INDICE
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Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza Sul
Lavoro - Know Your Rights! - N.22
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Buone prassi sull’agricoltura: una guida
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Come evitare il ribaltamento dei mezzi
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Storie di infortunio: quel mattino di nebbia
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Imparare dagli errori: quando sono i carrelli a
investire gli operatori
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul
lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
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Nella mia
attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova
rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per
evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Ciao Marco,
volevo
chiederti un aiuto.
La mia
cooperativa metterà le telecamere su due ambienti molto piccoli frequentati da
lavoratori e ospiti di un centro diurno dove si svolgono attività manuali,
ginnastica dolce, disegno, lettura di giornali, mensa e in cui lavoro io.
Non abbiamo
rappresentanze sindacali all’interno.
La cooperativa
chiede ai lavoratori di firmare l’informativa che nel posto di lavoro esistono
telecamere.
Mi chiedevo,
oltre al fatto di sottoporre al mio sindacato il controllo sulla regolarità dei
permessi, posso sospendere la mia firma fino a quando non mi accerto della
regolarità o posso addirittura astenermi?
Il D.Lgs.
151/15 sulla videosorveglianza non sembra fare riferimenti alle firme.
Ti ringrazio e
ti saluto.
Ciao,
la
videosorveglianza nei luoghi di lavoro è regolata dall’articolo 4 della L. 300/70 (Statuto dei Lavoratori) e dell’articolo 23
del D.Lgs. 151/15.
In assenza di
rappresentanze sindacali, tale normativa prevede che l’installazione di un
sistema di videosorveglianza possa avvenire solo a seguito di istanza da
presentare dall’azienda che gestisce il sistema alla Direzione Territoriale del
Lavoro, tramite modulo unificato scaricabile al link:
accompagnato da
relazione tecnica, che specifici in dettaglio le caratteristiche del sistema e
i luoghi interessati dalle riprese (con particolare riferimento ai luoghi
occupati dai lavoratori durante le loro attività), anche mediante planimetria
dei luoghi stessi con indicazione dei punti di installazione e di ripresa delle
telecamere.
In assenza di
parere positivo a tale istanza l’installazione delle telecamere non è
possibile, salvo reato di natura penale.
Il modulo dell’istanza prevede che l’azienda dichiari
che:
“prima
dell’installazione del sistema di videosorveglianza provvederà ad informare
tutto il personale dipendente nelle forme del D.Lgs. n. 196/03 e che, dopo
l’installazione, saranno affissi appositi cartelli informativi (per i
dipendenti e per i clienti) esposti sia all’esterno che all’interno dei locali
soggetti a videosorveglianza”.
Pertanto la richiesta di firmare il modulo è lecito
perché serve all’azienda per dimostrare di avere ottemperato all’obbligo di
informazione dei lavoratori, ma solo purché sia stata inoltrata l’istanza e la
Direzione Territoriale del Lavoro l’abbia accettata.
In caso contrario l’azienda non può installare le
telecamere e di conseguenza non può richiedere nessuna firma di informativa da
parte dei lavoratori.
Marco
************
Salve,
sono il
RLS di una cooperativa sociale che lavora nei settori verde, igiene ambientale,
pulizie.
Alcune
colleghe impiegate nelle pulizie mi hanno segnalato che devono utilizzare le
loro auto private per trasportare sacchi di rifiuti dei locali che hanno pulito
fino al primo cassonetto e inoltre i sacchi degli stracci adoperati per pulire
i pavimenti spesso impregnati di prodotti aggressivi come la candeggina fino
alla sede della cooperativa, che spesso è chiusa e quindi devono portarseli a
casa sempre con la loro auto.
Devono,
inoltre, trasportare, sempre con il loro mezzo, anche i prodotti per pulire
senza neanche le schede di valutazione dei rischi di ogni singolo prodotto.
Possono
rifiutarsi di fare tutto ciò?
E che
obblighi ha la cooperativa in questo caso?
A presto.
Le
situazioni segnalate comportano la violazione della normativa di tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori (D.Lgs. 81/08) e di gestione
dell’ambiente (D.Lgs. 152/06).
Innanzitutto
le auto di proprietà dei lavoratori possono essere utilizzate solo per i
trasferimenti casa/lavoro e viceversa, ma non possono essere utilizzate per
attività lavorative.
In caso
contrario esse si configurerebbero come “attrezzature di lavoro” secondo la
definizione dell’articolo 69 comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08:
“Agli effetti
delle disposizioni di cui al presente titolo si intende per attrezzatura di
lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari
all’attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro”.
Le attrezzature di lavoro non devono essere messe a
disposizione da parte dei lavoratori, ma da parte del datore di lavoro, secondo
l’articolo 71, comma 1 del D.Lgs. 81/08:
“Il datore di
lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti
di cui all’articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e
adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere
utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle
direttive comunitarie”.
Inoltre il
trasporto di agenti chimici pericolosi o di rifiuti delle lavorazioni deve
avvenire in maniera tale da evitare pericoli per la salute e la sicurezza dei
lavoratori e quindi non certo con normali autovetture, ma con veicoli
attrezzati al trasporto di tali prodotti, ai sensi di quanto disposto
dall’articolo 224, comma 1, lettera g) del D.Lgs. 81/08:
“[...] i rischi derivanti da agenti chimici
pericolosi devono essere eliminati o ridotti al minimo mediante le seguenti
misure:
[...]
metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la
sicurezza nella manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto sul luogo
di lavoro di agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti
agenti chimici”.
Per quanto
riguarda le schede di sicurezza degli agenti chimici pericolosi redatte secondo
il Regolamento CE 1272/08, esse queste devono essere obbligatoriamente messe a
disposizione dei lavoratori che li usano ai sensi dell’articolo 227, comma 1,
lettera d) del D.Lgs. 81/08:
“[...] il datore di lavoro garantisce che i
lavoratori o i loro rappresentanti dispongano di accesso ad ogni scheda dei dati di
sicurezza messa a disposizione dal fornitore”.
Infine,
poiché i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di pulizia sono “rifiuti speciali”
secondo la definizione di cui all’articolo 184, comma 3, lettera f) del D.Lgs.
152/06, in quanto:
“rifiuti da
attività di servizio”,
il loro trasporto
deve avvenire secondo le norme dettate dall’articolo 193, comma 1 del D.Lgs. 152/06:
“Durante il
trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un
formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti
dati:
a) nome ed indirizzo
del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia
e quantità del rifiuto;
c) impianto di
destinazione;
d) data e percorso
dell’istradamento;
e)
nome ed indirizzo del destinatario”.
I lavoratori
coinvolti in tali inadempienze da parte dell’azienda non possono rifiutarsi di
eseguire il lavoro, poiché ciò può essere fatto solo in condizioni di “pericolo
grave, immediato e che non può essere evitato”, come disposto dall’articolo 44,
comma 1 del D.Lgs. 81/08:
“Il lavoratore
che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si
allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire
pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”.
Il lavoratore ha però l’obbligo sancito dall’articolo
20, comma 2, lettera e del D.Lgs. 81/08 di:
“segnalare
immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze
dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d) [attrezzature e
dispositivi di protezione individuali],
nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza,
[...], dandone notizia al rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza”.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a
sua volta, a seguito della segnalazione da parte del lavoratore può richiedere
l’intervento delle autorità competenti (ASL), ai sensi dell’attribuzione a lui
conferita dall’articolo 50, comma 1, lettera o) del D.Lgs. 81/08, secondo la
quale egli:
“può fare
ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e
protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi
impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute
durante il lavoro”.
