martedì 3 novembre 2015

3 novembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 03/11/15



INDICE

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
A LAVORARE IN FABBRICA...SI DIVENTA MATTI

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
LE MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO SI SONO STABILIZZATE

Franco Mugliari fmuglia@tin.it
MUGLIA LA FURIA AL CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA FORMAZIONE E CONSULENZA SICUREZZA

COBAS IGIENE AMBIENTALE SOSTIENE LA GESTIONE PUBBLICA DEI RIFIUTI

CONTRO LE ESERCITAZIONI MILITARI OPERAZIONI DELLA NATO “TRIDENT JUNCTURE 2015

Posta Resistenze posta@resistenze.org
CRONACHE AI MARGINI DI MARTE: I GIORNI DELL’ILVA

Posta Resistenze posta@resistenze.org
IL PEANA IDEOLOGICO ALL’EXPO

Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
IL CAVALIERE MORETTI: DA “FERROVIERE” A...”PILOTA”

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
DALL’INAUGURAZIONE ALLA CHIUSURA DELL’EXPO SONO MORTI 91 LAVORATORI SCHIACCIATI DAL TRATTORE

Roberto Grosso robertogrosso@alice.it
FERROVIE: IL MACCHINISTA UNICO FINISCE IN TRIBUNALE, CHIUSA L’INCHIESTA SU TRENITALIA

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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, October 21, 2015 3:26 PM
Subject: A LAVORARE IN FABBRICA...SI DIVENTA MATTI

Da La Bottega dei Barbieri

L’INTERVENTO INTRODUTTIVO DI PAOLO BRINI ALL’INCONTRO/DIBATTITO DEL 23 OTTOBRE A MODENA
“L’iniziativa parte da un dato preciso ed emblematico” spiegano i promotori.
Da quando è iniziata la crisi a oggi il numero di persone che si sono rivolte ai CSM (Centri di Salute Mentale) è aumentato di un terzo e la stragrande maggioranza sono lavoratori dipendenti vittime delle dure conseguenze della crisi.
Da un lato, chi ha perso il posto di lavoro e cade in depressione e crisi esistenziale; dall’altro, chi è rimasto al lavoro ed è costretto a subire ritmi sempre più pesanti e alienanti. La crisi peggiora le condizioni di vita e di lavoro e questo impatta sulla condizione psicologia dei lavoratori. Da qui l’esigenza di provare a rispondere a questi bisogni.
“A lavorare in fabbrica...si diventa matti” è il titolo scelto per l’iniziativa che si è svolta venerdì 23 ottobre dal sindacato metalmeccanici FIOM/CGIL Modena nell’ambito della rassegna sulla salute mentale “Màt” dell’ASL di Modena.
RELAZIONE INTRODUTTIVA DI PAOLO BRINI (RESPONSABILE SALUTE AMBIENTE SICUREZZA DELLA FIOM DI MODENA)
La scelta di organizzare questa assemblea, cui abbiamo voluto dare un titolo un po’ scherzoso, nello spirito della “Settimana della salute mentale” risiede nella volontà di affrontare un tema in realtà molto serio ed importante.
Il peggioramento devastante delle condizioni di vita e di lavoro cui stiamo assistendo dall’esplosione della crisi economica del 2008 a oggi e l’impatto dirompente che questo sta avendo sulla salute mentale della classe lavoratrice.
Parliamo di classe lavoratrice, di proletariato, perché non ci riferiamo solo ai metalmeccanici in senso stretto.
E’ un fatto indiscutibile che tutte le categorie di lavoratori dipendenti sono state travolte dalla crisi. E’ altresì un fatto che tutte le categorie in un qualche modo sono legate a una forma di “catena di montaggio”, sia essa materiale o no, e a una forma di organizzazione del lavoro che le vessa. Dal centro commerciale al Mc Donald’s, dal call center alla ASL, dal facchino al cooperatore sociale.
Per dirla con una parola, al centro vogliamo porre o meglio vogliamo tornare a porre la condizione operaia. Se qualcuno pensa che si stia affrontando temi desueti e antichi, lo invitiamo a guardare un po’ meno televisione e a soffermarsi un po’ di più anche solo sulle ultime leggi reazionarie varate da questo governo. Leggi che hanno riportato la condizione di lavoro e del diritto del lavoro indietro di almeno 50 anni.
Per dirne una rimanendo in tema, nel Jobs Act si dà anche la possibilità al padrone di demansionare il lavoratore che abbia problemi di salute, fisici o mentali che siano.
Naturalmente in questo mondo orwelliano ci raccontano che lo si fa per dare una opportunità in più al lavoratore di (testualmente) “migliorare le proprie condizioni di vita”. Esattamente come quando ci raccontano che le guerre si fanno con missioni di pace.
I numeri parlano chiaro. Solo nel modenese dal 2008 a oggi la quantità di persone che si rivolge ai Centri di Salute Mentale è aumentato di oltre un terzo. La stragrande maggioranza dei nuovi utenti sono lavoratori dipendenti travolti da uno dei due opposti effetti che la crisi ingenera. Da un lato chi cade in depressione perché in cassa integrazione o licenziato vede crollare la propria esistenza senza alcuna prospettiva per il futuro. Dall’altro chi il lavoro non lo ha perso e proprio per questo si trova a dover lavorare il doppio.
Per fare un esempio, solo nel settore metalmeccanico in questi anni si sono persi 300.000 posti di lavoro. L’aumento degli ordinativi e della produzione che stiamo registrando in questi mesi in qualche settore della metalmeccanica si sta traducendo (checché ne millanti il governo con i suoi dati falsi) non in nuove assunzioni, bensì nell’aumento dei ritmi di chi al lavoro c’è già.
Questi dati ci inducono innanzitutto a formulare una prima considerazione.
Il concetto teorico di fondo dei padri della cosiddetta “psichiatria alternativa” come Franco Basaglia, Franca Ongaro, Sergio Piro e qualche decennio prima di loro Wilhelm Reich è confermato nella pratica dai fatti. Concetto da essi traslato in ambito psichiatrico dal materialismo storico e dialettico di Marx ed Engels.
Ovvero, è il sistema nella sua brutalità, nelle aberranti condizioni di esistenza che impone alla classe lavoratrice, la causa di fondo anche dell’insorgere dei problemi legati alla salute mentale. Il fenomeno che stiamo esaminando lo conferma in maniera inequivocabile proprio perché a essere investita da problemi di carattere psicologico e psichiatrico non è più solo quella parte di emarginazione che il sistema produce e che fino a qualche tempo fa rinchiudeva in un manicomio, in un Ospedale Psichiatrici Giudiziario o in una clinica.
Una emarginazione che il sistema poteva “facilmente” celare o dipingere come fenomeno inevitabile e tutto sommato trascurabile. Oggi invece sono i lavoratori, e cioè l’asse centrale attorno a cui ruota, volenti o nolenti, questo sistema, a esserne travolti e l’evidenza di questi dati non può più essere sottaciuta né negata.
In secondo luogo questa situazione ci spinge a proporre due riflessioni. Una rivolta al personale medico che è chiamato dalla propria angolazione ad affrontare questo fenomeno, e l’altra rivolta al sindacato, a noi della FIOM e alla CGIL.
Al personale sanitario l’invito e la sollecitazione che ci sentiamo di fare è di non affrontare questo problema in termini sanitari, medicalizzando il lavoratore che chiede aiuto ai Centri di Salute Mentale. Perché questo è un rischio che può esserci se non si contestualizza la questione.
Si pensi solo alla definizione che ormai viene generalmente utilizzata di Stress Lavoro Correlato. E’ una definizione sanitaria che spoliticizza un problema che al contrario è profondamente politico e sociale. Un problema presente da quando esiste la classe lavoratrice e che da almeno 150 anni ha un nome scientifico preciso: alienazione.
Il che naturalmente non significa che nei casi in cui il personale competente lo ritiene opportuno e necessario per la salvaguardia del lavoratore stesso, non si debba affrontare la questione anche dal punto di vista sanitario.
La consapevolezza però che si deve avere e che in un qualche modo deve essere il motore anche dell’azione medica è che esiste una sola cura vera ed efficace per risolvere il problema e questa cura non è una boccettina, né una pillolina, né la seduta dallo psicoterapeuta.
L’unica terapia efficace è che il lavoratore capisca che si deve organizzare con i propri compagni di lavoro e lottare assieme a loro per migliorare e cambiare la propria condizione, dentro e fuori la fabbrica.
Dopotutto ci pare che questo sia anche lo spirito di fondo della “Settimana della salute mentale”. Uno spirito che trae ispirazione dall’esperienza di quella Psichiatria Alternativa che ha fatto delle assemblee, delle riunioni, del decidere e lottare assieme (invece di delegare al medico o al sanitario) i propri motori propulsivi e la propria forza.
Come “il matto” si riappropria dei propri diritti lottando in prima persona e non delegando alla clinica o alla pillola, così deve tornare a fare il lavoratore.
La seconda e più importante considerazione riguarda invece il sindacato.
Se è vero come è vero, che in questi anni migliaia di lavoratori anziché rivolgersi al sindacato per i propri problemi di lavoro hanno preferito, perché lo ritenevano più efficace, rivolgersi al medico vuol dire che abbiamo un problema grosso come una casa. Il problema è che come sindacato stiamo perdendo credibilità agli occhi di chi lavora. Su questo dobbiamo aprire riflessioni serie e approfondite evitando di chiuderci in un fortino autoreferenziale.
Il sindacato deve tornare a essere percepito come strumento efficace dai lavoratori. Il sindacato deve tornare a essere percepito come strumento di classe non per i lavoratori, ma dei lavoratori, il mezzo attraverso cui i lavoratori si organizzano e lottano per difendere e migliorare la propria condizione.
Proprio perché queste due riflessioni debbono essere in un qualche modo intrecciate e il ruolo di medici e sindacalisti deve essere di grande sinergia, ci sentiamo di avanzare una proposta su cui come FIOM, non solo a livello locale ma anche nazionale, stiamo ragionando.
Una proposta che naturalmente non pretende di essere esaustiva e che è assolutamente aperta, ma che vuole essere un primo tentativo di provare, come si suol dire, a prendere il toro per le corna.
Proponiamo e ci proponiamo di istituire uno sportello organizzato dal sindacato con l’intervento del personale medico di riferimento. Uno sportello che riceva e aiuti i lavoratori con problemi psicologici.
Un tale strumento ci permetterebbe di contrastare la tendenza sempre più diffusa e preoccupante delle aziende a mettere a disposizione del lavoratore i propri psicologi “di fiducia”. Se non contrastiamo questa tendenza, “lo psicologo aziendale” diventerà uno strumento di controllo ancora più deleterio del Jobs Act! I lavoratori già sono costretti per vivere a regalare i propri muscoli e la propria fatica ai padroni, non possiamo permettere che siano costretti a dare loro anche la propria mente e i propri sogni.
L’obbiettivo che ci prefiggiamo attraverso questa proposta non è di limitarci a fornire un mero servizio al lavoratore. Al contrario vorremmo poter fornire un’assistenza che possa tradursi anche in militanza, ridando coraggio e fiducia ai lavoratori in se stessi non solo come individui, ma come classe.
Insomma, come nella migliore tradizione del movimento operaio, l’idea è che sindacalisti e personale tecnico si mettano insieme al servizio della classe lavoratrice. Perché anche oggi, come in passato, è solo la classe lavoratrice che ha la forza per migliorare e cambiare questo mondo.

