martedì 22 marzo 2016

22 marzo - Di M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 21/03/16



INDICE

MONTEFIBRE: L’AMIANTO C’ERA FINO AL 2010

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
IL PANE E LE ROSE: FEMMINISMO E LOTTA DI CLASSE

Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
NASCE LO “SPORTELLO APERTO” DELLE LAVORATRICI DELLA SANITA’

Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
ECOBALLE: 118 MILIONI PER SMALTIRLE

Muglia la Furia fmuglia@tin.it
13 MARZO 1987: PER IMPARARE A NON DIMENTICARE

Adesioni Comitato “Vota SI per fermare le trivelle” adesioni@fermaletrivelle.it
17 APRILE: “FERMA LE TRIVELLE”


NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ALESSANDRIA

UN DISASTRO FERROVIARIO RIMOSSO...

REINTEGRARE GIACOMELLI: VOLANTINO DEFINITIVO

Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
PARTONO I REFERENDUM SOCIALI: SCUOLA PUBBLICA, BLOCCA INCENERITORI, TRIVELLE ZERO E BENI COMUNI

Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
SCUOLA, TRIVELLE ZERO, INCENERITORI, BENI COMUNI: SI PARTE!

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From: Mario Murgia murgia.mario50@virgilio.it
To:
Sent: Saturday, March 12, 2016 6:30 PM
Subject: MONTEFIBRE: L’AMIANTO C’ERA FINO AL 2010

Da La Nuova Sardegna
11/03/16
MONTEFIBRE: L’AMIANTO C’ERA FINO AL 2010
di Paolo Merlini
Un filmato mostra la demolizione di un reparto Montefibre e numerosi sacchi contenenti la fibra killer.
Le bonifiche dell’amianto nell’area industriale che fu dell’Enichem e poi di Montefibre? Completate prima del 2000, dicono in coro tutti gli attori istituzionali chiamati in causa nel caso delle morti per tumori legati alla fibra killer tra i lavoratori di Ottana (dagli anni ‘70 alla fine dei ‘90).
L’amianto invece c’era ancora sino a pochissimi anni fa, addirittura sino al 2010 e al 2011, a quasi vent’anni dalla normativa nazionale che lo mise definitivamente al bando. Lo dimostra un video amatoriale girato all’interno dell’area industriale che viene alla luce solo ora. Un filmato nel quale sono assemblati spezzoni di riprese effettuate in un periodo che va dall’agosto al dicembre 2010.
Nel documento si vedono numerosi sacchi contenenti amianto (una quarantina, di circa un metro cubo ciascuno) e la demolizione di un reparto dello stabilimento, l’AT02 ex Landa (controllata Montefibre) dal quale presumibilmente erano stati estratti i materiali contenenti la fibra. Le grandi pareti dell’edificio vengono trascinate con una benna per mezzo di un lungo cavo e si abbattono al suolo provocando una nuvola di polvere. Nel video si nota anche come l’operaio che guida la benna non indossi alcuna maschera e inganni l’attesa tra una manovra e l’altra fumando tranquillamente una sigaretta.
Sostanze pericolose.
Il filmato è stato consegnato alla Nuova Sardegna dai familiari di un lavoratore di Ottana morto nel 2011 per adenocarcinoma polmonare.
Aveva 64 anni. In pensione dal 2006, l’uomo aveva affrontato negli anni ‘90 un tumore allo stomaco e lo aveva sconfitto. Già nel primo caso, l’istituto oncologico Veronesi che lo aveva preso in cura aveva ricondotto la patologia all’esposizione a sostanze pericolose; quando l’uomo si è ripresentato con un altro tumore non c’è stato neppure bisogno di dirlo: l’adenocarcinoma polmonare è una delle principali malattie asbesto correlate, cioè legate all’assunzione di amianto anche in quantità infinitesimali.
Il documentario è stato consegnato inoltre all’AIEA (Associazione Italiana Esposti Amianto) regionale che sta raccogliendo documenti e testimonianze sul caso Ottana (per l’INAIL, gli ex lavoratori Enichem e Montefibre non sono da considerarsi esposti all’amianto e solo a una piccolissima parte dei malati di patologie asbesto correlate è stato riconosciuta la malattia professionale).
La reazione di Sabina Contu, presidente regionale dell’Associazione, è di sdegno: “Meno male che l’amianto non c’era più dal 2000. Adesso apprendiamo da questo filmato che anche nel 2010 erano in corso bonifiche. Mi viene da dire: quanto amianto c’è in quei sacchi che si vedono nel filmato?”.
Quali autorizzazioni?
La responsabile dell’AIEA solleva una serie di interrogativi: “Soprattutto mi chiedo: dove è stato conferito e quali sono le autorizzazioni della ASL numero 3 di Nuoro? Qual è la ditta specializzata in bonifiche da amianto che ha eseguito il lavoro? Sono stati coinvolti lavoratori sardi delle imprese appaltanti e dunque anche loro sono stati esposti? Voglio sottolineare come tutto ciò accadesse nel 2010, a quasi vent’anni dall’entrata in vigore della legge 257 del1992 sull’amianto”.
Domande legittime, che abbiamo girato al Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (SPRESAL) della ASL di Nuoro, al quale spetta approvare le richieste di bonifiche.
Qui risultano due bonifiche attuate nel sito industriale rispettivamente nel 2010 e nel 2011. Più precisamente, i piani di lavoro presentati dalla società Demont prima di procedere al risanamento.
Dati misteriosi.
Come spiega il direttore dello SPRESAL, Antonio Nurchi, si fa riferimento all’amianto. “La bonifica riguardava semplicemente due piccole aree di terreno dove, dalle analisi dell’ARPAS, era emersa la presenza di poche fibre di amianto per alcuni centimetri di profondità”. Per quale profondità? “Non lo ricordo. Tutta l’incartamento ora è in mano ai carabinieri del NOE”, dice Nurchi, riferendosi al sequestro della documentazione nell’ambito dell’inchiesta sul caso amianto avviata nel gennaio scorso dalla procura della Repubblica di Nuoro.
Ma si sa quanto amianto fu raccolto? “L’aspetto che ci compete ha riguardato solo la sicurezza dei lavoratori che eseguivano la bonifica”. Chi ne è a conoscenza dunque? “Ritengo l’ARPAS”, dice il direttore dello SPRESAL (l’ARPAS è l’agenzia per la protezione dell’ambiente).
E per quanto riguarda la demolizione del reparto di polimerizzazione acrilica AT02? “A noi non è pervenuto alcun piano di lavoro”, conclude Nurchi.
Chi lo ha autorizzato allora?
Non si sa.