In assenza del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza eletto dai lavoratori internamente all’azienda, il lavoratore si può
rivolgere al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale.
A disposizione
per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Ciao Marco,
sono RLS e RSU di una
azienda chimica.
In aprile vi sarà il
rinnovo delle RSU e quindi anche dei RLS. Essendo iscritto alla CUB non
parteciperemo al rinnovo delle RSU poiché come organizzazione non aderiamo alle
regole capestro del Testo Unico sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di
lavoro.
Preso atto di ciò in merito
a non partecipare al rinnovo RSU, tenterò la nomina come RSA, ma vorrei
partecipare alla elezione come RLS.
Il
D.Lgs. 81/08, all’articolo 47, comma 4, dice che:
“Nelle
aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito
delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze,
il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno”.
Quindi il Decreto parla di
RSA e non di RSU. E non specifica altro (decadenza del RSU/RSA che è anche RLS,
dimissioni del RLS, ecc.).
Al comma 5 dell’articolo
47, però il Decreto specifica:
“Il
numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli
strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di
contrattazione collettiva”.
Il CCNL industria chimica
del 15 ottobre 2015, all’articolo 65,
lettera a) dice che:
“I lavoratori in tutte le imprese o unità
produttive, all’atto dell’elezione della RSU eleggono, all’interno della RSU,
il rappresentante per la sicurezza previsto dal D.Lgs. 81/08”.
E sempre il suddetto
articolo del CCNL continua dicendo che:
“Nelle imprese o unità produttive nelle quali
le Organizzazioni Sindacali non riescano a individuare sufficienti
candidati che svolgano contemporaneamente sia il ruolo di RLSSA sia quello di
RSU, nel rispetto dei numeri di RLSSA previsti al presente articolo, potranno
essere individuati lavoratori non delegati RSU. In tal caso la RSU neoeletta,
in accordo con le segreterie territoriali, provvederà alla designazione dei
RLSSA. Tale designazione verrà ratificata in occasione di una assemblea dei
lavoratori convocata dall’RSU”.
Per cui volevo
presentare alla commissione elettorale la mia candidatura come RLS ma temo che
non sarà presa in considerazione poiché le organizzazioni territoriali di CGIL,
CISL e UIL porranno il veto di cui sopra e procederanno con elezione di soli
delegati RSU per poi designarne gli RLS al loro interno.
Oppure tento attraverso
la mia organizzazione di inviare alla direzione aziendale la comunicazione
della nomina di RSA e come tale avvalermi della facoltà di elezione o
designazione dai lavoratori come RLS.
Cosa ne pensi? Sei a
conoscenza di situazioni del mio tipo? Come si sono risolte?
Ti ringrazio per la
collaborazione.
Ciao,
purtroppo il tuo CCNL parla
abbastanza chiaramente, specificando che i RLS possano essere eletti
all’interno della RSU (e non della RSA, come invece prescrive il 81/08, che
però demanda a sua volta alla contrattazione collettiva), salvo che non si
riesca a individuare all’interno della RSU i RLS, che a questo punto verranno
“designati” (ma non eletti) dalla RSU e non dai lavoratori.
Ritengo che il CCNL sia
contrario allo spirito stabilito dal 81/08, ma questa è solo una mia opinione,
non avvallata da casi precedenti in merito.
Come al solito tutto
dipende da come si comporteranno i lavoratori.
Se parteciperanno in massa
alle elezioni per ratificare la RSU, credo che non ci siano possibili
soluzioni.
Se invece ci saranno molti
astenuti, che non riconosceranno pertanto la RSU, ma disposti poi a firmare una
tua richiesta di essere eletto come RLS, forse la tua azienda potrà non
riconoscere la designazione degli RLS da parte della RSU (di fatto non
sostenuta dalla maggioranza dei lavoratori) che invece appoggiano te.
Ma la vedo comunque molto
dura, anche perchè è interesse dell’azienda avere RLS concertativi e quindi
designati all’interno di RSU a loro volta concertative.
Non ho altre esperienze
relative a un caso simile al tuo. Ho invece, purtroppo, esperienze in cui il
RLS viene designato di comodo tra le RSU e non su specifica volontà dei
lavoratori.
Per ora non so dirti di
più.
Un caro saluto.
Marco
************
Buongiorno Marco,
ti illustro una situazione che ritengo
molto pericolosa per la salute dei lavoratori.
Un’azienda X, tramite ditte esterne, sta
smaltendo dell’amianto. L’azienda Y (ospite dell’azienda X) produce dei
componenti che servono al processo produttivo dell’azienda X, operando a
circa 30 metri da un deposito (abusivo?) dove viene stoccato l’amianto, senza
nessuna particolare cautela, in attesa di avviarlo a discarica.
Io ritengo che i responsabili della ditta
X hanno gestito male la situazione, facendo esporre i dipendenti al rischio
amianto.
Aspettando un tuo prezioso parere, ti
saluto cordialmente.
Ciao,
non solo i responsabili della ditta X (che
è la committente dello smaltimento di amianto) hanno gestito male la
situazione, ma hanno commesso e stanno commettendo veri e propri reati penali
in merito al mancato adempimento di obblighi della normativa di tutela della
salute dei lavoratori (il D.Lgs. 81/08 e s.m.i., nel seguito “Decreto”) di
tutte le ditte coinvolte.
Relativamente alle misure di tutela della
salute dei lavoratori da lavorazioni di rimozione amianto è infatti
obbligatorio l’adozione integrale del Titolo IV Capo III “Protezione dai rischi connessi all’esposizione
all’amianto” del Decreto.
In breve, gli obblighi sanzionabili
penalmente a carico del datore di lavoro appaltante in caso di attività di
rimozione e smaltimento amianto sono:
-
esecuzione di una specifica valutazione
del rischio da esposizione a polveri di amianto per tutti i lavoratori
coinvolti e definizione di conseguenze delle specifiche misure di prevenzione e
protezione dai rischi individuati e redazione di documento formale in merito,
che può essere consultato dai Rappresentanti del Lavoratori per la Sicurezza
della ditta committente (articolo 249 del Decreto);
-
invio di formale notifica all’Organismo di
Vigilanza (la ASL) contenente tutte le informazioni relative al cantiere (ubicazione,
tipo e quantità di amianto, numero di lavoratori coinvolti, misure di
prevenzione e protezione, data di inizio e fine delle attività) e consultabile
da parte di tutti i lavoratori (articolo 251 del Decreto);
-
adozione di specifiche misure di
prevenzione e protezione (riduzione al minimo del numero di lavoratori esposti,
individuazione di specifici Dispositivi di Protezione Individuale per i
lavoratori esposti, adozione di processi lavorativi per eliminare o ridurre la
dispersione di polveri di amianto, pulizia e manutenzione dei luoghi di lavoro
e delle attrezzature, trasporto dei rifiuti contenenti amianto in contenitori
sigillati) (articolo 251 del Decreto);
-
delimitazione delle aree in cui è presente
l’amianto o i suoi rifiuti e accesso ai solo lavoratori autorizzati (articolo
252 del Decreto);
-
predisposizione di misure
igienico-sanitarie per i lavoratori esposti ad amianto (DPI, aree di riposo
incontaminate, disponibilità di docce) (articolo 252 del Decreto);
-
periodiche misurazioni della
concentrazione di polveri di amianto nell’aria al fine di verificare che non
sia superati il valore limite di pericolo (0,1 fibre per
centimetro cubo di aria) e nel caso di superamento di tale valore limite,
adozione di immediate misure per ridurre la concentrazione di polveri di
amianto nell’aria (articoli 253 e 254 del Decreto);
-
affidamento delle attività di bonifica
amianto solo a ditte specificatamente autorizzate ai sensi del D.Lgs. 152/06
(articolo 256 del Decreto);
-
predisposizione di specifico piano di
lavoro prima dell’inizio dei lavori, indicante le misure per eliminare o
ridurre la dispersione di polveri di amianto (articolo 256 del Decreto);
-
specifica informazione e formazione dei
lavoratori sui pericoli derivanti dalle polveri di amianto e sulle misure di
prevenzione protezione da adottare (piano di lavoro) per ridurre l’esposizione
a tali polveri (articoli 257 e 258 del Decreto).
