mercoledì 21 marzo 2018

18 marzo - la contro/informazione di M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 296 DEL 13/03/18


INDICE
-         Le “Frequently Asked Questions” di Sicurezza Sul Lavoro - Know Your Rights! - N.25
-         Mobbing o straining: il diritto al risarcimento per il lavoratore
-         Alternanza scuola-lavoro: come tutelare la sicurezza degli studenti
-         Quando non si protegge la testa
-         Gli infortuni nella riparazione dei veicoli
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus

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LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.25
Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
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Ciao Marco,
lavoro in un magazzino, dove movimentiamo la merce su pallet con carrelli elevatori frontali.
Ora i capi, per fare prima, ci chiedono di prendere due pallet di merce insieme un sull’altro.
Ma così il carico trasportato non è molto stabile.
Puoi dirmi cosa dice la normativa a proposito?
Grazie.
Ciao,
la movimentazione di un doppio carico comporta rischi dovuti alla ridotta o mancata visibilità nel senso di marcia e alla riduzione della stabilità del carico.
a livello normativo (D.Lgs. 81/08) non ci sono particolari prescrizioni su tale aspetto, per cui occorre fare piuttosto riferimento a linee guida o corsi di formazione specifica.
Ti indico nel seguito alcune di questi documenti e ti indico dove esse trattano dei rischi legati al trasporto di doppio pallet.
Disposizioni ricorrenti in tutti i documenti per la movimentazione sicura di carichi con carrelli elevatori a forche sono le seguenti:
-         non prelevare con le forche carichi che impediscano o limitino comunque la visibilità in avanti;
-         solo in casi eccezionali si possono prelevare carichi che limitino la visibilità in avanti, ma in questo caso occorre procedere a marcia indietro e a passo d’uomo e/o con l’ausilio di personale a terra;
-         occorre garantire la stabilità del carico, evitando carichi sovrapposti, se non legati tra di loro.
Direi quindi che quanto attuato all’interno del magazzino è del tutto contrario alle regole di condotta sicura dei carrelli elevatori e può essere tranquillamente impugnato nei confronti dell’azienda, anche per tramite dello Spresal dell’ASL.
SPRESAL VICENZA LINEE GUIDA CARRELLI ELEVATORI
Pagina 35
Durante la marcia il conducente deve:
-         guardare nella direzione di traslazione del carrello e avere una visibilità sufficiente nella corsia di marcia;
-         guidare in retromarcia a passo d’uomo e con massima cautela se la visibilità è limitata o i carichi sono ingombranti o con l’ausilio di una seconda persona da terra.
Pagina 38
Dovrebbero essere ridotte al minimo le possibilità di guidare in retromarcia, per esempio creando un sistema di circolazione aziendale a senso unico.
Qualora sia comunque necessario procedere in retromarcia, l’operatore deve sempre controllare che dietro il veicolo non vi siano pedoni, veicoli od ostacoli ed assicurarsi che funzionino correttamente sia il segnalatore acustico che luminoso di retromarcia.
Pagina 40
Non azionare il carrello se non è possibile una buona visibilità. Se la visuale anteriore è ostacolata, è indispensabile procedere in retromarcia.
Non procedere nella manovra se il carico per essere movimentato necessita il mantenimento in posizione da parte di un’altra persona.
ASL MILANO E BRIANZA CARRELLI
Pagina 8
Verificare sempre la stabilità del carico trasportato: se necessario singoli colli devono essere legati o inseriti in ceste.
Organizzare il lavoro in modo da trasportare carichi di dimensioni tali da garantire una buona visibilità, se il carico è molto ingombrante procedere a marcia indietro.
BRIXIA MANUALE OPERATORE CARRELLISTA
Pagina 14
Ma andare a bassa velocità non sempre è sufficiente, se non riuscite a vedere dove siete diretti!
Nel caso in cui il carico trasportato ostruisca la visibilità, girate e circolate, molto lentamente, marciando all’indietro.
E se dopo tutto ciò ancora non riuscite ancora a vedere il percorso chiedete collaborazione ad un’altra persona e fatevi guidare da questi.
CORSO CARRELLISTI 1 (L’USO DEI CARRELLI ELEVATORI)
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Un ostacolo alla visuale è di solito causato dall’ingombro del carico posizionato sulle forche.
L’altezza del carico deve sempre permettere al conducente di poter vedere una persona di bassa statura posta davanti alle forche.
CORSO CARRELLISTI 2 (CARRELLI ELEVATORI)
Pagina 41
Non trasportate carichi instabili o mal sistemati o sovrapposti se sono più alti della piastra porta forche o della griglia di reggicarico a meno che non sia un sol pezzo.
Marco
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ERGONOMIA DELLE POSTAZIONI DI LAVORO IN AMBITO METALMECCANICO
Ciao Marco,
sono RLS in un’azienda metalmeccanica dove sono presenti postazioni di lavoro assolutamente inaccettabili da un punto di vista ergonomico (oggetti ad movimentare troppo lontani o sopra la testa, pochissimo spazio tra le postazioni di lavoro, posizioni del corpo inadeguate per sollevare carichi pesanti), ecc.).
Mi sai indicare quali sono i criteri ergonomici da adottare e come fare per spingere l’azienda a intervenire?
Ciao,
ti mando a seguire brevi considerazioni sul problema che mi hai posto in merito all’ergonomia delle postazioni di lavoro.