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From: Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
To:
Date: 12 marzo 2016 16:32
Subject: IL PANE E LE ROSE: FEMMINISMO E LOTTA DI CLASSE

Nelle prossime settimane arriverà nelle librerie italiane e negli infoshop di Movimento un importante saggio di Andrea Iris D’Atri, tradotto dallo spagnolo e curato da Serena Ganzarolli.
Il titolo non lascia dubbi sul contenuto del libro: “Il pane e le rose. Femminismo e lotta di classe”.
Come scrive Andrea Iris D’Atri in una nota all’edizione italiana, “Il pane e le rose” intende muoversi in senso opposto rispetto a un certo femminismo, che si liquefa in insipidi programmi assistenziali di organizzazioni non governative o che si accontenta di disquisire di “corpi desideranti” e di piccole e limitate emancipazioni soggettive in un mare di oppressioni.
Diciamo in senso opposto perché quel femminismo che in passato aveva denunciato l’armonioso matrimonio fra capitalismo e patriarcato ha poi smesso di puntare il dito contro lo sfruttamento che subiscono milioni di esseri umani e su cui continuano a fondarsi le società attuali, in cui le donne sono coloro che pagano il prezzo più alto.
Quel femminismo che aveva saputo raccogliere le rivendicazioni delle lavoratrici (rivendicazioni che finivano sempre in secondo piano rispetto a quelle dei loro fratelli di classe) oggi si preoccupa delle difficoltà e degli impedimenti che riguardano le imprenditrici e le alte dirigenti nell’essere considerate alla pari degli sfruttatori maschi.
Quel femminismo che aveva saputo rintracciare l’irreggimentazione della sessualità nel modello della famiglia patriarcale tradizionale, oggi si limita a rivendicare il minimo e elementare diritto in cui tutte le forme di famiglia esistenti ottengano il riconoscimento da parte dello Stato che legittima e riproduce le discriminazioni.
Quel femminismo che aveva reinventato il linguaggio per gridare ad alta voce ciò che per secoli era stato messo a tacere, oggi si accontenta della minuscola battaglia per un linguaggio inclusivo.
E nel frattempo ovunque cresce l’antifemminismo sulla base del sentimento diffuso di nuove generazioni di donne che credono che non ci sia bisogno di nessuna lotta antipatriarcale perché tutti i diritti sono già stati conquistati. L’integrazione al sistema è diventata l’unica meta, ma la verità è che si tratta di una manciata di diritti che possono essere pienamente esercitati solo da alcune donne, solo in alcuni paesi e solo per un periodo di tempo limitato.
I diritti democratici conquistati negli ultimi decenni dalle donne a livello mondiale non sono né eterni né irremovibili. La crisi economica mondiale, le crisi sociali e politiche spazzano via questi diritti come tanti altri e se non li cancellano, perlomeno li limitano.
Quando sappiamo che un gruppo di persone in grado di riunirsi in un lussuoso e non necessariamente molto ampio salone di Roma, New York o Tokyo possiede quel che possiede la metà dell’umanità, qualsiasi tentativo di riformare il capitalismo affinché noi donne continuiamo a ottenere diritti inclusivi risulta utopico per non dire spudoratamente provocatorio.

* * * * *
A seguire, riportiamo un paragrafo del libro in cui l’autrice tratta della giornata dell’8 marzo, una giornata in grado, fin dai primordi della sua istituzione, di coniugare classe e genere in una prospettiva di cambiamento radicale dell’esistente.
APPARTENENZA DI GENERE E ANTAGONISMO DI CLASSE NELLA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA
Ancora oggi l’8 marzo viene celebrata la Giornata internazionale della donna, sommersa da réclame di prodotti e eventi di tutti i tipi; l’origine di questa commemorazione continua a essere ignorata.
Essa è da ricercarsi in un’azione rivendicativa organizzata da alcune operaie del XIX secolo: l’8 marzo 1857 le lavoratrici di una fabbrica tessile di New York si dichiararono in sciopero contro le estenuanti giornate lavorative di dodici ore e i salari da fame, motivo per cui furono costrette a fronteggiare gli attacchi delle forze dell’ordine.
Mezzo secolo più tardi, nel mese di marzo del 1909, centoquaranta giovani donne morirono bruciate vive nella fabbrica tessile dove lavoravano in condizioni disumane. Sempre quello stesso anno altre trentamila operaie tessili newyorkesi si dichiararono in sciopero subendo una dura repressione da parte della polizia, ma a dispetto di questo, le lavoratrici ebbero l’appoggio degli studenti, delle suffragette, dei socialisti e di altri settori della società.
Pochi anni più tardi all’inizio del 1912, nella città di Lawrence (Massachusetts) scoppiò quello che è passato alla storia come il famoso “sciopero del pane e delle rose” animato, tra le altre, anche da operaie tessili che sintetizzavano in queste parole le loro rivendicazioni di aumento salariale e condizioni di vita migliori. Per consentire la partecipazione delle lavoratrici allo sciopero, il comitato di sciopero allestì asili e mense comuni per i figli delle operaie, mentre il sindacato Industrial Workers of the World promosse incontri con i bambini e le bambine per discutere dei motivi per cui i loro genitori stavano scioperando. Dopo vari giorni di scontri i bambini vennero trasferiti presso altre città, accolti da famiglie solidali con la lotta operaia. Dal primo treno scesero in centoventi, tra bambini e bambine, ma nel momento in cui si tentò di ripetere la stessa operazione con un secondo treno, la polizia si scatenò in una violenta repressione contro i bambini e contro le donne che li accompagnavano; a causa di questo comportamento ignobile, il clamore della lotta raggiunse i quotidiani di tutto il paese e il parlamento, facendo aumentare così la solidarietà nei confronti delle scioperanti.
Già due anni prima di questa vicenda durante la II conferenza internazionale delle donne socialiste a Copenaghen, la tedesca Clara Zetkin aveva proposto di fissare nel mese di marzo la Giornata internazionale della donna in omaggio a tutte le lavoratrici che avevano promosso e portato avanti le prime azioni di lotta contro lo sfruttamento capitalista.
Nell’agosto del 1910 cento militanti socialiste di diversi paesi europei dibattevano su come allargare il diritto di voto per le donne, su come le lavoratrici madri potessero godere della protezione sociale e su quali fossero i meccanismi da adottare per stabilire delle relazioni tra le socialiste di tutto il mondo. Nella Conferenza si approvò una mozione per la giornata lavorativa di otto ore, le sedici settimane di congedo di maternità e altri provvedimenti. Le delegate tedesche portarono avanti la mozione, che venne approvata all’unanimità e che per la sua importanza passò alla storia. La risoluzione che presentarono Clara Zetkin e Kate Duncker diceva che “Secondo le organizzazioni politiche e sindacali proletarie, le socialiste di tutte le nazionalità organizzeranno nei loro rispettivi paesi un giorno speciale dedicato alle donne il cui obiettivo principale sarà promuovere il loro diritto al voto. Sarà necessario dibattere questa proposta in relazione alla questione femminile partendo dalla prospettiva socialista. Questa commemorazione dovrà avere carattere internazionale e bisognerà prepararla con molto impegno”.
Negli anni seguenti, la giornata della donna venne celebrata in differenti paesi, ma in date diverse. Solo nel 1914 le socialiste tedesche, russe e svedesi fecero coincidere la celebrazione nella data dell’8 marzo e fu questa la data che alla fine rimase alla storia come la Giornata internazionale della donna perché mentre la ricorrenza veniva celebrata in Russia, (a febbraio, secondo il calendario ortodosso) le operaie tessili di Pietrogrado scesero in strada reclamando “pane, pace e libertà” segnando così l’inizio della più grande rivoluzione del XX secolo che sarebbe sfociata nella presa del potere da parte della classe operaia nell’ottobre dello stesso anno.
La Giornata internazionale della donna coniuga quindi l’appartenenza di classe e quella di genere che, più di un secolo dopo, continua a essere dibattuta tanto fra le marxiste quanto tra le femministe. 

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From: Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
To:
Sent: Sunday, March 13, 2016 1:46 PM
Subject: NASCE LO “SPORTELLO APERTO” DELLE LAVORATRICI DELLA SANITA’

In continuità con lo sciopero delle donne, le lavoratrici del policlinico di Palermo dello Slai Cobas lanciano lo “Sportello Aperto” per le lavoratrici, di ruolo e precarie, della sanità, a partire dal Policlinico e dall’Ospedale Cervello, da dove provengono continue denunce e richieste d’aiuto.
Di seguito il comunicato ufficiale.

