mercoledì 12 ottobre 2016

12 ottobre - da M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 12/10/16



INDICE

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
PIACENZA, IL SILENZIO COMPLICE E LA RISPOSTA NECESSARIA

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
ABD VIVE NELLE LOTTE: ACCORDO RAGGIUNTO CON GLS PER LA STABILIZZAZIONE DEI LAVORATORI A TERMINE

PIOMBINO: PER GLI INTERESSI COLLETTIVI, PER UN LAVORO UTILE E DIGNITOSO

Alessio Di Florio abruzzo@ritaatria.it
DALLE LOTTE DELLA LOGISTICA A PIACENZA ALL’ILVA DI TARANTO, QUANDO SI MUORE DI LAVORO

INFORTUNI IN ALTO ADIGE: ECCO I PERCHE’

Maura Crudeli maura.crudeli@yahoo.it
To:
L’AIEA ONLUS PARTECIPERA’ALL’ASSEMBLEA DEI POPOLI CHE SI TERRA’ ALL’AJA IN OCCASIONE DEL TRIBUNALE MONSANTO

CONVOCATO TAVOLO TECNICO PER RIESAME LAVORATORI OTTANA E ASSEMINI

PROCESSO ILVA “AMBIENTE SVENDUTO”: MEDICINA DEMOCRATICA RICONOSCIUTA PARTE CIVILE

La Città Futura noreply@lacittafutura.it

IL MERCATO DEL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT


PER L’UNIFICAZIONE DATA SCIOPERO GENERALE INDETTO DALLE SIGLE DEL SINDACALISMO DI BASE



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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, October 02, 2016 8:18 PM
Subject: PIACENZA, IL SILENZIO COMPLICE E LA RISPOSTA NECESSARIA

Ieri, sabato 17, a Piacenza, eravamo almeno in 3.000 a ricordare Abd Elsalam. Più del doppio dei numeri annunciati il giorno prima dai giornali, che riprendevano le comunicazioni della questura.
Gli stessi giornali invitavano gli abitanti e i commercianti del centro città a chiudere case e negozi, annunciando pericoli senza alcun fondamento, come ha dimostrato la manifestazione: determinata, decisa ma composta. Puro terrorismo psicologico finalizzato a isolare un corteo che si è snodato per le vie blindate di una città semi-deserta e che è stato clamorosamente oscurato dai media: pochi articoli in alcuni giornali locali e nell’edizione locale di Repubblica, che minimizzavano la partecipazione e millantavano scontri mai avvenuti. Non solo omissioni e mezze verità, ma anche vere e proprie falsità quelle usate dai giornali per nascondere la reazione di rabbia e solidarietà che ha suscitato il tragico avvenimento di giovedì notte. L’unico telegiornale che ha dato un po’ di spazio alla giornata di ieri è stato il TG3, che ne ha fornito una cronaca fedele all’interno di un servizio dedicato alle due drammatiche morti bianche avvenute all’ILVA e all’ATAC.
Se degli operai, quindi, si può parlare (e se ne deve parlare, perchè si tratta della vita di decine di milioni di abitanti del paese), lo si deve fare presentandoli come vittime di tragedie e mai come possibili protagonisti del proprio destino. Per questo la morte di Abd Elsalam è stata immediatamente oggetto di un revisionismo sfacciato, per questo la Procura ha agito sin da subito perchè quanto accaduto potesse essere spacciato per un incidente, addirittura un banale incidente stradale! Quando mai si è visto un Pubblico Ministero chiudere le indagini in meno di due ore e avanzare la tesi più garantista possibile verso il proprio accusato?
La questione, chiaramente, non è quella della responsabilità giuridica del singolo, o almeno non primariamente. La questione centrale è che in questo modo si oscurano le dinamiche politiche e sociali che ci hanno portato a questa tragedia e che non hanno niente di accidentale. Sono quelle che hanno lasciato mano sempre più libera ai padroni nel trattare i propri dipendenti come merci da smistare. Sono i governi antioperai, sono gli opportunismi sindacali, è la spietata concorrenza internazionale dei capitali che si accompagna alle leggi che ci dividono lungo confini nazionali sempre più militarizzati: è tutto questo che fa sì che i padroni non sopportino e non contemplino nemmeno l’idea che qualcuno possa alzare la testa e protestare, facendolo davvero, colpendo i loro profitti. Per loro dovremmo morire in silenzio, ottenendo al massimo una notizia in seconda o terza pagina.
Per questo la morte di Abd Elsalam non è una morte come le altre e per questo bisognava spacciarla come tale. Perchè c’era in nuce quel protagonismo operaio a cui spesso ci hanno abituato le lotte della logistica, quel protagonismo che può invertire la rotta che ci ha portato fino a questo punto e che va quindi nascosto e ostacolato. Lo si fa parlando di incidente o anche buttandola sulla guerra tra poveri, come se la concorrenza tra lavoratori e le divisioni che lacerano il corpo della nostra classe non fossero uno strumento dell’interesse padronale, fomentato e montato ad arte dai padroni stessi. Le catene di subappalti, l’intermediazione di manodopera, il caporalato, i finti padroncini, le finte partite IVA, le coop truffaldine, ecc., sono strumenti nelle mani dei padroni per dividere il fronte dei lavoratori.
E il rimedio sta in quella lotta che portano avanti, tra gli altri, proprio sindacati di base come l’USB, a cui Abd era iscritto, e che secondo l’editoriale del Corriere della Sera sarebbero paradossalmente da annoverare tra le patologie infiltratesi nel settore al pari dei fenomeni mafiosi di cui sopra.
Per questo probabilmente, intervistati in lacrime durante il corteo dalle telecamere del TG3, la moglie e il fratello di Abd ripetevano che l’unica cosa che conta ora per loro è che emerga la verità. Perché davvero la verità è rivoluzionaria. Non solo la verità che fa emergere i fatti facendosi strada tra le menzogne della propaganda giornalistica, ma anche quella che sa guardare oltre le apparenze, oltre le divisioni di cui approfitta chi ci vuole sottomessi e in lotta tra noi per le poche briciole che ci concede.
Ieri chi era a Piacenza ha scorto dei barlumi di questa unità, ha visto la possibilità che diventi qualcosa di più: c’era tanto mondo del lavoro, al di là delle divisioni sindacali, con i cori dei facchini del Si Cobas che hanno intonato lungo l’intero percorso “siamo tutti Abd Elsalam”. E c’erano anche compagni e compagne da tutta Italia a portare la loro solidarietà. E soprattutto ci sono i presidi e, ancor di più, gli scioperi spontanei che hanno coinvolto decine di città e di luoghi di lavoro, dalla logistica alle fabbriche metalmeccaniche, nei giorni scorsi. Episodi importanti, per niente scontati in questi tempi di sconforto e che cercheremo di sostenere e valorizzare nelle prossime giornate. Episodi che inoltre si intrecciano col significativo impatto che sembra aver avuto questa storia nella sensibilità collettiva almeno agli inizi, almeno a giudicare dal numero di condivisioni e visualizzazioni del primo articolo di Repubblica sull’accaduto e dalla copertura dell’hashtag #piacenza su twitter.
Certo, ancora poco rispetto alla gravità di quanto accaduto e, soprattutto, rispetto a quello di cui avremmo bisogno. Ma se fossimo in una situazione diversa probabilmente Abd Elsalam sarebbe ancora qui.
Questo è il materiale che abbiamo a disposizione, sta a noi tradurlo in una mobilitazione in grado di invertire la tendenza che ci vuole servi nei luoghi di lavoro e sudditi fuori di essi, lottando contro le forme assunte dallo sfruttamento e i progetti dittatoriali travestiti da riforme costituzionale.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, October 02, 2016 8:18 PM
Subject: ABD VIVE NELLE LOTTE: ACCORDO RAGGIUNTO CON GLS PER LA STABILIZZAZIONE DEI LAVORATORI A TERMINE

