Dopo il primo sciopero a Taranto di lunedì, ora serve lo sciopero di tutto il gruppo
Acciaieria Italia – ex Ilva è partita con una cassaintegrazione straordinaria per 3000 operai, di cui 2500 a Taranto – i sindacati tutti hanno detto tutti No con diverse sfumature. Lo Slai cobas per il sindacato di classe da tempo denunciava il piano di nuova cassaintegrazione straordinaria anticamera di nuovi esuberi e la posizione dei sindacati che avevano accettato fino a dicembre tutte le richieste di cassaintegrazione dell’azienda, anche quelle ampie nei numeri e non giustificate realmente ma solo dettate dalla pervicace intenzione dell’azienda di scaricare ogni cosa sui lavoratori in una cassa integrazione permanente che ha tagliato i salari e aumentato lo sfruttamento e la mancanza di sicurezza di chi lavorava. Mentre naturalmente di far rientrare i 1700 lavoratori già in Cigs straordinaria dal 2018 non se ne parla più; ora l’azienda usando perfino il fatto che cambiando nome non si sente più vincolata dall’accordo del 2018 riprende la pratica da dove l’ha lasciata. I complessivi 3000 lavoratori che dal 28 marzo l’azienda ha posto unilateralmente in cassintegrazione non saranno neanche per 12 mesi, ma almeno fino al 2025 (data attualmente indicata per la riorganizzazione aziendale); ma soprattutto questi 3000 sono di fatto i numeri di operai di cui Acciaierie d’Italia vuole liberarsi. Fino a una settimana fa i livelli produttivi a Taranto erano tarati per 4 milioni di tonnellate, poi c’è stato il via libera del governo ad aumentare la produzione per far fronte alla carenza di acciaio -su cui abbiamo parlato in altro articolo su questo blog – con la rimesso in funzione dell’Afo4, per andare verso i 6 milioni di tonnellate; questo aumento di produzione avrebbe dovuto portare a un rientro dei 1700 operai già in Cigs, invece nelle parole della Morselli alla trattativa romana di lunedì 28, questo ipotetico rientro viene nuovamente rinviato legandolo alla prospettiva di produzione di 8 milioni di tonnellate e all’entrata in funzione del forno elettrico tutto lì da venire, e si mettono in cassintegrazione ulteriori 2500 operai a Taranto, che chiaramente si trasformeranno in esuberi e licenziamenti. Tutto questo significa: più produzione con meno operai, più produzione con più sfruttamento all’ex Ilva e nell’appalto, ma anche più rischio per la salute e la vita, dato che mentre i piani di aumento della produzione ci sono, i piani di messa in sicurezza, anche di manutenzione degli impianti no e incidenti e infortuni sono sempre all’ordine del giorno. E per il piano di decarbonizzazione, e la realizzazione di un forno elettrico la Morselli ultimamente ha parlato di 10 anni!
I sindacati confederali dicono no, ma nella trattativa questi No si trasformano in Ni e poi in un nuovo accordo – secondo un teatro già visto in occasione dell’accordo del 2018. Questo si comincia già a intravedere, contro la cassa integrazione unilaterale hanno scioperato solo USB/UILM sciopero riuscito, la FIM è collaborazionista e la Fiom data la minor penalizzazione di Genova ha parole critiche ma pratica fumosa e ambigua. Il primo round della trattativa romana si è conclusa con il mancato accordo, l’azienda però va avanti, per questo ora è il tempo della lotta.
Ora più che mai si mostra chiaro come l’entrata dello Stato, con Acciaierie d’Italia, è servito solo a dare soldi ai padroni, al grande padrone mondiale Mittal, e a non risolvere nessun problema dei lavoratori (e delle masse popolari di Taranto), anzi è servito a far accelerare i piani di esuberi, di peggioramento delle condizioni di lavoro, di peggioramenti del salario, dei diritti.
Solo la lotta, la continuità degli scioperi possono portare a fermare gli sciagurati piani di padroni e governo e a porre migliori condizioni per rivendicare altro.