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SPORTELLO APERTO PER LE LAVORATRICI DELLA SANITA’
Organizzato dalle lavoratrici dello SLAI COBAS s.c. - Policlinico
sede via Del Duca, 4 Palermo
telefono 348 00 14 671
LAVORATRICI, RIBELLIAMOCI INSIEME!
Contro il supersfruttamento nelle corsie, negli ambulatori, nei CUP, negli uffici; contro l’attacco alla salute e sicurezza sul lavoro, gli infortuni, il mobbing, i ricatti, le discriminazioni, le umiliazioni, il demansionamento, lo stress lavoro-correlato; contro il blocco dei contratti, degli stipendi, delle carriere, l’allungamento dell’età pensionabile, il precariato ecc.
Per rompere il silenzio e denunciare.
Per sentirci più forti insieme e lottare.
La scellerata politica dei tagli anche alla sanità pubblica, operata dal governo antipopolare di Renzi, si abbatte pure sui dipendenti e soprattutto sulle lavoratrici del comparto sanità. Infatti sono principalmente loro, a cominciare da quelle addette all’assistenza (infermiere, OSS., OTA, ausiliarie, portantine, puliziere, ecc.), che vedono accrescere giorno dopo giorno il proprio sfruttamento, gli infortuni, le discriminazioni, le vessazioni, lo stress, con gravi conseguenza per il proprio stato di salute.
Dai dati INAIL e ANMIL del 2015, emerge che le malattie professionali sono in forte crescita e che solo nel 2013 vi sono stati 43.000 infortuni nella sanità, di cui il 73% riguarda la componente femminile. La maggior parte degli infortuni sul lavoro, afferma l’ANMIL, si verifica nelle strutture ospedaliere e nelle Case di cura, dove ogni anno 10 mila infermiere, che sono quelle più colpite, insieme alle OSS, contraggono malattie muscolo scheletriche e osteoarticolari, dovute agli sforzi fisici, oltreché la depressione ansiosa.
E’ L’ORA DI DIRE BASTA A TUTTO CIO’!
Lo scopo dello “Sportello Aperto” è quello di raccogliere le denunce delle lavoratrici della sanità (policlinico, ospedali, ASL, cliniche private), di ruolo e precarie, e di organizzarle nella lotta contro il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Per i diritti, la salute e la dignità professionale e umana!
Lo Sportello si avvale anche del supporto legale e medico.
La sede è aperta ogni giovedì dalle 17.00 alle 18.30                                                     
Palermo, 12/03/16
Lavoratrici SLAI COBAS per il sindacato di classe
Policlinico

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From: Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
To:
Sent: Sunday, March 13, 2016 1:54 PM
Subject: ECOBALLE: 118 MILIONI PER SMALTIRLE

A seguire articolo sul Fatto Quotidiano on line
Ciao
Silvia Cortesi


ECOBALLE, FINE DELLA STORIA: 118 MILIONI PER SMALTIRLE
E INTANTO SONO “MUMMIFICATE”
di Andrea Tornago
12 marzo 2016
Terminata la gara per lo smaltimento definitivo (si spera) delle mega-compresse di rifiuti sequestrate in Campania nel 2007. La frazione umida, nel frattempo, è percolata o evaporata. Tra le possibili destinazioni finali, gli inceneritori lombardi. Tra le aziende vincitrici, la Vibeco di Saronno, che ha un dirigente rinviato a giudizio per traffico di rifiuti
E’ un fantasma che ritorna. Le ecoballe accatastate da anni nei siti di stoccaggio, emblema dell’emergenza rifiuti infinita di Napoli e della Campania, stanno riprendendo vita.
Sigillate nel 2007 dalla procura di Napoli (“sono discariche abusivamente gestite” scriveva il GIP Rosanna Saraceno) e dissequestrate nel novembre 2013 dopo l’assoluzione in primo grado dell’ex governatore Antonio Bassolino (che ha corso alle contestate primarie del centrosinistra a Napoli) e dei vertici di Impregilo dall’accusa di truffa e frode, le piramidi postmoderne di monnezza stanno per essere smantellate e mandate all’incenerimento o in discarica.
La Regione Campania ha bandito una gara per lo smaltimento di una prima partita di 789.000 tonnellate di rifiuti ormai “mummificati”, eredità della gestione commissariale dei governi Berlusconi e Prodi bis.
Alla gara, che si è chiusa il 18 febbraio, hanno partecipato nove raggruppamenti di imprese, sei dei quali sono stati poi ammessi all’ultima fase della procedura per smaltire parte delle ecoballe di Giugliano a nord di Napoli (siti di Masseria del Pozzo e Masseria del Re), Villa Literno (Lo Spesso) e Marcianise in provincia di Caserta, Avellino, Casalduni ed Eboli (Coda di Volpe).
L’appalto ha un valore complessivo di 118 milioni di euro, anche se per alcuni lotti non sono state presentate offerte. Per ora è relativamente sicuro (manca solo la fase di verifica dei requisiti) che a occuparsi delle 95.000 tonnellate di ecoballe di Avellino, Casalduni ed Eboli (importo 14 milioni di euro) sarà il raggruppamento di imprese Sarim (Salerno) e Bps (Lecco), rimasto unico concorrente dopo l’esclusione dell’Ati GeSiA, Dhi e Sorgeko di Caserta che proponeva di spedire i rifiuti via nave in Macedonia, Paese extra UE non ammesso dall’appalto.
Un’altra offerta già accettata è quella relativa alle 200.000 tonnellate di ecoballe di Villa Literno. L’appalto, per un importo di 30 milioni, è affidato al raggruppamento capitanato dalla Vibeco di Saronno (in ATI con Sirio Ambiente & Consulting e con la società di bonifica di ordigni bellici BM Service) il cui dirigente, Bernardino Filipponi, è stato rinviato a giudizio a Roma per traffico di rifiuti in qualità di ex amministratore unico della Daneco Impianti nella bonifica dell’ex fabbrica chimica Sisas di Pioltello Rodano, ed è indagato anche dalla Procura di Benevento per falso e truffa nella gestione di una discarica franata a Sant’Arcangelo Trimonte.
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I lotti da 81.000 tonnellate di Masseria del Pozzo e Marcianise sono invece ancora contesi dalle imprese Ecosistem Econet di Lamezia Terme (Catanzaro), e DeFiAm Ecobuilding (Avellino). Anche l’area più grande dello stoccaggio di Giugliano, in cui sono accumulate 100.000 tonnellate (importo 15 milioni di euro) di ecoballe, è tuttora in gara tra le aziende PA Service (Bolzano), DeFiAm Ecobuilding (Avellino), Ecosistem Econet (Lamezia Terme), Sarim-BPS (Salerno-Lecco) e A2A Ambiente-Germani (Brescia).
Nella seduta di gara che si è tenuta lo scorso 1 marzo sono emersi i primi dettagli sulle destinazioni finali dei rifiuti campani. Secondo le informazioni raccolte presso fonti del settore da ilfattoquotidiano.it, Sarim e Bps e i calabresi di Ecosistem-Econet avrebbero indicato come destinazione finale il Portogallo, dove i rifiuti potrebbero finire in alcuni impianti di trattamento meccanico-biologico e inviati in discarica o ai cementifici. Il colosso A2A Ambiente invece, il ramo rifiuti della multiutility di Milano e Brescia che gestisce anche l’inceneritore campano di Acerra, sarebbe intenzionata a spedire le ecoballe in tre impianti di trattamento lombardi non meglio specificati nelle province di Pavia e Milano, o in alternativa all’estero in Olanda (a Rotterdam). Se la bresciana A2A Ambiente dovesse aggiudicarsi il lotto A di Giugliano, saranno quasi 400mila le tonnellate di rifiuti che verranno gestite da imprese lombarde.
Dopo 9 anni (fanno sapere i tecnici) le ecoballe sono ormai “mummificate” e del rifiuto è rimasta solo la cosiddetta “frazione secca”, mentre la parte organica è percolata col tempo. Dal punto di vista del potere calorifico sono un ottimo combustibile per inceneritore, anche se (stando a quanto si legge nella sentenza del Tribunale di Napoli del 4 novembre 2013) la loro composizione all’entrata degli impianti di trattamento era di “pessima qualità”. Sulla natura del materiale trattato per formare le ecoballe ci furono infatti “numerosissimi verbali di contestazione per rifiuti non conformi”, circa 8.000 negli anni tra il 2000 e il 2004, che rivelarono la presenza tra l’altro di “motoscafi interi, mezza autovettura, ordigni bellici, carcasse di animali”.
Nonostante la ricostruzione dei PM di Napoli Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo (che affidarono una perizia all’ingegner Paolo Rabitti da cui nacque il libro “Ecoballe”) non vi fu secondo i giudici di primo grado “falsificazione dei risultati delle analisi” sui rifiuti trattati per formare le ecoballe né (altra tesi dell’accusa) una separazione dei rifiuti in due flussi distinti, “per consentire un falso esame del solo CDR1 (combustibile dai rifiuti) migliore e poi miscelare il tutto”. L’ex governatore Bassolino, i vertici di Impregilo e della struttura commissariale sono stati assolti con formula piena, ma la Procura ha proposto appello contro la sentenza nonostante la maggior parte dei reati siano ormai prescritti. E mentre ad Acerra quei vecchi rifiuti fanno paura, tanto che nel 2014 i cittadini hanno bloccato i camion davanti all’inceneritore, le ecoballe si preparano al loro ultimo giro per l’Europa.

