venerdì 5 luglio 2013

India maoisti e classe operaia


non si può sostenere la lotta degli operai in India , senza sostenere i 
comunisti maoisti e la guerra popolare in india..
questo non capiscono i gruppi operaisti e opportunisti del nostro paese

comitato di sostegno internazionale alla guerra popolare in india - italia
csgpindia@gmail.com

dal blog
http://proletaricomunisti.blogspot.com

pc 5 luglio - India .. si allarga la presenza del PCI maoista nelle file
della classe operaia e nelle zone urbane --- la lotta operaia alla Maruti
Maruti Suzuki


...se voi pensate che la rivolta maoista è confinata nelle lontane zone del
Bihar, Chhattisgarh e Jharkhand, è bene che cambiate idea...
Le organizzazioni dei maoisti sono infiltrate nei sindacati e nelle
organizzazioni operaie a New Delhi e nella regione capitale nazionale.. anzi
New delhi stà emergendo come la maggiore base urbana  della estremasinistra
maoista.. nonostante le organizzazioni di Fronte del PCI maoista siano state
messi fuorilegge , i loro militanti sono molto attivi in tutta la capitale.
In particolare sono attivi e si estendono nelle città operaie satelliti di
New delhi come Gurgaon e Ghaziabad .. esiste una attività pianificata con
l'obiettivo di diventare sempre più oarte delle associazioni operaie e di
guidarle verso azioni sempre più dure e proteste violente
Il fronte democratico rivoluzionario Revolutionary Democratic Front è
penetrato in vari socialforum,organizzazioni sindacali e gruppi operai che 
lottano contro l'impoverimento sociale e li indirizza verso azioni violente
contro la classe dominante e 'non si tratta di gruppi studenteschi come
quelli del CPI (M-L), la penetrazione dei maoisti è molto più larga e
radicata clandestinamente nei settori operai e popolari
E' stata lanciata con successo ad esempio una campagna contro 'la violenza
di casta:
E ora sono 11 i distretti di New Delhi in cui i maoisti agiscono..Central,
South, New Delhi, North-West, North, South-West and North East.
Inoltre si estendono in stati come Punjab, Haryana and Rajasthan.
La loro azione comincia con distribuzione di volantini e materiale di
propaganda marxista-leninista-maoista, ma prosegue con l'organizzazione di
concrentramenti e infine in manifestazioni di lotta che diventano sempre più
violente.. la strategia maoista è di creare basi urbane in città.. in
particolare hanno giocato un ruolo importante nelle proteste degli operai
della MARUTI nell'ultimo anno e spinto verso scioperi violenti di questi
operai
A questo va aggiunto la crescente penetrazione nel movimento anticorruzione
guidato da Anna Hazare e nelle grandi proteste pubbliche del movimento delle
donne dopo lo stupro di gruppo del 16 dicembre....


notizie uscite anche sulla stampa italiana



scontri violentissimi si stanno verificando in India, nello stabilimento di
Manesar, a circa 50 chilometri da Nuova Delhi, del colosso Maruti Suzuki. I
lavoratori stanno mettendo a ferro e fuoco la fabbrica, nella quale è stato
appiccato un incendio di vaste dimensioni. Nel corso della rivolta è stato
ucciso il direttore del personale, Avnish Kumar Dev, e sono rimasti feriti
mille dirigenti oltre a nove poliziotti.
Versioni contrastanti. In un comunicato, la Maruti Suzuki, ha descritto Dev
come un responsabile "profondamente coinvolto nelle cordiali relazioni
industriali" e ha denunciato la violenza raccapricciante che non è
giustificabile con problemi legati alle "relazioni industriali", ai salari o
alle condizioni di lavoro. Secondo il Gruppo i disordini sono scoppiati
mercoledì mattina, quando un dipendente avrebbe colpito con violenza un
caporeparto. Successivamente i dipendenti armati di spranghe poi colpito
alcuni responsabili "alla testa, alle gambe e alla schiena, provocando
emorragie e svenimenti".
Vertenza su salari e pensioni. Totalmente opposta la versione del sindacato
dei lavoratori Ram Meher, secondo il quale sarebbe stato un supervisore a
maltrattare un lavoratore, sospeso poi dopo la presentazione di una denuncia
contro il superiore. Questo fatto avrebbe causato diversi attriti tra
dirigenza e operai; mentre si tentava una risoluzione pacifica, la "società
chiamava centinaia di buttafuori sul suo libro paga per attaccare i
lavoratori e sottometterli". Alla radice del clima di forte tensione,
tuttavia, ci sarebbero forti controversie tra la dirigenza della Maruti
Suzuki e gli operai su pensioni e salari. Una vertenza che si protrae
dall'anno scorso.