Lo abbiamo scritto: Abd Elsalam è morto lottando in difesa degli interessi dei propri colleghi precari, buttati fuori come pacchi una volta scaduto l’appalto della cooperativa a cui la GLS affida la sua manodopera.
Lottando contro questa forma legalizzata di caporalato, come da anni ormai succede davanti ai magazzini della logistica, è stato travolto da un TIR che ha sfondato il picchetto seguendo le pressioni dei capetti aziendali. 
Pochi giorni fa, anche a seguito della mobilitazione seguita a questo tragico incidente, è stato siglato un accordo per la ricollocazione di questi e altri lavoratori precari tra la GLS e le controparti sindacali: USB, a cui Abd era iscritto, SI Cobas e ADL Cobas, da sempre protagonisti di queste lotte e ormai maggioritari nei magazzini dell’azienda. 
Pubblichiamo allora di seguito il comunicato di ADL e SI Cobas, che sottolinea l’importanza della mobilitazione comune per costringere le aziende ad ascoltare i lavoratori rivolgendosi a chi li rappresenta davvero. Considerazioni importanti in vista della riforma della contrattazione collettiva e della revisione del diritto di sciopero che aleggia nei piani del Governo.
PIACENZA: RAGGIUNTO IN PREFETTURA UN ACCORDO CHE APRE UN NUOVO PERCORSO SULL’UTILIZZO DEI CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO PER TUTTI QUEI LAVORATORI CHE HANNO AVUTO PRECEDENTI RAPPORTI DI LAVORO IN GLS
Nella serata di giovedì 22 settembre, presso la Prefettura di Piacenza è stato siglato un accordo tra le parti sociali, GLS, SEAM, Natana, Comune di Piacenza, Questura, SI Cobas, ADL Cobas, USB, alla presenza del Prefetto, nel quale si è cominciato a mettere le basi per ricercare regole certe per la collocazione lavorativa di chi ha avuto precedenti rapporti di lavoro a tempo determinato all’interno del magazzino GLS di Piacenza, senza lasciare all’arbitrio delle aziende appaltatrici la decisione di assumere un lavoratore piuttosto che un altro.
GLS si è impegnata ad investire dei capitali per aprire un nuovo Hub nell’area piacentina entro sei settimane, nel quale dare avvio a questo percorso con un aumento della forza lavoro oltre il numero di occupati nel vecchio magazzino dove è morto Elsalam.
Certo, la questione di regolamentare l’uso dei tempi determinati è molto complessa, in quanto si intrecciano esigenze vere (picchi di lavoro, persone in malattia, maternità, ferie e quant’altro) con l’uso strumentale di questo istituto che, grazie alle nuove normative, di fatto, non è neanche più impugnabile dai sindacati per vie legali.
Diventa allora importante essere riusciti, attraverso la lotta, a costringere GLS ad aprire questo tavolo, previsto dall’accordo, nel quale si dovranno concordare modalità e criteri per ricollocare lavoratori che sono stati precedentemente impiegati a tempo determinato nell’attuale Hub di Piacenza.
Questa lotta aveva visto realtà sindacali diverse scendere in campo attorno alle vicende del magazzino GLS di Piacenza con forti divisioni. Il fatto che alla fine ci sia stato un tavolo congiunto e che si sia arrivati a condividere un accordo è il dato politicamente più significativo e dovrebbe servire anche ad aprire una profonda riflessione nei rapporti che esistono tra realtà sindacali che si muovono sul terreno del conflitto. In particolar modo ci preme sottolineare (cosa che abbiamo fatto anche in sede di trattativa in Prefettura) che qualsiasi tipo di accordo che riguardi direttamente i lavoratori di una fabbrica o di un magazzino debba muoversi nella direzione di trovare il consenso dei lavoratori che sono presenti al loro interno. Diversamente la firma di accordi siglati anche in sedi istituzionali, che non abbiano questo fondamentale requisito, rischiano di riprodurre dinamiche che ci vedono in netto contrasto con tale impostazione, che è invece una caratteristica costante delle politiche di CGIL, CISL e UIL le quali, in nome della rappresentatività formale perché firmatari di contratti nazionali, firmano accordi in sede aziendale anche con pochissimi iscritti in barba alla stragrande parte dei lavoratori (come è già avvenuto in tanti casi dove SI Cobas e ADL Cobas erano in stragrande maggioranza rappresentativi).
Per questo abbiamo insistito molto, come Si Cobas e ADL Cobas, anche mettendo in atto forme di pressione molto forti, fermando tutti i magazzini dove rappresentiamo la stragrande maggioranza dei lavoratori, sul fatto che un tavolo in Prefettura a Piacenza senza la presenza delle nostre due Organizzazioni Sindacali non solo era sbagliato, ma avrebbe contribuito a lacerare ulteriormente il clima che si era venuto a creare a seguito della morte di Abd ElSalam. 
A seguito di queste riflessioni abbiamo accolto positivamente la convocazione del tavolo congiunto che ha portato poi all’accordo.
Nessuno potrà mai restituire la vita ad Abd El Salam e oggi, ci sentiamo ancora di più vicini ai suoi cari ed è per questo motivo che dobbiamo onorare questo lavoratore, morto ammazzato per rivendicare diritti per chi non aveva un rapporto di lavoro stabile e per avere lottato contro l’uso strumentale della precarietà.
Metteremo in atto tutto quello che è possibile fare per aiutare la famiglia (già nei primi giorni abbiamo raccolto nei magazzini di Piacenza 8.500 euro che abbiamo dato alla moglie) e cercheremo di ricavare un grande insegnamento da quello che è successo, sia concretizzando l’accordo della Prefettura con il mantenimento delle conquiste che avevamo ottenuto sul piano economico e normativo nel magazzino dove è partita la lotta dove ha perso la vita Abd Elsalam ottenendo nuovi diritti per i lavoratori che avevano lavorato con contratti a tempo determinato, sia imparando a costruire relazioni tra realtà sindacali diverse che non sfocino in sterili contrapposizioni, avendo sempre l’attenzione a mettere al primo posto gli interessi dei lavoratori.
SI COBAS
ADL COBAS

