mercoledì 19 ottobre 2016

19 ottobre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 271 DEL 19/10/16



INDICE

LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.18
1
LA REPUBBLICA DEI VOUCHER
4
MILITARI: INFORTUNIO SUL LAVORO E RISARCIMENTO DANNI
5
D.LGS. 81/08: LAVORO INTERMITTENTE, ACCESSORIO E AUTONOMO
6
RISCHIO STRESS: PROPOSTA DI AGGIUNTA DI UN NUOVO TITOLO AL TESTO UNICO
8
IMPARARE DAGLI ERRORI: SE LE SALDATURE SONO EFFETTUATE IN QUOTA
11
COSA PRESCRIVE LA NORMATIVA IN MATERIA DI ALCOL E TOSSICODIPENDENZA
14
IMPARARE DAGLI ERRORI: LA CADUTA DI MATERIALI DALL’ALTO
16



LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.18

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Ciao Marco,
l’azienda in cui lavoro (azienda di igiene urbana) vuole sottoporre a visita medica alcuni lavoratori (addetti alla guida di veicoli porta rifiuti e alla raccolta dei cassonetti con il sistema di aggancio del veicolo) che stanno andando in pensione.
Da un punto di vista normativo, è legittima la visita media al termine del rapporto di lavoro?
Grazie.

Ciao,
a seguire le mie considerazioni in dettaglio che derivano dalla normativa vigente.
Riassumendo la visita medica alla cessazione del rapporto deve (e quindi può) essere effettuata solo nei seguenti casi:
-         esposizione ad agenti chimici pericolosi con rischio rilevante per la salute;
-         esposizione all’amianto per attività di manutenzione, rimozione, bonifica, ecc. in caso di iscrizione all’interno del registro degli esposti;
-         esposizione significativa a radiazioni ionizzanti (classificazione come “lavoratore esposto”).
Nel caso da te citato la mansione dei lavoratori non prevede nessuno di tali fattori di rischio e pertanto la visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro non è legittima.
Un abbraccio.
Marco
VISITA MEDICA ALLA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
La visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro è prevista dal D.Lgs. 81/08, solo nei casi previsti dalla normativa vigente.
Infatti, l’articolo 41, comma 2, lettera e) di tale Decreto stabilisce che:
La sorveglianza sanitaria comprende:
[...]
visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
[...]”.
La “normativa vigente” prevede solo i seguenti casi di obbligatorietà della visita medica di fine rapporto.
ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI PERICOLOSI
L’articolo 229 del D.Lgs. 81/08 (Titolo IX, Capo I) prevede al comma 1:
Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 224, comma 2, sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi per la salute che rispondono ai criteri per la classificazione di cui al Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, e successive modificazioni ed integrazioni, come tossici acuti, corrosivi, irritanti, sensibilizzanti, tossici per il ciclo riproduttivo o con effetti sull’allattamento, tossici specifici per organo bersaglio, tossici in caso di aspirazione, cancerogeni e mutageni di categoria 2.
Tale articolo non si applica, “fatto salvo quanto previsto dall’articolo 224, comma 2 del medesimo Decreto, che specifica che:
Se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230.
La sorveglianza sanitaria, prevista dal citato articolo 229, è quindi obbligatoria solo se la valutazione del rischio da agenti chimici ha evidenziato un rischio rilevante per la salute.
Per quanto riguarda la visita medica di fine rapporto, essa è obbligatoria (sempre nel solo caso di rischio rilevante per la salute derivante da agenti chimici), ai sensi dell’articolo 229, comma 2, lettera c) del D.Lgs. 81/08, che stabilisce che:
La sorveglianza sanitaria viene effettuata:
[...]
all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. In tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare”.
ESPOSIZIONE AD AMIANTO PER ATTIVITA’ DI MANUTENZIONE, RIMOZIONE, TRATTAMENTO, BONIFICA
Va osservato preliminarmente che quanto di seguito esposto si applica solo, ai sensi dell’articolo 246 del D.Lgs. 81/08 (Titolo IX, Capo III) alle:
attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate
e quindi non si applica all’esposizione alle fibre di amianto eventualmente presenti negli ambienti di lavoro a seguito della presenza di manufatti contenenti amianto, nel caso in cui i lavoratori non eseguano le attività sopra indicate.
In tale ambito, la sorveglianza sanitaria alla fine del rapporto di lavoro è disciplinata dall’articolo 259 del D.Lgs. 81/08, che prevede al comma 2:
I lavoratori che durante la loro attività sono stati iscritti anche una sola volta nel registro degli esposti di cui all’articolo 243, comma 1, sono sottoposti ad una visita medica all’atto della cessazione del rapporto di lavoro; in tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare ed all’opportunità di sottoporsi a successivi accertamenti sanitari”.
I lavoratori iscritti nel registro degli esposti di cui all’articolo 243, comma 1 citato, sono, ai sensi dell’articolo 260, comma 1 del D.Lgs. 81/08 quelli che sono stati esposti a valori di esposizione alle fibre di amianto superiori ai valori limite previsto dal Decreto stesso e quelli che sono stati sottoposti ad esposizione a fibre di amianto in maniera accidentale e imprevedibile.
ESPOSIZIONE A RADIAZIONI IONIZZANTI
Ai sensi dell’articolo 180, comma 3 del D.Lgs. 81/08 (Titolo VIII, Capo I):
La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata unicamente dal Decreto L17 marzo 1995, n. 230, e sue successive modificazioni”.
Il D.Lgs. 230/95 prevede all’articolo 75, comma 1 che:
Il datore di lavoro deve provvedere ad assicurare mediante uno più medici la sorveglianza medica dei lavoratori esposti e degli apprendisti e studenti in conformità alle norme del presente capo [...]”.
Solo per i lavoratori classificati come esposti a radiazioni ionizzanti, tale sorveglianza sanitaria prevede anche la visita medica alla fine del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo articolo 85, comma 5 del D.Lgs. 230/95:
Prima della cessazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro deve provvedere a che il lavoratore sia sottoposto a visita medica. In tale occasione il medico deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare”.