Marcia degli operai della Maruti Suzuki attaccata dalla polizia

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altIl 19 maggio i lavoratori della Maruti Suzuki, stabilimento collocato nel
nord dell’India, hanno lanciato una giornata di mobilitazione per chiedere
il reinserimento di 546 operai a tempo indeterminato e più di 1800 operai a
tempo determinato, licenziati a luglio poiché avevano costituito Maruti
Suzuki Workers Union, il primo sindacato a essere entrato in fabbrica e
composto dagli stessi operai. Inoltre, i lavoratori chiedevano l’immediato
rilascio di 147 lavoratori arrestati in precedenza con false accuse di
essere responsabili di un incidente sul posto di lavoro che ha portato alla
morte di una persona. L’obiettivo della giornata del 19 era di andare sotto
la residenza del ministro dell’Industria e dell’Economia dello stato di
Haryana, Randip Singh Surjewala. Già dal giorno prima, il governo della
Haryana ha imposto un coprifuoco per impedire a migliaia di sostenitori
della lotta dentro la Suzuki di raggiungere il concentramento del presidio,
la cittadina di Kaithal è stata completamente militarizzata, la stazione
ferroviaria e le fermate dei bus costantemente controllate. In tarda serata,
sono stati arrestati 96 attivisti che hanno tentato di violare il coprifuoco
e in seguito, alle prime ore del mattino, la polizia ha arrestato altri 4
lavoratori. Nonostante questi provvedimenti, il 19 maggio i lavoratori e
altri circa 1500 attivisti si sono messi in marcia verso la residenza del
ministro, richiedendo anche l’immediato rilascio delle persone arrestate la
sera prima. Poco dopo, le forze dell’ordine hanno caricato da più lati e a
più riprese, hanno tirato lacrimogeni e attivato l’idrante per disperdere la
folla. Durante questa brutale operazione sono stati feriti diversi
manifestanti, alcuni sono stati portati all’ospedale a causa delle ferite
riportate e sono stati arrestati altri 11 attivisti.
La Maruti Suzuki ha una capacità di produzione di 550.000 veicoli l’anno ed
è una delle aziende primarie della zona. Allo stesso tempo, le condizioni di
lavoro nella fabbrica sono molto dure: gli orari lavorativi sono molto
lunghi ed estenuanti, le pause corte e rare, gli incarichi monotoni e le
misure di tutela della salute e della sicurezza esigue. Inoltre a luglio
dell’anno scorso, un responsabile ha insultato pesantemente e minacciato con
il licenziamento un lavoratore Dalit (casta degli Intoccabili), scatenando
scontri tra le guardie della fabbrica e i lavoratori; in quest’occasione
sono state ferite più di centro persone e una grande parte della fabbrica ha
preso fuoco. A partire da questo episodio, i lavoratori hanno costruito
giornate di mobilitazioni, manifestazioni, presidi e scioperi della fame per
chiedere il miglioramento delle condizioni di lavoro. Da parte sua, il
governo della Haryana, che ha perennemente strizzato l’occhio ai padroni e
ai responsabili della fabbrica, si è sempre girato dall’altra parte o ha
cercato di reprimere la rabbia dei lavoratori con manganelli, lacrimogeni e
arresti su arresti. Dopo la giornata del 19 maggio, gli operai della Maruti
hanno dichiarato che la loro battaglia per avere maggiore sicurezza sul
lavoro e per ottenere il reinserimento dei colleghi licenziati e il rilascio
degli attivisti arrestati continuerà con ancora maggiore tenacia e
determinazione.