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From: Muglia la Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Sunday, March 13, 2016 4:25 PM

Questo post è rivolto ai giovani tecnici della prevenzione. Che siano RSPP, coordinatori, formatori o consulenti, poco importa.
E’ destinato in particolare a tutti quelli che pensano che la sicurezza sul lavoro sia nata con la “626” e che ignorano la storia della mancata prevenzione nel nostro Paese; che non sanno dei 4.500 infortuni mortali del 1965 o che non hanno mai sentito parlare della strage della Elisabetta Montanari di cui ricorre oggi il 29.mo anniversario.
E’ dedicato a voi che in rete, e in particolare nei gruppi tecnici, vi confrontate discutendo se un DVR va fatto per cantiere o per impresa, cosa fare se in azienda l’RLS non c’è ecc... Tutto un fiorire di banali questioni formali.
E ancora è dedicato ai poltroni che ti chiedono le slide per tenere un corso che loro non hanno tempo di prepararle oppure “precise” indicazioni su come poter aggirare una norma.
Bene, per una volta abbiate il coraggio di provare a confrontarvi con quanto la storia della mancata prevenzione ha da insegnare a tutti noi. Facciamolo oggi, a partire dalla strage di Ravenna, per “imparare a non dimenticare”. 
E’ una lezione che travalica il sapere e la capacità operativa di ciascuno di noi.
E’ quel saper essere di cui si parla nei corsi di formazione.
E se l’immagine di quelle 13 bare allineate nella piazza di Ravenna, vi dovesse lasciare indifferenti, allora sarà meglio cambiar mestiere. 
Di ciarlatani, furfanti, imbonitori, cialtroni, imbroglioni ne abbiamo fin troppi.
E al ricordo delle vittime della Elisabetta Montanari, voglio accomunare quello di chi, meglio di tutti, ha raccontato la cronaca dei grandi infortuni sul lavoro di quegli anni, il giornalista Santo Della Volpe, morto a soli 60 anni nel mese di luglio del 2015.

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

Sulla tragedia avvenuta nella nave “Elisabetta Montanari” a Ravenna il 13/03/87, segnalo il libro “Il costo della vita. Storia di una tragedia operaia” di Angelo Ferracuti (Einaudi, Torino 2013) e quello di Rudi Ghedini, “Nel buio di una nave. Ravenna, 13 marzo 1987” (Bradipolibri, 2007).