Tutti gli obblighi di cui sopra sono
sanzionabili penalmente.
Nel caso che mi descrivi mi sembra che
nessuno di tali obblighi sia stato ottemperato.
Per cui ti consiglio, anche per tramite
dei vostri RLS di informare di quanto sta accadendo l’Organismo di Vigilanza
(ASL), inviando una specifica denuncia di reato per la mancata adozione degli
obblighi di cui sopra.
Fammi sapere se hai bisogno di ulteriori
chiarimenti.
Marco
************
NOTA
Nel testo delle
“Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti
acronimi e termini:
ASL = Azienda
Sanitaria Locale
CCNL =
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI =
Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento
di Valutazione dei Rischi
DUVRI =
Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in
appalto
OS =
Organizzazioni Sindacali
RSPP =
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
ASPP =
Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS =
Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA =
Rappresentanze Sindacali Aziendali
RSU = Rappresentanze
Sindacali Unitarie
D.Lgs. 81/08 o
Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive
modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)
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Da La
Repubblica
17/09/17
di Marco
Ruffolo
Nel 2017 i
decessi salgono del 5,2%: tendenza invertita dopo anni di calo. Un effetto
dell’economia che riparte, ma anche di investimenti in prevenzione fermi al
palo.
Quando basta un
po’ di ripresa economica, accompagnata da un maggior utilizzo di lavoratori
over 60, per far risalire il numero di infortuni e di morti sul lavoro, si
torna inevitabilmente a dubitare dei progressi realizzati dal nostro Paese per
mettere in sicurezza fabbriche e cantieri. Per la prima volta da un quarto di
secolo, incidenti e morti aumentano entrambi nei primi sette mesi dell’anno:
rispettivamente dell’1,3 e del 5,2 per cento.
Se dopo gli
innegabili progressi del passato, prevenzione e controlli subiscono una battuta
d’arresto (e questo sembra sia successo durante gli anni della crisi) è ovvio
attendersi (adesso che la crisi è passata) che il maggior numero di ore
lavorate ci consegni un proporzionale aumento di incidenti. Difficile che il
disoccupato di lungo corso che trova finalmente lavoro, anche se precario, si
metta a questionare se in un cantiere c’è scarsa protezione contro le cadute
dall’alto, o se in fabbrica la pressa meccanica che lavora le lamiere non ha
sistemi di trattenimento in caso di guasto.
Fatto sta che
alla fine la lista delle morti, definite inspiegabilmente “bianche”, torna a
infittirsi allungando un’ombra sinistra sulla ripresa economica.
Sei settembre,
Settimo Milanese: schiacciato da una pressa in un’azienda di componenti
meccanici. Stesso giorno a Roccavione (Cuneo): stritolato dal macchinario di
una cartiera. Nove settembre, Presicce (Lecce): precipitato da otto metri
mentre stava lavorando sul tetto di un capannone. Stesso giorno a Oppeano
(Verona): colpito dal gancio metallico sospeso di un’acciaieria.
Undici
settembre, Milano: schiacciato da un ponteggio crollato improvvisamente
all’interno di un cantiere edile.
Dietro queste
storie maledette, sono le statistiche dell’INAIL, l’Istituto Nazionale per
l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e le malattie professionali, a
testimoniare la recrudescenza di questa interminabile strage. Tra gennaio e
luglio gli incidenti sul lavoro denunciati (ma non ancora riconosciuti come
tali) sono stati 380.236, contro i 375.486 degli stessi mesi di un anno fa. I
morti sono saliti da 562 a 591, ventinove in più. Quindici di questi sono
legati a due note vicende del gennaio scorso: la frana sull’hotel di Rigopiano
e la caduta dell’elicottero di soccorso nei pressi di Campo Felice.
Dunque:
cinquecentonovantuno morti in sette mesi, quasi tre al giorno. La maggior parte
di loro (431) ha perso la vita sul posto di lavoro, gli altri 160 (in forte
crescita) durante il tragitto da casa alla fabbrica o al cantiere. Ma non per
tutte queste tragedie i superstiti riceveranno un indennizzo dall’INAIL (in
genere pari a metà della retribuzione): bisognerà dimostrare che l’infortunio è
legato al lavoro svolto. E soprattutto che il lavoratore fosse iscritto
all’INAIL prima di perdere la vita. Di solito viene riconosciuto un 65% dei
casi denunciati. Si presume dunque che saranno alla fine circa 380 gli
incidenti mortali indennizzabili per i primi sette mesi dell’anno. Ma lo
sapremo solo tra un anno.
“E’ come se il 35-40% di quei morti sparisse”
- commenta Carlo Soricelli, che da Bologna cura da anni un Osservatorio
indipendente che monitora gli infortuni mortali sul lavoro - “Questo succede
perché molti non sono iscritti all’INAIL o sono in nero. Solo un esempio
lampante: i pensionati schiacciati dai trattori in campagna. Sono già 105
dall’inizio dell’anno, ma ufficialmente non esistono”. Del resto, non è una
novità che moltissimi incidenti non solo non vengono indennizzati, ma sfuggono
del tutto alle stesse statistiche nazionali: infatti manca in Italia un ente
pubblico incaricato di registrare la totalità degli infortunati, e non solo
quelli iscritti all’INAIL.
Ma torniamo ai
motivi che hanno interrotto quella che i dati ufficiali hanno finora definito
una caduta storica delle morti sul lavoro, anche se contestata
dall’Osservatorio di Bologna. Negli ultimi sedici anni i decessi si sono più
che dimezzati. E la maggior parte di questo crollo è avvenuto nell’ultimo
quinquennio. Merito del maggiore livello di conoscenza e di consapevolezza.
Merito della crescente automazione produttiva. E ad abbassare la frequenza
degli incidenti ha contribuito anche la crisi economica. Ma se questo è
l’andamento degli ultimi decenni, che cosa sta succedendo adesso? Perché per la
prima volta aumentano sia la totalità degli infortuni sia le morti sul lavoro?