L’appello dei lavoratori incarcerati della Maruti Suzuki
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Appello lavoratori incarcerati Maryti SuzukiPubblichiamo l’appello di un
gruppo di lavoratori della Maruti-Suzuki incarcerati a seguito delle lotte
di cui avevamo dato conto mesi fa (#1 #2), e il documentario «Count on us»,
che racconta i sogni, le aspettative e l’esperienza degli operai attraverso
le storie di Jitender e Rajesh, due ex operai della Maruti-Suzuki. L’appello
dà voce a decine di lavoratori ancora rinchiusi nelle carceri indiane dopo i
duri scioperi che li hanno visti protagonisti. Trattenuti con accuse
sommarie, privi di alcun diritto, separati dalle famiglie e dai colleghi e
nella quasi totale indifferenza dell’opinione pubblica indiana, le voci di
questi operai non parlano del lato oscuro dello sviluppo, ma di uno dei suoi
aspetti costitutivi. Esse mettono in luce anche un aspetto del sistema
giudiziario indiano che interessa poco i commentatori italiani, preoccupati
per mesi di salvare l’onore della patria attraverso la difesa del diritto
internazionale in seguito al caso dei due Marò accusati dell’omicidio di due
pescatori al largo del Kerala. Li pubblichiamo come atto dovuto, dopo aver
raccontato l’insubordinazione operaia che ha visto protagonisti questi
lavoratori, perché questo appello e il documentario chiariscono alcuni
contorni della vicenda e raccontano la rappresaglia che li ha colpiti. Lo
facciamo per continuare la discussione su una delle principali frontiere
dello sviluppo, dove le lotte operaie ingaggiano quotidianamente un duro
scontro con gli eroi del capitale.
Appello dei lavoratori incarcerati della Maruti Suzuki
Siamo i lavoratori di Maruti Suzuki, siamo dietro le sbarre dal 18 luglio
2012 a causa di una vera e propria cospirazione, senza alcun tipo d’indagine
preliminare. 147 di noi sono rinchiusi nella prigione centrale di Gurgaon.
Da luglio, ben 2500 lavoratori con un contratto a tempo indeterminato sono
stati licenziati. In questi ultimi otto mesi abbiamo inviato un appello ai
funzionari amministrativi e ai rappresentanti eletti, tra cui il primo
ministro dell’Haryana e il Primo Ministro dell’India. Ma i nostri appelli
non sono stati ascoltati e non ci è stata concessa la cauzione.
Le accuse presentate dalla polizia di Haryana in tribunale non presentano
nomi di eventuali testimoni, e sono quindi incomplete.
Questo è solo un assaggio del continuo attacco arbitrario ai nostri diritti
democratici e vediamo come il diritto è piegato e si schiera chiaramente con
i padroni dell’azienda. Molti dei nostri compagni di lavoro sono senza
genitori e hanno in carico tutta la famiglia. Molte delle mogli dei
lavoratori erano incinta quando siamo stati messi dietro le sbarre. E anche
quando è arrivato il momento del rilascio, ai lavoratori non sono state
concesse né cauzione né custodia cautelare. Noi non sappiamo quali
circostanze abbiano condotto all’arresto. Diamo alcuni esempi della nostra
situazione:
1. Uno dei nostri compagni di lavoro, Sumit s / o Shri Chattar Singh, non ha
nessuno in famiglia se non la moglie. Anche quando lei ha partorito in un
ospedale di Gurgaon, la richiesta di uscita su cauzione o sulla parola
presentata da Sumit è stata respinta.
2. Uno dei nostri compagni di lavoro, Vijendra s / o Dalel Singh è l’unico
membro nella sua famiglia con un reddito. Sua madre stava male e non poteva
aiutare sua moglie, che era incinta e ha partorito in un ospedale di
Jhajjhar. Anche allora, non è stata concessa a Vijendra né la cauzione né la
libertà vigilata.
3. Nel caso di uno dei nostri compagni di lavoro, Ramvilas s / o Shri Silak
Ram, la nonna, cui era molto affezionato, si è ammalata dopo che Ramvilas è
stato messo dietro le sbarre ed è morta poco tempo dopo. A Ramvilas non è
stata nemmeno concessa la libertà vigilata per incontrare sua nonna sul
letto di morte o per partecipare al funerale. Dopo alcuni giorni ossia
quando sua moglie ha partorito, la sua richiesta di libertà su cauzione e la
condizionale sono state respinte. Tutto ciò ha causato un forte shock per
lui.
4. Uno dei nostri compagni di lavoro, Prempal, s / o Shri Chhiddilal, aveva