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Friday, October 23, 2015 10:11 AM
Subject: LE MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO SI SONO STABILIZZATE

LE MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO SI SONO STABILIZZATE
NESSUN AUMENTO SIGNIFICATIVO RISPETTO AI PRIMI 9 MESI DEL 2014
Sono uscite le tabelle dell’INAIL relative alle morti sul lavoro dal 1 gennaio al 30 settembre 2015. Possiamo fare una comparazione tra i morti sul lavoro assicurati all’INAIL e quelli monitorati dall’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro. Prima di tutto non esiste nessun aumento significativo delle morti sui luoghi di lavoro rispetto allo stesso periodo del 2014, sia se si guardano le tabelle INAIL sia quelle dell’Osservatorio di Bologna, che ricordiamo ancora una volta monitora tutti i morti sui luoghi di lavoro, anche dei lavoratori non assicurati all’INAIL.
Noi registriamo al 30 settembre un incremento sui luoghi di lavoro dell’1,1%. Al 30 settembre se separiamo i morti sulle strade e in itinere, che richiedono interventi completamente diversi da chi muore sui luoghi di lavoro, l’Osservatorio registra 515 morti, contro i 441 denunciati all’INAIL. Poi ovviamente lo Stato e l’INAIL considerano morti sul lavoro anche i lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere e qui la situazione si complica.
Noi valutiamo che in quella data si siano superati i 1.150 morti, mentre le denunce arrivate all’INAIL compresi i morti sulle strade e in itinere sono state 856. Di queste 856 denunce, soprattutto in itinere, diverse non saranno riconosciute come tali per tante ragioni che qui non è opportuno analizzarle.
Il consiglio a chi utilizza un mezzo proprio, se va al lavoro con colleghi, che questo mezzo lo guidano, di andare a leggere bene le normative relativa all’itinere. La differenza sul numero dei morti complessivi è notevole ma tantissimi muoiono sulle strade che non dispongono dell’Assicurazione INAIL, tanti anche in nero.
Ma il vero anno orribile sulle tragedie delle morti sul lavoro è stato il 2014, quest’anno, probabilmente saremo sugli stessi livelli, con una differenza percentuale di più o meno 2% sui luoghi di lavoro.
A noi non interessa il sensazionalismo di chi “spara” numeri senza conoscere bene la realtà di questo fenomeno complicatissimo, vogliamo solo far comprendere agli italiani le dimensioni di queste tragedie.
C’è da dire che finalmente e probabilmente quest’anno se ci sarà un incremento delle morti sarà molto limitato e che finalmente dopo tanti anni le morti sui luoghi di lavoro saranno stabili e non aumenteranno se non in modo molto limitato, ma i bilanci si faranno a fine anno.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Monday, October 26, 2015 11:48 AM
Subject: MUGLIA LA FURIA AL CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA FORMAZIONE E CONSULENZA SICUREZZA