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Ed ecco il racconto di quella giornata nel racconto di Luciano Pedrelli, “Storia di una morte annunciata” (La Repubblica 15 marzo 1987).
24 ANNI FA LA TRAGEDIA DELLA ELISABETTA MONTANARI, NAVE GASIERA IN SECCA AI CANTIERI NAVALI MECNAVI DI RAVENNA PER MANUTENZIONI: 13 MORTI!
La nave “Elisabetta Montanari”, era adibita al trasporto di GPL e, per normali attività di manutenzione, si trovava nei cantieri Mecnavi srl del porto di Ravenna. Alcune lamiere del doppiofondo, destinato a ospitare il combustibile presentavano un avanzato stato di corrosione e dovevano essere sostituite. I doppifondi dovevano essere bonificati, eliminando il materiale infiammabile, prima di procedere al taglio delle lamiere usurate e alla loro sostituzione. 
Quattro grandi serbatoi, rivestiti da uno strato di materiale coibentante, erano ospitati dalla stiva della “Elisabetta Montanari”. All’interno della stiva numero 2, alle 7:30 del mattino, un giorno di marzo, iniziarono il proprio turno di lavoro diciotto lavoratori. Dipendevano da sei aziende diverse e nessun gruppo di lavoratori, era informato della presenza degli altri. Si trattava di sei carpentieri-saldatori e dodici “picchettini”.
L’ambiente di lavoro era un intreccio di cunicoli nei quali “i picchettini”, svolgevano operazioni di pulizia nella stiva. Dovevano rimuovere la ruggine e i residui di combustibile colati dai serbatoi, usando palette, spazzole e raschietti, stracci. Non è un lavoro qualificato, servono forza di volontà e spirito di sacrificio: si tratta di eseguire mansioni semplici, ma particolarmente disagevoli, in condizioni di scarsa visibilità. 
Un lavoro sporco e rumoroso, quasi per contorsionisti, “i picchettini” devono incunearsi in ambienti ristretti e stare stesi sulla schiena o sul ventre, in spazi non più alti 80-90 centimetri. Un ragazzo che si salvò perché aveva preferito licenziarsi qualche mese prima, raccontò che si lavorava “in un buco senza uscita, sdraiati per dieci ore al giorno, con l’aria che mancava e la testa che girava per le esalazioni dell’anidride carbonica”. Lavoravano “al limite delle possibilità umane”, scrisse un magistrato. Si eseguivano contemporaneamente diverse operazioni: mentre nel doppio fondo si facevano le pulizie, nella stiva soprastante un carpentiere stava praticando un taglio a L sotto il serbatoio per mezzo di una fiamma ossidrica.
La fiammata, improvvisa, alle 9:05. Il carpentiere si rese conto immediatamente del principio d’incendio. Tentò di soffocarlo con i propri guanti da carpentiere e con gli stracci di cui disponeva per pulirsi le mani. A questo punto un altro carpentiere, scavalcò la sella che lo separava dal collega per aiutarlo. Ma il calore della fiamma aveva, intanto, provocato lo scioglimento del catrame che cadendogli sopra l’ha alimentata al punto che non riescono a spegnere l’incendio. Poco dopo, una fiammata incendia il rivestimento del serbatoio sviluppando una notevole quantità di fumo e gas tossici, come ossido di carbonio e acido cianidrico, letale in pochissimo tempo.
A causa del buio, non tutti gli operai riuscirono a ritrovare le strette botole che li avrebbero riportati all’aperto. Morirono soffocati.
Il 13 marzo 1987, 13 lavoratori, che non erano votati al suicidio e non uscivano da casa, salutando i propri cari, immaginando che non avrebbero fatto più ritorno, sono morti. Ricordiamo i nomi: Filippo Argnani, 39 anni, cassintegrato di un’industria metalmeccanica di Alfonsine, da un paio di settimane lavorava, in nero, nel cantiere e non era l’unico; Marcello Cacciatore, di 23 anni di Cervia; Alessandro Centioni di Bertinoro, sopra Forlì, un ragazzo di ventuno anni; Gianni Cortini, che aveva 21 anni, di Ravenna, al suo primo giorno di lavoro; Massimo Foschi, 36 anni di Cervia; Marco Gaudenzi, il più giovane nemmeno diciottenne, veniva da Bertinoro sulla collina forlivese, come Domenico Lapolla, 25 anni; Mohammed Mosad, egiziano di 36 anni, che viveva a Marina di Ravenna; Vincenzo Padua, 59 anni, a pochi mesi dalla pensione, residente nel ravennate figurava come dipendente Mecnavi; Onofrio Piegari, 19 anni anch’egli di Bertinoro; Massimo Romeo, 24 anni, al primo giorno di lavoro; Antonio Sansovini, 29 anni, fratello minore del titolare di una delle ditte subappaltatrici; Paolo Seconi, 23 anni, al suo primo giorno di lavoro, di Ravenna.
Monsignor Ersilio Tonini, l’allora arcivescovo di Ravenna, nell’omelia funebre che si tenne in Duomo tre giorni dopo, usò frasi severe: “Fossero andati i genitori a visitare quei cunicoli avrebbero detto: no, figlio mio! Meglio povero, ma con noi! Avrebbero avvertito l’umiliazione spaventosa, la disumana umiliazione. Un ragazzo di 17-18 anni che è costretto a passare dieci ore in cunicoli dove (posso dire la parola? non vorrei scandalizzare) dove possono vivere e camminare solo i topi! Uomini e topi! Parola dura, detta da un vescovo all’altare: eppure deve essere detta, perché mai gli uomini debbano essere ridotti a topi!”.
La relazione conclusiva del collegio di esperti (otto tecnici) nominati dal Giudice Istruttore afferma: “...lo scenario in cui si operava rendeva l’evento catastrofico non dipendente dalla casualità, ma piuttosto appartenente all’insieme delle quasi certezze” e ancora: “...al di là dei tempi e delle modalità con cui si è svolta la lunga agonia delle vittime un fatto rimane assolutamente certo e inequivocabile: per nessuno degli operai rimasti intrappolati nella stiva dopo lo sviluppo dell’incendio, vi era alcuna possibilità di fuga perché non erano state previste vie alternative d’uscita”.
Nel libro “Nel buio di una nave”, edito dalla Bradipolibri, il giornalista bolognese Rudi Ghedini, scrive a pagina 22: “prima che la tragedia si consumasse, c’era ancora tempo per salvare, se non tutti, la maggioranza degli operai: ma la preoccupazione dei responsabili del cantiere, disse un avvocato di parte civile, non fu quella di collaborare con i Vigili del Fuoco, ma correre a casa dei dipendenti per recuperare i loro libretti di lavoro e tentare di metterli in regola”.
Enzo Arienti, uno dei proprietari dei cantieri navali, poco tempo prima della tragedia, affermava, ostentando arroganza: “Nei miei cantieri il sindacato non è entrato. Ho sempre fatto trattative personali. La tutela? Sono convinto che chi vale, chi sa lavorare, sa tutelarsi da solo. Per la mia attività ho bisogno di gente elastica, disponibile a fare lo straordinario senza troppe storie. Paghiamo penali enormi per i ritardi delle consegne”.
Per capire la portata delle tracotanti dichiarazioni di Enzo Arienti, che sarà condannato a una pena ridicola, per la morte di 13 uomini, è sufficiente leggere un’altra argomentazione dei periti: “Una corretta organizzazione del lavoro avrebbe richiesto progettazione, pianificazione e programmazione degli interventi avendo cura di stabilire priorità e compatibilità degli stessi”.
Quel 13 di marzo del 1987, a bordo della “Elisabetta Montanari”, nave cisterna, in secca, per riparazioni, si consumò la più grave tragedia sul lavoro del dopoguerra, in Italia. Le misure di sicurezza erano equivalenti a opinioni e gli uomini erano considerati alla stregua di schiavi.
Dopo 24 anni, passata la 626, la legge che detta norme per la sicurezza nei luoghi di lavoro, è la 81/08, già più volte rimaneggiata. I lavoratori continuano a morire al ritmo di 3 il giorno (escludendo quelli di cui non si trovano i cadaveri), ma poiché non hanno l’accortezza di morire insieme, a gruppi, nello stesso luogo e nello stesso giorno, non fanno neanche notizia. 
Dopo 24 anni, con l’INAIL (l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), che occulta i dati sugli infortuni sul lavoro, impedendo il formarsi e il consolidarsi di quella cultura di cui lamenta la mancanza, un ministro chiave del governo in carica afferma che la sicurezza sul lavoro è un lusso che non possiamo permetterci. Dopo 24 anni, possiamo affermare che il pensiero degli imprenditori non sia ancora quello così chiaramente manifestato dall’imprenditore di Ravenna, colpevole della morte di 13 lavoratori?

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From: Adesioni Comitato “Vota SI per fermare le trivelle” adesioni@fermaletrivelle.it
To:
Sent: Sunday, March 13, 2016 5:41 PM
Subject: 17 APRILE: “FERMA LE TRIVELLE”

Ciao,
grazie per la vostra adesione. In poco tempo vedrete la vostra presenza nella lista degli aderenti sul sito
www.fermaletrivelle.it.
Intanto vi invitiamo a seguire la pagina Facebook “Ferma le trivellle, Vota Sì” e l’account twitter @fermaletrivelle.
Su http://www.fermaletrivelle.it/immagini-da-scaricare/ invece, tutti i materiali prodotti fino ad adesso dal Comitato. In particolare ci sono i banner da mettere su quanti più siti possibili per diffondere il sito del comitato nazionale e le informazioni sul referendum.
Presto sul sito www.fermaletrivelle.it sarà possibile scaricare tutto il materiale e ci sarà una sezione apposita per le iniziative. Per quanto riguarda le notizie vi terremo informati.
A breve proveremo a completare la mailing list con tutti i comitati territoriali e le associazioni, vi informiamo anche che le prime iniziative in programma sono per il 18 marzo (giorno ufficiale di inizio campagna elettorale) vi invitiamo già a riflettere su come riprodurre un’iniziativa sul livello locale.
L’idea è quella di costruire dei flash-mob che si caratterizzassero come un mare nero che invade una zona della città per ricordare le conseguenze nefaste di un modello energetico basato sul petrolio. Ovviamente ogni territorio può pensare a iniziative diverse, ma sarebbe preferibile mantenere lo stesso claim comunicativo.
Inoltre è fondamentale contribuire alla campagna referendaria attraverso un contributo per permetterci di stampare il materiale e finanziare gli eventi della campagna.
Per sostenere la campagna referendaria è a disposizione il seguente IBAN:
IT 57 M 050 1803 2000 00000103153 presso la Banca Popolare Etica
Con causale: Referendum Trivelle
A presto

Comitato Nazionale “Vota Sì per fermare le trivelle” 
Via Po, 25/C
00198 Roma
telefoni: 06 85 59 286, 06 88 41 467, 347 21 84 795

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To:
Sent: Monday, March 14, 2016 2:58 AM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ALESSANDRIA

