giovedì 21 dicembre 2017

20 dicembre - contro/informazione di M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 20/12/17



INDICE
6 DICEMBRE 2007 – 2017: SULLA STRAGE DI OPERAI ALLA THYSSEN KRUPP DI TORINO
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
STORIE DI QUOTIDIANA SOPRAVVIVENZA
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
LAVORARE STANCA

DOLCETTI ANTIOPERAI
Posta Resistenze posta@resistenze.org
THYSSEN KRUPP: 10 ANNI DOPO NULLA E’ CAMBIATO
Patria Indipendente redazione@patriaindipendente.it
LA TERRA TREMA: PERCHE’ E QUANDO
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
FESTE SENZA GIOIE PER LE MAMME CHE HANNO PERSO UN FIGLIO SUL LAVORO
Giuseppe Carroccia giuseppecarroccia24@gmail.com
DIFENDIAMO UNO PER LA SICUREZZA DI TUTTI!
Ferrovieri Solidali cassadisolidarieta@gmail.com
COMUNICATO PER SANDRO GIULIANI
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From: Clochard spartacok@alice.it
To:
Sent: Saturday, December 09, 2017 6:20 AM
Subject: 6 DICEMBRE 2007 – 2017: SULLA STRAGE DI OPERAI ALLA THYSSEN KRUPP DI TORINO
Da La Stampa di Torino
Esplode una fabbrica chimica a Torino, due ustionati in gravi condizioni
Nel giorno dell’anniversario della strage alla Thyssen, una nuova tragedia sul lavoro
TORINO
Oggi, mercoledì 6 dicembre, proprio nell’anniversario della strage alla Thyssen, nella tarda mattinata si è verificata una forte esplosione in una fabbrica a Torino. E’ successo nella fabbrica di prodotti chimici Vaber di strada San Mauro, 203 a Torino. Sul posto sono immediatamente accorsi i vigili del fuoco e numerose ambulanze. 
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Nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 in un incendio divampato sulla “Linea 5” di ricottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen Krupp di Torino, si verificò la morte di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così grave che morirono nei giorni e settimane seguenti. Gli operai si chiamavano: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola.
"Il capitale non ha riguardo per la salute e per la durata della vita dell'operaio, quando non sia costretto a tali riguardi dalla società" Karl Marx
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Circolo di Iniziativa Proletaria
Giancarlo Landonio
via Stoppani, 15 21052 Busto Arsizio (VA)
SULLA STRAGE DI OPERAI ALLA THYSSENKRUPP DI TORINO
Dolore e collera per i morti devono diventare odio di classe contro gli assassini e tradursi in azione politica e rivoluzionaria permanente contro padronato e Stato.
Politicanti e burocrati sindacali, che piangono lacrime di coccodrillo, sono complici degli assassini perché trattano gli operai come carne da macello.
Solo l'organizzazione dei lavoratori può arginare la carneficina.
Costituire in ogni ambiente di lavoro i "comitati ispettivi operai". Bloccare il lavoro in caso di pericolo e nocività. Prima la vita, dopo il profitto.
Il nostro saluto commosso ai morti e ai feriti.
La nostra solidarietà ai familiari. Il nostro vivo incitamento all'organizzazione, alla lotta, al rovesciamento del potere padronale e all'instaurazione del potere proletario.
Giovedì 6 dicembre il nostro gruppo di intervento a Torino, appresa la notizia dell'esplosione al laminatoio della Linea 5 della Thyssen Krupp, raggiungeva la fabbrica di corso Regina Margherita per accertarsi dell'accaduto e solidarizzare con gli operai. Giunto sul posto si rendeva subito conto della strage avvenuta, delle sue dimensioni e gravità: un operaio (Antonio Schiavone) bruciato vivo avvolto nelle fiamme senza scampo; altri 7 dipendenti avvolti nelle fiamme con ustioni su tutto il corpo, di cui 6 gravissimi, tre più morti che vivi (Bruno Santino di 26 anni, Roberto Scola di 32, Angelo Laurino di 43), tre (Giuseppe De Masi e Rosario Rodinò di 26 anni, Rocco Marzo di 53) combattono tra la vita e la morte.
Una violentissima fiammata, sprigionatasi dalla fuoriuscita di olio bollente dal tubo di scorrimento, ha investito la squadra addetta alla linea avvolgendola nel fuoco. Chi era presente non ha potuto far niente; ha assistito impotente alle urla di morte dei compagni di lavoro e ha potuto solo correre per dare l'allarme. La fiammata si sprigiona all'una di notte. Scaglione, con gli altri, era alla 12a ora di lavoro nel reparto trattamento termico sul treno di lavorazione. Le dimensioni della strage appaiono con nettezza il 7 quando decedono Santino Scola Laurino; mentre per gli altri tre rimane il fiato sospeso. [Rocco Marzo è deceduto il 16/12 e il 19/12 è deceduto anche Rosario Rodinò n.d.r.]
Il nostro gruppo di intervento, dopo avere espresso la propria solidarietà, discute con gli operai presenti di come bisogna organizzarsi per porre fine al macello quotidiano di lavoratori. Ma gli operai sono impietriti dal dolore e profondamente sconvolti e non si riesce a concretizzare alcuna forma di protesta.
DIVORATI PRIMA DELLA CHIUSURA DELLO STABILIMENTO
La strage è avvenuta in una fabbrica che tra alcuni mesi chiuderà battenti per il trasferimento della produzione a Terni. E ciò rende più assurda e raccapricciante la sequela di morti. La Thyssen Krupp è il colosso tedesco dell'acciaio, formatosi dalla fusione nel 1998 dei due gruppi Thyssen e Krupp fabbricanti di cannoni del secolo scorso, oggi primo produttore di acciaio in Europa con più di 190.000 dipendenti, di cui 106.000 all'estero, 7.000 in Italia. Negli accordi di giugno con i sindacati era stato stabilito il trasferimento del laminatoio più produttivo e attrezzato (il treno della Linea 4) a Terni e la chiusura a giugno prossimo dello stabilimento. La fabbrica lavora a ciclo continuo (24 ore su 24) e siccome la domanda tira (per la forte richiesta di Russia, Brasile, India e Cina) la direzione aveva imposto 4 ore di straordinario. Praticamente da luglio 200 operai sono chiamati a fare quello che prima facevano 385 operai. Sulla Linea 5 si facevano quindi 12 ore consecutive. Per di più da Terni era arrivata una commessa e le Linee dovevano scorrere al massimo per soddisfare la richiesta.
Per capire la gravità della strage bisogna dire qualche parola sulla ferocia e sull'azzardo del moderno sfruttamento della forza-lavoro sotto lo stress della competitività. Lo stabilimento di Torino era già in collasso da tempo. Avvicinandosi la smobilitazione la direzione aveva trasferito a Terni la linea più moderna coi sistemi antincendio ad azoto liquido in grado di bloccare le fuoriuscite di olio ad alta pressione. I sistemi di protezione nella fabbrica di Torino non venivano invece nemmeno manutenzionati. Alle ore 22 del 5 dicembre, tre ore prima della fiammata, il computer di comando aveva rilevato una perdita al tubo di scorrimento dell'olio caldo ad alta pressione con un principio di incendio; ma la lavorazione è continuata. La direzione era al corrente che il reparto si trovava ad altissimo rischio; ma non ha arrestato il ciclo per assecondare la commessa. Non solo, anche dopo la strage ha chiesto di riprendere la produzione negli altri reparti. E se gli operai non si fossero rifiutati le cose avrebbero continuato come prima. Ciò indica che la logica di profitto attuale, della fase in cui viviamo, non indugia di fronte a niente. Si muore quindi per modernità perché fatica e sangue sono la manna che riempie i portafogli degli azionisti. Il bilancio del colosso, presentato il 4 dicembre, registra un aumento del fatturato del 10% con utili dichiarati di 3,3 miliardi di euro.