A FIRENZE, A FIRENZE!
Investire in sicurezza conviene: come e perché.
Torno, sul convegno del prossimo 6 novembre a Firenze organizzato dall’AIFECS (Associazione Italiana Formazione E Consulenza Sicurezza) che vedrà, tra gli altri, la partecipazione del sottoscritto Muglia La Furia. 
Devo ringraziare innanzitutto tutti quelli che hanno voluto augurare il loro “in bocca al lupo” a Muglia La Furia sul blog e sui social media. A loro e a tutti voi devo peraltro precisare che la locandina che del convegno è un falso clamoroso teso a millantare credito. Infatti il convegno in questione non vedrà il confronto diretto tra Guariniello e Muglia La Furia. 
Guariniello parlerà in tarda mattinata (vedere il link per scaricare il programma), mentre Muglia La Furia interverrà “solo” nel pomeriggio alla tavola rotonda di chiusura dell’evento quando il “nostro” probabilmente non sarà più in sala. 
Vi renderò conto del suo intervento nelle prossime settimane anche se, avendolo sentito 5 volte negli ultimi due anni, molte delle cose che dirà ve le potrei già anticipare.
Come sempre egli leggerà e commenterà alcune sentenze, più o meno recenti, tirando le orecchie agli Ispettori del lavoro, a coordinatori e RSPP, ai componenti gli Organi di Vigilanza, ai datori di lavoro (ovviamente), visto che commenterà sentenze di condanna.
Insomma ce ne sarà per tutti.
Il confronto con Guariniello si limiterà a qualche domanda/risposta nei limiti di tempo che saranno concessi e poi... tutti a pranzo.
E infine, ecco i link dai quali scaricare programma e modulo di iscrizione.
Il programma completo è all’indirizzo:
http://aifecs.it/public/locandina.pdf
La scheda iscrizione è all’indirizzo:

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From: Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
To:
Sent: Tuesday, October 27, 2015 5:19 PM
Subject: COBAS IGIENE AMBIENTALE SOSTIENE LA GESTIONE PUBBLICA DEI RIFIUTI

COBAS IGIENE AMBIENTALE SOSTIENE LA GESTIONE PUBBLICA DEI RIFIUTI
Proprio cosi, una voce fuori dal coro sindacale se tale vogliamo definirla....il Cobas si schiera prima di tutto a difesa dei lavoratori in modo indistinto, senza alcuna distinzione tra lavoratori nei servizi a gestione diretta o in appalto.
L’esatto contrario di quanto hanno fatto CGIL, CISL, UIL e sindacati autonomi.
Tutto comincia quando la stessa autorità d’ambito decide di incontrare separatamente le sigle sindacali, portando avanti una trattativa privilegiata con CGIL, CISL, UIL, indebolendo e svilendo contributi e proposte dei sindacati di base. Da qui nasce il primo campanello di allarme: non basta dire che è opportuno, è diventato fondamentale gestire i rifiuti in mano pubblica.
Cobas Igiene Ambientale non si è limitato ad ascoltare le sole ragioni dell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) Toscana, abbiamo incontrato comuni e soggetti coinvolti a vario titolo sia nella gestione dei rifiuti sia nel sistema ATO. Scoperchiando un calderone abbiamo scoperto varie discrepanze che non vanno verso la tutela dell’interesse pubblico, dei lavoratori e a salvaguardia dell’ambiente, vogliamo elencare alcune contraddizioni, giusto le più macroscopiche.
1) Benché si tratti di un appalto riguardante la cessione di quote di una società pubblica a unico gestore privato, quest’ultimo avrà piena facoltà e discrezionalità organizzativa e gestionale, in sintesi una revival di quanto si sta verificando nell’ATO Toscana sud con i sindaci sul piede di guerra con il gestore Servizi Ecologici Integrati Toscana.
2) Qualsiasi privato deve necessariamente prevedere un piano industriale che tenga conto, oltre alla copertura di costi, delle spese generali e utile di impresa (circa il 20% o 25%). Finiamola quindi di dire che i soci privati devono portare capitali, perché qualsiasi piano industriale prevederà la remunerazione del capitale (i soldi costano...).
3) Gli addetti alla riscossione saranno i Comuni. i quali oltre a emettere le bollette della tassa sui rifiuti dovranno anche mettere la mano nella tasca dei cittadini, quando poi alcune famiglie non riusciranno a pagare, secondo il principio di copertura totale del servizio: gli insoluti verranno spalmati nella tassazione dell’anno successivo, in poche parole aumenti delle tariffe o accanimento contro famiglie indigenti.
4) Perdita del governo del territorio: le Amministrazioni Comunali non avranno vita facile, infatti l’interlocutore sarà un mega gestore a cui premono solo profitti e ciò si tradurrà in continui disservizi e costi aggiuntivi a carico dei cittadini; sicuramente verranno meno le funzioni sociali derivanti da una oculata gestione diretta e pubblica della raccolta e lavorazione dei rifiuti. Anche un solo secondo in più per impiego di attrezzature sarà fatturato, altro che servizio pubblico.
5) L’ATO nella persona del Direttore Generale e del suo staff, ha volutamente escluso dal protocollo di intesa sottoscritto con CGIL, CISL, UIL i lavoratori delle società terziste (appaltatrici presso le aziende pubbliche), definendo mostruosamente tali lavoratori in subappalto, quindi non aventi titolo al passaggio diretto nella nuova società. Affermazione quest’ultima che rende due possibili valutazioni sulla struttura ATO:
-         ignoranza e incapacità nell’applicazione delle norme, in quanto le norme (articolo 202 del D.Lgs. 152/06) e la giurisprudenza tutelano tali lavoratori includendoli direttamente nel ciclo integrato;
-         una oscura volontà di estrapolare il costo di tali lavoratori che vanno da 800 a 1.000 unità (in corso di accertamento), dall’ammontare dell’appalto per fare poi cosa, mandarli a casa?
Perché tutelare i lavoratori delle aziende pubbliche addirittura prevedendo che il gestore per nuove assunzioni attingerà dalle graduatorie dei lavoratori stagionali delle aziende pubbliche senza prima accertarsi che tutta la forza lavoro attualmente impiegata negli appalti sia ricollocata e tutelata?
6) Siamo stati informati che il Piano d’Ambito e i relativi documenti Valutazione d’Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica prevedono un sistema di raccolta porta a porta con un rapporto di 750/1.200 utenze giornaliere per operatore in un turno di lavoro di 6 ore, dati del tutto impensabili perché un lavoratore riesca a effettuare un turno simile con carichi di lavoro raddoppiati.
7) Il Piano d’Ambito prevede un aumento dei rifiuti invece che una diminuzione, si parla di incrementi del 20%, in discordanza sia con le norme europee sia con il dichiarato intento di valorizzare i rifiuti con la raccolta differenziata.
8) Sempre il Piano d’Ambito prevede la realizzazione di nuovi impianti non tenendo conto di altri invece già presenti sul territorio.
9) Una gestione unitaria con possibili economie di scala non si può tradurre in concetto di gestore unico, stravolgendo quella che è la volontà popolare espressa con referendum e confermata dalla Corte Costituzionale.
10) Sanità e gestione idrica fanno già scuola in tal senso, e con loro il settore rifiuti meriterebbe una gestione attenta, oculata e secondo le singole esigenze territoriali che solo le amministrazioni comunali possono garantire.
Cobas Igiene Ambientale è da sempre fautore della gestione pubblica dei rifiuti, pronto a sostenere anche singole amministrazioni che decideranno di gestire in modo pubblico i rifiuti, fungendo anche da collante per una collaborazione tra amministrazioni comunali
Oggi più che mai è importante l’unità di lavoratori, cittadini e istituzioni locali per contrastare la privatizzazione dell’igiene urbana e la svendita del servizio di rilevanza economica a soci privati.