Secondo il D.Lgs. 81/08 (articolo 15 “Misure generali di tutela”, che però non è un obbligo sanzionabile):
1. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
[...]
d) il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo
[...].
Oltre a tale principio generale di tutela della salute, trova applicazione, per quanto riguarda l’ergonomia delle postazioni di lavoro, l’obbligo di cui all’articolo 71, comma 6 (sanzionabile) del Decreto, secondo cui:
Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori durante l’uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai principi dell’ergonomia”.
Il Decreto non entra nel dettaglio tecnico di quali siano i “principi dell’ergonomia”, ma rimanda a tale proposito a norme tecniche e linee guida, così come definite dall’articolo 2.
Le norme tecniche e le linee guida, documenti emessi da organismi riconosciuti a livello nazionale o europeo (INAIL, UNI, ISO, ecc.), costituiscono linee di indirizzo per il rispetto dei requisiti richiesti in maniera generica dalla normativa cogente (il D.Lgs. 81/08 appunto).
Pertanto il rispetto (volontario, ma non cogente) di norme tecniche e linee guida garantisce al datore di lavoro il rispetto dei requisiti legislativi (cogenti).
Gli standard volontari relativi all’ergonomia sono sia linee guida o norme tecniche il cui contesto di applicazione è piuttosto generale, sia norme tecniche emesse con riferimento a contesti specifici di applicazione
In particolare trova puntuale applicazione nel caso da te citato il documento di Erminia Attaianese e Gabriella Duca “Manuale di raccomandazioni ergonomiche per le postazioni di lavoro metalmeccaniche”, edito dall’INAIL nel 2008, scaricabile al link:
Al Capitolo 3 “Raccomandazioni e soluzioni tecniche applicabili per il miglioramento delle condizioni ergonomiche delle postazioni di lavoro metalmeccaniche” sono riportate una serie di soluzioni da adottare per garantire l’ergonomia fisica della postazione, tra cui, nel caso in particolare, trovano applicazione le seguenti:
-         nella scelta fra possibilità alternative preferire l’opzione che riduce le distanze che devono essere colmate mediante l’estensione delle braccia;
-         nella scelta fra possibilità alternative preferire l’opzione che implica il minor carico sulla colonna vertebrale e le spalle;
-         assicurare spazi sufficienti per consentire all’operatore di assumere la postura più naturale e neutra nelle azioni di movimentazione manuale dei carichi;
-         organizzare il layout verticale e orizzontale della postazione evitando la necessità di portare le mani al di sopra del capo;
-         organizzare il layout verticale e orizzontale della postazione evitando la necessità di portare le mani lontano dal corpo;
-         organizzare il layout della postazione in modo che l’esercizio della forza avvenga su una direzione rettilinea e frontale rispetto all’operatore;
-         configurare la postazione in modo da offrire l’appoggio delle mani e degli avambracci (ad esempio con sporgenze del piano di lavoro);
-         progettare la postazione in modo da assicurare lo svolgimento delle manipolazioni a un’altezza compresa fra 80 cm e 110 cm.
Mentre per quanto riguarda l’ergonomia organizzativa della postazione, il manuale dà, tra le altre, le seguenti indicazioni:
-         prevedere il lavoro in gruppo per movimentare manualmente carichi pesanti o ingombranti;
-         se non è possibile porgere all’operatore i materiali ad un’altezza adeguata, offrire appoggi supplementari (ad esempio gradini, scalette mobili, ecc) per aumentare l’altezza dell’operatore e migliorare la raggiungibilità dei materiali da prendere (assicurarsi che questi dispositivi non
vengano usati impropriamente e costituiscano rischio di inciampo).
In conclusione, la tua azienda è tenuta (ai sensi dell’articolo 71, comma 6 del Decreto) ad adottare ogni soluzione tecnica per rispettare i principi di ergonomia del lavoro.
Tali principi sono riportati in maniera dettagliata nella Linea Guida citata che è specifica per le aziende metalmeccaniche e che quindi è perfettamente applicabile al caso in esame.
Le soluzioni da adottare per casi specifici devono poi derivare da una specifica valutazione del rischio dell’ergonomia delle postazioni di lavoro, che costituisce obbligo sanzionabile ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del Decreto e all’interno del quale devono essere riportate sia le misure di prevenzione e protezione adottate per eliminare o ridurre il rischio, sia il programma di miglioramento della situazione monitorata.
Quindi consiglio:
-         richiedere alla tua azienda la specifica valutazione del rischio dell’ergonomia delle postazioni di lavoro;
-         richiedere come mai, nel caso in questione non sono stati adottati i principi di cui alla Linea Guida INAIL citata;
-         richiedere l’implementazione di tali principi.
In caso di risposte negative, come al solito, bisogna rivolgersi alla ASL.
Marco
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Buongiorno Marco,
due nuovi assunti (per fortuna da me si assume ancora) hanno sbagliato per l’80% il test sulla sicurezza loro destinato come nuovi assunti.
Come si deve procedere in questi casi ?
L’RSPP dice che andrebbe rifatto il corso, rifatto il test (con costi aggiuntivi) sottolineando il rischio che di fronte a nuovi errori potrebbe essere compromessa l’assunzione.
Io non so niente di tutto questo, ne se l’affermazione dell’RSPP possa essere veritiera, e quindi, come RLS, mi sono preso un po’ di tempo.