“E’ chiaro” –
dice Franco Bettoni, presidente dell’ANMIL, l’Associazione Nazionale dei
lavoratori Mutilati o Invalidi del Lavoro – “che la preoccupante crescita degli
infortuni di questi mesi, concentrata soprattutto nelle attività industriali e
nelle aree più produttive del Paese (Nord Ovest, Lombardia in testa, e Nord
Est), debba in qualche misura ricondursi ai segnali di ripresa dell’economia”.
Insomma, più si lavora e si produce, più si è esposti al rischio di infortuni.
Ma siamo sicuri che è tutta colpa della crescita?
Un modo per
capire se e in che misura entrano in gioco altre cause, è quello di andare a
vedere quante sono le morti sul posto di lavoro per ogni milione di occupati.
Ossia tener fuori dal calcolo l’aumento dell’occupazione che si è verificato
nell’ultimo anno. Nei primi sette mesi del 2016 (si legge nel rapporto
dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering) le morti erano 18,6
per ogni milione di lavoratori. Nello stesso periodo di quest’anno sono salite
a 19,2.
Questo
significa che gli infortuni mortali sono cresciuti anche a prescindere da quel
po’ di ripresa che stiamo conoscendo. “La ripresa” – dicono all’INAIL –
“potrebbe avere avuto un ruolo, ma ci sono motivi più importanti per spiegare
questo aumento degli infortuni, che tuttavia (è bene chiarirlo) non inverte
affatto la caduta storica conosciuta negli ultimi decenni. Uno di questi motivi
è l’età sempre più avanzata dei lavoratori, per via delle riforme
pensionistiche: i riflessi e la lucidità diminuiscono, i rischi aumentano.
Bisognerebbe ripensare all’organizzazione del lavoro nelle imprese, con regole
nuove”. In effetti quest’anno gli over 60 hanno subìto 2.000 infortuni in più e
il 2% in più di morti sul lavoro.
E’ possibile
inoltre (dicono molti osservatori) che soprattutto durante gli anni della crisi
le imprese abbiamo investito meno nei sistemi di prevenzione. O si siano
limitate ad organizzare corsi sulla sicurezza di scarsa utilità perché quasi
sempre astratti, impartiti lontano dalle fabbriche e dai cantieri. Se a questo
si aggiungono i limiti evidenti delle ispezioni e dei controlli pubblici, il
quadro è quello di una politica anti-infortunistica ancora piena di buchi.
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Da: PuntoSicuro
29/08/17
Proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori nei
settori dell’agricoltura, dell’allevamento, dell’orticoltura e della
silvicoltura.
E’ disponibile sul sito di EU-OSHA la guida
“Proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori nei settori
dell’agricoltura, dell’allevamento, dell’orticoltura e della silvicoltura”
pubblicata dalla Commissione Europea.
La guida affronta tema quali agricoltura, allevamento,
orticoltura e silvicoltura ed è ricca di esempi di buone prassi sulla
prevenzione dei rischi, casi studio reali e risorse pratiche, sono riferimenti
eccellenti per garantire la sicurezza dei lavoratori.
Attualmente non esiste un’unica Direttiva a livello
europeo che affronti in modo specifico e in tutti i suoi aspetti la protezione
della salute e della sicurezza dei lavoratori del settore agricolo, compresi
l’allevamento, l’orticoltura e la silvicoltura. In questi settori di attività
sono comunque applicabili la Direttiva Quadro (89/391/CEE) e numerose Direttive
singole. Va inoltre sottolineato che le particolarità di questi settori (il
lavoro all’aria aperta o nelle serre, l’impiego di macchinari pesanti, la
presenza di animali, l’isolamento sul luogo di lavoro, i bassi livelli di
formazione, l’uso di prodotti chimici e fitosanitari) aumentano i rischi cui
sono esposti i lavoratori, come dimostra il tasso di incidenti, superiore alla
media registrata in altri settori.
FINALITA’ DELLA GUIDA
Scopo della guida e offrire consigli e orientamenti
pratici sulla salute e la sicurezza delle aziende.
La guida non intende elencare i obblighi giuridici, né
sostituirsi a eventuali requisiti di legge, ma contiene suggerimenti per
ottenere un più elevato livelli di sicurezza nelle aziende e può aiutare a:
-
acquisire consapevolezza delle questioni inerenti alla
salute e alla sicurezza
-
trovare soluzioni ai problemi legati alla salute e
alla sicurezza;
-
migliorare le condizioni di lavoro;
-
far fruttare al meglio l’attività.
L’AGRICOLTURA: UN SETTORE PERICOLOSO
Quello dell’agricoltore non è un mestiere facile,
anzi, è uno dei lavori più pericolosi. L’agricoltura e la silvicoltura
praticate in modo professionale figurano regolarmente al terzo o quarto posto
tra i lavori più pericolosi nell’Unione europea.
Questo e quanto risulta dalla valutazione degli
incidenti e delle malattie segnalati alle autorità locali. Pensando poi a
quanti altri incidenti, malattie invalidanti, o persino decessi, avvengono di
continuo senza essere segnalati, si può concludere che la situazione e in
realtà molto peggiore. Poiché le aziende agricole sono spesso
contemporaneamente luogo di lavoro e di residenza, i bambini e le persone
anziane sono esposti a rischi inutili e situazioni pericolose aggiuntive.
LE OTTO PRINCIPALI CAUSE DI MORTE NEL SETTORE AGRICOLO
Le cause di morte più comuni in questo settore sono:
-
incidenti causati da mezzi di trasporto (investimenti
da parte di veicoli o ribaltamenti di veicoli);
-
cadute da luoghi in quota (alberi, tetti);
-
investimenti da parte di oggetti in caduta o in
movimento (macchinari, edifici, balle, tronchi d’albero);
-
annegamento (in serbatoi d’acqua, contenitori per
liquami, sili di granaglie);
-
incidenti con animali (attacchi o schiacciamenti da
parte di animali, zoonosi);
-
contatto con macchinari (parti in movimento esposte);
-
intrappolamento (a seguito di crolli strutturali);
-
elettricità (folgorazione).
AMBITO DELLA GUIDA
La guida riguarda:
-
l’agricoltura;
-
l’orticoltura/la coltivazione in serre;
-
l’allevamento;
-
la silvicoltura.
La guida si rivolge a tutte le microimprese e piccole
e medie imprese dell’Unione europea.
A CHI E’ DESTINATA LA GUIDA
La guida si rivolge a:
-
agricoltori;
-
imprenditori forestale o lavoratori dell’orticoltura;
-
chi gestisce un’impresa in proprio:
-
dirigenti o lavoratori dipendenti.
COME UTILIZZARE LA GUIDA
La guida è suddivisa in 21 capitoli. Ogni capitolo
fornisce informazioni su un argomento specifico, mette in evidenza i rischi
specifici e suggerisce i modi per gestirli. Poiché molti rischi dipendono da
una molteplicità di fattori o possono essere affrontati da più di una
prospettiva (ad esempio macchinari, veicoli, animali), si trovano riferimenti
incrociati tra i vari capitoli che portano a un’altra sezione della guida contenente
ulteriori informazioni.
Le buone prassi sono indicate con un segno di spunta
di colore verde, quelle cattive da una croce di colore rosso.