Cobas Igiene Ambientale

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From: Elena Siddi elena.siddi@libero.it
To:
Sent: Wednesday, October 28, 2015, 2015 8:09 PM
Subject: CONTRO LE ESERCITAZIONI MILITARI OPERAZIONI DELLA NATO “TRIDENT JUNCTURE 2015

IL TRIDENTE PORTERA’, INEVITABILMENTE, LA CRESCITA DELLA DEVASTAZIONE AMBIENTALE, DI LEUCEMIE, TUMORI E MALFORMAZIONI GENETICHE, EREDITA’ DI OLTRE SESSANT’ANNI DI ADDESTRAMENTI DI MORTE
POSSIAMO CONTINUARE A TACERE?
Sardegna, le grandi manovre di guerra della Nato sono in corso, avanza l’antagonismo di popolo.
La denuncia e le richieste al presidente della Regione del Comitato Gettiamo le Basi sono cadute nel vuoto avvalorando i peggiori sospetti di connivenza del Governatore Pigliaru e la sua giunta.
Non risultano iniziative della Regione Autonoma della Sardegna per esercitare il diritto di opposizione ai diktat ministeriali e alla mega esercitazione “Trident Juncture”.
L’opposizione al Tridente Nato è partita dal basso e non si ferma.
IL TRIDENTE NATO CALA IN SARDEGNA CON IL SUO CARICO DI RADIOATTIVITA’, VELENI, FORTE SENTORE DI ILLEGALITÀ ED ABUSIVISMO
La Sardegna è come sempre il campo privilegiato delle manovre di guerra. Questa volta fanno le cose in grande. Ministra e generali pubblicizzano con orgoglio e soddisfazione l’esercitazione Trident Juncture: “Sarà la più imponente esercitazione Nato del dopoguerra”.
La durata è spaventosamente inconsueta, va dal 1/10 al 6/11, il teatro è impressionante, i poligoni della Sardegna (Quirra, Teulada, Decimo/Capo Frasca) operano coordinati con Spagna, Portogallo, Napoli, Sicilia.
La ricca Europa ha scaricato nel suo sud gli addestramenti di morte che nessuno vuole nel suo territorio e l’Italia a sua volta li ha scaricati nel suo sud e soprattutto nell’isola colonia.
Alla Sardegna, infatti, ha riservato il peggio del peggio, i bombardamenti terra, aria, mare life fire, a fuoco vivo, con vero munizionamento di guerra.
Il Tridente Congiunto della Nato colpirà la Sardegna con una quantità “mai vista prima”, così promettono, di missili all’amianto, al torio, all’uranio (munizionamento standard di Usa, Francia, Israele e altri Paesi partecipanti) e la miriade di veleni bellici, piombo, mercurio, fosforo, TNT, RDX, octol, riolite, difenilammina, etilcentralite, solo per citarne alcuni.
Il Tridente ci porterà, inevitabilmente, la crescita della devastazione ambientale, di leucemie, tumori e malformazioni genetiche eredità di oltre sessant’anni di perenni addestramenti di morte.
Il programma di esercitazioni, bocciato il 9 luglio dalla Regione Sardegna in sede CoMiPa (Comitato Misto Paritetico Stato Regione), ha avuto il via libera della Ministra alla Difesa il 25 settembre. La Regione ha 15 giorni di tempo per opporsi e chiedere il riesame del Decreto da parte del Consiglio dei Ministri (90 giorni per pronunciarsi).
Però il giorno 1 ottobre è partita la mega esercitazione Trident che, pertanto, si configura come illegale e abusiva data l’inosservanza delle procedure e dei tempi disposti dalle leggi che regolano la materia (Leggi 898/76 e 104/90).
L’emanazione del Decreto all’ultimo minuto è un volgare trucco da quattro soldi per mettere la Sardegna davanti al fatto compiuto e meglio scipparla del diritto di opposizione e delle prerogative di legge.
L’assenza di reazioni del Governatore, della Giunta e del Consiglio accende il sospetto che lo scippo sia stato concordato con “lo scippato”. Non sarebbe certo la prima volta, anzi sta diventando la prassi dell’Amministrazione regionale (deportazione degli insegnanti, “Sblocca Italia” ecc.).
Il sospetto è rafforzato dalle interpretazioni filo ministeriali della normativa che circolano nell’entourage del governatore PD Pigliaru, bislacche e in palese contrasto con lo spirito, l’iter, le diciture della legge e, in particolare, con il combinato disposto dei commi 4 e 11 dell’articolo 3. Favoleggiano su presunte procedure diverse per servitù ed esercitazioni, ignorano i precedenti storici e con afflato sadomasochista negano il diritto della Regione di opporsi alle decisioni ministeriali.
Se le argomentazioni avessero fondamento, se chi le propone ci credesse veramente, allora graverebbe sulla Regione e soprattutto sui parlamentari sardi il dovere impellente di attivarsi per apportare le modifiche legislative mirate alla parità tra esigenze civili della Sardegna ed esigenze della Difesa, “l’armonizzazione” imposta dalla legge.
L’interpretazione filogovernativa, lesiva delle prerogative della Regione Autonoma della Sardegna e degli interessi del popolo sardo, fa sentire la Casta libera dall’incombenza di contrastare i poteri forti, soprattutto se “amici”, dai quali dipendono le personali carriere politiche e dirigenziali. Poco o niente interessa la sofferenza dei popoli contro i quali la NATO ha scatenato e sta scatenando la macchina di guerra costringendo i sopravissuti a una migrazione di dimensioni sconvolgenti.
L’attaccamento canino al padrone e alle miserrime briciole del suo piatto impedisce persino di vedere gli “effetti collaterali” colpiscono anche loro: il genocidio del popolo sardo con i veleni di poligono e con lo strangolamento economico della sottrazione di risorse, i tagli feroci alla spesa sociale per finanziare fallimentari e barbare avventure belliche.
La sudditanza, voluta, della Regione e delle elite di vario grado è comprovata dal ben più grave e nocivo persistere nel fingere d’ignorare l’obbligo imposto al Ministro dalla stessa legge di procedere prontamente (dal 1990! ) all’equa ripartizione tra tutte le Regioni del carico militare concentrato in Sardegna in misura iniqua e abnorme (il 60% del demanio militare dell’Italia).
Tutti i ministri dal 1990 ad oggi hanno evaso la legge, la Regione ha sempre mascherato l’assenza di azioni istituzionali con il silenzio o con infuocate dichiarazioni stampa su “l’ennesimo schiaffo dello Stato” mirate a tenere a bada il popolo presunto bue.
Ci risparmino la solfa sull’arroganza dello Stato. Chi zerbino si fa da zerbino è usato!
Il governatore Pigliaru demolisca i nostri sospetti con gli atti istituzionali di sua competenza, eserciti il diritto di opposizione ai diktat ministeriali, dimostri che la Sardegna non è suddita compiacente più realista del re, tenga a mente che nel corso della sua storia millenaria non ha mai aggredito altri popoli, è nella sua cultura, codificato nel nostro dna, il principio “Se vuoi la pace prepara la pace”, Oggi ha la possibilità e la capacità di disarmare il “Tridente” NATO, disarmare la guerra.

COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI
cellulare 346 70 59 885

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, October 29, 2015 1:45 AM
Subject: CRONACHE AI MARGINI DI MARTE: I GIORNI DELL’ILVA

Nel primo giorno del processo ILVA, l’aria non è stata diversa dalle molte respirate in questi anni. Troppo piccola l’aula per ispirare speranza di giustizia, toghe nere ammassate come corvi intorno a un mucchio di mais, i sospiri delle parti profane a uno spettacolo di cui non comprendono la trama.
L’aria nuova si respira sempre fuori dei Tribunali.
Il primo incontro con le vittime dell’ILVA è arrivato invece puntuale in uno dei loro presidi, fuori dal palazzo di giustizia tarantino.
Se dentro le mura queste donne e questi uomini sono sopraffatte da un ambiente ostile, qui fuori regna una dignitosa determinazione: l’ostinazione di chi lotta non solo per se stesso, ma per far conoscere, far capire, condividere.
Per ogni lavoratore passato tra gli altiforni, per ogni cittadino che si è addormentato nelle case rosse di inquinamento e sofferenza, ogni presidio, ogni manifestazione, ogni blocco è una piccola Stalingrado.
Il giorno del processo contro i Riva non è diverso: la soddisfazione di vedere sul banco degli imputati quelle voci che sono per l’operaio spesso cilicio di paura e d’insonnia.
Oggi non sarà così: nessuno degli imputati è presente.
Il processo scandisce veloce una sua trama burocratica ed approda un rinvio.
Dopo c’è l’ILVA.
Vista per la prima volta, sembra veramente una città accanto alla città.
Da lontano, scorrendo con l’auto le sue recinzioni, si impone la mole degli altoforni, l’infinito nastro trasportatore che lega la fabbrica al porto come un gigantesco cordone ombelicale, gli altissimi camini danno un illusione di muezzin, ma non è altro che la sirena del turno pomeridiano.
La prima porta è rossa di bandiere dello Slai Cobas. Un compagno operaio è giunto dal Norditalia per gridare al megafono l’importanza del processo: chi si ferma, chi sospira, chi ha paura persino di guardare. I volantini e le bandiere del sindacato hanno invaso persino la guardiola: il volto della guardia una colata d’indifferenza.
Tutta l’ILVA diffonde all’esterno un teatro di dismissione: alle porte vetri rotti, spazzatura ovunque, ruggine sulle strutture. Pare di entrare in una fabbrica del terzo mondo. Eppure qui entrano ogni giorno nei vari turni più di quindicimila operai, un numero che nei cimiteri industriali del Nord appartiene ad un passato leggendario.
Andiamo alla seconda porta: anche qui la dismissione è ovunque, ma fuori dell’ingresso un vero e proprio improvvisato mercatino aspetta gli operai all’uscita: c’è il banchetto delle cineserie, ma sorprendentemente c’è quello della frutta, i ricambi per l’auto e per la casa, e persino un banchetto del pesce, con la merce refrigerata in semplici bacinelle d’acqua. Tra muri e recinzioni diroccate e sporche si stendono al sole cani randagi in attesa di qualche avanzo.
Un mondo di miseria e precarietà dove nulla di più del minimo necessario viene concesso a chi lavora. La massimizzazione dello sfruttamento della vita umana si sente nel paesaggio, nell’ambiente e sulla pelle in modo quasi fisico. L’ILVA sembra comprendere nel suo squallore i diversi gironi e stadi dello sfruttamento capitalistico nelle sue forme di peggiore squallore. Ci viene indicata da lontano la famigerata palazzina LAF, dove i padroni dell’ILVA confinavano i capisquadra che non si assoggettavano a diventare aguzzini, gli esuberi che non accettavano i demansionamenti e le riduzioni di salario. Venivano destinati ad uffici provvisti solamente di un tavolo, una sedia, niente telefoni, nessun contatto con l’esterno o cogli altri operai.
All’ora di mensa la direzione mandava un minibus a prelevare i dipendenti portandoli ad un settore separato della mensa, per impedire ogni contatto con altri lavoratori. C’è chi ha dato di matto, ci viene raccontato. Non si fa fatica a crederlo. Il caso della palazzina LAF è uno dei pochi in giurisprudenza dove si è condannato per tre gradi di giudizio un odioso comportamento vessatorio definito “mobbing di massa”, uno dei pochi casi in cui si è inflitto a Emilio Riva oltre due anni per fatti di violenza privata ai danni di un numero imprecisato di lavoratori (http://dirittolavoro.altervista.org/mobbing_laf_casspen_31413_06.html).
Il peggio del peggio ha soffiato contro le vite dentro l’ILVA. Dai veleni alle angherie, dallo squallore alla cattiveria più odiosa.
Percorrendo la strada del lungo acquedotto romano, sempre a lato delle recinzioni dell’impianto, si giunge al famoso quartiere Tamburi: il quartiere ghetto del bel documentario di Danilo Lupo (http://tpress-emma.blogspot.it/2013/10/il-rullo-dei-tamburi-viaggio-nel.html), a fianco degli enormi “parchi minerali” dell’Ilva, dai quali soffia il vento rosso dei metalli pesanti che si deposita sulle case, sui balconi, colorandole di una letale ruggine rosa che porta la morte. Col tempo il colore adottato per le case ha copiato quello della ruggine. Tanto valeva dipingerle color dello sporco: l’arte imita la natura, ma una natura stuprata ormai maligna e velenosa. Parliamo con il barista della piazza di fronte alla Chiesa, nello slargo di via Orsini. Già il padre serviva qui il caffè dalla costruzione del quartiere popolare, negli anni cinquanta. L’allora Italsider venne qui nel ‘58 ed aprì nel ‘60. Ci spiega che il nome del quartiere già ha origine dall’opera dell’uomo. Con la costruzione dell’acquedotto romano, il trasporto dell’acqua generava rumori sordi, come un battito di tamburo, per questo si diceva “andare ai Tamburi”.
Ma oggi il rullo dei Tamburi è quello della protesta: anche qui le persone emanano dignità e determinazione. La si vede e si sente nel loro sguardo, allorché ci vedono raccogliere colle dita quella polvere rossa, quasi a rimproverarci di un turismo fuori luogo. Non basta toccare e vedere: serve che ti unisci alla nostra lotta; questo è il chiaro messaggio. Di spettatori sono piene le trasmissioni, qui noi abbiamo piene le tombe del cimitero di San Brunone, rosso anche lui, ma non di vergogna. Su queste tombe, chi è rimasto vivo, battaglia come un leone per un futuro dove lavoro e salute non siano una concessione del profitto, un mondo da dove quel profitto e quei profittatori siano un giorno cacciati. Non ci sono visionari a Taranto, nelle linee dell’ILVA o a Tamburi, ci sono assetati dell’unica giustizia vera, quella sociale.