L’RSPP ha suggerito una alternativa per evitare i costi di cui sopra: si fa dare dal formatore le dispense usate nel corso, insieme ai lavoratori elabora i test e gli errori, poi dà le dispense ai lavoratori e facendo “un po’ la voce grossa” li invita a studiare per conto proprio, dicendo loro del rischio assunzione, cui andrebbero incontro in caso di ulteriori troppi errori, dando loro 15 giorni di tempo. Dopodiché si ritrovano RSPP e lavoratori a rifare il test.
Alla mia domanda su come comportarsi in caso di ulteriori esiti negativi, l’RSPP non ha saputo rispondere.
Cosa mi dici al riguardo della mia domanda iniziale e della proposta fatta dall’RSPP?
Ciao, sinceri saluti e grazie della disponibilità
Ciao,
immagino che i corsi di formazione siano stati svolti secondo le modalità e i contenuti dell’Accordo Stato Regioni del 21/11/12 che puoi scaricare al link:
Tale accordo prevede una frequenza minima di presenza ai corsi di formazione pari al 90% del monte ore e una prova di verifica obbligatoria, solo per le figure di preposti e dirigenti.
Per la formazione dei lavoratori (anche se è assurdo), l’Accordo non prevede né frequenza minima, né verifica di apprendimento.
Secondo tale Accordo quindi, almeno in teoria, il test di verifica non è obbligatorio e può essere omesso.
Ovviamente l’azienda deve dimostrare di avere adempiuto all’obbligo di formazione e a tale scopo deve essere almeno predisposto e compilato il registro delle presenze con orari, argomenti, firma dei lavoratori e del docente.
A tale proposito però alcuni Pubblici Ministeri (tra cui “in primis” il solito Guariniello) e qualche sentenza della Cassazione, ritengono che per dimostrare l’effettività e l’efficacia della formazione, si debba (al di là dei contenuti minimi previsti dall’Accordo citato), dimostrare (ad esempio con un test scritto) la reale comprensione dei lavoratori.
Nel caso in questione, aver sbagliato l’80% delle domande dimostra che i due lavoratori non abbiano di fatto fruito di formazione effettiva ed efficacie.
In tal caso l’unica soluzione è ripetere la formazione e ripetere il test, spiegando bene ai lavoratori che la formazione sulla sicurezza e condizioni imprescindibile per poter lavorare.
La soluzione proposta dal RSPP è il classico compromesso all’italiana che salva la forma, ma non la sostanza.
C’è comunque da farsi alcune domande.
Il contenuto della formazione (secondo l’articolo 37, comma 16 del D.Lgs. 81/08) “deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Sempre secondo tale dettato normativo “ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo”.
La formazione è stata veramente comprensibile e mirata alla realtà aziendale?
La formazione era adeguata nei contenuti al livello scolastico e culturale dei lavoratori?
Gli altri lavoratori che risultati hanno ottenuto?
Se i due lavoratori erano stranieri, è stata verificata la loro padronanza con la lingua italiana?
Se il docente ha svolto una formazione comprensibile e adeguata, se i due lavoratori hanno sbagliato l’80% delle domande, o hanno serie difficoltà di comprensione o, più facilmente, hanno dormito tutto il tempo.
Occorre loro ricordare che tra gli obblighi dei lavoratori vi è anche quello (articolo 20, comma 2, lettera h) del D.Lgs. 81/08) di “partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro”.
Partecipare non vuol dire riempire la sedia...
Ripeto, se l’azienda i corsi di formazione li fa in maniera adeguata, comprensibile, completa, è sacrosanto dovere dei lavoratori “studiare e fare bene i compiti”.
Pertanto l’unica soluzione accettabile secondo norma, ma anche secondo buon senso, è quella di “rimandarli a settembre”.
In merito a eventuali successivi esiti negativi, se l’azienda crea le premesse per fare bene la formazione e i lavoratori capiscono che ci devono mettere anche del loro, non credo proprio ce ne saranno.
Fammi sapere.
A presto.
Marco
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Ciao, Marco,
avrei un quesito.
Mio figlio oggi è andato a fare un colloquio di lavoro per un’azienda della grande distribuzione organizzata e gli hanno richiesto un Certificato di corso della sicurezza di 4 ore da fare online sul sito della ANFOS.
Volevo sapere se avevi delle notizie al riguardo.
Ti ringrazio.
Ciao,
l’ANFOS è Associazione Nazionale Formatori della Sicurezza e raccoglie e coordina i formatori qualificati per la sicurezza al fine di garantire un servizio formativo di primo livello.
Per quanto possibile, da quello che ne so, è un’organizzazione seria.
Ma il problema per cui mi scrivi non è certo quello.
Tuo figlio non deve fare da solo il corso ANFOS, ma deve essere la azienda che a sue spese, con suoi strumenti e durante l’orario di lavoro fa fare il corso a tuo figlio.
L’erogazione della formazione è infatti un obbligo sanzionabile a carico del datore di lavoro o dei dirigenti, come sancito dall’articolo 18, comma 1, lettera l) secondo il quale il datore di lavoro e i dirigenti devono:
adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37”.
In particolare per quanto riguarda la formazione (che è l’argomento di cui stiamo parlando), vale quanto sancito dall’articolo 37.
Tale articolo prevede che i lavoratori siano formati relativamente ai concetti generali relativi alla salute e sicurezza e alla normativa vigente (formazione generale) e ai rischi specifici presenti negli ambienti di lavoro (formazione specifica).
I contenuti e le modalità di erogazione della formazione (generale e specifica), come previsto dal D.Lgs. 81/08, sono definiti più in dettaglio dall’Accordo Stato Regioni del 21/12/11.