IL CORTEO DEL 10 DICEMBRE RISCATTA LA DIGNITÀ OPERAIA
Benché promosso da FIOM, FIM, UILM, che proclamano uno sciopero di 8 ore con concentramento in piazza Arbarello, il corteo di lunedì 10 dicembre è una manifestazione di forza operaia e di collera anti-padronale. Alle 9,30 la piazza è strapiena: decine di migliaia di operai, provenienti dalla provincia e dalla regione, affluiscono nel luogo di concentramento, cariche di dolore e rabbia (la stima che si tratti di 30.000 è verosimile). Appoggiano il corteo spezzoni della sinistra parlamentare, il sindacalismo di base cui si unisce il "blocco antagonista metropolitano", i raggruppamenti extraparlamentari. I pompieri della FIOM si erano preparati per contenere ogni trasbordamento e mantenere la manifestazione in un'atmosfera mesta di cordoglio e concordia cittadina come chiedeva il sindaco Chiamparino. Il corteo si è mosso dietro lo striscione dei sindacati metalmeccanici portato dagli operai della Thyssen Krupp e dai familiari, ma è stato animato e pervaso da un profondo e vibrante senso operaio: "Assassini pagherete tutto!", e "bastardi, bastardi!": sono stati questi gli urli spontanei che partivano dalla testa (dalla bocca di Nino Santino che mostrava la fotografia del figlio Bruno e quella degli altri bruciati vivi pubblicata da la Stampa) e si ripercuotevano in tutto il corteo. La collera operaia si è diretta, senza mezzi termini, contro gli assassini (padroni, manager, dirigenti) e i loro complici, istituzionali (Bertinotti, governo, ASL, ispettori) e sindacali (vertici confederali e di categoria, da Rinaldini a estendere). Essa è stata indirizzata non contro chiunque, ma unicamente contro padroni istituzioni burocrati sindacali, che sono i nemici di classe del nostro tempo. Ed ha riaffermato l'inconciliabilità del contrasto capitale-lavoro salariato.
Da via Cernaia a piazza Castello ai fianchi del corteo e sui marciapiedi c'è un fiume di lavoratori, che solidarizza con la manifestazione e che ribatte che è ora di farsi sentire e che così non si può più andare avanti. Ciò che contraddistingue la piazza è l'estensione operaia. La protesta contro la Thyssen Krupp e le istituzioni ha messo in fila solo facce operaie in quanto solo gli operai potevano onorare i loro morti e sfidare i loro assassini senza la compassione pelosa degli altri ceti cittadini. In piazza è scesa la vecchia e la nuova classe operaia che ha visto, chi più chi meno, generazioni di politicanti e di sindacalisti voltagabbana sedicenti comunisti o socialisti. Ed ha fatto bene a fischiarli e ad allontanarli dalla dimostrazione perché gli operai cominciano a contare quando si delimitano dai loro falsi rappresentanti, dai vicini ambigui e da chi sta con un piede in due staffe.
Dopo avere ascoltato in piazza Castello sotto la Prefettura il breve discorso di Boccuzzi, l'operaio scampato ma non completamente alle fiamme micidiali, e fischiato e urlato “Vergogna Vergogna” a tutti i sindacalisti che volevano parlare, la testa del corteo riprende la marcia e si dirige verso la sede dell'Unione industriali. Circa 3.000 manifestanti attraversano le vie del centro al grido “Assassini! Assassini!”.
 La sede degli industriali ha i cancelli sbarrati ed è presidiata da ingenti forze dell'ordine. Dall'angolo dei Centri sociali volano alcune uova, un fumogeno e slogan contro carabinieri e polizia. Due sindaci dei paesi di appartenenza di alcuni dei morti, in fascia tricolore, si interpongono per stemperare la tensione. Alle 13 la manifestazione finisce non avendo come suo obbiettivo lo scontro con le forze dell'ordine.
In conclusione a Torino si è rivisto in piedi quel soggetto che è determinante nell'assetto dei rapporti sociali; ed è certo che chi piange con rabbia i propri morti e sfida gli assassini ha grande dignità e forza per conquistarsi un avvenire.
COME FARE A FAR PAGARE TUTTO
La morte o la mutilazione è lo scotto che paga, normalmente, chi lavora nelle acciaierie alla catena di montaggio, nei cantieri, in edilizia e via dicendo. I bollettini infortunistici sono noti bollettini di guerra: nei primi 8 mesi dell'anno hanno perso la vita 811 lavoratori, mentre un milione ha subito mutilazioni più o meno gravi o gravissime; in Piemonte i morti sono stati 55, i mutilati 53.000.
Come si fa, cosa bisogna fare, per far pagare tutto agli assassini, ai padroni; e, prima di tutto, per contenere questo fiume di sangue? Boccuzzi, dicendo che "quella sera siamo andati a morire non a lavorare", ha toccato, forse senza volerlo, il tasto dolente: il comportamento operaio. Si può andare a lavorare, e lavorare effettivamente e prolungatamente, in condizioni di rischio come quello incombente nello stabilimento in smobilitazione della Thyssen Krupp?
E ancora in materia di sicurezza sul lavoro si può stare dietro agli ordini dei padroni e ai pareri degli esperti (ASL, ispettori)? Discutiamo di queste due questioni partendo, per la sua pregiudizialità, dalla seconda.
La sicurezza che interessa alle imprese è, sempre e invariabilmente, la sicurezza dei profitti. Per i padroni gli operai sono limoni da spremere. Le norme anti-infortunistiche, che vengono contingentemente varate dai governi, si uniformano alla logica del profitto. Tutto questo in condizioni normali. In questo periodo di accesa competitività le imprese, pressate dalla competizione, compromettono ogni condizione di sicurezza. Da parte loro i burocrati sindacali, con la scusa di salvare i posti di lavoro, chiudono entrambi gli occhi.
Le ASL e gli ispettori nella maggior parte dei casi certificano per routine o per corruzione la regolarità. E così il compendio normativo anti-infortunistico resta lettera morta.
Nel laminatoio di corso Regina Margherita era stata compromessa ogni condizione di sicurezza, in quanto il dimezzamento della forza-lavoro aveva scompigliato squadre e competenze e ridotto le stesse capacità di controllo dei lavoratori, che peraltro sopportavano turni di 12 ore non per sopperire al mancato rincalzo ma perché così conveniva all'azienda.
In ogni strage sul lavoro si levano poi in coro gli accademici a reclamare una cultura manageriale che concili competitività e salute, mentre politicanti e sindacalisti ragliano che l'operaio venga considerato una risorsa non un costo. La cultura manageriale è la prassi della razzìa del lavoro e la teoria dell'operaio risorsa è l'ideologia del lavoro flessibile sottopagato coatto, in debito con la stessa considerazione espressa dal cardinale Poletto al funerale del 13 che "il lavoro è per l'uomo, non l'uomo per il lavoro". Quindi in materia di sicurezza non si può stare dietro, o in compagnia, né dei padroni né dei burocrati sindacali né degli esperti né di chicchessia.
Passiamo alla prima questione. Gli operai esistono per sé non per il capitale. Nei luoghi di lavoro debbono mantenere la loro piena autonomia di azione e movimento. Sono essi che debbono stabilire come e quando interrompere la prestazione lavorativa in caso di pericolo o di nocività.
Ci sono limiti di rischio che non possono essere scavalcati senza incorrere in tragedie. E bisogna far valere la forza collettiva senza andare sempre più indietro perché il padrone vuole sempre di più. Non si deve dimenticare che col contratto di lavoro l'operaio mette a disposizione del padrone la propria capacità di lavoro non la propria salute o la propria vita. Perciò esso deve anteporre all'esplicazione dell'attività lavorativa l'interesse inalienato e prioritario all'integrità fisica, interrompendo questa attività quando occorre e come prassi normale. C'è un consumo distruttivo della forza-lavoro che va frenato e bloccato. Questo consumo ha come suo canale protocollare lo straordinario.