La guida comprende, tra l’altro, le seguenti
informazioni:
-
esempi di pericoli che si possono incontrare
nell’agricoltura, nell’orticoltura, nell’allevamento e nella silvicoltura
(Appendice 4.3: Esempi di pericoli);
-
metodi di valutazione dei rischi, per aiutare a
eseguire le valutazioni dei rischi (capitolo 4: Valutazione dei rischi);
-
un glossario da consultare per comprendere le
abbreviazioni o i termini tecnici (Appendice 1.1: Glossario);
-
una sezione di riferimenti/bibliografia (Appendice
1.2: Riferimenti);
-
un elenco degli organismi nazionali preposti alla
salute e alla sicurezza (Appendice 2.1: Organismi nazionali preposti alla
salute e alla sicurezza).
Il documento della Commissione Europea “Proteggere la
salute e la sicurezza dei lavoratori nei settori dell’agricoltura,
dell’allevamento, dell’orticoltura e della silvicoltura” è scaricabile agli
indirizzi:
-------------------------------------------
Da: PuntoSicuro
04/09/2017
Le misure preventive allo scopo di eliminare e/o
ridurre il rischio di ribaltamento di carrelli elevatori, mezzi agricoli e
mezzi movimento terra.
Pubblichiamo i fattori di rischio e le misure
preventive per il rischio cadute dall’alto tratte dalla scheda n. 4 “Il
ribaltamento dei mezzi” pubblicata da INAIL.
MISURE GENERALI PER TUTTE LE TIPOLOGIE DI MEZZI
Prima di salire sul mezzo è opportuno valutare alcuni
aspetti:
-
le condizioni del luogo di lavoro in cui si opera;
-
la tipologia del mezzo o macchina rispetto alla
lavorazione;
-
lo stato di efficienza del mezzo (ad esempio sistema
frenante, stabilità del mezzo, ecc.), assicurandone nel tempo una sistematica
manutenzione;
-
le procedure operative da adottare a seconda delle
fasi di lavoro (ad esempio dove c’è pericolo di ribaltamento lavorare, se possibile,
manualmente, rimanendo a debita distanza con le macchine);
-
l’organizzazione dei piani di viabilità aziendale
anche in relazione alla possibilità di interferenze con altri mezzi semoventi;
-
l’eventuale presenza di persone nel raggio di azione
della macchina provvedendo al loro allontanamento;
-
trattandosi di mezzi che richiedono conoscenze
specifiche, è necessaria un’adeguata informazione, formazione e addestramento
degli addetti alla guida, in conformità anche a quanto previsto dalla
Conferenza Stato-Regioni.
MISURE SPECIFICHE PER I MEZZI AGRICOLI
Per i mezzi agricoli è necessaria l’adozione di
determinati accorgimenti per ridurre la probabilità di ribaltamento, tra i
quali:
-
verificare l’eventuale presenza di pendenze rilevanti
e la stabilità del terreno in lavorazione, di scarpate non protette nelle
vicinanze dei percorsi di transito organizzando il lavoro attraverso percorsi
sicuri;
-
praticare opportune tecniche di guida in base alla
lavorazione (ad esempio con l’avanzamento lungo le linee di massima pendenza);
-
mantenere una velocità che garantisca la sicurezza in
relazione a diversi fattori quali la conformazione del terreno agricolo, il
carico trasportato, la tipologia del mezzo condotto;
-
trasportare altre persone è consentito solo su strada
pubblica e non in fase di lavoro e solo per i trattori che siano stati
omologati con il sedile del passeggero.
Relativamente ai dispositivi di prevenzione contro il
rischio di ribaltamento dei trattori, fermo restando che il D.Lgs. 81/08
stabilisce una serie di obblighi a carico del datore di lavoro tra i quali
quello di adeguare talune attrezzature di lavoro a specifici requisiti di
sicurezza, si evidenzia come per i trattori agricoli o forestali sia richiesta
la presenza combinata di:
-
un telaio o cabina, che in caso di capovolgimento del
trattore, abbia lo scopo di garantire nel posto di guida la conservazione di un
volume di sicurezza destinato a proteggere l’operatore;
-
una cintura di sicurezza che, indipendentemente dalle
condizioni operative del trattore, trattenga l’operatore al posto di guida
all’interno del sopraindicato volume di sicurezza.
Oggi tutte le trattrici agricole devono avere il
telaio di protezione (a due/quattro montanti o cabina), previsto dalla casa
costruttrice e omologato. Lo stesso, per i mezzi sprovvisti, può essere
installato successivamente da una officina autorizzata ai sensi della normativa
vigente o direttamente dall’impresa agricola che abbia un’officina per effetto
dell’articolo 14, comma 12, del D.Lgs. 99/04. Un efficace sistema di protezione
tecnicamente riconosciuto è rappresentato dalla concomitante presenza sulla
trattrice di un dispositivo di protezione contro il rischio di ribaltamento (telaio
di protezione) e di un adeguato sistema di trattenuta del conducente (cinture
di sicurezza).
MISURE SPECIFICHE PER I CARRELLI ELEVATORI
Per i carrelli elevatori è importante assicurare che:
-
siano sempre mantenuti in condizioni ottimali di efficienza,
attraverso la necessaria revisione degli organi di lavoro (registro di
manutenzione);
-
i conducenti siano adeguatamente informati, formati e
addestrati sui rischi e il corretto utilizzo dei mezzi, anche in relazione alle
condizioni di velocità dello stesso, ai dispositivi per la sicurezza e ai
carichi trasportati e alle attrezzature accessorie eventualmente installate;
-
le aree di lavoro in cui i carrelli operano siano
organizzate adeguatamente attraverso la pianificazione della viabilità
aziendale; per quanto tecnicamente possibile, i percorsi dei mezzi devono
essere separati da quelli dei pedoni.
Tra i sistemi di protezione sui carrelli elevatori si
possono adottare, tenendo anche conto delle caratteristiche del ciclo di lavoro
svolto, sia dispositivi antiribaltamento, quali ad esempio riduttori di
velocità in curva oppure sistemi di blocco dell’oscillazione dell’assale
sterzante per il mantenimento della stabilità, sia soluzioni di ritenuta del
conducente nel volume di sicurezza quali ad esempio cinture di sicurezza,
cabine chiuse, barriere o cancelletti laterali.
MISURE SPECIFICHE PER I MEZZI MOVIMENTO TERRA
Ove la procedura di lavoro richieda l’utilizzo di
mezzi movimento terra (terne, escavatori, ecc.) si segnalano, anche in
relazione alla complessità dell’apparato utilizzato, i seguenti aspetti di cui
tener conto:
-
il conducente deve conoscere le caratteristiche del
mezzo (portata, carico massimo sollevabile) in riferimento alle condizioni del
terreno (piano, in pendenza, compatto, friabile, scivoloso);
-
i percorsi di cantiere devono essere idonei alle
caratteristiche dei mezzi e alla loro stabilità ed essere adeguatamente
segnalati;
-
adottare particolari precauzioni qualora si lavori in
prossimità di fossati, trincee e scarpate; evitare manovre errate o imprudenti
(brusche accelerazioni o sterzate, carico sbilanciato, velocità eccessiva,
ecc.) su fondi bagnati o fangosi;
-
nell’utilizzo delle attrezzature montate sui mezzi
l’operatore dovrà attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal
costruttore e riportate nel manuale d’uso;
-
durante gli spostamenti prestare attenzione alla
morfologia del terreno (buche, massi e pendenze eccessive), procedere con benna
e carico in basso e non transitare presso scavi o cigli di cava;
-
dove previsto usare gli stabilizzatori e accertarsi
che gli stessi vengano collocati su superfici resistenti alle sollecitazioni da
questi esercitate;
-
su terreni in pendenza il mezzo può essere utilizzato
solo nei limiti indicati dal costruttore;
-
è necessario, al fine di garantirne la stabilità,
approntare rampe adeguate per l’accesso dei mezzi alle zone di carico e
scarico;
-
le macchine movimento terra devono essere dotate di
cabina di sicurezza ROPS quale protezione contro il ribaltamento e/o FOPS quale
protezione contro l’eventuale caduta di materiali (sassi, frammenti di roccia,
ecc.) durante il lavoro; i conducenti devono, inoltre, indossare correttamente
la cintura di sicurezza, ove presente, onde evitare danni fisici
(schiacciamento, ecc.).