Tale Accordo prevede per il corso di formazione generale una durata fissa di 4 ore e per il corso di formazione specifico una durata variabile (4, 8, 12) in funzione del livello di rischio della attività lavorativa.
Per il corso di formazione generale di 4 ore è ammessa la modalità ondine.
Per quanto riguarda la tua domanda, l’aspetto più rilevante è quanto previsto dal comma 12 dell’articolo 37:
La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori”.
Pertanto la richiesta della Azienda è del tutto illegale, in quanto il corso richiesto a tuo figlio da fare online sul siti ANFOS è a pagamento e da quello che ho capito avverrebbe prima dell’assunzione e quindi fuori dall’orario di lavoro.
Per rispettare quanto disposto dalla normativa vigente (il D.Lgs. 81/08) la Azienda deve prima assumere tuo figlio e poi, all’interno di una giornata lavorativa, mettergli a disposizione un computer con collegamento al corso della ANFOS, il cui costo deve essere a carico della Azienda stessa.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
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NOTA
Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:
ASL = Azienda Sanitaria Locale
CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI = Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto
OS = Organizzazioni Sindacali
RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali
RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie
D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)
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MOBBING O STRAINING: IL DIRITTO AL RISARCIMENTO PER IL LAVORATORE
Da Studio Cataldi
08/03/18
di Paolo Calmieri
Oltre alla fattispecie del mobbing, la giurisprudenza ha affermato che dà diritto al risarcimento in favore del lavoratore anche la singola condotta dannosa per lo stesso, legittimando di fatto la fattispecie minore dello straining.
Per integrare il mobbing sul luogo di lavoro, l’azione molesta deve essere caratterizzata da molteplici condotte persecutorie, ripetute nel tempo, e tali da provocare un notevole danno alla salute del lavoratore [1].
Dal punto di vista probatorio, ai fini della configurabilità della condotta mobbizzante del datore di lavoro, è necessario provare la serie di comportamenti di carattere persecutorio, l’evento lesivo, il nesso eziologico e l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi, in quanto la condotta non è configurabile per mera colpa [2].
Dunque, per ottenere il risarcimento dei danni da mobbing, si richiede una prova particolarmente rigorosa che deve essere fornita dal lavoratore.
Alcune pronunce hanno individuato sette parametri tassativi per il riconoscimento del fenomeno, rappresentati: dall’ambiente, dalla durata, dalla frequenza, dal tipo di azioni ostili, dal dislivello tra gli antagonisti, dall’andamento secondo fasi successive, dall’intento persecutorio [3].
Quando invece la condotta mobbizzante è effettuata dai colleghi del lavoratore, tale comportamento può portare ad ottenere il risarcimento del danno da parte del datore di lavoro quando questo sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo o delle condizioni ambientali che rendono possibile, o le abbia addirittura determinate. Potrà essere chiamato a rispondere civilmente anche l’autore materiale delle condotte secondo le classiche regole civilistiche.
Infine, l’intento persecutorio unificante i comportamenti lesivi può desumersi anche dall’uso abnorme del potere direttivo, ossia quando il datore di lavoro o il superiore va al di là dei poteri ad esso consentiti.
Il fondamento della tutela contro il mobbing trae origine dal principio di buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, dovendo il datore di lavoro astenersi dal porre in essere comportamenti e azioni che comportino condizioni lavorative caratterizzate da stress, in quanto lesivi dei diritti fondamentali del dipendente.
La giurisprudenza ha riscontrato condotte mobbizzanti in caso di discredito continuo e palese del lavoratore; ostruzionismo nell’esercizio dei diritti del lavoratore; rimproveri immotivati ed aggressivi; demansionamento (però, quando sia dequalificante); e assegnazione di giorni arretrati di permesso diversi da quelli richiesti.
Quando il comportamento mobbizzante non ha il carattere della ripetitività della condotta, il lavoratore ha comunque diritto a vedersi risarcito il danno patito in conseguenza della condotta lesiva e persecutoria, anche qualora non derivi da molteplici comportamenti.
La fattispecie dello straining è stata recentemente legittimata dalla Corte di Cassazione [4], la quale ha avuto modo di confermare il risarcimento in favore del lavoratore danneggiato da attività di straining, che altro non è se non “una forma attenuata di mobbing, nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie”. Sostanzialmente, mentre nel mobbing ci sono una serie di azioni ostili, ripetute nel tempo, nello straining è sufficiente anche soltanto un’unica azione, basta che gli effetti siano continui nel tempo.
In questo caso, dunque, il lavoratore vive sul luogo di lavoro una situazione stressante legata ad un’azione ingiusta [5].
Si può configurare lo straining con la privazione immotivata degli strumenti di lavoro, con l’assegnazione di mansioni incompatibili con la situazione personale del lavoratore, con il trasferimento ingiustificato in una sede disagiata, e con la svalutazione dell’operato del lavoratore.
Per concludere, non è importante la qualificazione dell’azione intentata dal lavoratore ai fini del risarcimento, in quanto il Giudice non sbaglia se qualifica la fattispecie come straining e non come il richiesto mobbing. Ciò che conta è che sia accertato il compimento di una condotta contraria alla buona fede, senza che rilevi la iniziale domanda giudiziale per l’accertamento ed il risarcimento da mobbing.