Dal 2001, per non andare più indietro nel tempo, gli operai si debbono ammazzare di lavoro per sopravvivere. Con la decontribuzione degli straordinari, concessa dal governo in carica, il padronato spingerà i lavoratori ancor di più in questa strettoia infernale. Lo straordinario, anche quando non è la causa diretta dell'infortunio, alza ugualmente la soglia di rischio ed agisce da concausa. Perciò lo straordinario a briglie sciolte non va accettato né giustificato dal ricatto del sottosalario; va combattuto e la lotta portata sull'aumento del salario. Non si può concedere tutto questo potere al padronato.
Quindi non si deve andare a farsi scannare o accettare di rischiare la vita; c'è il modo di porre un freno alla carneficina e anche di eliminarla alla radice; e questo modo è nelle mani degli stessi lavoratori.
COSA FARE, COME MUOVERSI E AGIRE
La chiave della sicurezza sul lavoro sta nel controllo, nell'ispezione operaia, delle condizioni di lavoro, stabilmente organizzato. L'esercizio del controllo e la stabilizzazione dello stesso passano attraverso la formazione di organismi adeguati, di comitati ispettivi operai di azienda, cantiere, zona, ecc.; che devono avere quale compito specifico quello di controllare, ispezionare, l'ambiente di lavoro e di bloccare il processo produttivo in caso di pericolo e/o nocività, fino alla rimozione della fonte di pericolo e/o di nocività.
I comitati ispettivi operai debbono essere composti da operai combattivi e competenti e debbono avere la piena consapevolezza che l'incolumità fisica e la salute costituiscono una questione cruciale del lavoro sfruttato.
I comitati ispettivi operai non vanno poi confusi coi RLS (Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza), che sono creature di animazione sindacale, ligie alla competitività e all'efficientamento delle aziende.
Quindi, e tiriamo con ciò la prima conclusione, la cosa da fare è quella di formare e di estendere, partendo dalle aziende più grosse, questi organismi di controllo ed ispezione, per porre un argine al dilagare della carneficina.
Ma questo è il primo passo da fare. Accanto a questo livello elementare di organizzazione operaia, che serve solo per contrastare il padronato, occorre costituire un livello superiore di organizzazione che sia in grado di attaccare lo Stato e di rovesciare il sistema di sfruttamento; e con ciò tiriamo la seconda conclusione.
La classe operaia non può stare al rimorchio di un sistema distruttivo, militarizzato, morente. Per far pagare tutto agli assassini bisogna spodestarli del potere. E per poter far questo occorre attrezzarsi degli strumenti necessari e, in particolare, del partito rivoluzionario. Dunque i più forti sentimenti di sfida debbono tradursi nell'organizzazione di questa arma assoluta.
Edizione a cura di
Rivoluzione Comunista
piazza Morselli, 3 Milano
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, December 11, 2017 8:25 PM
Subject: STORIE DI QUOTIDIANA SOPRAVVIVENZA
di Garabombo
09/12/17
INTRODUZIONE
Garabombo è una piccolissimo collettivo informale di operatori ed operatrici sociali che vuole raccontare e raccontarsi le tante storie che accomunano da Aosta a Milazzo la faticosa, seppur appassionante, professione di chi, per scelta o per necessità è approdato in una cooperativa sociale nella quale quotidianamente rende possibile, con il proprio lavoro, con la propria creatività professionale, la propria capacità relazionale emotiva ed empatica, la vita meno faticosa e sofferente per le migliaia di persone che vivono condizioni di fragilità esistenziale nella nostra società.
La crisi economica nella quale milioni di persone sono sprofondate a causa di politiche irresponsabili di governi fantoccio e dell’arroganza padronale delle classi dominanti che ci hanno trasformato da cittadini a meri consumatori di merci e di servizi ha aumentato la quantità di sofferenza e di precarietà esistenziale.
La povertà aumenta tra i lavoratori a cui hanno estorto potere salariale cosi come tra le famiglie a cui nei decenni hanno tagliato le spese sociali offrendo servizi sempre meno qualitativi e dividendo anche in questo senso i servizi a partire dalla possibilità economica dei beneficiari.
Noi operatori sociali a migliaia in tutto il territorio nazionale lavoriamo nelle scuole come Aec per favorire integrazione e studio agli studenti più svantaggiati per motivi psichici, fisici o sociali, lavoriamo nelle case per rendere meno faticosa la vita dei disabili e delle loro famiglie, lavoriamo nei centri diurni, nelle case famiglia, nei centri terapeutici e riabilitativi, nelle comunità alloggio e nei centri di accoglienza...
Noi operatori sociali abbiamo davanti agli occhi il disastro di politiche spregiudicate e mortificanti.
Insomma siamo tra i lavoratori quelli meno pagati e più esposti ai cosiddetti mali professionali, poiché la nostra cassetta degli attrezzi è piena di strumenti umani, esistenziali, psichici senza i quali il nostro lavoro sarebbe un calvario.
Eppure bassi salari, tempi di lavoro massacranti, pessimi rapporti con chi amministra le cooperative sociali da una parte e con chi amministra e gestisce i servizi e gli enti locali dall'altra, assenza di tutele sindacali continuano con il passare degli anni a farla da padrona…
Noi, piccolo gruppo di operatori sociali diffusi nella metropoli siamo riusciti a ritagliarci del tempo per vederci e ragionare sul da farsi.
Qui a Roma, faticosamente qualcosa si sta muovendo, diverse realtà stanno dialogando, mettendo in connessione le proprie esperienze lavorative e dalla sinergia circolare contiamo di smuovere le energie giuste.
Sentiamo la necessità di metterci in relazione e contatto con chi come noi vive le contraddizioni di cui abbiamo parlato sopra e farlo con i cittadini beneficiari dei servizi e con i tecnici della salute…
Uniti si può cambiare!
Noi ci crediamo.
VITA, MORTE E MIRACOLI DI NOI OPERATORI SOCIALI: STORIE DI QUOTIDIANA SOPRAVVIVENZA
Laureato in scienze politiche e sociali all’Università di Bari, arrivo a Roma intorno al 2006, comincio a cercare a mandare curriculum in giro e le uniche risposte arrivano da call center e agenzie interinali per riempire scaffali nei supermercati di notte. Squattrinato, senza un euro, in questa città assurda dove una stanza costa 500 euro al mese, accetto senza nessuna motivazione, se non quella economica, questi lavori: pomeriggi ad un call center a Ciampino per Wind, si guadagna in base ai contratti fatti per telefono con i clienti, io per niente bravo guadagno al massimo 10 euro a pomeriggio; la notte vado a caricare per Manpower gli scaffali nei supermercati (Carrefour e Auchan) e qui ci sarebbe tanto da scrivere, si lavora con contratti di massimo 2 giorni, a 7/8 euro l’ora, invisibili, dovevamo scomparire prima dell’apertura del supermercato, i clienti non dovevano vederci.
Dopo un po’ di mesi stremato, una mia amica mi dice che una cooperativa sociale cercava operatori per una ludoteca nel periodo pasquale, la settimana in cui chiudono le scuole. Ci vado, passo il colloquio, sono felice. Finalmente posso lavorare facendo qualcosa che mi piace. Conosco le altre operatrici che lavorano in ludoteca, mi trovo bene, sono contento. Lavoro tanto faticoso, siamo in tre, dobbiamo tenere a bada e fare attività con cinquanta bambini, paga 5 euro e 50 l’ora. Era un servizio in appalto alla cooperativa dal Comune di Roma, unica spesa della cooperativa il personale, facile fare i calcoli: 8 ore per 5,5 euro a ora per tre operatori fa 132 euro di spese al giorno per la cooperativa, sarebbe bello sapere quanto ci guadagna invece la cooperativa... Che poi cooperativa di che?? E’ quella che ci lavoro ancora ora, e di cooperativo non ha assolutamente niente, c’è un capo (mi dicono, tra i potenti di questa città) e ci sono i dipendenti che si dividono tra coordinatori dei servizi e operatori, i servizi sono: domiciliare adulti, domiciliare minori, servizio AEC in due municipi, un centro diurno.