Enzo Pellegrin
22/10/05

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, October 29, 2015 1:45 AM
Subject: IL PEANA IDEOLOGICO ALL’EXPO

Un pensiero ideologico espresso nei termini corrispondenti rimarca in continuazione una netta separazione tra teoria e prassi dove la prassi non invera o comunque non riesce ad inverare la teoria. La prassi del resto, in ogni caso, non ha neppure possibilità di negarla o modificarla. Quindi il pensiero espresso rimane sempre uguale a se stesso, inattaccabile ed inossidabile. Una ripetizione di concetti e idee che si solidificano attorno al “deve per forza essere così”, anche se il terreno della cruda realtà empirica, esperienziale, dice il contrario. Una visione ideologica è in sostanza questa.
Un bell’esempio si ha leggendo lo scritto del nostro Presidente della Repubblica, domenica 25 ottobre. Pare persino un esercizio inutile analizzare criticamente questo, come altri simili, interventi, tanto l’ostinatezza ideologica di chi scrive in tal modo, in questo caso la massima autorità del nostro Paese, si rivela ferrea, di acciaio, blocco compatto che mai tentenna.
L’argomento è l’EXPO di Milano, qualificato a tutto tondo quale un successo evidente in se, per Milano, la Lombardia, L’Italia tutta.
Il peana verso l’EXPO è totale, senza recriminazioni (successo emblematico delle potenzialità italiane), sincero e partecipato (ruolo propulsivo, motore di modernità), vittoria morale sull’oscurantismo (devastazioni di gruppi di violenti, cioè i disordini del primo maggio di quest’anno a Milano), EXPO quale ponte tra parti sociali ( università, impresa, ricerca e società per il vantaggio di tutti).
“Tutti hanno lavorato per un risultato che è andato a beneficio dell’intero paese”.
“Ora responsabilità per il futuro...dei progetti avviati per l’esposizione...[occorre avere] un senso maggiore del bene comune. Lo sanno gli imprenditori, lo sanno i giovani, lo sa chi cerca lavoro...Milano è riuscita a cogliere questo aspetto innovando, aprendosi e accogliendo, costruendo reti e saperi”.
Come si legge, basta disossare un po’ il roboante stile espressivo e tutto viene a essere banalmente inutile e dannoso. Visioni amplificate senza razionalità espressiva e concettuale, il ragionamento per assoluti e generici allargamenti all’universale. Si perde di vista il senso di ciò che si vuole dire. Un’ideologia superflua che non aggiunge ne toglie nulla alla realtà delle cose. E sarebbe bastato che il nostro Presidente avesse letto almeno i giornali di questi giorni, senza andare ai trascorsi, inchieste e denunce per corruzione, malversazioni plurime, a troppi agenti che sono al lavoro, per così dire, attorno all’EXPO.
Due sole notizie tratte da un giornale simile a quello per il quale Sergio Mattarella ha scritto, in questo caso il Corriere della Sera, anche on line.
I costi per bonificare il territorio dell’EXPO sono saliti di dodici volte, dalle previsioni. Da 6 milioni di euro a 72. E cominciano già le solite giravolte su chi avrebbe dovuto e su chi dovrà portare a termine tali lavori e chi dovrà pagare.
Altra notiziola, stessa fonte, nella versione frivola, IO donna, rivista acclusa al Corriere. “La prostituzione ai tempi di EXPO. Per le escort dell’est è stato un business”, questo il titolo. Nell’articolo si elencano storie di giovani donne che si prostituiscono negli alberghi a quattro stelle, almeno, di Milano, con tariffe molto alte, ma che promettono anche servizi corrispondenti.
Code infinite per accedere al nulla dei padiglioni che ha sfiorato, di media, le tre ore. Manco fosse il Louvre o l’Heritage. Una spesa per il pranzo di 27 Euro, sempre di media, e pare che ben 20/21 milioni di persone vi siano andate.
Questo sarebbe oggetto di riflessione da parte di nostri leader: cosa voglia dire tale voglia di partecipazione che dovrebbe trovare ben altri obiettivi. Ma tant’è, questa esigenza, questo bisogno di esservi e di stare assieme alla folla sarà poi frustato dalla fine dell’evento che non lascerà sul terreno nulla di significativo e un ricordo di fatiche e di piedi gonfi che segnerà i racconti di chi c’è stato.
Fare tre ore di coda, di media, porterà a ricordare le ore 7/8 ore per veder un luogo che magari si poteva veder anche in rete. Per poter dire di aver avuto accesso alle porte del padiglione magico di questo o quel Paese.
“Quanto è facile, perciò, che gli uomini si lascino indurre in ogni genere di superstizione, altrettanto è difficile che essi persistano in un unico e medesimo genere. Al contrario, poiché il volgo non si sottrae mai al suo stato di miseria, proprio per questo non sta mai a lungo in quiete, e nulla ama più di ciò che è nuovo e non l’ha ancora deluso...” (Spinoza, Trattato teologico-politico, 1670). Senza naturalmente chiedersi il senso di tutto ciò che fa.
Nel pianeta infatti, dopo l’EXPO, si continuerà a morire di fame in alcuni luoghi, ed in altri si butterà via il cibo. Le multinazionali continueranno a macinare profitti a ritmi elevati e i piccoli produttori seguiteranno a fallire strozzati in una filiera della distribuzione che vuole essere un guadagno per troppe mani.
Non cambierà nulla, ma intanto il fenomeno, l’esposizione, c’è stata e qualcuno avrà guadagnato molto, qualcuno ancora lo farà in seguito, mentre le nostre menti politiche saranno pronte a tracciare le magnifiche sorti del prossimo evento: un Giubileo che arriva senza capo né coda, da un Papa che molti amano, in una città, Roma, sfasciata da troppi scandali. Ma non importa, nessuno tocchi il Giubileo, come nessuno, in fondo ha rovinato l’EXPO. Un’altra grande opportunità per che cosa?
Forse per i prossimi articoli delle nostre autorità rilanceranno ideologicamente, questa volta con una spruzzatina di fede popolare, che non gusta mai, anche quest’altra occasione, l’ennesima opportunità per lucrare e produrre profitti illeciti.
“L’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante. (Marx,Engels, L’ideologia tedesca, 1846)

Tiziano Tussi
26/10/15

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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Saturday, October 31, 2015 2:35 PM
Subject: IL CAVALIERE MORETTI: DA “FERROVIERE” A...”PILOTA”