NOTE
[1] La normativa di riferimento è l’articolo 2087 del Codice Civile e il D.Lgs. 81/08
[2] Ordinanza della Corte di Cassazione Sezione Civile 21262/17
[3] Sentenza della Corte di Cassazione Sezione Civile 10037/15
[4] Sentenza della Corte di Cassazione 3977/18
[5] Sentenza della Corte di Cassazione 3291/16
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ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: COME TUTELARE LA SICUREZZA DEGLI STUDENTI
Da: PuntoSicuro
01/03/18
di Tiziano Menduto
La nuova Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le modalità di applicazione della normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro agli studenti in regime di alternanza.
Torniamo a parlare nel nostro giornale dell’importante legame tra scuola e lavoro in materia di sicurezza e dell’alternanza scuola-lavoro, una metodologia didattica che permette di sperimentare processi di apprendimento attivi e di favorire un percorso di attenzione alla prevenzione di infortuni e malattie professionali.
E lo facciamo con riferimento alla pubblicazione e adozione, tramite D.M. 195/17 di un nuovo regolamento denominato “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro”, sicuramente un nuovo passo in avanti che si inserisce nel quadro del più ampio del progetto regolato dalla L. 107/15 e che può facilitare per i giovani l’acquisizione di competenze anche in materia di sicurezza sul lavoro.
CARTA DIRITTI STUDENTI IN ALTERNANZA
Dal D.M. 195/17, entrato in vigore il 5 gennaio 2018, riprendiamo innanzitutto le finalità della Carta indicate all’articolo 1 del regolamento.
La Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza ha lo scopo di dare agli studenti l’opportunità di conoscere ambiti professionali, contesti lavorativi e della ricerca, utili a conseguire e integrare le competenze curriculari, al fine di motivarli e orientarli a scelte consapevoli, nella prospettiva della prosecuzione degli studi o dell’ingresso nel mondo del lavoro.
E il regolamento definisce inoltre le modalità di applicazione agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro delle disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al D.Lgs. 81/08.
Il regolamento (articolo 2) si applica agli studenti degli istituti tecnici e professionali, nonché dei licei, impegnati nei percorsi di alternanza negli ultimi tre anni del percorso di studi. E nel rispetto delle competenze legislative e amministrative attribuite alle regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, il regolamento si applica anche agli studenti dei percorsi di istruzione e formazione professionale, erogati in regime di sussidiarietà dagli istituti professionali di Stato, impegnati nei percorsi di alternanza.
LO SVOLGIMENTO DELL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO
Riguardo poi alle modalità di svolgimento dell’alternanza (articolo 3) si segnala che tali percorsi, regolati dal D.Lgs. 77/05, sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica, sulla base di apposite convenzioni con le strutture ospitanti, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, o con gli ordini professionali, ovvero con i musei e gli altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, nonché con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale o con enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa, che non costituiscono rapporto individuale di lavoro.
E tali percorsi di alternanza scuola-lavoro sono inseriti nel Piano triennale dell’offerta formativa predisposto dall’istituzione scolastica e nel Patto educativo di corresponsabilità e sono co-progettati con il soggetto ospitante.
Nell’articolo 4 si fa riferimento al Patto educativo di corresponsabilità che definisce anche i diritti e i doveri degli studenti e dei soggetti con responsabilità genitoriale nel rapporto con l’istituzione scolastica e con gli enti presso i quali è svolto il percorso di alternanza. E si segnala (comma 2) che gli studenti destinatari di tale regolamento svolgono esperienze in regime di alternanza, per una durata complessiva di almeno 400 ore negli istituti tecnici e in quelli professionali e di almeno 200 ore nei licei, negli ultimi tre anni del percorso di studi. E vengono supportati (comma 6) nell’ attività di alternanza da un tutor interno designato dall’istituzione scolastica e da un tutor della struttura ospitante designato dalla struttura ospitante.
LA SALUTE E SICUREZZA NELL’ALTERNANZA
All’articolo 5 si sottolinea poi che gli studenti impegnati nei percorsi in regime di alternanza ricevono preventivamente dall’istituzione scolastica una formazione generale in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ai sensi dell’articolo 37, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 81/08, come disciplinata dall’accordo previsto dall’articolo 37, comma 2, del medesimo Decreto. E tale formazione è certificata e riconosciuta a tutti gli effetti ed è integrata con la formazione specifica che gli studenti ricevono all’ingresso nella struttura ospitante, fatta salva la possibilità di regolare, nella convenzione tra quest’ultima e l’istituzione scolastica, il soggetto a carico del quale gravano gli eventuali oneri conseguenti.
Ed è dunque di competenza dei dirigenti scolastici delle scuole secondarie di secondo grado l’organizzazione di corsi di formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, rivolti agli studenti inseriti nei percorsi di alternanza e svolti secondo quanto disposto dal D.Lgs. 81/08. E per ridurre gli oneri a carico della struttura ospitante nell’erogazione della formazione, possono essere
-         stipulati dagli uffici scolastici regionali appositi accordi territoriali con i soggetti e gli enti competenti a erogare tale formazione, tra i quali l’INAIL e gli organismi paritetici previsti nell’Accordo Stato Regioni 211 del 21/12/11;
-         svolti percorsi formativi in modalità e-learning, anche in convenzione con le piattaforme pubbliche esistenti riguardanti la formazione, come previsto dall’ Accordo Stato Regioni 211 del 21/12/11 e dall’ Accordo Stato Regioni 128 del 07/07/16;
-         promosse forme più idonee di collaborazione, integrazione e compartecipazione finanziaria da determinarsi in sede di convenzione.