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Ciao Marco,
con la scusa che il Registro Infortuni è stato abolito dal Jobs Act, la mia azienda non comunica più nemmeno all’INAIL gli infortuni occorsi in azienda (recentemente e nel giro di pochi giorni taglio dell’arcata oculare con necessità di tre punti di sutura e contusione dell’occhio a causa di urto).
A me risulta invece che l’articolo 18 del Testo Unico preveda ancora tale obbligo.
Mi puoi preparare una lettera da mandare all’azienda per richiamarli a tale obbligo.
Grazie

Ciao,
hai perfettamente ragione in merito all’obbligo per l’azienda di comunicare comunque all’INAIL ogni infortunio che comporti l’assenza di almeno un giorno. Non solo, ma l’azienda è anche obbligata a mettere a disposizione dei RLS i dati relativi ai fenomeni infortunistici.
A seguire ti riporto bozza della lettera da mandare alla tua azienda per richiamarla all’obbligo di segnalazione degli infortuni sul lavoro.
Fai una segnalazione formale, tramite lettera inviata con Raccomandata RR oppure fatti firmare e/o protocollare copia della lettera per avvenuta ricezione.
Marco

Al Datore di Lavoro della Azienda XXX
per conoscenza
Al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della Azienda XXX
Ho riscontrato, in qualità di RLS che recentemente i seguenti infortuni:
-         taglio dell’arcata oculare con necessità di tre punti di sutura ...;
-         contusione dell’occhio a causa di urto con ...;
che hanno causato a lavoratori della azienda XXX lesioni con prognosi superiori a un giorno non sono stati denunciati dall’azienda all’INAIL.
Ricordo che il datore di lavoro o il dirigente (in questo caso il Capo Cantiere XXX) sono tenuti ad effettuare tale denuncia ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera r) del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (Decreto), secondo cui essi devono comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124.
Ricordo inoltre il datore di lavoro o il dirigente devono consentire al RLS di accedere i dati relativi agli infortuni, secondo l’articolo 18, comma 1, lettera o) del Decreto, secondo cui essi devono “[...] consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r) [...]”.
Ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera h) del Decreto, secondo cui il RLS “promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori”, richiedo con la presente che per ogni infortunio occorso a lavoratori della azienda XXX, il datore di lavoro o il dirigente si attengano agli obblighi sopra segnalati.
Rimango in attesa di formale riscontro alla presente.
Data e firma

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NOTA
Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:
ASL = Azienda Sanitaria Locale
CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI = Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto
OS = Organizzazioni Sindacali
RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali
RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie
D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)




LA REPUBBLICA DEI VOUCHER

da Contropiano

I voucher sono stati introdotti nel 2008 dal governo Berlusconi. Li istituì il Ministro del Lavoro Sacconi, poi passato con Alfano a sostenere Renzi. Il quale come suo solito ha fatta propria ed estesa la devastazione dei diritti del lavoro avviata dalla destra.
Con il Jobsact i voucher sono stati liberalizzati e sono così cresciuti in maniera esponenziale. Secondo gli ultimi dati INPS nel 2015 sono 1.400.000 i lavoratori pagati coi voucher. Prima che Renzi e Poletti andassero al governo erano poco più di 400.000.
Il milione di posti di lavoro promesso da Berlusconi nel 1994, l’attuale Presidente del Consiglio lo ha realizzato con i lavoratori che si comprano in tabaccheria, al prezzo di due pacchetti di sigarette. Un voucher costa 10 euro all’ “imprenditore”, 2,50 vanno allo Stato il resto al lavoratore. Così per legge è stato di fatto stabilito il salario minimo giornaliero: in Italia è di sette euro e mezzo al giorno, come in Mozambico. Per un ammontare di 500 euro netti complessivi in un anno per persona, ci dice ancora l’INPS.

Il governo sostiene che questo milione di lavoratori sia emerso dal lavoro nero.
Mente sapendo di mentire. Le regioni più povere dove c’è più lavoro nero sono quelle che usano meno i voucher, quelle più ricche, Lombardia e Veneto, quelle che lo usano di più.
E’ vero l’esatto contrario, i voucher hanno degradato ulteriormente il lavoro precario ufficiale, ai 39 contratti a termine ne hanno aggiunto uno peggiore, il peggiore.