La Scheda n. 4 “Il ribaltamento dei mezzi” di
INAIL/Infor.MO è scaricabile all’indirizzo:
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Da: PuntoSicuro
05/09/17
Due lavoratori vengono investiti da un incendio mentre
sono intenti nelle operazioni di travaso di solvente presente in
un’autocisterna: come è avvenuto l’incidente, le cause e come si sarebbe potuto
evitare.
Il Centro regionale di Documentazione per la
Promozione della Salute della Regione Piemonte (Dors) raccoglie storie
d’infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL
piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che
conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per
proporre soluzioni efficaci per la prevenzione.
In questa storia dal titolo “Quel mattino di nebbia”
(a cura di Mauro Campari, ATS Milano) due lavoratori vengono investiti da un
incendio mentre sono intenti nelle operazioni di travaso di solvente presente
in un’autocisterna.
QUEL MATTINO DI NEBBIA
Nel novembre del 2014 all’interno dell’azienda chimica
Merge durante le fasi di scarico di prodotti liquidi da un’autocisterna si è
sviluppato un incendio. L’incendio ha coinvolto l’autista del camion e
l’operaio addetto allo scarico ustionandoli entrambi in modo grave. Il fuoco
prima di essere spento, ha distrutto l’autocisterna e diverse attrezzature
dell’azienda.
CHI E’ STATO COINVOLTO
L’incidente alla Merge ha coinvolto Sergio, 53 anni
operaio addetto allo scarico degli automezzi sin dai tempi della sua assunzione
avvenuta nel 2003 e Giuseppe 35 anni autista, alla guida da poco più di tre
anni, di un’autocisterna della Solvent per il trasporto di prodotti chimici per
uso industriale.
DOVE E QUANDO
In quel giorno di novembre il clima era tipicamente
autunnale, qualche goccia di pioggia nella notte e al mattino una leggera
nebbia. Nebbia frequente in quest’area della provincia di Milano dove le fabbriche
confinano con la campagna. La fabbrica dove è avvenuto l’incendio è la Merge,
una media azienda che commercia in prodotti chimici. Questi prodotti,
acquistati da fornitori esterni, sono miscelati nei reparti dell’azienda e
commercializzati per impieghi speciali.
Da qualche tempo l’azienda acquista prodotti chimici
e, senza alcun trattamento, li rivende a marchio Merge dopo il travaso in
contenitori di minore capienza.
CHE COSA SI STAVA FACENDO
Quella mattina Giuseppe, autista della Solvent, è
arrivato con il suo camion fino alla Merge fermandosi in portineria per la
consegna dei documenti di trasporto. Giuseppe, che effettua spesso queste
consegne, conosce bene lo stabilimento e, sbrigate rapidamente le formalità di
ingresso, guida il suo camion sino all’area di scarico.
Sergio, preavvisato del suo arrivo, lo aspetta per
iniziare i travasi nell’area in cui il camion sosterà durante lo scarico.
Sergio inizia il lavoro collegando la valvola del rimorchio a un tubo che
porterà il liquido da scaricare in un grande serbatoio. Dopo questo
collegamento potrà dedicarsi alla cisterna della motrice dove lo scarico è più
complicato. Ci sono diversi scompartimenti e i solventi trasportati devono
essere scaricati singolarmente evitando che si inquinino. Il travaso dalla
motrice è effettuato da una tubazione collegata all’autocisterna e alle
cisternette plastiche da mille litri. Come sempre Sergio e Giuseppe
collaborano. Da qualche tempo lo scarico dei solventi era cambiato Nei mesi
precedenti si scaricava il contenuto delle autocisterne nei grandi serbatoi del
reparto e dopo, su richiesta dei clienti, in un reparto con pompe e aspiratori,
si travasavano i prodotti nei fusti per la vendita.
A lato del camion alcuni di questi contenitori sono
già pronti per essere riempiti. Mentre Sergio verifica il riempimento delle
cisternette, Giuseppe apre e chiude la valvola di scarico sul camion per
trasferirvi i solventi.
Dopo lo svuotamento del primo scomparto
dell’autocisterna iniziano un nuovo scarico. Scarico preceduto dal lavaggio del
tubo per evitare un inquinamento tra i diversi solventi. Tutto questo solvente
che serve per il lavaggio è raccolto in un secchio vicino alla valvola di
scarico e Sergio lo verserà al termine in una vasca di raccolta.
Il nuovo scarico inizia, Sergio mette il tubo dentro
la cisternetta e Giuseppe apre la valvola di scarico. Dalla tubazione fuoriesce
un bel getto di solvente. Cosi riempiono la prima, la seconda e iniziano a
caricarne una terza. Lo scarico procede e mentre Giuseppe manovra la valvola di
scarico Sergio ha il tempo per applicare le etichette sulle cisternette che
hanno riempito e di dire a Esteban, il mulettista di reparto, di trasferirle
nel magazzino
A UN CERTO PUNTO
Tutto è come sempre. Sino a che Sergio racconta: “Davo
le spalle a Giuseppe mentre applicavo le etichette quando ho sentito un botto e
il rumore di un sibilo e sono stato investito da una fiammata che mi incendiava
i vestiti. Immediatamente sono corso verso Esteban il mulettista che con alcuni
stracci cercava di soffocare le fiamme sui miei vestiti”.
Anche Angelo, responsabile di reparto che si trova li
vicino, ha sentito lo scoppio: “Girandomi vedevo Giuseppe, l’autista, che in
fiamme correva sul piazzale e poi a terra che si rotolava nell’aiuola.
Intervenivo e dopo essermi tolto la giacca la usavo per spegnerlo”.
Tutti i lavoratori presenti si attivano e con i
cannoni ad acqua e gli estintori cercano di contenere l’incendio.
Anche dalla fabbrica vicina gli operai con gli idranti
contengono le fiamme e raffreddano l’autocisterna per evitare che scoppi.
L’incendio è violentissimo e solo l’intervento delle
squadre dei Vigili del Fuoco, arrivate dopo poche decine di minuti, spegne in
modo definitivo l’incendio e mette in sicurezza il reparto della fabbrica.
Giuseppe, ustionato per oltre il 40% della superficie
corporea viene trasportato con l’elicottero a un centro specialistico per il
trattamento delle ustioni. Sergio con il corpo ricoperto da ustioni per oltre
il 30% dopo un primo ricovero in un grande Ospedale della zona viene trasferito
nello stesso centro in cui si trova Giuseppe.
COSA SI E’ APPRESO DALL’INCHIESTA
La ricerca delle cause doveva spiegare perché, una
attività frequente, come lo scarico di una autocisterna, si fosse trasformata
in un incidente particolarmente grave.