Sempre poi all’articolo 5 si indica che al fine di garantire la salute e la sicurezza degli studenti è stabilito che il numero di studenti ammessi in una struttura sia determinato in funzione delle effettive capacità strutturali, tecnologiche e organizzative della struttura ospitante, nonché in ragione della tipologia di rischio cui appartiene la medesima struttura ospitante con riferimento all’Accordo Stato Regioni 211 del 21/12/11, in una proporzione numerica studenti/tutor della struttura ospitante non superiore al rapporto di 5 a 1 per attività a rischio alto, non superiore al rapporto di 8 a 1 per attività a rischio medio, non superiore al rapporto di 12 a 1 per attività a rischio basso.
Concludiamo segnalando che per gli studenti in regime di alternanza è garantita la sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 del D.Lgs. 81/08, nei casi previsti dalla normativa vigente.
Il D.M. 195/17 “Regolamento recante la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le modalità di applicazione della normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro” è scaricabile all’indirizzo:
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QUANDO NON SI PROTEGGE LA TESTA
Da: PuntoSicuro
01/03/18
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni in cui è stata rilevata l’assenza di dispositivi di protezione di protezione del capo. Incidenti nel montaggio di un ponteggio e in attività di demolizione. Gli eventi infortunistici, i fattori causali e la prevenzione.
Nelle attività lavorative non è importante solo usare bene la “testa”, per mettere in atto tutte le buone prassi per lavorare in sicurezza, ma anche proteggerla da eventuali infortuni, ad esempio con riferimento alle cadute dei materiali dall’alto.
A ricordarlo è anche l’Allegato VIII (Indicazioni di carattere generale relative a protezioni particolari) del D.Lgs. 81/08 che in relazione alla protezione del capo indica: “I lavoratori esposti a specifici pericoli di offesa al capo per caduta di materiali dall'alto o per contatti con elementi comunque pericolosi devono essere provvisti di copricapo appropriato. Parimenti devono essere provvisti di adatti copricapo i lavoratori che devono permanere, senza altra protezione, sotto l'azione prolungata dei raggi del sole”.
In riferimento al lungo viaggio della rubrica “Imparare dagli errori” attraverso gli infortuni in cui si evidenzia una mancata fornitura o un mancato utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI), ci soffermiamo oggi sugli elmetti di protezione.
Le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto in fase di montaggio di un ponteggio a telai prefabbricati a un’altezza di circa 12 metri.
Un lavoratore assieme ad un collega stanno procedendo al montaggio del ponteggio, ma, mancando alcuni elementi, il lavoratore invece di scendere a terra a prenderli si reca sul solaio al quarto piano dell’edificio dove è allestito un ponteggio a telai prefabbricati a un solo piano. Su tale ponteggio sono stati portati diversi travetti in legno, e toglie il telaio di parapetto. Appena rimosso il telaio di parapetto, il ponteggio crolla anche a causa del peso dei travetti investendo il lavoratore che cade riportando trauma cranico non commotivo e alcune fratture. E’ stato rilevato successivamente che l’infortunato che lavorava già da circa 4 anni nel settore edile non aveva però mai partecipato al montaggio di ponteggi e non utilizzava l’elmetto.
Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:
-         il lavoratore toglieva il telaio di parapetto dal ponteggio;
-         il lavoratore non portava elmetto;
-         presenza di travetti in legno accatastati sopra il ponteggio.
Il secondo caso riguarda un infortunio in attività di demolizione.
Un lavoratore sta compiendo delle opere di demolizione del solaio del primo piano di un edificio da ristrutturare. Essendo state demolite quasi tutte le pignatte, incomincia a togliere i ferri ancorati alle pareti. Per effettuare tale operazione, l'infortunato sprovvisto di casco di protezione, è su una scala posizionata instabilmente sopra del materiale di demolizione e procede tagliando i ferri del solaio dal basso con l'utilizzo di un utensile manuale.
Il lavoratore cade dalla scala e mentre si trova a terra viene investito da un pezzo di solaio. L'infortunato riporta la contusione del cranio.
I fattori causali:
-         il lavoratore tagliava i ferri del solaio dal basso;
-         infortunato sprovvisto di casco;
-         presenza di materiale di demolizione sotto la scala;
-         il lavoratore demolisce il solaio utilizzando un'attrezzatura non idonea e posizionata in modo instabile cadendo dalla stessa.
Il terzo caso riguarda un altro infortunio nel comparto edile.
Un lavoratore mentre sta raccogliendo alcune attrezzature di lavoro al di sotto di un balcone improvvisamente viene colpito alla testa da una soglia che cade dal balcone sovrastante. Il lavoratore riporta la frattura del cranio e non usa il casco.
Questi i fattori causali rilevati:
-         mancato uso del casco;
-         soglia in marmo pericolante.
Ci soffermiamo brevemente oggi su quanto indicato dalle “Linee guida alla scelta dei DPI: calzature e elmetti” che riporta indicazioni, tratte da materiali del CPT di Bergamo, sugli elmetti di protezione per l'industria.
Tali elmetti sono copricapi il cui scopo primario è quello di proteggere la parte superiore della testa dell'utilizzatore contro lesioni che possono essere provocate da oggetti in caduta. E la principale norma tecnica di riferimento è la UNI EN 397:2013.
Inoltre si ricorda che qualsiasi elmetto sottoposto a un grave urto dovrebbe essere sostituito, non si devono applicare vernici, solventi, modificare o togliere uno qualsiasi dei componenti originali dell'elmetto.