la responsabilità di prendersi cura della sua famiglia da solo, l’intero
sostentamento della sua famiglia dipendeva solamente dai suoi guadagni.
Quando è stato gettato in prigione arbitrariamente, la figlia di due anni si
è ammalata ed è morta, anche a causa del dolore per l’assenza di suo padre.
La ferita doveva ancora rimarginarsi quando anche la madre, distrutta dalla
prigionia del figlio e dalla morte della nipote, si ammalata ed è morta. Ma
anche dopo tutto questo, Prempal si è visto negare l’autorizzazione alla
libertà vigilata e gli è stata concessa solo un’ora di visita il giorno dopo
il funerale di sua nonna. Sua moglie, rimasta sola in casa e colpita da
questi gravi lutti, si è ammalata ed è stata ricoverata in ospedale. Sta
ancora poco bene e non c’è nessuno disposto a prendersi cura di lei.
Certamente quanto accaduto ha causato una terribile agonia per Prempal.
5. Uno dei nostri compagni di lavoro, Rahul, s / o Shri Vinod Ratan, è l’unico
figlio maschio dei suoi genitori. Ha una sorella che si è sposata a novembre
del 2012, ma a lui non è stata nemmeno concessa la possibilità di
partecipare alla cerimonia di kanyadan. Il matrimonio ha avuto così luogo in
un contesto di tristezza e Rahul deve ancora riprendersi da questa ferita.
6. Uno dei nostri compagni di lavoro, Subhash, s / o Shri Lal Chand, era
molto vicino alla nonna. Dopo la sua prigionia, la nonna ha cominciato a
digiunare, passando gran parte del proprio tempo a pensare a suo nipote; è
così che è morta di dolore qualche giorno dopo. Ma a Subhash non è stato
concesso nemmeno di partecipare al suo funerale.
Questi e molti altri fatti che avvengono ogni giorno nella nostra vita, sono
sufficienti per riempire le pagine di un intero libro.
A proposito di noi: la nostra identità, la nostra famiglia, il nostro
lavoro.
Siamo tutti figli di operai e contadini. I nostri genitori, con grande
sforzo e sacrificio, hanno cercato di assicurarci un’istruzione, ci hanno
insegnato a stare in piedi da soli, a fare qualcosa di degno nella nostra
vita, aiutando la nostra famiglia in difficoltà. Ci siamo ritrovati nell’azienda
della Maruti Suzuki dopo aver superato le prove scritte e orali effettuate
dalla Società secondo i termini e le condizioni stabilite dalla stessa.
Prima del nostro ingresso, la società ha effettuato diversi i tipi di
indagine, come la verifica della polizia della nostra residenza o la
presenza di eventuali precedenti penali. Nessuno di noi ne aveva.
Quando siamo entrati in azienda, lo stabilimento di Manesar della società
era ancora in costruzione. All’epoca immaginavamo il nostro futuro con lo
sviluppo della fabbrica, abbiamo investito grande energia e dedizione per
portare l’impianto di Manesar a un nuovo livello.
Quando il mondo intero stava lottando contro la crisi economica, abbiamo
lavorato due ore in più al giorno per raggiungere una produzione di 10,5
milioni di auto in un anno. Siamo stati gli unici artefici del profitto
crescente della società e oggi siamo trattati come criminali e assassini,
quelli senza cervello che hanno provocato un incendio doloso!
Quasi tutti noi siamo figli di poveri operai o vediamo da famiglie di
contadini la cui sopravvivenza dipende dal nostro lavoro. Abbiamo lottato
per tessere il nostro futuro e quello della nostra famiglia, per realizzare
sogni come quello di una casa, di una migliore educazione per i nostri
fratelli-sorelle e per i nostri figli, in modo che possano avere un futuro
luminoso, garantendo così una vita confortevole per i loro genitori, che con
la loro fatica hanno permesso tutto questo.
In cambio, siamo stati sfruttati all’interno della fabbrica in tutti i modi
possibili. Anche qui, solo alcuni esempi:
1. Se un lavoratore durante i turni non stava bene, non gli era permesso di
andare in infermeria e veniva costretto a proseguire il lavoro in quelle
condizioni.
2. Non ci era permesso andare in bagno durante l’orario lavorativo, si
poteva solo all’ora del tè o durante la pausa pranzo.
3. I superiori usavano comportarsi con gli operai in modo molto scortese,
con un linguaggio volgare, schiaffeggiandoli o ridicolizzandoli per punirli.