Apprendiamo con dolore dai quotidiani di oggi della tragedia del “Convertiplano AW609” (mezzo aereo e mezzo elicottero) caduto nel vercellese che, solo per la bravura dei piloti, non ha causato una strage di abitanti della zona. Il nostro pensiero va alle famiglie dei due piloti che abbracciamo con tanto affetto e che, come noi, sono vittime del potere e del profitto di una manciata di manigoldi...che però dettano legge e sono arbitri di vita e di morti di comuni cittadini.
Apprendiamo dalla dichiarazione dell’Amministratore Delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, ex Amministratore Delegato delle Ferrovie, che: ”Il nostro pensiero è soprattutto per le famiglie dei due colleghi, che facevano un lavoro importante, che lavoravano per sviluppare un progetto importante per il futuro di Agusta Westland” e “...avendo presente l’accaduto, non ci fermeremo”.
Ma cosa sta farneticando? Due persone morte si accettano ben volentieri per il futuro e i progetti di un’azienda? E’ questo il concetto che può partorire la mente del “cavalier” Moretti!
Si, è sempre lo stesso...IL PROFITTO, ILPOTERE AD OGNI COSTO, anche a discapito della vita umana...tanto cosa importa!
Non sono bastate 32 vittime innocenti della strage ferroviaria annunciata di Viareggio del 29 giugno 2009, né i 56 operai morti sui binari nella sua gestione di Amministratore Delegato delle Ferrovie (dal 2006 al 2014). Senza dimenticare i ferrovieri licenziati per aver denunciato il problema “sicurezza” in ferrovia ed essersi schierati al nostro fianco.
Dopo i “suoi” ferrovieri, adesso tocca ai “suoi” piloti!
Perché non va lui al posto dei suoi “colleghi” a fare quel “importante” lavoro? Lui che percepisce una retribuzione di 2 milioni e 300.000 euro l’anno (e si parla “solamente” di quella dichiarata).
Il fatto di essere imputato per la strage di Viareggio, di averla definita “uno spiacevolissimo episodio” al Senato, di rilasciare simili dichiarazioni...non è sufficiente a porre questo “Cavaliere del lavoro” a riposo fino all’ultimo dei suoi giorni?! Quanti innocenti devono ancora morire?

31 ottobre 2015
Il Mondo che Vorrei Onlus Viareggio
Associazione Familiari Vittime 29 Giugno Viareggio
Codice Fiscale: 91039790463
Presidente: Marco Piagentini
cellulare: 338 68 85 950

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Sunday, November 01, 2015 9:28 AM
Subject: DALL’INAUGURAZIONE ALLA CHIUSURA DELL’EXPO SONO MORTI 91 LAVORATORI SCHIACCIATI DAL TRATTORE

Con i fuochi d’artificio di chiude l’EXPO di Milano. Il Ministro Martina e il Primo Ministro Renzi vedono positivo.
Il Ministro Martina sempre con il sorriso stampato sulla faccia. Un sorriso che m’inquieta. Vi dico perché.
Il Primo Maggio Festa dei Lavoratori e inaugurazione dell’EXPO che “nutre il Pianeta”, ho cominciato a ricontare le morti dei lavoratori schiacciati dal trattore in Italia.
Sapete quanti ne sono morti in modo così tragico? Novantuno. Avete capito bene?
Praticamente un giorno sì e un giorno no c’è stato un morto causato dal trattore. Senza poi aggiungere quelli che sono morti su questo mezzo su cui non dovevano salirci, come bambini e adolescenti. Dall’inizio dell’anno ne sono morti ben 121.
Eppure sia lui che Renzi e Poletti sono stati avvertiti a febbraio del 2014 (152 morti schiacciati dal trattore) e del 2015 dell’imminente strage provocato da questo autentico killer.
Li pregavo di fare qualcosa, di fare almeno una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo. Niente neppure un twitter, eppure Renzi ne fa tantissimi, ci sommerge di autoelogi” dicendoci “per la prima volta”, “per la prima volta”, “per la prima volta”.
Da quando abbiamo avuto la fortuna di averlo come Primo Ministro senza essere stato eletto dai cittadini italiani ci ha sommerso di “prime volte”.
Ma basta! Interessatevi “per la prima volta” della vita di chi lavora. E il Ministro Martina cominci anche lui ad interessarsi “per la prima volta” della vita degli agricoltori che hanno avuto la sfortuna di trovarselo come Ministro.

Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI DIECI MESI DEL 2015
Dal 1° gennaio al 31 ottobre 2015
Dall’inizio dell’anno sono morti sui luoghi di lavoro 592 lavoratori, con le morti sulle strade e in itinere si superano i 1.200 morti complessivi (stima minima). Nello stesso giorno del 2014 erano il 3,5% in meno. Anche il confronto con lo stesso giorno del 2008 è molto negativa: il 1° novembre 2008 erano il 6,5% in meno.
Occorre tener presente che nelle statistiche delle morti sul lavoro lo Stato considera morti sul lavoro anche i lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere e che tantissime categorie come per esempio le Partite IVA Individuali, Vigili del Fuoco, Poliziotti, Carabinieri, lavoratori in nero, pensionati in agricoltura e tanti altri non rientrano tra i morti per infortuni monitorati dall’INAIL.
Nel 2015 le denunce per infortuni sul lavoro tra gli assicurati di questo Istituto dall’inizio dell’anno al 30 settembre sono state complessivamente 856 (cliccare su Facebook Ufficio Stampa INAIL). Queste morti comprendono anche i morti sulle strade e in itinere. Di queste 856 vittime 441 sono morte senza mezzo di trasporto, e senza itinere (su luoghi di lavoro).
Come negli anni precedenti solo una parte di queste morti verranno riconosciute come infortunio su lavoro, diversi contenziosi sono per le morti in itinere.
Nelle statistiche dell’Osservatorio Indipendente di Bologna Il 30,7% dei morti sui luoghi di lavoro ha un’età superiore a 60 anni. Il 33,8% sono in agricoltura, di questi 121 sono stati schiacciati dal trattore, oltre il 20% sul totale di tutte le morti per infortuni. Praticamente un morto su 5 di tutte le morti sui luoghi di lavoro sono state provocate dal trattore (è così tutti gli anni). L’edilizia 23%. Oltre il 50% di tutte le morti per infortuni sono in queste due categorie. Gli stranieri sono stati il 10,3% sul totale. La nazionalità con più vittime tra gli stranieri sono i romeni.
Morti per infortuni sui luoghi di lavoro per Regione e Provincia per ordine decrescente delle morti.
LOMBARDIA 72: Milano 10, Bergamo 10, Brescia 24, Como 3, Cremona 3, Lecco 1, Lodi 1, Mantova 2, Monza 2, Pavia 5, Sondrio 6, Varese 5.
TOSCANA 62: Firenze 8, Arezzo 7, Grosseto 11, Livorno 5, Lucca 4, Massa Carrara 8, Pisa 7, Pistoia 5, Siena 2, Prato 5.
VENETO 49: Venezia 6, Belluno 2, Padova 6, Rovigo 5, Treviso 5, Verona 8, Vicenza 17.
CAMPANIA 46: Napoli 12, Avellino 3, Benevento 9, Caserta 4, Salerno 16.
SICILIA 44: Palermo 13, Agrigento 4, Caltanissetta 4, Catania 4, Messina 6, Ragusa 3, Siracusa 5, Trapani 5.
LAZIO 36: Roma 17, Frosinone 6, Latina 2, Rieti 2, Viterbo 9.
PIEMONTE 37: Torino 15, Alessandria 5, Asti 2, Biella 2, Cuneo 8, Novara 1, Verbano Cusio Ossola 1, Vercelli 2.
PUGLIA 34: Bari 18, Barletta Andria Trani 4, Brindisi 2, Foggia 4, Lecce 3, Taranto 3.
EMILIA ROMAGNA 31: Bologna 6, Forlì Cesena 2, Ferrara 3, Modena 6, Parma 2, Piacenza 3, Ravenna 4, Reggio Emilia 3, Rimini 2.
ABRUZZO 21: L’Aquila 5, Chieti 9, Teramo 5.
TRENTINO ALTO ADIGE 18: Trento 10, Bolzano 8.
MARCHE 19: Ancona 6, Macerata 2, Fermo 3, Pesaro Urbino 3, Ascoli Piceno 5.
LIGURIA 14: Genova 3, Imperia 2, La Spezia 6, Savona 3.
UMBRIA 12: Perugia 9, Terni 3.
MOLISE 12: Campobasso 11, Isernia 1.
CALABRIA 12: Catanzaro 4, Cosenza 5, Crotone 1, Reggio Calabria 1, Vibo Valentia 1.
SARDEGNA 10: Cagliari 5, Carbonia Iglesias 1, Medio Campisano 2, Ogliastra 1, Oristano 2.
FRIULI VENEZIA GIULIA 10: Pordenone 6, Udine 4.
BASILICATA 6: Potenza 4, Matera 2.
VALLE D’AOSTA 1: Aosta 1.
I lavoratori morti sulle autostrade, all’estero e in mare non sono segnalati a carico delle province.
Consigliamo a tutti quelli che si occupano di queste tragedie di separare chi muore per infortuni sui luoghi di lavoro, da chi muore sulle strade e in itinere con un mezzo di trasporto. I lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere sono a tutti gli effetti morti per infortunio sul lavoro, ma richiedono interventi completamente diversi se si vuole affrontare seriamente queste tragedie.
Occorre prestare la massima attenzione al numero di abitanti della regione e della provincia per avere la reale situazione.
L’indice occupazionale se si prendono in considerazione tutte le morti sul lavoro, compresi i lavoratori morti in nero e in categorie non assicurate all’INAIL non ha nessun valore statistico.
Per esempio i due militari morti in provincia di Vercelli mentre collaudavano un aereo militare sperimentale non risulteranno tra le morti per infortuni sul lavoro nelle statistiche INAIL e di altri che elaborano le tabelle diffuse da questo Istituto.
L’INAIL ha riconosciuti nel 2014 complessivamente 662 morti sul lavoro, di questi il 52% sono morti in itinere e sulle strade ma le denunce per infortuni mortali sono state 1.107.
Noi abbiamo registrato nel 2014 ben 661 morti sui luoghi di lavoro (tutti documentati) se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere si sono superati l’anno scorso i 1.300 morti.
I morti per infortuni sui luoghi di lavoro da noi registrati non sono mai stati così tanti da quando il 1° gennaio 2008 è stato aperto l’Osservatorio.
In questi otto anni di monitoraggio delle vittime i morti per infortunio si sono solo trasferiti dall’INAIL ad altre categorie, sono aumentati i morti in nero, in grigio, ma soprattutto nelle Partite IVA individuali.
Ma perché questa enorme differenza? L’INAIL occorre ricordarlo ancora una volta, registra le morti solo dei propri assicurati e in tantissimi non lo sono.
Sta a noi che svolgiamo un lavoro volontario, senza interesse di nessun tipo far conoscere anche questo aspetto ai cittadini italiani.

