Rispetto agli scheletri ci limitiamo in questa sede al caso riportato dalla
Repubblica di oggi che nell'inserto Affari&Finanza ricorda ai padroni che
non hanno nessun diritto di rivendicare un “paese normale” e prende in esame in
particolare il “falso in bilancio” che per forza di cose, e cioè, i continui
“scandali” di ogni tipo che toccano i rappresentanti della borghesia, è tornato
all'ordine del giorno. Infatti, in particolare dopo gli scandali Expo e Mose
“l’establishment politico economico annuncia e invoca all’unisono urgente
bonifica.” E “ Dopo numerosi rinvii, il governo fissa per lunedì 30 giugno il
Consiglio dei ministri che dovrebbe varare l’attesa riforma della giustizia,
comprensiva delle revisioni della legge penale che non sono finite nel
pacchetto «super-poteri» al commissario Raffaele Cantone.”
“Dopo omertosi ritardi – ci ricorda il giornalista - la Confindustria chiede
tolleranza zero contro i corrotti e norme severe contro i mazzettari che
alterano la concorrenza e danneggiano le imprese.”
“Ma in questa tardiva e corriva riscoperta del principio di legalità c’è un
aspetto che tradisce una coda di paglia lunga giusto un paio di decenni. Almeno
per la parte che riguarda l’etica del capitalismo, una delle leggi più
scandalose è quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio. La volle
Berlusconi, naturalmente, che da premier imputato è intervenuto sul tema ben
tre volte: con legge delega del 3 ottobre 2001, con decreto legislativo dell’11
aprile 2002, con legge ordinaria del 28 dicembre 2005. Mossa felicissima per
lui (gli ha consentito di evitare la condanna in almeno 5 processi). [I padroni
le leggi se le sanno fare e come!]
Ma mossa utile per tutti (da allora non esiste in Italia un solo
caso di imprenditore condannato in via definitiva o multato dal Prefetto per il
reato di falso in bilancio). Dunque, ecco la coda di paglia. La scopre proprio
il presidente dell’Autorità anticorruzione Cantone, che giovedì scorso a Napoli
tuona: «Il falso in bilancio è stato depenalizzato perché una parte
rilevante dell’imprenditoria italiana voleva che fosse così». La
depenalizzazione, ha aggiunto, non è stata solo «un’operazione politica» voluta
dall’ex Cavaliere, perché «quella norma è stata accolta con entusiasmo da
pezzi significativi della classe dirigente». Oggi è troppo facile buttare
tutto intero il peso della croce sulle spalle del condannato di Arcore. Prima è
necessario che l’elitè spalanchi i suoi armadi, e tiri fuori i suoi scheletri. La
battaglia degli industriali contro il falso in bilancio risale addirittura al
17 aprile 1997, quando ben 45 tra i più bei nomi dell’imprenditoria
italiana scrivono una lettera aperta al Sole 24 Ore, chiedendo una norma che
escluda «dal perimetro delle responsabilità operative i fatti che abbiano una
rilevanza marginale rispetto alle dimensioni dei conti dell’impresa». Quella
missiva la firmava gente come Antoine Bernheim e Ennio Doris, Luigi Lucchini e
Alfio Marchini, Letizia Moratti e Andrea Riffeser. Da allora le pressioni non
si sono più fermate. Fino al traguardo finale, tagliato «con successo» nella
legislatura berlusconiana 2001/2005. Questa è la storia. Ognuno ne tragga il
suo bilancio. Possibilmente vero.”
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