martedì 5 giugno 2012

ART.18: ECCO PERCHE' IL LAVORATORE NON SARA' MAI PIU' REINTEGRATO NEL SUO POSTO DI LAVORO


LAVORO: LA TRUFFA DEL REINTEGRO
di Bruno Tinti ( Magistrato)
Non avrei mai pensato di rivolgere al presidente Monti e al ministro Fornero 
la stessa domanda
(retorica) tante volte fatta a B&C: ma ci siete o ci fate?
E invece. L'art. 14 comma 7 del ddl sulla riforma del lavoro (Tutele del 
lavoratore in caso di
licenziamento illegittimo) dice: "il giudice che accerta la manifesta 
insussistenza del fatto posto a
base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sarebbe il 
licenziamento per motivi
economici) applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del 
medesimo articolo" (il
reintegro )......
E, poco più avanti: "nelle altre ipotesi in cui accerta che non 
ricorrono gli estremi del
predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al 
quinto comma". Che consiste nel
dichiarare "risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del 
licenziamento e condannare il datore
di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva" (l'indennizzo).
TUTTO RUOTA intorno a due paroline: "manifesta insussistenza". Cosa vogliono 
dire? In linguaggio
comune è semplice: il fatto posto alla base del licenziamento non esiste; 
perciò il lavoratore va
reintegrato nel posto di lavoro, poche storie. Ma, per un giurista, 
insussistenza senza aggettivi è cosa
diversa dall'insussistenza "manifesta". Il giurista si chiede: ma perché 
questi hanno sentito il bisogno
di scrivere che l'insussistenza deve essere "manifesta"? Un fatto o sussiste 
o non sussiste; quanto
sia complicato accertare che esista non incide sulla sua esistenza, solo 
sulla difficoltà della prova.
Per capirci meglio, un assassino va condannato sia che lo si becchi con il 
coltello sanguinante in
mano, sia che la sua responsabilità emerga dopo un complicato lavoro di 
indagine (movente, alibi,
testimonianze etc). Dunque, pensa il giurista, questi hanno scritto 
"manifesta insussistenza" proprio
per differenziare questi casi da quelli in cui c'è l'insussistenza semplice; 
e per differenziare il
trattamento conseguente, reintegro nel primo caso, solo indennizzo nel 
secondo.
Come tecnica legislativa non è una novità. Quando, in un processo, si 
solleva un'eccezione di
illegittimità costituzionale, il giudice la accoglie solo quando la 
questione non è "manifestamente
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infondata". Se è sicuro che la legge è conforme alla Costituzione, respinge 
l'eccezione. Insomma,
solo quando il giudice ha qualche dubbio sulla costituzionalità della legge 
(o, naturalmente, quando è
sicuro che sia incostituzionale), chiede alla Corte costituzionale di 
valutare. Ne deriva che la Corte
non riceve tutte le questioni di illegittimità costituzionale ma solo quelle 
che i giudici ritengono "non
manifestamente" infondate. Può darsi che tra le altre, quelle che il giudice 
ha respinto (sbagliando),
ce ne fossero di fondate; ma la loro fondatezza non era "manifesta"; e 
quindi.
Tornando all'art. 18, siccome i criteri di interpretazione giuridica delle 
leggi questi sono (art. 12 del
codice civile), ne deriva che il giudice potrà reintegrare il licenziato 
solo quando, da subito, senza
indagini, senza prove, "manifestamente "appunto, è sicuro che il motivo 
economico non sussiste. Se
invece dubita, se per decidere deve acquisire prove, allora niente 
reintegro. E cosa al suo posto? Ma
è chiaro, l'indennizzo. E infatti Monti-Fornero lo dicono espressamente: 
"nelle altre ipotesi", cioè
quando l'insussistenza del motivo economico va accertata con una normale 
istruttoria dibattimentale
(prove, testimonianze, perizie), quando dunque non è "manifesta", di 
reintegro non se ne parla.
Magari alla fine salterà fuori che il motivo economico non c'è; ma, siccome 
è stato necessario un
vero e proprio processo per rendersene conto, niente reintegro, solo un po' 
di soldi.
DA QUI DERIVANO TRE CONSEGUENZE MICIDIALI:
LA PRIMA:
Il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare 
che un'azienda licenzi con
motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, "manifestamente", si capisce 
che sono una palla? Se
anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e 
quindi sarà
necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, 
l'insussistenza del
motivo economico, anche se accertata, non è "manifesta"; e il lavoratore non 
potrà essere
reintegrato.
LA SECONDA:
I giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l'insussistenza 
del motivo economico ci
sarà; ma, per essere sicuri, un po' di istruttoria va fatta. Un giudice non 
può dire: "È così'". Deve
motivare perché è così; e per questo è necessaria l'istruttoria. Ma, se la 
fa, addio reintegro. Mica
male come dilemma.
LA TERZA:
A seconda dell'interpretazione che il giudice darà del concetto "manifesta 
insussistenza" gli diranno
che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: "Se la 
mente del giudice funziona,
la legge è sempre buona" (Snoopy sul tetto della sua cuccia). "Certo che con 
questi giudici.; anche
le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il 
governo si è dannato per
scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei 
magistrati, ecco quello che ci
vuole".
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Ma, a questo punto: davvero Camusso & C, Bersani & C, a tutto questo non ci 
hanno pensato? O si
sono accontentati di una (finta) dimostrazione di forza, del tipo: "Abbiamo 
costretto il governo etc
etc; guardate come siamo bravi"?
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