Alcuni requisiti obbligatori sono:
-         assorbimento degli urti: l'elmetto deve avere una resistenza di una massa di 5 kg da un'altezza di 1 m;
-         resistenza alla penetrazione: la punta di percussione non deve entrare in contatto con la testa, l'elmetto deve avere una resistenza di 3 kg da un'altezza di 1 m;
-         resistenza alla fiamma: i materiali della calotta non devono bruciare con emissione di fiamma trascorsi 5 s dall'allontanamento della fiamma;
-         ancoraggi del sottogola: la forza esercitata provocata sull'elmetto deve permettere la rottura dell'ancoraggio.
Infine i requisiti facoltativi richiedono che ogni elmetto deve riportare una marcatura stampata o impressa o un'etichetta autoadesiva durevole che dichiari i requisiti facoltativi ai quali è conforme, come segue:
temperatura molto bassa: -20 °C / -30 °C;
temperatura molto alta: +150 °C;
isolamento elettrico: 440 V circa;
deformazione laterale: LD;
spruzzi di metallo fuso: MM;
Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 3417, 5650 e 6324, è consultabile all’indirizzo:
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GLI INFORTUNI NELLA RIPARAZIONE DEI VEICOLI
Da: PuntoSicuro
08/03/18
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni avvenuti in officine meccaniche per la manutenzione e riparazione di veicoli a motore. Infortuni in officine di autoriparazione e di manutenzione di mezzi pesanti. Le dinamiche degli incidenti e la prevenzione.
Come abbiamo rilevato in precedenti articoli dedicati alle attività di riparazione e manutenzione dei veicoli, sono molti i rischi, sia per la sicurezza che per la salute, a cui possono essere soggetti i lavoratori.
Riprendiamo dunque il viaggio della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli eventi infortunistici, su alcuni dei possibili incidenti, carenze, errori che si traducono in infortuni per i lavoratori di autofficine, carrozzerie, officine di verniciatura.
Esaminiamo oggi, in particolare, alcuni infortuni che sono avvenuti in attività di riparazione dei veicoli e che sono stati registrati dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi attraverso le schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio.
Il primo caso riguarda un infortunio che si è verificato all’interno di un’officina meccanica di autoriparazione.
Un lavoratore doveva eseguire lavori di riparazione sulla carrozzeria della cabina di un camioncino collocato al di sopra di una fossa di ispezione.
La dinamica (l’infortunio non ha avuto testimoni diretti) è stata ricostruita in base a quanto riferito dai colleghi di lavoro dell’infortunato e a quanto osservato nel corso di un sopralluogo effettuato a distanza di circa due ore dall’evento.
Per carteggiare la parte da riparare, posta a circa due metri da terra, l’infortunato si serviva di una scala metallica doppia, priva di piedini antislittamento, rinvenuta all’interno dell’officina. Probabilmente a causa dei movimenti del lavoratore, la scala scivolava sul pavimento in cemento, causando la perdita di equilibrio e la caduta al suolo dell’infortunato.
Il decesso avveniva per trauma cranico.
Questi i fattori causali dell’incidente rilevati:
-         il lavoratore per carteggiare la parte da riparare, posta a circa due metri da terra, si serviva di una scala metallica doppia;
-         la scala, priva di piedini antislittamento, scivolava sul pavimento in cemento.
Il secondo caso riguarda un infortunio mortale in una officina meccanica di manutenzione di mezzi pesanti.
Un lavoratore dopo aver effettuato la sostituzione dei freni posteriori del pullman, scarica il mezzo dal sollevatore e lo mette a terra, pronto per la prova finale prima della riconsegna. Il pullman è dotato di sospensioni elettroniche che consentono il controllo del veicolo, in funzione della riparazione dei pesi e delle condizioni stradali. In pratica il sistema provvede a livellare (abbassando e alzando il pianale del mezzo ) il pullman in maniera indipendente fra i due lati del posteriore.
Successivamente all’infortunio si è accertato che il pullman era acceso, il circuito, raggiunta la pressione di esercizio, provvedeva a livellare il mezzo abbassandolo sulla ruota posteriore destra, lasciando uno spazio libero tra carrozzeria e gomma non maggiore di 10 cm.
Premesso che nessuno dei colleghi ha materialmente assistito all’incidente, in base ai dati rilevati e ai sopralluoghi effettuati, si presume la seguente dinamica: l’infortunato, per motivi non accertabili e comunque non spiegabili, si è infilato con la testa e la parte del tronco fra il parafango e la ruota posteriore sinistra, in quanto il pullman abbassato sul lato destro, lasciava sul lato sinistro uno spazio libero di circa 20-30 cm, consentendo all’infortunato tale manovra. A quel punto il sistema di livellamento elettronico è entrato in azione provocando un abbassamento repentino del telaio che schiacciava l’operaio.
Il primo ad accorgersi dell’incidente è stato il padre che dava l’allarme e insieme ad altri colleghi, utilizzavano un sollevatore pneumatico, estraevano l’infortunato in gravissime condizioni. A seguito di intervento di eliambulanza, il medico rianimatore, esaurite tutte le possibili procedure di soccorso, ne constatava la morte per schiacciamento del cranio e del torace.
In questo caso l’unico fattore causale rilevato è il fatto che il lavoratore si è infilato nello spazio libero tra parafango e ruota.
Rimandando alla lettura dei tanti articoli di PuntoSicuro sui lavori in quota, sull’uso delle scale portatili e sugli errori umani in materia di infortuni, ci soffermiamo su alcune indicazioni generali di prevenzione nel settore della riparazione dei veicoli.