Le sottoscrizioni a favore delle spese legali del Movimento No TAV Terzo Valico si possono effettuare tramite bonifico bancario su Cassa Centrale Banca Credito Cooperativo del Nord Est Banca Popolare Etica IBAN IT96Q0359901899050188528148 intestato a “Welcome Associazione di Volontariato”. Medicina democratica di Alessandria devolve interamente a No TAV il ricavato del libro “Ambiente Delitto Perfetto”: effettuati bonifici di 862 euro a Valsusa e di 305 euro a Terzo Valico. L’invio postale del libro può essere chiesto a:
Egregio direttore de La Stampa, le pare onesto il suo giornale? Che inganna i lettori sul fasullo progetto di bonifica Solvay e censura Medicina democratica che lo definisce una clamorosa truffa propagandistica?
Assemblea No TAV Terzo Valico a Novi Ligure. Grande partecipazione della cittadinanza preoccupata.
Renzi e Hollande tornano a firmare la Torino-Lione, per l’ennesima volta dopo 25 anni. Ma la strada è ancora lunga perchè i No TAV non mollano. Sarà dura.
Confermate in Appello le condanne alla Cementir di Arquata Scrivia. Strazianti, secondo i cittadini, gli odori e le polveri: “zaffate di paura, lacrime per aver respirato troppo forte, auto e case imbiancate, alberi grigi”.
Rifiuti lombardi e piemontesi sotterrati dall’ndrangheta nelle cave del tortonese. Un laboratorio a Novi Ligure falsificava i documenti per classificare come “puliti” i rifiuti pericolosi.
La Tazzetti ricatta il trasferimento fuori da Casale Monferrato. Vuole 20 milioni di finanziamenti europei. Sono state tante le denunce, che abbiamo ospitato, contro l’azienda chimica: ancora pochi mesi per la fuoriuscita di acido cloridrico le persone intossicate erano state portate in ospedale.
Rossa e Riccoboni all’assalto del territorio. Angelo Riccoboni, già Premio Attila 2013 non può per regolamento essere quest’anno rivotato. La Rossa sta scalando il primo posto nelle preferenze. La presidente della Provincia Rita Rossa ha autorizzato la discarica Riccoboni a Sezzadio addirittura con decreto invece che con deliberazione del Consiglio provinciale e malgrado il Consiglio di Stato non abbia ancora emesso sentenza. Il Comune intraprenderà azioni legali e propone alla Regione la zona protetta con vincolo paesaggistico. I Comitati pronti ai picchetti. Si paventa anche l’amianto del Tav Terzo Valico. Sempre la Provincia ha escluso i Comuni Conferenza dei servizi sulla autorizzazione chiesta dalla Grassano Riccoboni di Predosa per ampliare lo stabilimento con un nuovo lotto per il lavaggio di fanghi industriali, percolato di discarica e terreni con pesticidi: altro pericolo per la zona sovrastante i pozzi Amag di Predosa connessi con Acqui Terme. Oltre che nelle frazioni di Predosa, Castelferro e Mantovana, dai rubinetti delle case acquesi esce cromo esavalente per 7,5 microgrammi/litro.
Enrico Bertero, il cristianissimo sindaco di Acqui Terme si segnala per il Premio Attila. Sarebbe meglio se si candidasse al Darwin Awards, premio alla stupidità e alla idiozia umana.
17 aprile referendum: vittoria sicura dei SI’ solo se si supera il quorum dei votanti del 50%. Indispensabile la partecipazione per fermare le trivelle che si accaniscono in giacimenti di combustibili fossili con tecniche sempre più impattanti per la salute e l’ambiente e sempre più costose per l’economia nazionale, proprio quando il petrolio perde sempre più valore (negli ultimi 18 mesi il prezzo del greggio è calato circa del 70%).
ISDE NEWS a cura dell’Associazione Medici per l’Ambiente. Il numero di marzo dell’organo ufficiale dell’associazione.
Della disabilità in sé non si ride. Mentre le persone con disabilità possono essere ilari loro stesse e persino essere prese in giro, come tutti.
L’ISEE dopo le Sentenze del Consiglio di Stato. Approfondimento elaborato dal Servizio HandyLex.org sul nuovo Indicatore della Situazione Economica Equivalente richiesto per l’accesso a varie prestazioni sociali agevolate.
In Alessandria, tovagliette e menu in braille al ristorante. Sulle tovagliette sono stampati simboli che i disabili con difficoltà di espressione possono indicare: ho bisogno di un piatto, di una forchetta, devo andare in bagno, devo andare a casa, mi piace, non mi piace ecc. I menu saranno realizzati in braille per i non vedenti. L’assessore Mauro Cattaneo auspica una vasta diffusione di questi ausili negli esercizi commerciali.
Giornata Nazionale Lotta alla Distrofia Muscolare. Dedicata al diritto alla mobilità per le persone con disabilità, con una raccolta fondi utile ad acquistare automezzi adattati.
Il governo deve garantire ai disabili di poter beneficiare della rivoluzione digitale. Non c’è motivo di creare nuove barriere nel mondo digitale quando molte persone con disabilità le affrontano già nella realtà fisica.
Gli aspetti sanitari e sociali della lesione al midollo spinale. Visti nei diversi contesti sociali, culturali ed economici.
OK alla firma digitale per non vedenti e ipovedenti. Grazie al dispositivo che l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) ha ottenuto da Poste Italiane e che permette di firmare in piena autonomia documenti digitali.

Messaggio di pace e salute inviato a 14.963 destinatari da:
Barbara Tartaglione b.tartaglione@tiscali.it

MEDICINA DEMOCRATICA - MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE onlus 
via dei Carracci 2
20100 Milano
5 x mille 97349700159
Sottoscrizione (Socio+Rivista) ordinaria 35€ o sostenitrice 50€
Bollettino bancario IBAN IT48U0558401708000000018273
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entrambi intestati a Medicina Democratica onlus
Sezione provinciale Alessandria
via Dante 86
15121 Alessandria
telefoni: 347 01 82 679, 338 27 93 381

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From: Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent: Monday, March 14, 2016 9:49 AM
Subject: UN DISASTRO FERROVIARIO RIMOSSO...

Cari colleghi,
sabato sera, io e il collega macchinista Sabino Chiapperini (più di 117 anni in 2...), abbiamo partecipato alla proiezione del film “Volevo solo Vivere” di Giuseppe Esposito e alla presentazione del libro, vincitore Premio Basilicata, “Balvano 1944 Indagine di un disastro rimosso” di Gianluca Barneschi, sul disastro ferroviario di Balvano del 1944.
Purtroppo, nonostante Sabino avesse informato tanti colleghi, la partecipazione dei ferrovieri torinesi è stata quasi zero. Di ciò mi rammarico.
Naturalmente io, Sabino e tanti altri presenti, abbiamo avuto l’opportunità di comprare il libro “Balvano 1944 - Indagine su un disastro rimosso”, scritto da Gianluca Barneschi che non è ferroviere, né parente di ferrovieri se non erro.
Il libro si può ordinare al link:
Penso che tutti i Ferrovieri Italiani (Dirigenti, quadri, ecc.) abbiano il Dovere/Diritto di sapere e di ricordare agli altri Cittadini Italiani che più di 70 anni fa sono morti più di 600 passeggeri sul treno 8017 (3 marzo 1944 a Balvano - Potenza).
Quella di Balvano, come si legge nel suddetto libro, è stata e continua ad essere, una strage con molti responsabili e nessun colpevole, come molte altre del dopoguerra italiano, con l’aggravante di essere totalmente ignorata ai più.
Anche i Sindacati dei Ferrovieri, a mio modesto parere, potrebbero svolgere un’opera di divulgazione sul disastro ferroviario di Balvano...
Buona Vita a tutti.
Giuseppe Grillo