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From: Resistenza resistenza@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday, October 03, 2016 8:25 AM
Subject: PIOMBINO: PER GLI INTERESSI COLLETTIVI, PER UN LAVORO UTILE E DIGNITOSO

La lettera che riportiamo è un contributo all’iniziativa “Non vogliamo contrapposizione tra lavoro e ambiente: bonifiche, salvaguardia del territorio, strade e ferrovie, UNA LOTTA COMUNE!” promossa dal coordinamento “Articolo 1 Camping CIG” di Piombino all’interno del “Camping Abd Elsalam Ahmed Eldanf” (tenuto a Piombino dal 23 al 30 settembre) a cui una compagna del Partito dei CARC ha partecipato.
L’iniziativa ha avuto come obiettivo il confronto tra diverse realtà di lotta sugli obiettivi da porsi per risollevare un territorio come Piombino martoriato dallo smantellamento del suo polo industriale e dalla grave crisi ambientale in cui si ritrova. Lo scritto vuole essere un ulteriore strumento per alimentare il dibattito sulle prospettive che oggi le masse popolari organizzate e la classe operaia possono mettere in campo per mettere mano alla crisi in corso, a cui la classe dominante non vuole e non può trovare soluzione.
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Ho partecipato ad un’assemblea che si è tenuta presso Camping CIG, col proposito di portare la mia esperienza e dare un contributo per lo sviluppo della lotta comune per un lavoro che sia utile e dignitoso.
La tematica del tavolo era relativa alla bonifiche e anche se poi gli organizzatori hanno deciso di trattare di altro, sono emersi spunti che si legano alla mia esperienza e che mettono in evidenza che per ogni questione che ci troviamo ad affrontare, che sia la perdita di posti di lavoro, che sia la realizzazione di un piano industriale o la costruzione di una strada, ci ritroviamo a discutere di qual è l’amministrazione comunale, regionale o governo nazionale che rispetta il bene comune e che caratteristiche deve avere: quella della “sudditanza” alle multinazionali e a chi ha ricchezze o quella di stare dalla parte di chi le ricchezze le produce, di chi vive sul territorio e ne incarna lo sviluppo?
Si è trattato anche della contraddizione tra lavoro e ambiente e ho pensato alla realtà di Massa, in cui vivo, dove, dopo gravi incidenti dell’84 e dell’88, alcune fabbriche furono smantellate perché inquinanti e si persero posti di lavoro, invece di procedere nell’immediato alla bonifica del territorio e alla riconversione assegnando a quelle aziende un altro tipo di produzione di beni e servizi utili alla collettività.
Il punto è questo: si tratta di eliminare produzioni inutili e dannose, riconvertire le fabbriche destinandole alla produzione di beni e servizi utili alla collettività mantenendo posti di lavoro e creandone anche degli altri e laddove le fabbriche sono utili, si tratta di ridurre al massimo l’inquinamento che producono: è una questione di volontà politica e di amministrazioni disposte ad attuare questa strada, disposte ad agire per il bene e nell’interesse della collettività e nel fare questo abbiano il coraggio e la spinta a prendere le misure necessarie che porteranno inevitabilmente ad uno scontro perché saranno per lo più misure di rottura con gli interessi delle multinazionali e in generale dei poteri forti. Tutto ciò è emerso molto bene nella discussione presso il tavolo organizzato da Camping CIG, dove in diversi hanno messo in evidenza come l’attuale amministrazione sia completamente al servizio di Rebrab, ma a differenza delle precedenti non si troverà neppure ad avere una contropartita in posti di lavoro stante la crisi dell’acciaio, la mancanza di fondi e di piani industriali chiari e seri.
Oggi abbiamo bisogno di Amministrazioni che tutelino il posto di lavoro, così come l’ambiente, la sanità, l’istruzione, le infrastrutture, i sentimenti e le aspirazioni delle masse popolari e dei lavoratori di condurre una vita dignitosa. E’ possibile questo? Si, è possibile se ci organizziamo in comitati in ogni fabbrica, nei quartieri, nelle scuole e se ci coordiniamo per difendere e migliorare i diritti conquistati fino ad arrivare a fare quello che le istituzioni non fanno. In altre parole si tratta di applicare quanto dice la Costituzione che non a caso vogliono riformare, per avere mano ancora più libera nel produrre profitti che distruggono le nostre vite, che non ci assicurano il lavoro, la sanità, le scuole, i trasporti efficienti...
L’esperienza di Coordinamento Camping CIG va in questa direzione, così come quella delle Mamme No Inceneritore della piana fiorentina, il Movimento No TAV...
Quello che si sta muovendo sui territori è quindi molto importante e dev’essere ampliato, valorizzato perché è l’unica strada che realmente può portarci verso l’uscita dal marasma.
Dobbiamo prendere in mano l’iniziativa, passare dalla protesta alla proposta di nuove soluzioni e di attuarle noi stessi laddove è già possibile farlo e con i mezzi di cui disponiamo altrimenti i mezzi ce li dobbiamo cercare. E’ importante lo scambio di esperienze ed è fondamentale il coordinamento di questi organismi che oggi ci sono, esistono, combattono, ma ancora in maniera confusa e scoordinata. Questi sono i primi passi per vedere rispettati nuovamente i nostri diritti e come dice bene il Coordinamento Camping CIG a partire dall’articolo 1 che recita che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Elena Tartarini

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From: Alessio Di Florio abruzzo@ritaatria.it
To:
Sent:Tuesday, October 04, 2016 09:47 AM
Subject: DALLE LOTTE DELLA LOGISTICA A PIACENZA ALL’ILVA DI TARANTO, QUANDO SI MUORE DI LAVORO