Avevamo bisogno di ricostruire le premesse di quanto
accaduto e di capire che cosa fosse cambiato.
Abbiamo compreso cosa fosse cambiato dalle
testimonianze dei lavoratori che ci hanno raccontato di come, nel corso degli
ultimi mesi, le operazioni di scarico dei mezzi si fossero modificate. Da uno
scarico, prima effettuato con linea fissa nei serbatoi del reparto ora, sempre
più frequentemente e per maggiori quantità si ricorreva al travaso per caduta
da autocisterna ai contenitori da mille litri.
Sergio l’infortunato racconta: “Facevamo il travaso
nelle cisternette anche tre, quattro volte alla settimana” Questa operazione
fatta con il liquido che sgorga da una tubazione senza alcun sistema di
aspirazione rendeva disponibile nell’area di scarico una grande quantità di
vapori di solvente che potevano essere infiammati. Questa è la prima premessa.
La seconda premessa riguardava le sorgenti di innesco.
E qui il problema era quello di individuare quale sorgente, tra le molte
presenti ed individuate, avesse innescato l’incendio. Ne citiamo alcune:
-
parti calde del muletto con motore diesel che
circolava sul piazzale durante lo scarico dei solventi;
-
gli abiti di Sergio e Giuseppe in materiale sintetico
che potevano produrre scintille da cariche elettrostatiche;
e diverse altre che sono state escluse non perché
impossibili ma solo perché meno probabili.
Commentando gli incidenti il più delle volte si sente
dire dalle persone direttamente coinvolte “Ma ho sempre fatto così... e non è
mai successo nulla. Tutto stava andando come sempre” dimenticando che, perché
si verifichino, gli incidenti hanno bisogno che tutti gli elementi concorrenti
siano presenti nello stesso momento.
Come in questo incidente:
-
la presenza di una grande quantità di vapori di
solvente dovuti al cambio di destinazione dello scarico prima in serbatoi fissi
ora in cisternette plastiche;
-
le parti calde del carrello elevatore, le scintille
elettrostatiche dagli abiti.
Inoltre la nebbia e l’assenza di ventilazione tipica
di questa condizione meteorologica davano l’ultimo contributo allo scenario di
un incidente. La mancanza di ventilazione naturale non permetteva la
dispersione dei vapori di solvente che, presenti in grande concentrazione,
erano infiammati da una delle sorgenti disponibili di innesco.
NON SAREBBE SUCCESSO SE...
Sul clima, come suggerito in numerosi proverbi della
tradizione popolare, non è possibile intervenire. Ma possiamo farlo su tutti
gli altri contributi che hanno determinato l’incendio.
Il primo riguarda una variazione delle modalità di
scarico che, effettuato direttamente nelle cisternette produceva una grande
quantità di vapori di solvente. I rischi che comportava questa nuova modalità
di scarico non erano stati valutati. Si tratta di fattori che avevano un forte
impatto non solo sul rischio di incendio, ma anche sulla esposizione dei
lavoratori a sostanze chimiche pericolose. Valutare i rischi voleva inoltre
dire prendere in considerazione la presenza di vapori di solvente e di tutte le
potenziali sorgenti di accensione.
La valutazione avrebbe dato gli strumenti per poter
scegliere se controllare i rischi con misure di prevenzione o forse, dopo la
valutazione, si avrebbe avuto la chiara indicazione che questa modalità di
scarico non si sarebbe potuta fare in modo sicuro.
In mancanza della valutazione di questi rischi lo
sviluppo di un incendio presso la Merge non era questione di “se” ma di
“quando”.
Mauro Campari
ATS Milano
La storia completa “Quel mattino di nebbia” è
scaricabile all’indirizzo:
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Da: PuntoSicuro
07/09/17
Esempi di infortuni professionali dovuti a
investimenti tra carrelli elevatori e lavoratori. Infortuni nel piazzale di una
ditta metalmeccanica e nel reparto di assemblaggio dei filtri per auto. I
fattori causali e gli strumenti di rilevazione dei pedoni.
La rubrica “Imparare dagli errori” dedicata al
racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, si è soffermata in questi
mesi sul tema delle interferenze e sui troppi infortuni che avvengono nei
luoghi di lavoro per investimenti tra macchine e pedoni. E una puntata
specifica della rubrica non può non essere dedicata alla movimentazione dei
carrelli elevatori; questi mezzi, ampiamente diffusi in molti comparti
lavorativi, sono infatti correlati a un grande numero di infortuni, con
investimenti che spesso dipendono dalla mancanza di una idonea viabilità e
segnaletica, dalla carenza di visibilità o da una conduzione scorretta del
mezzo.
E in questo caso, riguardo al tema della prevenzione,
non ci soffermeremo sulle problematiche delle vie di circolazione, della
viabilità o sui comportamenti alla guida, ma sulla possibilità di utilizzare, a
fini preventivi, specifici strumenti di rilevazione dei pedoni.
Ricordiamo che i casi di infortunio presentati sono
tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi
qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli
infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda l’investimento di un autista di
un mezzo pesante.
L’autista di un autoarticolato raggiunge il piazzale
di una ditta metalmeccanica per scaricare alcuni stampi necessari alla
produzione di cofani e parafanghi. Essendo una consegna urgente, ed essendoci
già un mezzo pesante nell’abituale zona di carico scarico, il carrellista
addetto al magazzino parcheggia il mezzo in una posizione diversa dalla solita.
L’autista scende quindi dal proprio mezzo e si attiva per rimuovere il telone
di copertura del rimorchio e consentire al magazziniere di effettuare lo
scarico della merce con il carrello elevatore.
Nel terminare questa operazione l’autista si sofferma
a parlare con altre persone presenti sul piazzale in prossimità del suo mezzo
dando la schiena al carrello elevatore.
Durante una delle manovre di arretramento effettuate
dal carrellista, a carico inforcato e sollevato, l’autista viene colpito alla
gamba destra e scaraventato a terra. Per effetto dell’urto contro il carrello
elevatore l’autista subisce la frattura della gamba per una inabilità di 463
giorni ed un’invalidità del 20%.
Il piazzale su cui avveniva lo scarico era privo di
segnaletica orizzontale tale da delimitare le aree di carico/scarico e quelle
dedicate al transito o stazionamento dei pedoni. Era inoltre assente
segnaletica verticale che indicasse le aree di pericolo ed il diverso utilizzo
delle stesse. In altre parole non vi erano regole stringenti da seguire nelle
operazioni di carico e scarico.
Questi i fattori causali rilevati nella scheda:
-
l’infortunato rimane in zona di scarico discutendo con
altre persone;
-
il carrellista manovra pur in presenza di persone in
prossimità del carico da movimentare;
-
la zona di scarico era occupata e l’intero piazzale
non prevedeva regole di comportamento.
Il secondo caso riguarda un infortunio di una
responsabile di linea nel reparto di assemblaggio dei filtri per auto.
Il reparto di assemblaggio è costituito da 5 linee di
produzione separate tra di loro da corsie di passaggio con larghezza di circa 2
m. Le corsie sono percorse sia dal personale addetto alla produzione, sia dai
carrelli elevatori che transitano per scaricare il materiale occorrente nei
vari punti delle linee.