Ma torniamo a me, dopo la settimana di Pasqua la coordinatrice mi chiede se voglio continuare a lavorare i pomeriggi, in ludoteca dalle 16 alle 20. Perfetto, accetto! Mi piace stare con i bimbi, inizio a divorare libri di pedagogia, educazione alternativa, laboratori psicomotori, psicopedagogia, seguo un corso intensivo di yoga per bambini e divento insegnante yoga per bambini con diploma riconosciuto dal CONI. Mi piace lavorare con i bambini, mi fanno star bene, mi stimolano tanto, ma è dura: gli operatori sono sempre pochi e i bimbi tanti, e la cosa più difficile rimane “l’arrivare a fine mese”, con 4 ore il pomeriggio, a 5,5 euro a fine mese arrivo a prendere intorno a 400 euro. E questo senza contratto e tutto quello che un contratto prevede: ferie, malattie, ecc. Quindi sono costretto a tenermi il lavoro di notte nei supermercati, lavoro di notte con Manpower e pomeriggio in ludoteca per un stipendio di 1.000 euro al mese, incredibile.
Arriva l’estate e la ludoteca si trasforma in centro estivo, l’orario di lavoro passa da 4 a 8 ore, lascio il lavoro nei supermercati, con il lavoro full time al centro estivo arrivo a prendere 800 euro al mese, non c’è la faccio, così la cooperativa mi fa fare un paio d’ore di assistenza domiciliare ai minori il pomeriggio. Sempre senza contratto, lavoro 10 ore al giorno per guadagnare sotto i 1.000 euro. Il lavoro di assistenza domiciliare ai minori, come potete immaginare, casi complicatissimi, sono pagati 7 euro l’ ora e, anche qui, sarebbe bello sapere quanto ci guadagna la cooperativa.
Arrivato settembre, con l’apertura delle scuole, la cooperativa mi propone di lavorare con il servizio AEC finalmente arriva il contratto, 30 ore, due bimbi da seguire in una scuola elementare, paga mensile all’incirca 700 euro. Quindi lavoro la mattina a scuola per sei ore, e il pomeriggio due casi di assistenza domiciliare: siamo alle solite, lavorare 10 ore al giorno per guadagnare unno stipendio di poco più di 1.000 euro al mese. E attenzione, alle 10 ore di lavoro c’è da aggiungere gli spostamenti, che naturalmente non sono pagati, 1 ora per arrivare la mattina a scuola, mezz’ora per arrivare dal primo utente il pomeriggio, un’altra mezz’ora per arrivare dall’altro utente, e un’altra ora per tornare a casa.
Da quell’anno è andata sempre più o meno così, sono passati 7/8 anni, la mattina lavoro a scuola e il pomeriggio faccio assistenze domiciliari. Ora sono arrivato al punto che non ce la faccio più, ho un figlio piccolo di due anni che durante la settimana non vedo mai, esco di casa alle 7 e torno alle 21 per portare a casa 1.200 euro se va bene. Non si può, fa tanta rabbia. Questa è la condizione degli operatori sociali e, purtroppo, questa condizione si riversa anche sugli utenti. Immaginate come arrivo all’ultimo intervento la sera, da Roberto, un bambino oppositivo-provocatorio, che mi aspetta tutto il giorno per passare un paio d’ore tra compiti e gioco, ed io arrivo “cotto”, addirittura a volte mi sento in colpa perché non riesco a dargli quello di cui lui ha bisogno... che amarezza.
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, December 11, 2017 8:25 PM
Subject: LAVORARE STANCA
di Giuseppe Carroccia
09/12/17
Gli studenti si organizzano per mobilitarsi contro l’alternanza scuola-lavoro e per studiarne gli effetti.
Centro sociale Intifada a via di Casal Bruciato, traversa di via Tiburtina. Un chilometro dalla stazione dei treni. Sabato 2 dicembre, pomeriggio. Dagli alti casermoni, coi muri di un’archeologia industriale e scolastica tappezzati di manifesti sulle iniziative per il centesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre, escono, sulle note estenuanti della scuola di salsa i partecipanti all’assemblea nazionale di Eurostop, appena finita, che ha deciso di sostenere il progetto elettorale di “Potere al Popolo”. Sulle stesse note danzanti entrano alla spicciolata studenti liceali infreddoliti per l’assemblea nazionale di Basta Alternanza convocata alle 16.30 da FGCI, “Noi Restiamo” e collettivi studenteschi. Un cambio della guardia.
La sala si riempie velocemente di centocinquanta ragazze e ragazzi che trovano già pronti alla Presidenza i numerosi relatori previsti. Parleranno tutti con una rara capacità di sintesi. Precisi e ordinati: hanno le idee chiare. Infatti la riunione inizia alle 5 e alle 7 è già finita. Poi cena sociale e musica.
Introduce Giulia di “Noi Restiamo” che chiarisce subito i concetti fondamentali: “Siamo qui per difendere la scuola pubblica. Uno dei diritti fondamentali dell’umanità: il diritto allo studio L’alternanza scuola lavoro va abolita: non si può modificare. Per un motivo materiale: si vogliono sfruttare un milione di studenti togliendo lavoro retribuito e per un motivo ideologico ci vogliono abituare al lavoro precario malpagato addirittura gratuito. Ci vogliono spingere ad abbandonare gli studi”. Luca illustra le proposte operative: “Assemblee studentesche cittadine, sit-in contro le aziende principali che hanno stipulato accordi con il MIUR, osservatorio per monitorare cosa fanno concretamente gli studenti durante l’alternanza, elaborazione di un documento rivendicativo, mobilitazione il 15 dicembre, partecipazione alla manifestazione nazionale Fight-Right del 16 contro ogni sfruttamento”. I ragazzi di “Scomodo”, un giornalino studentesco, mettono a disposizione il loro impegno per fare informazione dal basso. Nella settimana prima delle vacanze di Natale molte scuole saranno in autogestione.
Salvatore della FGCI fa la storia di vent’anni di attacchi al diritto allo studio individuando nell’OCSE e nel tavolo dei 40 manager delle principali aziende europee riunitisi a metà anni ‘80 i mandanti delle Direttive che spingono a privilegiare la competenza alla conoscenza. L’addestramento al lavoro precario invece del sapere volto alla formazione della persona, del cittadino, del lavoratore consapevole dei propri diritti. No ai licei brevi, l’alternanza inoltre aggraverà la dispersione scolastica a danno delle classi più deboli e dei territori più poveri. Tommaso del Plinio ricorda che solo in Italia a differenza che in Germania l’alternanza ha coinvolto anche i licei. Inoltre il MIUR non ha stanziato nemmeno risorse sufficienti e le scuole non avendo risorse non fanno i corsi di formazione sulla sicurezza. Anche Lorenzo, insegnante USB denuncia i pericoli legati alla sicurezza “Solo per un caso ancora non ci è scappato il morto”. Lamenta il ritardo con il quale il corpo docente ha capito i pericoli formativi dell’alternanza, ma segnala che adesso cominciano a reagire. Invita gli studenti a coinvolgere maggiormente gli istituti tecnici e professionali. L’istruzione deve avere un rapporto di conoscenza col mondo del lavoro, ma non deve essere concepita come avviamento al lavoro. Denuncia come la CISL usi gli studenti per lavorare nei CAF.