ALL’IMPROVVISO HO VOGLIA DI DORMIRE
DALLE LOTTE DELLA LOGISTICA A PIACENZA ALL’ILVA DI TARANTO, QUANDO SI MUORE DI LAVORO
di Alessio Di Florio
“Un nostro compagno, un nostro fratello è stato assassinato durante il presidio e lo sciopero dei lavoratori della SEAM, ditta in appalto della GLS questa notte davanti ai magazzini dell’azienda. […] Questo assassinio è la tragica conferma della insostenibile condizione che i lavoratori della logistica stanno vivendo da troppo tempo. L’USB si impegna alla massima denuncia dell’accaduto: violenza, ricatti, minacce, assenza di diritti e di stabilità sono la norma inaccettabile in questo settore. […] Il responsabile del magazzino della GLS incitava i camion ad investire i lavoratori che avevano fatto un picchetto davanti ai cancelli dell’azienda”.
A dichiararlo è Elsayed Eldani, il fratello del lavoratore del GLS ucciso ieri notte a Piacenza. “Diceva “andate avanti, andate avanti, asfaltatelo come un ferro da stiro”” racconta in lacrime il fratello.
I giorni passano, frenetici e vorticosi, e i riflettori della cronaca hanno abbandonato Piacenza. Abbiamo letto, visto, ascoltato tante parole, testimonianze, dichiarazioni.
Il giorno successivo, supportata anche dal Pubblico Ministero, ha cercato d’imporsi una “verità” che non ci fosse nessun picchetto, nessuna manifestazione, che fosse stata solo una tragica fatalità. Una dinamica che ricorda quanto accaduto dopo la morte di Emanuel a Fermo.
Ma queste parole, delle ore immediatamente successive, sono rimaste intatte, non si son lasciate accantonare e, anzi, restano (e devono rimanere) scolpite. Per Abd Elsalam, per i lavoratori che in queste settimane hanno animato scioperi, manifestazioni, picchetti e tanto altro nel suo nome.
E per tutti noi.
Perché i fatti di quella notte parlano, gridano, a tutti. Impongono riflessioni che non si fermano a Piacenza, ma attraversano l’Italia intera. Descrivendo la realtà di un lavoro che troppo spesso fa rima con diritti negati, invisibilità, sopravvivenza o morte.
E incapacità di alzare la testa, di indignarsi, protestare, costruire un qualsivoglia movimento che possa modificare lo stato di cose presenti. Abd Elsalam non era uno dei lavoratori coinvolti nella vertenza, non era uno dei precari che stavano rischiando il lavoro.
Aveva un contratto a tempo indeterminato, la sua situazione economica personale non era a rischio. E quindi per molti, per tanti, quella sera poteva anche rimanere a casa, stendersi sul divano davanti il televisore. Perché quella non era una lotta che lo riguardava. E invece no, Abd Elsalam è andato, si è schierato in prima fila, ha preso un megafono e ha fatto sentire la sua voce.
Uno straordinario italiano, don Lorenzo Dilani, che non divideva il mondo tra compatrioti e stranieri ma tra “diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro” aveva fatto appendere alle pareti della sua scuola due parole “I Care”, mi interessa, m’importa, è anche mio.
E Abd Elsalam, che non sappiamo se conoscesse don Milani e la scuola di Barbiana, ha catturato e impresso nel cuore il suo “I Care”. “I Care” della sorte di quei lavoratori, di quei precari, di quelle persone che erano costrette a stare lì, anche di notte e sotto la pioggia, per poter affermare la loro esistenza, i loro diritti, per non rimanere invisibili.
Ma di “I Care”, di Abd Elsalam, l’Italia di oggi non abbonda. Come ha scritto il direttore Angelo Miotto, “hanno atomizzato il lavoro, le vite, hanno disperso le forze, hanno distrutto l’essere insieme”. Ma queste cose ormai sono del tutto evidenti.
Manca la forza che unisce, perché non è più vissuta come una priorità. Manca un pensiero, che sia pratica e che dica sempre cosa si può fare per spostare un centimetro più in là il progresso e i diritti di una civiltà.
E dovremmo domandarci, ancor di più dopo il suo sacrificio, il perché. Guardarci intorno, interrogarci, riflettere. E agire.
Mentre quest’articolo si va a completare, l’USB annuncia che a Piacenza è stato siglato un “positivo accordo” che prevede un “percorso di stabilizzazione per precari e condizioni contrattuali di miglior favore”.
Non può che essere salutato come un passo, un avanzamento, dei lavoratori. E quindi di ogni cittadino, di ogni lavoratore, di ogni figlio o figlia dell’umanità presente su questa porzione del globo.
Un passo di un percorso che attraversa tutta l’Italia delle tante Piacenza dove i precarissimi della logistica vivono le stesse condizioni. Antonello Mangano su Terrelibere.org già 3 anni lo definì “caporalato delle merci”.
Pubblicando un’inchiesta di RaiNews24 riportò che “il comparto comprende circa 500.000 addetti e fattura 200 miliardi di euro l’anno” dove “marocchini, egiziani, pachistani. Sono la manodopera che carica, scarica, trasporta ogni giorno tonnellate di merce con paghe basse e ritmi forsennati”.
Ma non è solo questo. Parole simili tante volte, ma mai abbastanza, le abbiamo lette e sentite per un altro settore dell’economia di questo Paese. Un settore che appare inscindibile, nell’Italia del 2016, dalla parola caporalato: l’agricoltura.
Quel caporalato che ha trovato, negli ultimi anni, addirittura forza e nuovi schiavi persino in provvedimenti di questo Stato. Lo abbiamo già raccontato quasi 3 anni fa: il documentario “Schiavi: le rotte di nuove forme di schiavitù” del regista RAI e giornalista indipendente Stefano Mencherini ha documentato come la cosiddetta “Emergenza Nord Africa”, nata dopo l’inizio della guerra alla Libia, ha portato “un enorme spreco di denaro pubblico e le tantissime violazioni dei diritti umani dei migranti, evidenziando come moltissimi siano poi divenuti vittime di una vera e propria schiavitù”.
Un’inchiesta sempre di Antonello Mangano pubblicata da L’Espresso nell’aprile dell’anno scorso ha documentato come a Mineo “il caporalato non c’era, è nato con il Cara” perché “i richiedenti asilo non ricevono i documenti previsti dalla legge italiana ed europea” e “di conseguenza, possono lavorare solo in nero” alimentando “uno sfruttamento mai visto prima”.
Mentre qualche mese prima avevano denunciato “il nuovo orrore delle schiave romene” a Ragusa che subiscono “ogni genere di violenza sessuale” durante veri e propri festini padronali. Meno di due giorni dopo Abd Elsalam, altri due lavoratori sono morti.
Un operaio rimasto folgorato nel deposito ATAC dei treni a Roma, “un incidente assurdo” secondo la FILT CGIL Roma e Lazio secondo cui “come ogni morte sul lavoro, poteva essere evitato, nessun ritardo può costare una vita e in nessuna circostanza la pressione e la fretta per garantire un servizio adeguato alla domanda di trasporto possono sopperire alle carenze negli organici, nell’organizzazione del lavoro, negli investimenti sulla sicurezza. Mancanze croniche, segnalate da anni e che adesso sarebbe troppo facile elencare, ma che conducono nelle peggiori ipotesi a questo genere di incidenti. Le procedure di lavoro devono essere rispettate, gli organici completati, i turni di riposo garantiti in ogni circostanza”.
E un altro operaio, Giacomo Campo, si è aggiunto al drammatico elenco di coloro che hanno trovato la morte nell’ILVA di Taranto, la fabbrica accusata sempre più di inquinamento devastante e della strage tumorale in città. Oltre che di non garantire alcuna sicurezza ai propri lavoratori.
Il 18 aprile 2006 un malore uccide Antonio Mingolla. Un anno dopo la vedova, Francesca Caliolo, scrive una lettera aperta al marito.
Una lettera commovente, violenta nei sentimenti, nella rabbia, nell’indignazione, quanto tenera nei ricordi e in quell’amore che resiste, che racconta come Antonio aveva visto diversi colleghi morire.
Sentiva di essere predestinato. Un giorno poteva toccare a lui. Ogni sera che tornava a casa era un altro giorno strappato al destino. Una famiglia da mantenere, i figli, la moglie. E sentiva di non poterci fare nulla.
Francesca Caliolo scrive che “a fine giornata pareva un bollettino di guerra, con incidenti di tutti i tipi: ustioni, intossicazioni, fratture e, qualche volta si moriva anche. Le morti ci lasciavano attoniti a pensare all’esagerato tributo da pagare in cambio di un lavoro di per sé duro e alienante” e le ultime parole che il marito potrebbe aver pensato “voglio cambiare lavoro, non ce la faccio più, sono stanco, stanco, così stanco che all’improvviso ho voglia di dormire, mi si chiudono gli occhi, squilla il cellulare, dormo”.
Fulvio Colucci e Giuse Alemanno nel 2011 hanno scritto un libro “Invisibili: vivere e morire all’ILVA di Taranto”.
Un titolo più che eloquente di quel che viene riportato nel libro. “I lavoratori dell’appalto sembrano gli ultimi degli ultimi, a volte vedo capisquadra che approfittano di quelli delle ditte sottomettendoli. C’è chi lavorava con i jeans, chi ha indossato la tuta marrone. Con la polvere, di notte, è ancora più invisibile. Rischia di essere schiacciato da camion e auto” leggiamo nella testimonianza di Colucci riportata da Comune-Info.
“Ora stanno lì: africani, indiani, turchi. Lavorano indossando quello che trovano: entrano nel forno, smantellano i refrattari, senza maschere. E’ venuta l’ASL ha fatto i controlli. L’amianto è stato smantellato da un’azienda specializzata. Gli extracomunitari sono andati allo sbaraglio. Il forno è diventato una torre di Babele ed è pericoloso, se non ci capiamo. Io ogni giorno faccio cinque chilometri a piedi, con la polvere; certe volte mi esce il sangue dal naso perché la polvere nel naso si indurisce. Arriviamo allo spogliatoio divorati dalla polvere, la polvere è come una estrema unzione. Mi hanno impressionato i lavoratori sulle passerelle a 90 metri di altezza. Vai giù e nemmeno ti accorgi che sei morto. Agli ingegneri segnaliamo tutto. I carriponte sono pericolosi, rischiano di cadere con un peso di 50 tonnellate. Se cadono è una strage. Chi si trova sul fronte del fuoco, o ad altezze così è più chiuso, non ha voglia di parlare. Mi sono trovato vicino alla ghisa liquida quando prende fuoco, una bomba che fa tremare tutto in un raggio di chilometri. Lo scoppio è improvviso, lo senti davvero nelle viscere. Ti stordisce, ti afferra, ti svuota”.
Antonia Battaglia di PeaceLink ha scritto su Micromega online che Giacomo Campo è stato “uno dei tanti, purtroppo, sacrificati ad un impianto vetusto, dove i fumi si disperdono come accadeva in epoca vittoriana”.
Poche ore prima l’emittente televisiva tarantina Tv Med ha diffuso un video di “emissioni in uscita dalla cokeria” dell’ILVA che, scrive Antonia, “conferma le violazioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale”. Secondo Francesco Rizzo dell’USB di Taranto l’incidente “non è una fatalità” ma un “omicidio” dovuto ad “una vera e propria mancanza di rispetto delle regole della sicurezza”.
La visita di Renzi il 29 luglio scorso a Taranto fu accompagnata da pesanti contestazioni, con i manifestanti che gli hanno gridato “assassino” e il comitato “Verità per Taranto” che ha denunciato “questa è la città in cui muoiono il 20 per cento di bambini più che nel resto d’Italia”.