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From: Roberto Grosso robertogrosso@alice.it
To:
Sent: Monday, November 02, 2015 12:53 AM
Subject: FERROVIE: IL MACCHINISTA UNICO FINISCE IN TRIBUNALE, CHIUSA L’INCHIESTA SU TRENITALIA

Da Online News 
Il macchinista unico finisce in tribunale.
La procura di Torino, con un atto che annuncia l’intenzione di chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato, ha chiuso formalmente un’inchiesta a carico di Vincenzo Soprano, Amministratore Delegato di Trenitalia.
Si contesta la violazione del Testo Unico del 2008 in materia di sicurezza sul lavoro e, in particolare, la parte relativa al cosiddetto “documento di valutazione dei rischi” che ogni azienda deve mettere a punto: un documento che, a quanto pare, è lacunoso.
La figura del macchinista unico è stata varata quasi tre anni fa dopo una specie di rivoluzione copernicana: alla guida del convoglio doveva esserci (e c’è) un solo operatore, supportato da tecnologie all’avanguardia. Perplessità, polemiche, proteste e vertenze non sono mancate.
A Genova se ne occupò il Tribunale civile in una causa di lavoro promossa da un dipendente licenziato perché non voleva salire sul locomotore. A Torino si è mossa la magistratura penale. E anche a Roma, dove lo scorso gennaio un giudice respinse la proposta di chiudere con una sanzione pecuniaria un procedimento (con Soprano indagato) aperto dopo alcune denunce su guasti e incidenti.
In questo specifico filone d’indagine tutto subalpino il Pubblico Ministero Raffaele Guariniello si è concentrato su un solo aspetto del problema: cosa succede se il macchinista viene colto da malore in galleria? Il convoglio deve essere portato all’uscita (o all’imbocco del tunnel). Ma i soccorsi, secondo il magistrato, non sono garantiti in tempi rapidi: possono passare anche quaranta minuti. E il capotreno, cui spetta il compito di intervenire, viene distolto dagli altri incarichi.
Tre ASL del circondario di Torino svolsero, nel corso del 2014, una prima tornata di controlli e ordinarono di prendere provvedimenti. Bisognava migliorare l’organizzazione mettendo tutto nero su bianco nel documento di valutazione dei rischi. E questo, secondo gli ispettori, è stato fatto solo in parte.
Così è scattata la contestazione a carico di Soprano. L’Amministratore Delegato, per Guariniello, deve essere considerato a tutti gli effetti il “datore di lavoro” dei macchinisti. Ed è a lui, quindi, che in base all’articolo 17 del Testo Unico del 2008 tocca la responsabilità della stesura del documento.
Quanto alla tempistica della violazione, si considera “commessa a tutt’oggi”.

Da La Voce 12 alle 12
La Procura di Torino ha chiuso un’inchiesta a carico dell’Amministratore Delegato di Trenitalia, Vincenzo Soprano, per la questione del macchinista unico sui locomotori.
Il Pubblico Ministero Raffaele Guariniello contesta la violazione del Testo Unico del 2008 sulla sicurezza sul lavoro.
Il problema preso in esame da questa inchiesta riguarda le modalità dell’organizzazione degli interventi in caso di malore del macchinista: i soccorsi non sono garantiti in tempi rapidi e il capotreno, chiamato a occuparsene in prima persona, viene distolto dagli altri incarichi.
Tre ASL del circondario di Torino, che su incarico di Guariniello svolsero dei controlli, segnalarono ai responsabili tutti gli inconvenienti e ordinarono di provvedere di conseguenza.
Anche il nuovo assetto, però, e’ stato giudicato insufficiente.
La contestazione mossa dal Pubblico Ministero si riferisce al contenuto del “documento di valutazione dei rischi”. Si procede dunque per la violazione dell’articolo 29 (quello sulla preparazione del documento) del testo del 2008. Soprano e’ stato chiamato in causa come datore di lavoro e la violazione si considera commessa “a tutt’oggi”.

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