Luca Cangemi, insegnante, ex parlamentare, responsabile scuola del PCI, ricorda come “il 2 dicembre del sessantotto ad Avola la polizia sparava sui braccianti, ma in quegli anni gli studenti e gli operai lottavano insieme. Bisogna tornare a farlo. Costruire un fronte studenti, insegnanti, genitori. Rischiamo di tornare al lavoro minorile. Attraverso i tutor esterni viene inoltre attaccata la funzione docenza. Non solo le imprese, le multinazionali ma anche le gerarchie militari stanno entrando pesantemente nelle scuole e nelle università. Grazie agli studenti che stanno dando un segnale di contrattacco a questa vendetta della borghesia sulle conquiste del passato, del ‘68”.
Angelica del liceo Righi ricorda che anche quando ci sono progetti interessanti comunque viene molto condizionata la didattica. Si sottrae molto tempo allo studio. Anche quando si mascherano come alternanza i viaggi d’istruzione questo comporta spese insostenibile per le famiglie visto che il Ministero ha tagliato i fondi. Anche i rappresentanti del Collettivo di Fabriano lamentano il tempo perso specialmente nel loro territorio fatto di aziende molto piccole. La rappresentante dell’UDS di Siena invita a combattere anche contro il Jobs Act, a combattere l’idea di lavoro gratuito.
Viene citato il paradosso della festa del PD a Viterbo con gli studenti comandati in alternanza per cuocere le salsicce durante la visita del ministro Fedeli. Ex, molto ex, sindacalista.
Conclude riassumendo il dibattito Francesca che ribadisce l’impegno a costruire l’osservatorio, per studiare le conseguenze dell’alternanza, e la mobilitazione del 15 dicembre. Come dire allo studio e alla lotta. D’altronde il lavoro dello studente è lo studio.
Spetterà ai genitori, lavoratori, in un mondo nel quale il lavoro è svalorizzato, umiliato e offeso, in cui la rendita è l’aspirazione che viene posta come valore, trovare i modi e le forme per rendere consapevoli i giovani dell’importanza che ha nella società e nella formazione il lavoro, manuale e intellettuale. I comunisti, attraverso i loro circoli e sezioni possono da subito organizzare dibattiti su questo tema, legandolo alla lotta contro la sciagurata legge Fornero che inchioda al lavoro i vecchi e toglie lavoro ai giovani.
Partendo da un concetto fondamentale, che questi ragazzi sembrano aver già colto. Quello che viene prima di tutto, prima anche della lotta di classe, che Marx ed Engels davano per scontato nel Manifesto del Partito Comunista. Il fatto cioè che lavorare stanca. Perciò il lavoro, specialmente quello alienante e ripetitivo, va diminuito e distribuito tra tutti i componenti della società. E va ben retribuito.
I vecchi ferrovieri a noi neoassunti la prima cosa che ci dicevano era: “attenti, la rotaia è una lima”, cioè lavorare stanca. I padroni lo sanno bene e perciò evitano di farlo.
Lavorare stanca è vero, ma i personaggi migliori, più veri, autentici, sinceri come ci ha mostrato Cesare Pavese, nell’omonima raccolta di poesie, sono proprio quei lavoratori che mandavano avanti la società e sognano e lottano per un mondo migliore. Sognano la Liberazione. Magari sulle spiagge dei mari del sud.
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To:
Sent: Tuesday, December 12, 2017 10:52 AM
Subject: DOLCETTI ANTIOPERAI
La cooperativa dei cioccolatini di Perugia è l’ultima trovata dei capitalisti per truffare gli operai.
Lo scorso settembre la Nestlé ha annunciato 364 licenziamenti nello stabilimento perugino di San Sisto dove lavorano in 850. La multinazionale ha chiuso uno stabilimento a Parma, e conta di fare lo stesso a Perugia.
Ma gli operai di San Sisto non sono disposti a farsi intimorire dalla multinazionale Nestlé e ad accettare i suoi piani di super sfruttamento, mentre intorno alla loro lotta sanno creare una grande solidarietà cittadina.
Subito compare un gruppetto di ex dirigenti della fabbrica con un ricettario dei dolcetti prodotti nel buon tempo andato, e animato dallo spirito capitalistico propone la costituzione di una cooperativa facendosi cedere dalla Nestlé l’uso del nome Perugina e di parte del macchinario della fabbrica abbandonato alla ruggine. Incoraggiato, manco a dirlo, dalla deputata locale del M5S.
Sembra di rivivere i fatti del secolo andato, quando il cavaliere Agnelli per stroncare il grande movimento dei consigli di fabbrica, offrì ai capi sindacali riformisti la Fiat, di cui egli era il creatore e il profittatore, perché ne facessero una grande cooperativa di produzione.
Noi vogliamo porre agli operai che prestano orecchio a queste sirene di oggi la stessa questione pregiudiziale di allora, mettendoli in guardia dalle facili illusioni. Lo facciamo prima di entrare nel merito, prima di esaminare concretamente la questione del dominio delle società multinazionali nel commercio mondiale del cacao e nella produzione dolciaria.
E’ consuetudine per l’aristocrazia operaia che domina nei sindacati e nel cooperativismo riformista questuare prestiti presso le grandi banche e procacciarsi favori governativi, allo scopo di tenere in piedi delle cooperative. Ma non può sorridere agli operai l’idea che nel loro seno si formi una élite di cooperatori succhioni costretti a farsi essi pure questuanti e procacciatori o parassiti delle banche e dello Stato capitalista.
I burocrati sindacali CGIL che sempre magnificano la presenza in Italia delle multinazionali straniere come la Nestlé e che sempre vedono come unico campo d’azione il parlamento borghese e i conciliaboli ministeriali, non sono in grado di offrire nessuna soluzione alla crisi dell’industria, ma vogliono legare sempre più gli operai alle sorti del capitalismo. Così perdono ogni giorno di più terreno nelle fabbriche.
Gli operai che non s’illudono di potersi salvare se non con il rafforzamento della solidarietà classista e con l’estensione della lotta contro il capitale finanziario internazionale, non faranno fatica a convincersi come la politica del fronte unico di lotta operaia è la via per conseguire la vittoria sui capitalisti di tutte le nazioni.
La situazione reclama sempre più un’azione chiara e decisa della massa sfruttata. Sta ai migliori elementi del proletariato mettersi alla testa di questo processo, rompendo con ogni forma di collaborazionismo e organizzandosi in modo leninista.
12/12/17
Piattaforma Comunista per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 14, 2017 12:00 AM
Subject: THYSSEN KRUPP: 10 ANNI DOPO NULLA E’ CAMBIATO
05/12/17
La Riscossa
Thyssen krupp, parla Ciro Argentino: “10 anni dopo nulla è cambiato. Bisogna lottare e organizzarsi”.
Sono passati dieci anni da quella notte tragica tra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando nella linea 5 dello stabilimento Thyssen Krupp di Torino ebbe luogo una delle pagine più nere per la classe operaia italiana negli ultimi decenni. Da quel momento si è accesa una flebile luce sul tema, che, però, in assenza di una lotta di classe organizzata, ha solamente potuto illuminare le pagine buie delle continue e innumerevoli morti sui luoghi di lavoro.
La Riscossa per l'occasione ha raggiunto Ciro Argentino, uno degli operai che si salvò quella notte, di cui proponiamo una breve intervista.
Argentino, sono passati dieci anni e sulla questione Thyssenkrupp si può ancora dire che non sia stata fatta giustizia né sul piano strettamente giudiziario, né sul piano politico. Cosa ne pensi tu adesso a distanza di tutti questi anni?