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From: Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Thursday, October 06, 2016 5:04 PM
Subject: INFORTUNI IN ALTO ADIGE: ECCO I PERCHE’

Spesso, nella mia attività di formazione, mi sono sentito rivolgere questa domanda: “Come mai l’Alto Adige, nonostante il discreto benessere socio-economico, una disoccupazione minore che in altre zone, per quanto a numero di infortuni sul lavoro, si colloca ai primi posti in Italia?”
La risposta la trovate in questo articolo (vedi link) leggendo le dichiarazioni del Presidente della Provincia Kompatscher che non ha perso l’occasione della visita del Ministro del Lavoro Poletti, così come pochi giorni prima avevano fatto l’assessora al lavoro Stocker e il senatore SVP Berger in occasione della visita del senatore Sacconi, già Ministro del Lavoro, e presentatore di un indecente disegno di legge per la riforma (semplificazione) del sistema prevenzionistico in Italia.
L’articolo, stando alle dichiarazioni riportate, trasuda presupponenza, ignoranza ed arroganza.
Leggetelo e avrete la risposta del perchè in Alto Adige il numero di infortuni è doppio rispetto alla vicina provincia di Trento (a parità di popolazione occupata e di settori produttivi). Io non lo commento (non sono mica Muglia La Furia io). Ricordo solo per inciso che le Direttive europee fissano il livello “MINIMO”, ebbene qui si vorrebbe star sotto quel minimo. Comunque fate voi... a noi farcene una ragione!
Visto? Maggiori controlli? Più formazione per tutti? Maggiori investimenti nel settore della prevenzione? Ma neanche parlarne, quello che si chiede è “DEROGARE” all’applicazione della normativa per reintrodurre un sistema di vigilanza basato sulle “DIFFIDE” (che Sacconi quand’era Ministro voleva introdurre) ma che è stato eliminato dal nostro sistema legislativo.
La diffida made in Suedtirol funzionerebbe così: prima stabilisco per quali violazioni punirti (attenzione stiamo parlando di un sistema sanzionatorio penale) poi ti minaccio e solo se non ti metti in regola ti sanziono. Come dite? Non lo possono fare? Vero ma le vie dello statuto speciale sono autonomia e occhio che la riforma costituzionale che ha modificato il Titolo V non interesserà appieno le province autonome di Bolzano e Trento.
Quindi per il futuro possiamo aspettarci di tutto.

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From: Maura Crudeli maura.crudeli@yahoo.it
To:
Sent: Saturday, October 08, 2016 11:06 AM
Subject: L’AIEA ONLUS PARTECIPERA’ALL’ASSEMBLEA DEI POPOLI CHE SI TERRA’ ALL’AJA IN OCCASIONE DEL TRIBUNALE MONSANTO

Si prega di darne la massima diffusione nei nostri canali di stampa.
Maura Crudeli
AIEA Onlus