Le mansioni della responsabile comprendono anche il
rifornimento della linea del materiale occorrente per l’assemblaggio dei
filtri, ogni volta che se ne ravvisa la carenza. E per scegliere il materiale
occorrente il responsabile di linea si reca al termine delle linee di
produzione, ove è presente una scaffalatura metallica sulla quale sono stoccati
i materiali occorrenti.
Questa scaffalatura, alta circa 4 m, si trova a
margine della corsia di accesso al reparto che viene regolarmente percorsa sia
dai pedoni che dai carrelli elevatori che circolano nei vari reparti. Il
responsabile di linea, una volta scelto il materiale, si mette in comunicazione
con il carrellista che provvede al carico e al trasporto dello stesso presso le
varie linee di produzione. Tale operazione, per quanto riferito dal caporeparto,
viene effettuata circa 6 volte ogni turno lavorativo e da ogni responsabile di
linea.
Si deduce, pertanto, che per ogni turno lavorativo vi
sia un’alta frequenza di personale che staziona, anche se per un periodo di
tempo limitato, nella zona in cui è collocata la scaffalatura e quindi nella
corsia di percorso dei carrelli elevatori.
Per quanto ricostruito durante l’ispezione e per
quanto confermato dall’infortunata, la dipendente si sarebbe recata presso la
scaffalatura sopradescritta in quanto la linea di produzione della quale è
responsabile abbisognava di alcune componenti. A tale scopo l’infortunata si
sarebbe posizionata di fronte alla scaffalatura metallica nella corsia di
transito dei carrelli, girando le spalle al reparto di produzione. Mentre si
trovava in questa posizione sarebbe stata urtata dal carrello elevatore,
condotto da un collega il quale stava transitando, a velocità ridotta, in
retromarcia, poiché stava uscendo dalla corsia che separa le due linee di
produzione. L’infortunata non si sarebbe accorta della presenza del carrello
che avanzava verso di lei e neppure il conducente del mezzo si avvedeva della
presenza della lavoratrice in quanto aveva la visuale coperta da un muro di
delimitazione del reparto. Pur procedendo a velocità ridotta il carrello urtava
la lavoratrice al gomito sinistro facendole perdere l’equilibrio. La stessa, a
causa dello sbilanciamento, cadeva a terra e la ruota posteriore del carrello
elevatore veniva a contatto col piede sinistro della lavoratrice.
I fattori causali sono evidenti:
-
retromarcia senza sufficiente visibilità:
-
assenza di percorsi segnalati per mezzi.
Come in una
precedente puntata di questa rubrica, dedichiamo lo spazio riservato alla
prevenzione ad alcune indicazioni sugli strumenti di rilevazione dei pedoni
tratte dal documento “Prevenire le collisioni macchine - pedoni (dispositivi
d’aiuto alla conduzione dei mezzi)”, diffuso dal Servizio Sanitario Nazionale -
Regione Veneto Azienda ULSS n. 6 Vicenza). Documento che sottolinea che se la
prevenzione delle collisioni macchine - pedoni può essere realizzata in primo
luogo con misure organizzative e con il miglioramento della visibilità, possono
rendersi necessarie anche delle misure tecniche complementari come
l’installazione di rilevatori di persone.
Il documento riporta lo stato delle conoscenze su tre
tecniche di rilevazione in grado di contribuire alla prevenzione delle
collisioni macchine-pedoni.
Riguardo alle tecniche di rilevazione si indica che è
possibile la segnalazione di persone con scrutatore laser, un dispositivo
ottico che analizza la zona di rilevazione (interna o esterna) per mezzo di un
fascio laser infrarosso. Questo principio si basa sull’emissione, in una
direzione fissata da un sistema di specchi rotanti, di un impulso luminoso. Se
questo impulso incontra un oggetto o un corpo che abbia un coefficiente di
riflessione sufficiente, si riflette verso il dispositivo.
In particolare l’intercettazione di persone per mezzo
di uno scrutatore laser permette di:
-
intercettare tutte le persone che stazionano o
circolano in una zona a rischio nelle vicinanze della macchina, senza ricorrere
a un rivelatore specifico;
-
definire precisamente la planimetria dei campi di
intercettazione ed anche la taglia minima degli oggetti che si vogliono
intercettare;
-
modificare la forma e la taglia dei campi di
sorveglianza, in funzione delle fasi di utilizzo del veicolo, con l’utilizzo di
un’opportuna interfaccia.
Un’altra modalità è la segnalazione di persone con
tecniche ultrasonore sfruttando il principio di riflessione degli ultrasuoni
sugli ostacoli che incontrano sul loro percorso. Le tecnologie ultrasonore
beneficiano dell’esperienza apprezzabile delle numerose applicazioni di uso
corrente (automobili, trasporti su strade, ecc.). Ad esempio questi sistemi
sono apprezzati dagli utilizzatori quando si tratta di eseguire manovre di
retromarcia con ridotta visibilità. Le informazioni che danno al conduttore
permettono di evitare danni materiali. Il ricorso a questa tecnologia si
giustifica a partire dalle seguenti constatazioni:
-
una buona tenuta ai rischi climatici (pioggia, nebbia,
neve) e fisici (traumi, vibrazioni);
-
un range di funzionamento a temperature relativamente
esteso (da -20 °C a + 80 °C);
-
la sensibilità di intercettazione è sufficiente per
percepire un’intrusione o un ostacolo;
-
possono essere programmati più valori di soglia e di
allarme;
-
possibilità di associare questi dispositivi a un
sistema televisivo a circuito chiuso (visualizzazione sullo schermo
dell’ostacolo intercettato);
-
campo di intercettazione volumetrico;
-
costo ragionevole.
Infine si segnala la possibilità di rilevazione di
persone con onde elettromagnetiche.
In questo caso vengono montate sulla macchina una o
più antenne, chiamate anche “boe”, che emettono onde radio. La persona da
proteggere deve portare un distintivo elettromagnetico (a forma di scatola o
braccialetto). Quando il distintivo si trova nella zona di emissione
dell’antenna, invia un segnale al conduttore.
In particolare la rivelazione con onde radio:
-
permette di rilevare le persone munite di badge; gli
altri ostacoli non sono individuati;
-
è operativa indipendentemente dalla postura (in piedi,
sdraiate) della persona da individuare;
-
permette di trascurare la maggior parte degli ostacoli
che mascherano parzialmente o totalmente la persona (paratie, veicoli, ecc.):
solo gli ostacoli completamente metallici senza apertura potrebbero a seconda
della loro dimensione e della loro costituzione impedire la rivelazione del
badge;
-
risponde, quando le regole dell’arte e le norme sono
applicate, alle esigenze ambientali di un cantiere di lavoro: presenza di
acqua, polvere, fango, temperature estreme radiazioni di luminosità,
perturbazioni elettromagnetiche: il rilevatore non disturba il funzionamento
della macchina e il livello di esposizione delle persone al campo
elettromagnetico emesso dal rilevatore è molto inferiore a quello raccomandato
dalla Direttiva Campi elettromagnetici.
Il documento “Prevenire le collisioni macchine-pedoni
(dispositivi d’aiuto alla conduzione dei mezzi)”, prodotto dal INRS (Istituto
Nazionale di Ricerca e di Sicurezza francese), è scaricabile all’indirizzo:
Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo
presentato le schede numero 8066 e 6020 è consultabile all’indirizzo:
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