“Al di là della ricorrenza dei dieci anni, per noi lavoratori della Thyssen, per i familiari, ma comunque per qualsiasi persona che perde un caro, un padre, un figlio, un fratello in un luogo di lavoro, non ci sono anni che passano affinché si possa dimenticare, e non ci sono ricorrenze più o meno importanti da celebrare. Il punto è che a dieci anni di distanza, innanzitutto in termini generali, non è avvenuto nessun cambiamento nonostante i fatti della Thyssen.
Ricordo che in quei mesi si consumò al Molino Cordero di Fossano in provincia di Cuneo, qui nel nostro Piemonte, una delle più gravi tragedie insieme a quella della Thyssen. Anche lì morirono cinque operai. Poi c'è stata la vicenda dell'Umbria Oli, poi Mineo, poi le cisterne di Molfetta, ce ne sono state diverse nel giro di un anno fino a tutto il 2008.
Però non è stato fatto niente, se non il fatto che grazie alla tragedia della Thyssen e a queste altre tragedie c'è stata un'accelerazione a livello normativo, è nato il Decreto 81/08. Si è fatta una legge che anche se è stata una cosa encomiabile dal punto di vista normativo perché ha agglomerato e unito tutte le vecchie leggi degli anni '50 e la 626 del '94, in realtà non ha avuto gambe per la realizzazione, un conto è fare le leggi e un conto è applicarle.
Non abbiamo gli strumenti. In questo Paese innanzitutto manca la volontà culturale e anche politica, perché è chiaro che in un paese in cui l'ordinamento statale è dominato dalla classe borghese, la giustizia va in modo diverso e funziona con dinamiche e velocità diverse. I manager, i due tedeschi [liberi] ma anche i quattro italiani di cui due sono già al lavoro durante l'orario giornaliero, i dirigenti di Terni tra cui il responsabile di Torino e il numero uno della manutenzione, sono già ai lavori sociali durante l'arco della giornata e rientrano in carcere solo la sera.
Non è stata fatta giustizia perché è chiaro che in un Paese con un ordinamento giudiziario di un certo tipo, ai due manager tedeschi non si applicherà mai nessuna normativa già esistente di accordo bilaterale con la Germania per l'estradizione, perché sono dei colletti bianchi, è banalmente così. E’ chiaro che la classe che domina, la classe che impera, non va a incarcerare per reato o tantomeno per non aver investito o dirottato risorse nella sicurezza degli stabilimenti e quindi aver creato le condizioni per cui sono morti i nostri sette compagni alla linea 5 della Thyssen. Non avremo giustizia in questo senso.
Io non credo molto più agli appelli alle istituzioni: sono ormai fiumi e fiumi di parole che abbiamo sprecato negli anni scorsi, soprattutto nei primi anni”.
Sono state fatte spesso delle celebrazioni, dei momenti di ricordo da parte delle istituzioni, a vari livelli. Come ci si sta muovendo a livello locale oltre l'aspetto mediatico, quali sono le misure che sono state prese a livello di sicurezza sul lavoro?
”Innanzitutto io insieme ad alcune famiglie e diversi operai avevamo fondato questa associazione che molti ricorderanno, Legámi d'acciaio, subito a pochi mesi di distanza dalla tragedia, ancora prima che cominciasse il processo preliminare a marzo del 2008.
L'associazione di fatto esiste ancora sulla carta, le famiglie si muovono giustamente secondo il loro sentire, il loro tipo di coinvolgimento che ovviamente è di primaria importanza perché non possono dimenticare ciò che è successo ai cari che hanno perso. Però nessuno parla, ad esempio, del problema dei 500 operai ex Thyssen che sono caduti nell'oblio sociale, la maggioranza di questi lavoratori non ha più trovato un'occupazione. Molti hanno dovuto aprire attività in proprio che sono già fallite e chiuse, alcuni hanno aperto partite IVA, alcuni compagni hanno attività in negozi o bar o altri esercizi commerciali.
Poi si organizzano queste commemorazioni di tipo istituzionale, come la settimana della sicurezza fatta dal Comune di Torino. Ma sono tutte cose che non interessano a chi era parte civile nella causa, gli operai che come me hanno fatto la battaglia insieme alle famiglie ma anche parallelamente alle famiglie, una battaglia anche sul piano rivendicativo sociale, oltre che sindacale, ma anche politico, facendo capire che si trattava della battaglia di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, il fatto che non si dovesse più morire, o almeno si tendesse a creare condizioni di miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza nel mondo del lavoro. Non partecipiamo più a queste cose. Nei primi anni serviva per dare propulsione e forza alla nostra causa a livello mediatico, riteniamo di aver provato tutti i canali ma non c'è stato mai verso. Il problema è che questo tema è un tabù”.
Come hai ricordato, la tragedia della Thyssen ha smosso gli animi, com'era inevitabile, sulla questione della sicurezza sul lavoro. Oggi però a 10 anni di distanza ci ritroviamo nella stessa situazione, se non addirittura peggio. Una condizione generalizzata di precarietà, di non sicurezza sul lavoro, ecc. A partire da quell'esperienza, cosa ti senti di dire oggi ai lavoratori giovani e meno giovani che si trovano a lavorare in fabbrica o in altri posti di lavoro, in condizioni di sicurezza precarie.
“Il punto è questo: noi dobbiamo partire da un concetto che è quasi darwiniano, passatemi il termine. Nel senso che io credo che ogni lavoratore nel proprio luogo di lavoro, la prima cosa che dovrebbe fare è andare a lavorare per guadagnarsi da vivere e poter vivere meglio. E non vivere per lavorare. Tanto meno passare al concetto di morire mentre si lavora, rischiare di andare a morire mentre vai a lavorare. Credo che questa sia l'aberrazione del sistema economico sociale dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Attualmente è ancora peggio, perché il capitalismo è ormai in un vicolo cieco e il sistema prevede anche di mettere in conto la morte delle persone perché diversamente non può produrre.
Dalla crisi del 2008 il sistema sta scaricando tutte le sue contraddizioni addosso ai lavoratori, attraverso l'atipicità delle forme contrattuali che porta i giovani ad essere sovraesposti sul luogo di lavoro anche e soprattutto in termini di sicurezza, costretti a scendere a compromessi assurdi pur di poter lavorare. Si lavora senza dispositivi di protezione, ormai è tutto così. E pensare che il progresso scientifico consentirebbe di lavorare al massimo della sicurezza, di lavorare meglio, meno e tutti. Ma così non è per garantire il profitto di pochi.
Posso fare un appello sul piano esistenziale prima che politico: non recedere dal fatto che prima conta la nostra vita, la nostra pelle e poi dopo contano i regolamenti interni. E’ sempre meglio rifiutarsi di fare un lavoro senza condizioni di sicurezza. Chi legge quest'intervista può comprendere bene che non bisogna delegare a nessun altro la propria salute sul luogo di lavoro. A cominciare da quel sindacato che ha cominciato a barattare e monetizzare il principio di sicurezza. Insomma, bisogna lottare, bisogna organizzarsi come classe”.
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From: Patria Indipendente redazione@patriaindipendente.it
To:
Sent: Friday, December 15, 2017 12:13 PM
Subject: LA TERRA TREMA: PERCHE’ E QUANDO
Cosa sono i terremoti. Attualmente impossibile prevederli, ma con quasi totale certezza si sa in quali aree geografiche si verificheranno in futuro. Il problema della messa in sicurezza degli edifici
Tra tutti i fenomeni naturali, certamente i terremoti sono da sempre tra quelli che hanno più impressionato l’umanità: in tutte le culture antiche che si sono sviluppate in aree sismiche, esistono divinità sotterranee che scuotono la terra per punire gli uomini o per mandare loro, per qualche motivo, un segnale.