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Dal Corriere di Taranto
Gianmario Leone
pubblicato il 28 Marzo 2022
La fumata nera era nell’aria ed è puntualmente
arrivata. Si è infatti chiusa con un mancato accordo la trattativa
per procedura per la richiesta di cassa integrazione straordinaria
(Cigs) per 12 mesi da parte di Acciaierie d’Italia… Troppi i 3
mila annunciati dal Gruppo nelle settimane scorse (di cui 2500 nel
solo sito di Taranto), insufficienti anche i 2.750 dell’ultima
mediazione che l’azienda ha proposto in sede di trattativa, per i
quali avrebbe previsto anche il pagamento di un rateo della
tredicesima che avrebbe irrobustito la busta paga di circa 400 euro a
fine anno, per una spesa di pochi milioni di euro per le casse
dell’azienda. Di fatto però, la rottura tra le parti è a monte:
l’azienda anche oggi ha infatti confermato quanto già si sapeva,
ovvero che la procedura di Cigs non sarebbe terminata nel 2023, ma
soltanto a compimento della riorganizzazione aziendale che dovrebbe
essere traguardo non prima del 2025, anno in cui l’azienda mira ad
una produzione pari a 8 milioni di tonnellate d’acciaio (ammesso e
non concesso che il riesame dell’AIA lo conceda), rispetto alle 6 a
cui è obbligata sino al 2023 dal Piano Ambientale del 2017, cifra
quest’ultima che però non raggiungerà nemmeno quest’anno (le
previsioni parlano di 5,7 milioni) e che negli scorsi anni è stato
soltanto un lontano miraggio. Dunque, tremila esuberi ‘provvisori’
almeno sino al 2025. Che si sommano agli oltre 1700 lavoratori in
cassa integrazione all’interno del perimetro societario di Ilva in
Amministrazione Straordinaria, che secondo l’accordo sindacale del
6 settembre 2018 dovrebbero rientrare nel perimetro aziendale al
termine dell’attuazione del piano industriale. Ma che secondo
l’accordo del dicembre 2020 tra ArcelorMittal e Invitalia, che i
sindacati metalmeccanici ad oggi non hanno ancora potuto visionare,
prevede in realtà che quei 1700 non rientrino più in Acciaierie
d’Italia. …non è improbabile che il ministero possa riconvocare
le parti per evitare una frattura definitiva visto che lo Stato, nei
fatti, da un anno fa parte della compagine azionaria della società.
E che ne è destinato a diventare parte maggioritaria nei prossimi
anni.
“…La Fiom ha riconfermato la disponibilità ad
un accordo di transizione per 12 mesi considerando la
straordinarietà e l’incertezza del contesto, senza mettere in
discussione l’accordo del 2018 e la piena occupazione… Per quanto
riguarda la Fiom, una gestione unilaterale della cassa integrazione
straordinaria comporta a maggior ragione una verifica stringente
sull’uso corretto dello strumento, a partire dalle rotazioni e dal
rapporto fra risalita produttiva e organici…
“Fino
all’ultimo minuto a disposizione abbiamo cercato di far ragionare
l’azienda per farle assumere scelte di responsabilità verso i
lavoratori… ancora una volta, sono gli stessi lavoratori a
pagare il costo più alto di una situazione che va avanti
ormai da troppo tempo e che è figlia di un fallimento aziendale e
politico. La situazione di forte crescita del mercato, le parole del
Premier Draghi sulla centralità dell’ex Ilva per la siderurgia
nazionale e l’obiettivo produttivo di 6 milioni tonnellate sono
condizioni che non giustificano tremila esuberi. Al contrario, deve
essere previsto il rientro a lavoro di tutti gli 8.200 a Taranto e
10.700 in tutto il Gruppo, così come previsto dall’accordo del
2018, unico valido e votato dai lavoratori… dichiara Rocco
Palombella, segretario generale Uilm. “L’azienda oltre alla
previsione di 3mila esuberi non ci ha dato alcuna indicazione
specifica sul futuro assetto societario che potrà avvenire a maggio,
se ci sarà o meno la salita al 60% di Invitalia – continua – nè
sulle tempistiche di costruzione e messa in marcia del forno
elettrico, dell’impianto di pre ridotto e dell’altoforno 5. Con
questo piano l’azienda prevede nel tempo il licenziamento di 3mila
lavoratori, a cui si aggiungono i 1.700 attualmente in
Amministrazione straordinaria…”.
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