COMUNICATO STAMPA
14-16 OTTOBRE 2016, L’AIEA ONLUS PARTECIPERA’ ALL’ASSEMBLEA DEI POPOLI CHE SI TERRA’ ALL’AJA IN OCCASIONE DEL TRIBUNALE MONSANTO
Navdanya, l’organizzazione fondata e presieduta da Vandana Shiva, coordinerà, in collaborazione con altre organizzazioni della società civile, il Tribunale Monsanto e l’Assemblea dei Popoli che si svolgeranno a L’Aia dal 14 al 16 ottobre 2016. Il Tribunale contro Monsanto determinerà le responsabilità della Monsanto chiamata a rispondere alle accuse di crimini contro l’umanità, violazione dei diritti umani ed ecocidio, mentre l’Assemblea si occuperà, parallelamente, di radunare tutti i più importanti movimenti e attivisti impegnati a livello globale per la difesa del nostro ambiente e del nostro cibo esponendo attraverso testimonianze audiovisive gli impatti dell’industria agrochimica nel mondo. Oltre 800 organizzazioni internazionali, tra cui AIEA ONLUS, hanno già aderito all’iniziativa mentre oltre 100 assemblee popolari e tribunali popolari sono già stati organizzati a livello locale in tutto il mondo.
AIEA Onlus porterà all’Assemblea dei popoli come testimonianza i suoi 25 anni di lotta contro l’amianto e alcuni dei grandi risultati che ha ottenuto come la legge del 1992 che ha bandito l’amianto in Italia e gli innumerevoli processi che stanno portando le grandi industrie nelle aule dei tribunali perché colpevoli di aver ucciso migliaia di persone non garantendone la loro salute e sicurezza pur sapendo la nocività della fibra e le malattie asbesto-correlate causate dalla sua inalazione.
Convinti che il movimento dal basso, il coinvolgimento della società civile e la forza dell’associazionismo possano davvero far cambiare la rotta alla storia e arrestare la sete di profitto delle grandi multinazionali, AIEA Onlus aderisce a questo movimento internazionale per la tutela e il benessere del nostro pianeta e la lotta contro i poteri forti che ignorano i principi fondamentali dei diritti dell’uomo.
Nell’ultimo secolo le grandi società dell’agribusiness, nate dall’industria bellica, hanno avvelenato milioni di persone, distrutto la biodiversità e espropriato le terre dei piccoli agricoltori nel tentativo di prendere il controllo su ogni aspetto della nostra vita. Il pericolo aumenta man mano che queste multinazionali diminuiscono di numero grazie a fusioni e accordi. Ne è esempio la recente offerta della Bayer di acquisire Monsanto per 66 miliardi di dollari. Un accordo che estenderà ulteriormente il controllo delle multinazionali sul sistema agricolo e sulla produzione di cibo. Questo processo si può tradurre in un solo modo: massima attenzione ai profitti, minima attenzione per l’ambiente, per la qualità del nostro cibo, per i consumatori e i lavoratori del settore.
Le grandi multinazionali stanno promuovendo azioni di lobby per far accettare ai governi democraticamente eletti le politiche neoliberiste e i trattati internazionali di libero scambio come il TTIP: la corsa alla deregolamentazione è un attacco senza precedenti alla biodiversità e alla vita stessa sulla terra. Multinazionali come la Monsanto hanno già avuto modo di espandere il loro controllo sui nostri semi, sul nostro cibo e sulla nostra libertà, deprivandoci dei nostri diritti umani fondamentali e della democrazia. Per mezzo di brevetti e diritti di proprietà intellettuale hanno stabilito monopoli e minacciato i diritti degli agricoltori e dei consumatori.
All’Assemblea dei Popoli parteciperanno movimenti e associazioni, guardiani dei semi, agricoltori e giornalisti provenienti da tutto il mondo. Il compito dell’Assemblea sarà quello di fare chiarezza sui crimini contro la natura e contro l’umanità perpetrati dalle grandi industrie chimiche e biotecnologiche attraverso l’analisi delle politiche che hanno permesso l’introduzione di brevetti sui semi e favorito l’invasione degli OGM. In base alle esperienze dell’ecocidio e del genocidio dell’ultimo secolo, l’Assemblea delineerà le azioni necessarie per un futuro basato sul diritto degli agricoltori di conservare e scambiare i semi, sull’autodeterminazione della nostra alimentazione, sull’agro-ecologia, sui diritti dei consumatori e dei lavoratori del settore, sui nostri beni comuni e sull’economia della condivisione, sui diritti della natura e la democrazia della terra.
Tra i relatori: Vandana Shiva, Nnimmo Bassey, Andre Leu, Ronnie Cummins, Hans Herren, Dr. Eric Séralini, Percy Schmeiser, e molti altri.

Risorse per giornalisti
L’Assemblea dei Popoli si svolgerà, dal 14 al 16 ottobre all’Aia, Bazar of Ideas (next to the Student Hotel) – Hoefkade 9, 2526 BN Den Haag
Per maggiori informazioni, per materiale audiovisivo, per accrediti e per interviste con il presidente di Navdanya, Vandana Shiva, e con il direttore dell’ufficio di Navdanya in Italia, Ruchi Shroff si prega di contattare Ufficio Stampa Navdanya International
telefono/what’s app 328 63 34 318 – 329 86 22 125
PER INFO AIEA:
Maura Crudeli
Presidente AIEA Onlus
telefono 338 97 65 786

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Sent: Saturday, October 08, 2016 6:16 PM
Subject: CONVOCATO TAVOLO TECNICO PER RIESAME LAVORATORI OTTANA E ASSEMINI

Soddisfazione di AIEA, ANMIL e CGIL per la convocazione da parte INAIL Sardegna del Tavolo Tecnico per il riesame delle domande dei lavoratori dei poli chimici di Ottana e Assemini, secondo quanto da tempo richiesto
Soddisfazione è stata espressa dalla presidente regionale AIEA Sardegna, Sabina Contu, dal presidente provinciale ANMIL di Nuoro Tonino Sechi e dal segretario generale della CGIL di Nuoro Salvatore Pinna, per la convocazione da parte dell’INAIL del Tavolo Tecnico per il riesame delle domande dei lavoratori ex esposti amianto delle aree industriali di Ottana e Assemini, prevista per il prossimo 12 ottobre a Cagliari.
Si tratta, hanno dichiarato, di una importante apertura verso le richieste e le attese di quanti hanno lavorato, fin dagli anni ‘70, nelle aziende dei due poli chimici sardi e dalle loro famiglie: ci si augura, come promesso dai responsabili regionali INAIL in occasione della conferenza stampa dello scorso 4 febbraio a Cagliari, che vengano riviste le procedure che, nel tempo, hanno portato al rigetto della quasi totalità delle domande per il riconoscimento dello status di lavoratori ex esposti all’amianto e al riconoscimento di malattia professionale: per citare il caso Ottana, rispettivamente appena 12 su 1.441 e soltanto 6 su 77!
Come è noto, e ripetutamente denunciato, tali scelte furono conseguenti alla relazione Contarp INAIL del 2003, che negava la presenza di amianto in quantità pericolose per la salute, in base ai parametri di legge. I drammatici eventi che si sono susseguiti negli anni, hanno purtroppo dimostrato che sono innumerevoli i casi di lavoratori ex Enichem, malati e deceduti per patologie amianto-correlate, per i quali si chiede, da un lato giustizia, e dall’altro misure di prevenzione efficaci, con l’adeguamento dei protocolli di sorveglianza sanitaria, su cui si attendono, a breve, indicazioni da parte della Regione, come a suo tempo annunciato.
Il caso dei lavoratori sardi esclusi dai benefici di legge relativi alla esposizione amianto, ha assunto nell’arco degli ultimi mesi una valenza nazionale, con interrogazioni e interpellanze regionali e nazionali e con una audizione in Senato e con l’avvio di una indagine della Magistratura tutt’ora in corso.