4. Se un lavoratore era costretto a stare a casa 3-4 giorni per motivi di
salute, o a causa di qualche incidente, o per un grave problema in famiglia,
o per la morte di un parente, metà del suo stipendio, che ammontava a quasi
9000 Rupie, veniva detratto dall’impresa.
A causa di questo continuo sfruttamento, i lavoratori hanno sentito il
bisogno di formare un sindacato. La società Maruti Suzuki era però contro l’idea
di un sindacato e per questo ci sono stati tre scioperi dei lavoratori nel
2011. Dopo il terzo sciopero, trenta dei nostri compagni lavoratori sono
stati costretti a dare le dimissioni perché avevano partecipato agli
scioperi. Ma alla fine di febbraio 2012 siamo riusciti ugualmente a
ufficializzare il nostro sindacato, grazie all’allora Direttore delle
Risorse Umane Late Shri Awanish Dev Kumar, che ci ha aiutato. La società,
adirata a causa dall’atteggiamento disponibile del signor Dev nei nostri
confronti, lo spinse a rassegnare le dimissioni. Ma l’azienda non ha
accettato perché le sue dimissioni rischiavano di far emergere i misfatti
nascosti dell’azienda. Per schiacciare il sindacato e per rimuovere il
signor Dev dalla sua carica, l’azienda, con un piano premeditato, ha
chiamato buttafuori e teppisti all’interno dei locali della fabbrica il 18
luglio 2012 permettendogli di provocare l’«incidente».
La situazione attuale dei lavoratori all’interno del carcere.
Noi, in totale 147 lavoratori, siamo stati messi dietro le sbarre senza
alcun tipo d’indagine, e ora siamo qui da più di 8 mesi. All’interno del
carcere siamo psicologicamente stressati. Molti di noi sono affetti da
malattie come la tubercolosi, molti di noi sono affetti da gravi forme di
depressione.
A causa di questo le nostre famiglie stanno rischiando di morire di fame. L’educazione
delle bambine e dei bambini è ora sospesa, sono sospesi, quindi, i loro
diritti fondamentali. Il futuro delle nostre famiglie è immerso nel buio.
Tutti i membri della nostra famiglia sono mentalmente troppo turbati.
Abbiamo paura che facciano qualche passo falso a causa dello stato di
pressione mentale in cui si trovano.
La situazione attuale dei lavoratori al di fuori del carcere
Oltre a mettere 147 addetti dietro le sbarre, la società ha terminato il
rapporto con quasi 2500 lavoratori regolari e a contratto, tutto ciò senza
un’indagine nazionale, e questi lavoratori ora sono disoccupati. Anche la
condizione delle loro famiglie è molto grave. Il fatto è che ora questi
lavoratori non hanno alcuna prova di esperienza lavorativa, chi di loro si
fa avanti per sostenerci viene arrestato e incarcerato immediatamente così
la loro carriera è condannata (come l’arresto di Iman Khan, un membro del
comitato di lavoro provvisorio della MSWU e il cui nome non era in alcuna
relazione delle forze di sicurezza; come altri 65 lavoratori che sono sotto
mandato di cattura). Nessuno dei lavoratori incarcerati o dei lavoratori
licenziati ha più un’occupazione capace di garantire il sostentamento delle
persone a loro carico e questo sta mettendo tutti sotto pressione.
Ciò nonostante, la lotta per la giustizia dei nostri compagni di lavoro ci
dà speranza ed energia dietro le sbarre. In questa lotta, che è riuscita a
uscire anche fuori dalla fabbrica, nella società, da ormai più di 8 mesi, la
notizia della solidarietà ricevuta da varie parti del paese da parte di
lavoratori e di gente comune continua a dare speranza ed entusiasmo al
nostro spirito.
Non vi è alcuna porta, di qualsiasi rappresentante eletto, cui non abbiamo
bussato nell’arco di questi 8 mesi. Abbiamo portato il nostro appello di
giustizia al ministro dell’industria, al Primo Ministro, ma il governo è
schierato con la direzione aziendale e con i padroni, invece di ascoltare
noi lavoratori.
Facciamo appello al governo per l’ultima volta al fine di ottenere la
giustizia che ci è dovuta, prima di essere costretti ad assistere ai
suicidi o alle morti di altre persone.
Speriamo di avere la vostra solidarietà.
Maruti Suzuki Workers Union
(Il sindacato MSWU è dietro le sbarre del carcere centrale di Gurgaon,

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