E lo facciamo riportando alcune informazioni tratte dal documento “Sicurezza e tutela della salute nel settore dei veicoli”, prodotto in Svizzera dalla Commissione Federale di coordinamento per la Sicurezza sul Lavoro (CFSL).
Il documento segnala che la maggior parte degli infortuni sul lavoro è dovuta a disattenzione e leggerezza. E se la fretta spesso causa stress ed errori anche l’ordine e la pulizia sul posto di lavoro sono premesse fondamentali per garantire la sicurezza.
Il CFSL presenta una serie di attività specifiche mettendo in rilievo i pericoli e alcuni idonei comportamenti/metodi di lavoro:
-         motore in moto: per evitare il rischio di intossicazione da gas di scarico, aspirare i gas di scarico alla fonte (tubo di scappamento) e non lasciar acceso inutilmente il motore;
-         lavorare con il veicolo sollevato (veicoli industriali): in questo caso il rischio principale è di caduta; utilizzare un dispositivo anticaduta per le persone; utilizzare piattaforme di lavoro mobili o scale fisse come accesso munite di un dispositivo di arresto e installare un parapetto come minimo sul lato aperto verso il vuoto;
-         lavori in posture forzate: in relazione al rischio di sovraccarico fisico, osservare i principi ergonomici;
-         ponti di carico o cabine di guida poste in altezza: in relazione al rischio di schiacciamento in seguito alla discesa accidentale del ponte o della cabina di guida, mettere in sicurezza il ponte di carico con un sostegno; portare la cabina al di sopra del punto morto;
-         montaggio/smontaggio sul veicolo: per evitare lesioni da taglio, urto, schiacciamento, rispettare il manuale d’uso e le indicazioni del costruttore; indossare i guanti di protezione; utilizzare correttamente gli utensili;
-         inserire ed estrarre le batterie/riempire le batterie: in questo caso i rischi sono correlati a esplosione, a spruzzi di acido (causticazione di pelle e occhi) e intossicazione da piombo: evitare i cortocircuiti; indossare i dispositivi di protezione individuale; utilizzare un dispositivo per il travaso dell’acido; mettere a disposizione una doccia oculare;
-         collegare in parallelo le batterie: rispettare l’esatta sequenza durante il collegamento; indossare gli occhiali di protezione; osservare le prescrizioni del fabbricante; non collegare mai le batterie se sono ghiacciate;
-         inserire ed estrarre l’airbag: in relazione a vari rischi si indica innanzitutto di osservare le prescrizioni del fabbricante;
-         impianti di climatizzazione: si consiglia di consultare la scheda di sicurezza; verificare la tenuta; non inalare i gas;
-         veicoli ibridi o funzionanti a metano: per evitare i rischi con questi veicoli innanzitutto è bene rivolgersi a uno specialista qualificato;
-         svuotare il serbatoio di carburante e/o svuotare le condotte di carburante: lavorare solo con pompe aspiratrici azionabili a mano o antideflagranti; evitare le cariche elettrostatiche (mettere a terra il serbatoio);
-         gonfiare le ruote/montare le ruote: per non essere colpiti e per evitare danni all’udito durante il montaggio mantenere la pressione di esercizio a un valore non superiore a 1 volta e mezza; gonfiare i pneumatici e le ruote di grandi dimensioni con cerchioni speciali in speciali gabbie; durante il gonfiaggio non avvicinare il corpo al fianco del pneumatico;
-         riparazione ruote: prima della riparazione smontare il pneumatico sempre dal cerchione e controllarlo;
-         lavori di saldatura in prossimità di serbatoi o condotte di carburante: schermare adeguatamente la zona di lavoro dalla proiezione di scintille, dal calore e dalla conduzione termica;
-         lavori di riparazione e pulizia sui veicoli: oltre a formare e istruire adeguatamente il personale è necessario osservare quanto riportato nella guida dell’officina e nel manuale d’uso;
-         interventi sotto il veicolo: in questo caso sono diversi i rischi: penetrazione di corpi estranei negli occhi; essere colpito da oggetti (parti, utensili); essere investito dal veicolo; per evitarli indossare gli occhiali di protezione; non portare pezzi o utensili sul proprio corpo; fare in modo che il veicolo non cada o si ribalti; bloccare la piattaforma nei nottolini di sicurezza;
-         lavori sull’impianto idraulico e pneumatico del veicolo: osservare il manuale d’uso e indossare gli occhiali di protezione;
-         verificare gli ugelli di iniezione: non accedere alla zona di pericolo;
-         soccorso stradale: per evitare investimenti mettere in sicurezza il luogo in cui si trova il veicolo guasto; usare il gilet ad alta visibilità; sull’autoveicolo per l’assistenza stradale portare adeguati indumenti per proteggersi dalle intemperie e il materiale di pronto soccorso; portare il telefonino; fare in modo che l’autoveicolo non si sposti da solo.
Nota Bene
Gli eventuali riferimenti legislativi contenuti nel documento del CFSL riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati sono comunque utili per tutti i lavoratori.
Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo sono state presentate le schede numero 705 e 3147, è consultabile all’indirizzo:
Il documento “Sicurezza e tutela della salute nel settore dei veicoli”, prodotto in Svizzera dalla Commissione Federale di Coordinamento per la Sicurezza sul Lavoro (CFSL) è scaricabile all’indirizzo:

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