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, March 15, 2016 10:28 AM
Subject: REINTEGRARE GIACOMELLI: VOLANTINO DEFINITIVO

A proposito di organizzarsi, mobilitarsi e contrastare la repressione.
Buona giornata.
Maria

SE COLPISCONO UNO, COLPISCONO TUTTI
Alla rassegnazione rispondiamo con la lotta!
Chi lotta non deve essere mai abbandonato!
Da alcuni mesi assistiamo ad un incremento di licenziamenti di lavoratori, lavoratrici e delegati sindacali.
Licenziamenti che colpiscono rappresentanti di sindacati di base e CGIL e che hanno un dato in comune: l’incompatibilità con i soprusi sempre più diffusi dopo la “restituzione” al padronato da parte di governi e sindacati concertativi di diritti conquistati: pensioni, articolo 18, Jobs Act, Testo unico sulla rappresentanza, CCNL ne sono esempi...
Delegati e delegate RSU/RLS/RSA che sviluppano lotte e iniziative per opporsi ai licenziamenti, alla riduzione dei salari, a turni massacranti, a condizioni di vita e di lavoro sempre più pesanti; che rivendicano, con scioperi e mobilitazioni, diritti e tutele per restituire dignità, potere d’acquisto e di contrattazione, per far sì che lavoratori e lavoratrici siano protagonisti del presente e del loro futuro, sono oggetto di repressioni e licenziamenti.
Per analizzare la situazione e sostenere quanti vengono “sanzionati” per la loro attività in difesa di diritti e conquiste, venerdì 4 marzo al circolo Alhambra a Pisa oltre 70 lavoratori e compagni/e hanno partecipato all’assemblea organizzata dai Cobas di Pisa e dall’area congressuale “Il sindacato è un’altra cosa - Opposizione CGIL” della Toscana, alla presenza di Sandro Giacomelli e Francesco Doro, delegati licenziati in queste settimane.
Sandro è delegato Cobas di un’azienda in subappalto dell’indotto Piaggio di Pontedera (Pi), Francesco è delegato FIOM CGIL di un’azienda metalmeccanica di Padova.
Questa iniziativa unitaria e la feconda discussione testimoniano come, da posizioni chiare e coerenti all’insegna della solidarietà e del conflitto per affermare principi e tutele collettive, si possano costruire pratiche di unità, al di là e al di sopra delle differenti appartenenze sindacali.
Durante l’apericena che ha preceduto l’assemblea sono stati raccolti dei fondi che, tolte spese e rimborsi, sono stati consegnati a Sandro Giacomelli come contributo per la vertenza legale e per il suo sostegno.
L’assemblea ha condiviso che, in questa fase di attacco padronale, sia necessario organizzarsi e costruire pratiche concrete a sostegno di chi resiste e si oppone, come avviene in ferrovia con la Cassa di solidarietà e resistenza.
L’assemblea ha, quindi, proposto la costituzione del Comitato per la reintegrazione di Sandro Giacomelli, aperto a chi intende sviluppare l’attività di sostegno al delegato ed essere al suo fianco nella vertenza.
Nella riunione di mercoledì 9 marzo, i numerosi presenti hanno dato vita al Comitato.

Comitato per la reintegrazione di Sandro Giacomelli
Per informazioni e contatti:
telefono: 050 83 12 172 (ore 10-12)
cellulare: 349 84 94 727

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From: Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
To:
Sent: Tuesday, March 15, 2016 11:10 AM
Subject: PARTONO I REFERENDUM SOCIALI: SCUOLA PUBBLICA, BLOCCA INCENERITORI, TRIVELLE ZERO E BENI COMUNI

Inoltro per opportuna conoscenza.
Saluti
Marco Caldiroli

COMUNICATO STAMPA
PARTONO I REFERENDUM SOCIALI: SCUOLA PUBBLICA, BLOCCA INCENERITORI, TRIVELLE ZERO E BENI COMUNI.
IERI PARTECIPATISSIMA ASSEMBLEA NAZIONALE A ROMA, GIOVEDI’ 17 IL DEPOSITO DEI PRIMI QUESITI IN CASSAZIONE, PER UNA PRIMAVERA DI DIRITTI E DI DEMOCRAZIA.
Partono i Referendum sociali per la scuola pubblica, per bloccare il Piano nazionale inceneritori, per l’opzione “Trivelle zero” in Italia e per la difesa dei beni comuni.
Ieri a Roma al Cinema Palazzo si è svolta una partecipatissima assemblea nazionale con centinaia di persone provenienti da tutta Italia che ha dato avvio alla nuova stagione referendaria.
Da giovedì prossimo 17 marzo si avvierà il deposito dei primi quesiti alla Cassazione per far partire la raccolta delle firme con un evento unitario e diffuso il 9 e 10 aprile che darà vita alla campagna nazionale di mobilitazione che si chiuderà entro il 9 luglio prossimo.
L’obiettivo è superare le 500.000 firme necessarie per tutti i sei quesiti referendari già in campo, oltre quelli contro la privatizzazione dei beni comuni in via di definizione, per andare al voto nella primavera del 2017.
L’approvazione dei principali provvedimenti governativi, dalla Buona Scuola allo Sblocca Italia, con cui si è attaccato il ruolo della scuola pubblica, privatizzati i beni comuni e i servizi pubblici, aggredito l’ambiente, a partire dalle trivellazioni e da un autoritario aumento di nuovi inceneritori e abbattuti i diritti del lavoro, ha innescato un crescente percorso di lotta che sostiene un opposto modello di sviluppo fatto di tanti comitati, movimenti, sindacati, associazioni che hanno iniziato a incontrarsi in numerose assemblee sul territorio, da Bologna a Pescara, da Ancona a Napoli e a Roma.
Si è pertanto formalizzata ieri l’alleanza sociale tra i movimenti per la scuola pubblica, per l’acqua bene comune, contro la devastazione ambientale che si oppone alle trivellazioni e contro il piano nazionale per vecchi e nuovi inceneritori che insieme chiedono di puntare ad una società “democratica” che investa sul valore della scuola pubblica, sulla sostenibilità ambientale e la difesa della salute pubblica, sulla gestione pubblica dei servizi locali, sul lavoro stabile e sul diritto al reddito che veda la piena attuazione del dettato costituzionale, e non il suo smantellamento.
L’iniziativa incrocia infatti il tema della democrazia e della sua espansione, che altro non è se non il rovescio della medaglia dell’affermazione dei diritti fondamentali. La nostra stagione dei referendum sociali, pur nella sua dimensione autonoma, vuole contribuire anche alla campagna per il NO alla controriforma istituzionale, con la convinzione che parlare di democrazia non significa ragionare puramente di architettura istituzionale, ma del potere che hanno le persone di decidere sulle scelte di fondo che riguardano gli assetti della società.
Proprio perché non pensiamo che la nostra iniziativa sia autosufficiente e esaustiva delle battaglie in corso ci sentiamo fortemente impegnati per l’affermazione del Sì al referendum contro la prosecuzione indefinita delle concessioni in mare entro le 12 miglia del prossimo 17 aprile, così come nella preparazione e nella buona riuscita della manifestazione nazionale contro il TTIP prevista per il 7 maggio.
Per quanto riguarda il Jobs Act, provvedimento che ha la stessa matrice di quelli oggetto del nostro intervento, non rinunciamo né all’idea che, progressivamente, si possa costruire un intreccio sempre più stretto tra le questioni che oggi sono al centro dell’iniziativa e il tema del lavoro, né alla nostra autonomia di giudizio e di iniziativa anche su questo tema, una volta conosciuti gli eventuali quesiti referendari promossi dalla CGIL.
Si apre quindi una stagione di grande impegno sociale, che mobiliterà sui grandi temi della Costituzione materiale tante persone nei territori affermando un’altra idea di modello sociale e di democrazia.
L’intervento introduttivo completo all’Assemblea di Roma può essere letto al link:

Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
Movimento per la scuola pubblica
Campagna “Stop devastazioni”, per i diritti sociali ed ambientali
Comitato Sì Blocca Inceneritori

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From: Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
To:
Sent: Tuesday, March 15, 2016 12:31 PM
Subject: SCUOLA, TRIVELLE ZERO, INCENERITORI, BENI COMUNI: SI PARTE!