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Sent: Saturday, October 08, 2016 6:16 PM
Subject: PROCESSO ILVA “AMBIENTE SVENDUTO”: MEDICINA DEMOCRATICA RICONOSCIUTA PARTE CIVILE

COMUNICATO STAMPA
PROCESSO ILVA “AMBIENTE SVENDUTO”: MEDICINA DEMOCRATICA RICONOSCIUTA PARTE CIVILE
Oggi è ripreso il processo ILVA contro i 47 imputati accusati di numerosi e pesanti reati: associazione per delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzione, concussione e altro.
Medicina Democratica, Movimento di lotta per la salute, difesa dall’avvocato Sergio Bonetto del foro di Torino, è stata riconosciuta parte civile. Anche se si tratta di un ennesimo riconoscimento occorre sottolineare che questo processo è assolutamente importante e di vaste dimensioni. Sono tante le vittime. Non solo lavoratori, ma anche cittadini; una grande fabbrica siderurgica e un’intera città.
Ancora una volta e con grande ampiezza si è posta la contraddizione fra lavoro, salute e ambiente. Che si deve fare: chiudere la fabbrica e licenziare i lavoratori oppure per salvaguardare l’occupazione accettare l’enorme carico di nocività e di inquinamento ambientale dato?
“La fabbrica va fermata o rallentata per diminuire al minimo i danni prodotti”. Così si è pronunciato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale l’ultimo decreto legge ILVA “per lesione del principio leale di collaborazione che dovrebbe ispirare l’operato del legislatore”. Che cosa potrebbe succedere se passassero le modifiche stabilite alla Costituzione?
Medicina Democratica seguirà puntualmente lo svolgersi del processo, come ha già fatto per quelli contro la Thissen-Krupp e la Eternit e darà il suo apporto perché l’intero movimento di lotta per la salute si unisca per mostrare come salute e lavoro non sono in contraddizione: la vera e fondamentale contraddizione è il profitto.

per Medicina Democratica
Fulvio Aurora
Milano 4 ottobre 2016

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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
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Sent: Sunday, October 09, 2016 10:43 PM

Subject: IL MERCATO DEL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT


di Marco Elia
08/10/2016

IL MERCATO DEL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT

Dalle rilevazioni ISTAT, INPS e Ministero del Lavoro emerge come dall’attuazione del Jobs Act la segmentazione del mercato del lavoro e con essa il precariato si siano accentuate.

Di fronte alle contradditorie informazioni sull’andamento dell’occupazione che giungono dalle diverse fonti (ISTAT, INPS, Ministero del Lavoro, OCSE, ecc.) sembra sempre più complicato formarsi una chiara opinione sugli effetti del Jobs Act. E certo non aiutano le sistematiche strumentalizzazioni governative nella lettura dei dati.
Nonostante la confusione sul tema, tuttavia, non è il caso di disperare né di abbandonarsi a un fatalismo rassegnato o, peggio, alla tentazione di pensare che “qualcosa di buono starà pure accadendo”.
Una volta eliminate le distorsioni del governo e della grancassa mediatica al suo seguito, dai dati emergono infatti alcune chiare indicazioni. Vediamo di sintetizzarle: nell’insieme si tratta di sottolineare nuovamente i modesti effetti sulla dinamica dei nuovi occupati e, per altro verso, il ruolo giocato dal Jobs Act, dopo diversi anni di crisi, nell’ulteriore deterioramento della qualità dell’occupazione.
Sul primo punto c’è poco da dire. In effetti, il governo è rimasto solo a magnificare i risultati della riforma. Dall’UE, all’OCSE e fino alla BCE sono arrivati nelle ultime settimane chiari segnali di un netto ridimensionamento della capacità di stimolo alla crescita occupazionale: l’incremento dei posti di lavoro in Italia, nel bel mezzo della presunta “rivoluzione copernicana”, è stato debole e inferiore a quello degli altri paesi dell’UE, deludendo così le attese.
Beninteso, nessuno degli organismi e istituzioni citate manca mai di rinnovare l’appoggio al Jobs Act. Anzi! Ma questo è piuttosto ovvio: è perlomeno dagli inizi degli anni novanta che nella loro agenda di riforma del mercato del lavoro italiano e europeo l’UE, la BCE e l’OCSE promuovono molte delle iniziative centrali nella riforma del governo Renzi, prima fra tutte la definitiva eliminazione di qualsiasi protezione contro i licenziamenti. Com’è noto, peraltro, le ricette in questione nel tempo non hanno dato alcuna prova della loro efficacia.
Passando al secondo punto, è opportuno soffermarsi su alcuni dati che evidenziano le macroscopiche responsabilità del Jobs Act rispetto alla perdurante perdita di qualità dell’occupazione: da tutte le rilevazioni (ISTAT, INPS e Ministero del Lavoro) emerge come dall’attuazione della riforma la segmentazione del mercato del lavoro e con essa il precariato si siano accentuate. E’ cresciuta cioè la quota di lavoratori a tempo determinato; il lavoro si precarizza sempre più anche in virtù del massiccio utilizzo del lavoro accessorio. In tal senso, l’esplosione del fenomeno è documentata dalla inarrestabile crescita nell’utilizzo dei voucher; è cresciuto il lavoro part time, per sua natura lavoro poco qualificato e una delle principali cause della segregazione di genere nel mercato del lavoro; la disoccupazione giovanile rimane a livelli impressionanti e, come emerge dagli ultimi dati ISTAT relativi ad agosto, la nuova occupazione nei primi otto mesi del 2016 continua a essere concentrata quasi per intero sugli over 50.
Un fenomeno recentemente registrato dai dati del Ministero del Lavoro merita una particolare attenzione. Secondo i dati ministeriali relativi al secondo trimestre 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, c’è stata una riduzione delle nuove attivazioni di rapporti di lavoro pari al 12%. Le attivazioni a tempo indeterminato (volendo classificare così i contratti a tutele crescenti) dal secondo trimestre del 2015 diminuiscono invece del 29% (del 30% rispetto al primo trimestre del 2015, quando prende avvio la riforma). Le attivazioni si riducono anche rispetto al 2014 (-5% rispetto al secondo trimestre).
I dati del Ministero forniscono poi ulteriori spunti. In primo luogo, nel secondo semestre aumentano significativamente su base annua (+7,4%) i licenziamenti tra le cause di cessazione dei rapporti di lavoro. Mentre diminuiscono le cessazioni per richiesta del lavoratore (-25%). A ciò si aggiunga che, in parallelo con la diminuzione dell’utilizzo di contratti a tempo indeterminato, si assiste a una sensibile crescita delle attivazioni in apprendistato (+26%) che, in virtù delle misure di incentivo previste (tra l’altro) dal programma Garanzia Giovani (GG), godono di sostanziosi bonus per le assunzioni. Il collegamento tra i due fenomeni appare chiaro: si tratta di una strategia di risparmio (salariale e contributivo) da parte delle imprese, con un effetto di sostituzione dei contratti a “tutele crescenti” in una fase in cui gli sgravi per le assunzioni si sono notevolmente ridotti.
Il riferimento al programma GG ci consente di approfondire alcuni interessanti aspetti. Com’è noto GG è il più importante (e costoso) esempio di politica attiva del lavoro; ossia un esempio di quelle politiche che dovrebbero puntare a formare, aggiornare e rendere “occupabile” il lavoratore disoccupato. E’ altrettanto noto come la forte enfasi sulle politiche attive, al pari della già citata richiesta di eliminazione delle protezioni contro i licenziamenti ingiustificati, sia ormai da decenni un cavallo di battaglia delle politiche dell’UE e dell’OCSE. La stessa enfasi è andata di pari passo con la richiesta, che purtroppo ha trovato anch’essa puntuale riscontro nei governi europei, di riduzione delle “politiche passive”. Insomma, più politiche attive e meno sussidi di disoccupazione.
Inutile dire (perché esperienza comune di chiunque si sia trovato inserito in percorsi di “attivazione”) che le politiche attive, in particolar modo in una fase di elevata disoccupazione come l’attuale, non hanno avuto alcuna capacità di migliorare la condizione dei milioni di disoccupati italiani. E ciò è facilmente comprensibile: quando il numero di posti vacanti rappresenta una percentuale irrisoria rispetto al numero di disoccupati le politiche attive a poco servono. O meglio, date tali condizioni, la qualificazione dell’offerta per una domanda di lavoro inesistente finisce per essere utile solo alle agenzie di formazione che ricevono enormi flussi di finanziamento pubblico.
A vedere i risultati di GG dopo più di due anni dalla sua attuazione questo quadro viene confermato in toto: i contratti di lavoro (spesso precari e che permettono alle imprese che assumono di godere di un bonus occupazionale) raggiungono appena il 5% degli iscritti al programma, mentre una quota assai più elevata di “misure” erogate ai partecipanti si concretizza in tirocini extracurriculari e altre forme di lavoro sottopagato (ovviamente precario) e sovvenzionato con fondi pubblici.
Tirando le somme, non è difficile vedere quali siano le principali implicazioni del Jobs Act: un mercato del lavoro in cui si generalizza la ricattabilità e con essa la disciplina e il controllo sul lavoro. In cui si restringono per i lavoratori i margini di organizzazione e mobilitazione e aumentano sensibilmente, al contrario, i margini per il dispotismo delle imprese. Insomma un quadro caratterizzato dalla chiara volontà di imporre riduzioni salariali, aumenti dei carichi e dell’intensità del lavoro.
D’altra parte è chiaro come tale autoritarismo trovi una sua espressione più propriamente politica (nel senso di statuale) nella riforma costituzionale su cui il referendum del 4 dicembre prossimo ci chiamerà ad esprimerci. Una riforma che non a caso trova il sostegno dell’UE, dell’OCSE, della BCE ecc.
Insomma, una riforma che “tutti ci chiedono”.