In realtà, finché gli uomini sono stati cacciatori-raccoglitori nomadi, i terremoti erano certamente impressionanti, ma non particolarmente pericolosi: anche se la tenda o la capanna fosse crollata, la paura sarebbe stata tanta, ma i danni sarebbero stati molto limitati. I guai sono incominciati quando gli uomini, divenuti sedentari, hanno incominciato a costruire edifici in muratura, sempre più grandi.
Al giorno d’oggi, con la maggior parte della popolazione mondiale che vive in città più o meno grandi, spesso in palazzi sviluppati in altezza per decine e decine di metri, i terremoti sono sicuramente tra i fenomeni naturali più temibili.
In linea di principio, una strategia efficace per la mitigazione del rischio sismico richiederebbe di sapere dove, quando e quanto forte un terremoto può colpire la regione in esame e quali conseguenze ci si deve attendere qualora esso avvenga. La risposta alla prima domanda riguarda la previsione dei terremoti, mentre la seconda é oggetto degli studi di rischio sismico.
La previsione dei terremoti, secondo una definizione data nel 1976 dalla Commissione per la previsione dei terremoti del Comitato di Sismologia del Consiglio delle ricerche statunitense, consiste nella indicazione della magnitudo (cioè dell’intensità), della localizzazione e del tempo origine di un futuro evento sismico, con una precisione tale da consentire una valutazione univoca del successo o fallimento della previsione stessa.
Nel corso dei decenni, sono stati fatti moltissimi studi per trovare il modo di prevedere i terremoti.
I metodi di previsione che sono stati proposti e studiati finora sono basati essenzialmente sulla ricerca di precursori diagnostici, cioè di fenomeni che dovrebbero precedere i terremoti consentendo di prevederli, magari indicando anche il luogo, il tempo e l’intensità di questi eventi. A questo scopo, sono state proposte misure delle variazioni della deformazione delle rocce, della velocità di propagazione delle onde sismiche, dei livelli delle acque freatiche, della conducibilità elettrica dei terreni e del contenuto di radon nelle acque, nel terreno e nell’aria e molte altre, incluse quelle dei comportamenti anomali di animali.
Nessuna di queste misure ha però mostrato di essere capace di fornire una previsione neppure lontanamente affidabile: ognuna di esse, se ha funzionato qualche volta, in tutti gli altri casi non lo ha fatto, sicché si deve inevitabilmente concludere che quelle rare occasioni nelle quali il fenomeno in esame ha effettivamente preceduto un terremoto siano esclusivamente dovute al caso.
In realtà, prevedere i terremoti si è rivelato un problema molto più complesso di quanto si supponeva quaranta anni or sono ed oggi la maggior parte degli specialisti del settore lo ritiene sostanzialmente impossibile, almeno nei termini di quella vecchia definizione del Consiglio delle ricerche statunitense.
Per capire le ragioni di ciò, bisogna partire da cosa è un terremoto.
Questi si dividono in due tipi: i terremoti vulcanici e tettonici. I terremoti vulcanici sono conseguenza dei movimenti del magma che alimenta i vulcani attivi. Generalmente, non sono molto forti (anche se a volte possono causare danni notevoli, come il terremoto che precedette di qualche anno l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo) e sono localizzati in aree molto limitate.
Non sono comunque certo questi terremoti a costituire il pericolo maggiore nelle aree vulcaniche. I terremoti tettonici, che sono quelli che provocano i danni maggiori, invece hanno origine nei lentissimi movimenti relativi delle placche terrestri che provocano la deformazione delle rocce nelle regioni di confine dove l’attrito blocca localmente questi movimenti.
I terremoti si verificano quando la tensione accumulata supera il carico di rottura della roccia, che si rompe all’improvviso e l’energia elastica accumulata lentamente nel corso di anni o di secoli si libera bruscamente.
Parte di essa viene irradiata nella forma di onde sismiche che si propagano attorno, scuotono il suolo in superficie e, quando prodotte nei fondali marini, possono provocare maremoti. Ciò avviene soprattutto nelle regioni di confine fra le placche, ma non esclusivamente in quelle: infatti, gli scorrimenti che si originano ai confini delle placche si propagano nelle rocce circostanti per centinaia e centinaia di chilometri, originando tensioni lungo linee di minore resistenza: le faglie tettoniche.
Le aree nelle quali si supera il carico di rottura si possono perciò trovare in qualsiasi punto lungo le faglie. Il punto dove avviene la frattura viene detto ipocentro mentre si chiama epicentro il punto della superficie terrestre sulla verticale dell’ipocentro, sebbene oggi sia noto che in realtà il rilascio di energia non avviene in un punto, ma in un volume di roccia che può essere anche di molti chilometri cubici.
E’ proprio questo meccanismo di origine dei terremoti tettonici che rende così difficile la loro previsione. Anche se il meccanismo è diverso, la situazione è simile a quella che ci capita quando vogliamo spezzare un fil di ferro piegandolo ripetutamente avanti e indietro: sappiamo che prima o poi si spezzerà, ma non sappiamo per quanto tempo dobbiamo esercitare i nostri sforzi per romperlo.
Bisogna però dire che se determinare l’intensità, la localizzazione e il tempo origine di un futuro evento sismico è attualmente (e probabilmente ancora per molto tempo) impossibile, le nostre conoscenze attuali ci permettono invece di stabilire con la quasi totale certezza in quali aree geografiche si verificheranno in futuro terremoti.
Infatti, la geologia e la geofisica permettono ormai, anche grazie a nuove tecnologie come il telerilevamento dallo spazio e le reti geodetiche basate sui sistemi GPS, di identificare con sicurezza la posizione delle faglie lungo le quali si verificheranno i terremoti. Inoltre, queste nuove tecnologie ci permettono anche di misurare con quali velocità si stanno muovendo queste faglie, dando così un’indicazione di quanto probabile sia un evento sismico nel giro di qualche anno.
Gli studi di sismologia storica ci dicono poi quali zone sono state colpite in passato da sismi più o meno intensi e quindi quali sono le zone a rischio più alto. Così, si possono tracciare mappe di rischio sismico, come quella per l’Italia che si può scaricare liberamente dal sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. E’ interessante notare come nel nostro Paese l’unica area nel quale il rischio sismico è assente è la Sardegna.
A questo punto però evitare i danni e le vittime non è più un problema scientifico ma politico ed economico. Preso atto che terremoti di intensità maggiore o minore, ma sicuramente anche forti, si verificheranno prima o poi ovunque in Italia, la questione non è come trovare il modo di avvertire in tempo la popolazione di uscire di casa per evitare di essere uccisa dai crolli, ma di fare in modo che le case (ma anche gli edifici pubblici e i monumenti) non crollino.
Non è un caso che in zone nei quali i terremoti sono frequenti quanto e più che in Italia, e spesso anche molto più forti, come nella Costa Ovest di USA e Canada, la Nuova Zelanda e il Giappone le vittime dei terremoti siano molto meno che nel nostro Paese. Non è certo la conoscenza di come costruire in modo da resistere a un terremoto che manca: quello che è necessario è che l’imprenditore edile rinunci a una parte di profitto per mettere in atto tutte le misure necessarie a rendere sicuro l’edificio.
Certamente, rispetto alle nazioni che abbiamo citato in precedenza (ad eccezione del Giappone, ma l’edilizia storica giapponese è tradizionalmente antisismica) l’Italia ha anche il problema di centinaia di migliaia di edifici costruiti nel passato da mettere in sicurezza.
Anche per questi tuttavia non mancano adeguate tecniche di consolidamento e anzi in Italia esistono poli di eccellenza in queste tecnologie, come l’Università della Basilicata a Potenza. Al solito, il problema è economico.
Lo Stato (ma anche il singolo cittadino) però dovrebbe prendere atto del fatto che investire subito in sicurezza sismica non è una spesa, ma un investimento che permetterà sicuramente in futuro di risparmiare non solo somme enormi, ma anche vite umane e perdita di beni culturali.
Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica) e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Friday, December 15, 2017 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
LA FABBRICA DELLA FELICITA’, UN ROMANZO DI GIULIO DI LUZIO PER TUTTE LE “PORTO MARGHERA”
Segnaliamo il libro di Giulio di Luzio nella presentazione che segue.
L’autore è disponibile a presentazioni in Piemonte e Lombardia, contattatelo!
Sinossi. Sul finire degli anni Sessanta nasce la fabbrica della felicità. Così la chiamano i figli di contadini e pescatori, che abbandonano aratri e motopescherecci. Vaffanculo alla pesca e alla terra, dicevano, facevano un corso e il commendatore li assumeva a fare concimi.
Leggi tutto al link:
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LA PETIZIONE CONTRO LA NORMATIVA ITALIANA SUL CSS E SUL COINCENERIMENTO NEI CEMENTIFICI E’ SUL PORTALE DEL PARLAMENTO EUROPEO
L’opposizione nei diversi siti di cementifici in tutta Italia ove si coinceneriscono rifiuti e “Combustibili Solidi Secondari” (CSS) ha prodotto, tra l’altro, una petizione al Parlamento Europeo per fermare la normativa italiana che arriva, distorcendo le direttive europee, a determinare che i rifiuti combustibili divengano dei combustibili non più rifiuti. Degli “End of Waste” alla stessa stregua della carta, dei metalli e di altre matrici riconosciuti come materie da regolamenti europei  al fine di facilitarne il riciclo.
Leggi tutto al link:
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PRESENTAZIONE DEL LIBRO “SANITA’ IN SALUTE?”
Presentazione del libro “Sanità in salute?” il libro bianco della sanità lombarda. Guida pratica per veder riconosciuti i propri diritti.
Il testo raccoglie le testimonianze giunte a “37e2” la trasmissione sulla salute che va in onda su Radio Popolare ogni giovedì mattina dalle 10:35 alle 11:30 (riprenderà il 11 gennaio), che analizza i casi segnalati, suggerisce come risolverli, illustra ai lettori quali sono i propri diritti in campo sanitario e spiega, in modo semplice, le leggi sulla sanità attualmente in vigore in Lombardia e in Italia.
Leggi tutto al link:
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Saturday, December 16, 2017 9:24 AM
Subject: FESTE SENZA GIOIE PER LE MAMME CHE HANNO PERSO UN FIGLIO SUL LAVORO
Guardate cosa scrive mamma Graziella dopo oltre dieci anni dalla perdita del figlio Andrea di soli 23 anni per infortunio sul lavoro.
“Come stai? Io non molto bene, cerco di non pensarci, impegno la giornata in mille cose ma poi arriva la sera, ah la sera, è le mia armatura si riempie di crepe fino a distruggersi completamente. Cerco la forza nelle piccole cose ma questa forza non sarà mai così grande da farmi dimenticare che tu sei andato via, che non posso più abbracciarti, vedere i tuoi occhi sorridermi e sentirti parlare dieci, cento, mille e altre volte ancora dei tuoi progetti. E no, non posso sentirti più, non posso chiedere neanche più un abbraccio: l'unica cosa che mi rimane sono queste foto che parlano solo un po' di noi perché tutto il resto l'ho impresso nell'anima e non andrà mai via. Sei sempre con me, figlio mio, io sono qui e ti sento vicino, non ho mai smesso di pensarti, sognarti, volerti e questa lontananza non ha fatto altro che avvicinarmi a te. Spero che non ti senta solo. Un abbraccio immenso. La tua mamma”.
Mamma Graziella Marota ha perso il figlio Andrea di 23 anni con la testa schiacciata da una pressa in una grande fabbrica, oltre dieci anni fa, lei è una mia amica da quando ho aperto l'Osservatorio. Ancora oggi il suo livello di sofferenza non è neppure immaginabile. Ma noi Graziella ti vogliamo bene e continueremo la battaglia anche per te, affinché altre mamme non soffrano più per le morti più ingiuste che sono quelle delle morti sul lavoro.
Un abbraccio grande mamma.
Da quando dieci anni fa è stato aperto l'osservatorio che compirà dieci anni il 1° gennaio 2008 sono morti quasi 14.000 lavoratori per infortunio sul lavoro. Di questi 6.238 sui luoghi di lavoro.
1.400 agricoltori sono morti schiacciati dal trattore che guidavano.
Carlo Soricelli
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From: Giuseppe Carroccia giuseppecarroccia24@gmail.com
To:
Sent: Sunday, December 17, 2017 3:53 PM
Subject: DIFENDIAMO UNO PER LA SICUREZZA DI TUTTI!
Girate nelle mailing list e affiggete negli impianti.
Per chi riesce a venire, l’appuntamento a Roma il 20 dicembre alle ore 9:45 davanti al "Palazzaccio".
Mandatemi SMS di conferma al 335 74 00 252.
Ciao,  grazie e buon lavoro
Giuseppe
* * * * *
DIFENDIAMO UNO PER LA SICUREZZA DI TUTTI!
Mercoledì 20 dicembre alle ore 10 al Palazzo di Giustizia aula A di Piazza Cavour si svolgerà l’udienza della Cassazione per il reintegro di Sandro Giuliani.
I due gradi di giudizio precedenti avevano incomprensibilmente respinto il reintegro nonostante le argomentazioni puntuali del ricorso.
Sandro è stato licenziato il 21 gennaio 2011 solo perché applicava scrupolosamente i regolamenti che garantiscono la sicurezza della circolazione dei treni.
E’ importante essere presenti, non solo per far sentire la nostra solidarietà a Sandro, ma anche per riaffermare l’impegno di noi ferrovieri contro i licenziamenti di chi si batte per la sicurezza di tutti.
Le spese legali sono sostenute dalla Cassa di Solidarietà dei Ferrovieri che in questi anni ha sostenuto i lavoratori colpiti da ingiusti provvedimenti disciplinari.
Partecipiamo e sosteniamo la Cassa di Solidarietà.
Roma, 16 Dicembre 2017
Comitato per il reintegro di Sandro Giuliani
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From: Ferrovieri Solidali cassadisolidarieta@gmail.com
To:
Sent: Monday, December 18, 2017 8:17 PM
Oggetto: COMUNICATO PER SANDRO GIULIANI
COMUNICATO 6/2017
UDIENZA CASSAZIONE PER SANDRO GIULIANI
Mercoledì 20 dicembre si terrà l'udienza di Cassazione per il nostro collega Sandro Giuliani. L'appuntamento è a Roma, alle ore 10.00, presso il Palazzo di Giustizia Piazza Cavour aula A.
Sandro è un capotreno di Roma, licenziato da Trenitalia a gennaio 2011 per aver applicato con determinazione le normative e aver difeso la sicurezza in ferrovia.
In primo grado e in appello il ricorso di Sandro è stato respinto, fatto che non ci stupisce, ma di fronte al quale sappiamo che non bisogna fermarsi.
Facciamo nostro l'appello del Comitato in sostegno di Sandro Giuliani a solidarizzare con il nostro collega, a essere presenti all'udienza di Cassazione e a sostenere e partecipare alla nostra Cassa di Solidarietà che provvede alle spese legali di Sandro e dei ferrovieri perseguiti e licenziati per la loro sacrosanta difesa della sicurezza in Ferrovia.
Cogliamo l'occasione per augurare a tutti e tutte un 2018 di solidarietà e di lotta.
La solidarietà è il primo passo verso la libertà!
16 dicembre 2017 Il Direttivo della Cassa di Solidarietà
Cassa Di Solidarieta' Tra Ferrovieri
Conto Corrente postale n. 71092852 intestato a Crociati Marco
via dell’Acqua Acetosa 2/A
00043 Ciampino (RM)

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