Invio anche il testo dell’intervento di apertura della assemblea del 13/03/16 sui referendum.
Saluti
Marco Caldiroli

ROMA ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE. SCUOLA, TRIVELLE ZERO, INCENERITORI, BENI COMUNI: SI PARTE!
Ieri a Roma al Cinema Palazzo c’è stata la partecipatissima Assemblea Nazionale per i referendum sociali. Centinaia di partecipanti da tutta Italia e decine di interventi. parte la stagione dei referendum sociali!
A seguire l’intervento introduttivo all’assemblea del 13 marzo.
PER UNA STAGIONE DI REFERENDUM SOCIALI
In due anni di governo Renzi, abbiamo visto applicare nei fatti la famosa lettera del luglio 2011 alla BCE, ispirata da una ferrea logica neoliberista. Su questa base, si è attaccato il ruolo della scuola pubblica, privatizzati i beni comuni e i servizi pubblici, aggredito l’ambiente, a partire dalle trivellazioni e dal moltiplicarsi degli inceneritori, abbattuti i diritti del lavoro. Con la controriforma costituzionale, poi, si progetta di rendere permanente quest’impostazione, passando attraverso la riduzione degli spazi di democrazia e il primato del potere esecutivo e del “uomo solo al comando”.
Queste scelte sono passate anche perchè si è fatto pesare il ricatto della crisi e si è costruita una narrazione populista sul nuovismo; e tutto ciò in un quadro di debolezza della politica e di frammentazione, anche volutamente costruita, delle mobilitazioni e dei soggetti che hanno provato a contrastarle.
Vogliamo provare a invertire questa tendenza, in primo luogo rilanciando il conflitto e la mobilitazione diffusa contro quelle scelte. E anche avanzando controproposte. Soprattutto iniziando a dare gambe ad un processo di connessione e costruzione di legami tra i soggetti che hanno animato l’opposizione a quelle politiche. Da qui, pur con la consapevolezza della nostra parzialità, nasce la nostra idea di fondo di lanciare un’alleanza sociale dei movimenti per la scuola pubblica, di quello per l’acqua, della campagna contro la devastazione ambientale che si oppone alle trivellazioni e dal movimento che si batte contro il piano nazionale inceneritori. Vogliamo contrastare lo stravolgimento del ruolo della scuola pubblica, la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni, il ricorso alle trivellazioni e la costruzione di nuovi inceneritori facendo emergere una discussione di merito su ciascuno di questi temi e anche parlando del modello sociale e dell’idea di democrazia, che costituiscono la base di fondo da cui dipartono quelle intenzioni o, al contrario, la messa in campo di impostazioni alternative.
In questo quadro, collochiamo anche l’opzione di ricorrere allo strumento referendario e alla raccolta di firme per contrastare la legge 107 sulla scuola, i processi di privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni, la legislazione che consente le trivellazioni in mare e in terraferma, quanto prevede lo Sblocca Italia rispetto ad un piano strategico per nuovi inceneritori (questa parte andrà rimodulata sia rimandando alle singole comunicazione sui temi specifici, sia in relazione a quanto emergerà dalla riunione del Movimento rifiuti e del Forum acqua di sabato). E’ questa un’iniziativa e un percorso che muove dall’autonomia dei movimenti e dei soggetti sociali e, dunque, prevede, come fatto a suo tempo nel 2010-2011 con il referendum sull’acqua, che si costituiscano comitati promotori referendari composti da movimenti e soggetti sociali e comitati di sostegno in cui trovano posto anche i soggetti politici che concordano con tale iniziativa. Così come, per sottolineare il carattere unitario di questa campagna, si formerà un coordinamento dei comitati promotori (al di là del loro numero), che sarà il luogo politico di discussione e gestione di tutta la campagna dei referendum e della raccolta firme.
Avremmo voluto che in questa campagna unitaria di referendum sociali fosse a pieno titolo inserita anche la questione del lavoro e dei diritti dei lavoratori. La CGIL ha scelto di costruire un proprio percorso, sganciato dagli altri soggetti che intendono promuovere iniziative referendarie, e ha in corso una consultazione degli iscritti che terminerà il 19 marzo e nella quale si valuta anche la possibilità di costruire quesiti referendari contro il Jobs Act e l’attuale legislazione del lavoro. Per quanto ci riguarda, non rinunciamo né all’idea che, progressivamente, si possa costruire un intreccio sempre più stretto tra le questioni che oggi sono al centro dell’iniziativa e il tema del lavoro, né alla nostra autonomia di giudizio e di iniziativa anche su questo tema, una volta conosciuti gli eventuali quesiti referendari promossi dalla CGIL.
Con la nostra iniziativa, incrociamo anche il tema della democrazia e della sua espansione, che altro non è se non il rovescio della medaglia dell’affermazione dei diritti fondamentali. La nostra stagione dei referendum (e della raccolta firme) sociali, pur nella sua dimensione autonoma, vuole contribuire anche alla campagna per il NO alla controriforma istituzionale nel referendum confermativo che si dovrebbe tenere in autunno, con la convinzione che parlare di democrazia non significa ragionare puramente di architettura istituzionale ma del potere che hanno le persone di decidere sulle scelte di fondo che riguardano gli assetti della società. Mentre, in presenza di opinioni diverse tra noi in tema di ricorso referendario contro l’attuale legge elettorale, riteniamo utile che siano i singoli territori a scegliere se impegnarsi o meno fattivamente su ciò.
Proprio perchè non pensiamo che la nostra iniziativa sia autosufficiente e esaustiva delle battaglie in corso, ma anzi serva a dare spinta a processi di connessione con movimenti e soggetti sociali più ampi di quelli oggi presenti, pensiamo e ci sentiamo fortemente impegnati per l’affermazione del Sì al referendum contro la prosecuzione indefinita delle trivellazioni in mare entro le 12 miglia del prossimo 17 aprile, così come nella preparazione e nella buona riuscita della manifestazione nazionale contro il TTIP prevista per il 7 maggio.
Si apre una stagione di grande impegno, che necessita della mobilitazione e dell’intelligenza diffusa di tante persone nei territori. Intendiamo iniziare la raccolta delle firme contro la legge sulla scuola, contro le privatizzazioni dei beni comuni e dei servizi pubblici, contro tutte le trivellazioni in mare e in terra e contro gli inceneritori il prossimo 9 e 10 aprile, dopo aver depositato i quesiti referendari giovedì 17 marzo, e a seguito dello svolgimento di assemblee in tutti i territori e le Regioni che costituiscano i comitati unitari territoriali per i referendum (e la raccolta firme). Il 9 e il 10 aprile può e deve diventare il primo fine settimana di questa forte stagione di iniziativa, con l’idea che in 200 piazze italiane si raccolgano le firme, si costruiscano momenti di discussione e mobilitazione, si riprenda un rapporto largo con tante persone e soggetti interessati ad uscire dalla crisi affermando un’altra idea di modello sociale e di democrazia.

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