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Monday, October 10, 2016 2:42 PM
Subject: PER L’UNIFICAZIONE DATA SCIOPERO GENERALE INDETTO DALLE SIGLE DEL SINDACALISMO DI BASE

LETTERA DA CUB, CAT, USB TOSCANA PER L’UNIFICAZIONE DELLA DATA DELLO SCIOPERO GENERALE INDETTO DALLE SIGLE DEL SINDACALISMO DI BASE IN 3 DATE DIVERSE
Alle strutture nazionali del sindacalismo di base.
La fase che viviamo vede i lavoratori sempre più compressi dall’aggressione del fronte padronale e dalle vergognose scelte governative in ossequio ai dettami del capitale che, incontrastato, non si accontenta e punta al “banco”.
Alla risposta complice, flebile e patetica che viene da parte del sindacalismo concertativo (ma soprattutto asservito) nei luoghi di lavoro si stanno affiancando molte realtà di lotta (reale) che chiedono a gran voce e da tempo di potersi riconoscere in un riferimento sindacale unitario e unito.
In Ferrovia, da oltre due anni e mezzo scioperiamo e lottiamo per avversare le controriforme governative (Legge Fornero, Jobs Act, cancellazione articolo 18) e per la democrazia sindacale, contro la privatizzazione e per la sicurezza (abbiamo colleghi tuttora licenziati per averla difesa e pretesa), e da mesi per un CCNL che migliori le condizioni di lavoro ormai insostenibili. E questa vertenza ha già visto 14 scioperi nazionali molto partecipati proclamati quasi tutti nelle stesse date dalle sigle del sindacalismo di base riunite in un fronte di lotta.
E in Toscana gli attivisti del sindacalismo di base delle ferrovie hanno dato vita a un coordinamento che, scevro dal condizionamento di sigla e cosciente della gravità della situazione, punta a costruire dal basso la reale unità di intenti dei ferrovieri che nasca dal fare e soprattutto dal fare insieme. Tanto è vero che vi prendono parte anche lavoratori non iscritti ad alcun sindacato.
I ferrovieri e le ferroviere che partecipano alle vertenze e alle mobilitazioni, guardano con grandissimo interesse a tutti i processi unitari e, ad oggi, vedono con sgomento la frammentazione con cui, OGNI SIGLA, veleggia SOLA E FIERA verso il proprio SCIOPERO GENERALE, ciascuna in concorrenza con l’altra, sottolineando le divisioni e il prevalere delle ragioni della propria appartenenza di sigla anziché l’interesse generale della classe lavoratrice.
Non solo: questa micronizzazione dello sciopero è deleteria perchè da una parte mette ogni lavoratore nella condizione di dover scegliere a quale sciopero aderire (con il rischio prevedibile che, contrariato e confuso, non parteciperà ad alcuno di essi), dall’altra impedisce, nei settori come le Ferrovie sottoposti alla “legge antisciopero” (146/90, 83/00), per effetto della rarefazione oggettiva, qualsiasi azione sul versante delle vertenze aziendali, nazionali o territoriali, in corso.
E proprio perchè è dal fare e dal lottare Uniti che auspichiamo possa nascere quel riferimento che serve ai lavoratori per cominciare a invertire i rapporti di forza, lanciamo l’appello affinchè, con urgenza, si pervenga alla convergenza delle iniziative di sciopero (manifestazione, corteo e quant’altro) in un’unica data, per concentrare e rendere efficace lo sforzo e la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici.
CHIEDIAMO CON FORZA UN’UNICA DATA PER LO SCIOPERO GENERALE!
7 ottobre 2016
Attivisti di base delle Ferrovie Toscana
CUB Trasporti
CAT Toscana
USB Unione Sindacale di base

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