Un lavoratore coi voucher riceve il ticket e poi è a disposizione di chi glielo dà per un numero indefinito di ore di lavoro non pagato. Se il giorno dopo vuole tornare deve accettare la stessa condizione. E i controlli non esistono, contrariamente a quanto afferma il governo
Poletti ha vantato in TV che ora chi usa il voucher un’ora prima dovrà comunicarlo alle autorità con un SMS: “Ciao come stai, ho comperato due operai nella tabaccheria all’angolo, tutto bene?”.

Che penosa sciocchezza, anche se ci fosse un ufficio che riceva e registri gli SMS, che ora non c’è perché Poletti si é dimenticato di istituirlo, che potrebbe fare concretamente, con qualche ispettore di fronte a un milione e mezzo di lavoratori sparsi per tutta Italia.

La realtà è che c’è un solo modo per impedire questo schiavismo legalizzato: abolire totalmente i voucher e riportare ogni rapporto di lavoro al contratto, quel principio nato da poco più di duecento anni, che il modernismo neomedioevale di Renzi vuole cancellare.

Altro che conservare la prima parte della Costituzione e cambiare solo la seconda! Se resteranno i voucher il primo articolo della nostra Carta diventerà semplicemente una frase beffarda. E alla fine, per non esagerare nel contrasto tra principi e realtà, ci si sarà chi proporrà di cambiarlo, per renderlo più coerente con il mercato.

Un governo che alimenta i voucher, solo per questa ragione senza considerare niente altro, dovrebbe essere cacciato per indegnità morale. Ora abbiamo la possibilità di farlo, il 21 e il 22 ottobre scioperando e manifestando nel NORENZIDAY e poi votando NO il 4 dicembre.
Per gettare al macero la costituzione renziana e la repubblica dei voucher.

Giorgio Cremaschi




MILITARI: INFORTUNIO SUL LAVORO E RISARCIMENTO DANNI

Da Studio Cataldi
16/10/16
avvocato Francesco Pandolfi

MILITARI: INFORTUNIO SUL LAVORO E RISARCIMENTO DANNI
NOTA DI COMMENTO ALLA SENTENZA DEL TAR BOLOGNA N. 772/2016

I militari che svolgono il loro servizio sovente si trovano esposti a rischi consistenti. Si tratta di circostanze che possono anche oltrepassare i confini di quel “rischio ordinario” tipico delle loro specifiche funzioni ed attività professionali.
Che cosa succede se il militare riporta un infortunio serio, ad esempio, mentre si trova in missione?

Dopo gli accertamenti iniziali e le cure del caso questo sinistro può essere considerato “causa di servizio”, cioè collegato ad un’occasione di servizio.
Ne derivano varie conseguenze, sia sul piano medico legale che sul versante delle indennità, emolumenti dovuti e risarcimenti.

Il TAR di Bologna (sentenza n. 772 del 9 agosto 2016) si occupa di questo interessante caso.
In occasione di una missione all’estero il ricorrente riporta un grave infortunio, che si appura essere dipendente dal servizio.
Il Ministero della Difesa ha stipulato una polizza assicurativa, ossia un contratto per la responsabilità civile nei confronti dei dipendenti: il danneggiato attinge dalla polizza un risarcimento cospicuo.
Accade che il Ministero, pur riconoscendo separatamente l’equo indennizzo spettante al dipendente in forza del grave infortunio, non paga il corrispondente controvalore ritenendo coperta dall’indennizzo assicurativo privato anche la quota di tale voce di danno.

Il militare non ci sta.
Prepara il ricorso, si rivolge al TAR e chiede la condanna del Ministero al risarcimento di tutti i danni subiti in occasione del triste evento e li quantifica in euro 158 mila.

In pratica, il congegno giuridico è questo: in caso di infortunio di un militare dipendente da causa di servizio scatta la procedura per il riconoscimento del nesso tra le lesioni e l’adempimento di compiti di servizio.
Se questo accertamento da esito positivo, viene accordato un equo indennizzo (oltre a futuri risvolti in ambito di pensione privilegiata).
Nel caso poi quanto corrisposto dall’assicurazione privata superi la quota dell’equo indennizzo, può verificarsi che nulla di altro venga liquidato al danneggiato.

Ma allora, prendendo spunto dal caso commentato, che cosa deve fare in concreto il militare danneggiato se intende domandare un maggiore risarcimento?
Deve dimostrare in causa di aver subito il danno a causa di precise responsabilità della Pubblica Amministrazione, proprio come accade nei rapporti con qualsiasi altro datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti.
Deve trovare cioè una responsabilità, una colpa dell’amministrazione, un nesso causale tra la violazione del dovere di diligenza (o di applicazione di regole tecniche) e l’infortunio subito.

In casi analoghi occorre quindi ricorrere al TAR, mettendo in evidenza il fatto che dimostra l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza, oltre al nesso di causalità tra quell’inadempimento e il danno subito.
Il datore di lavoro dovrà dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento.




D.LGS. 81/08: LAVORO INTERMITTENTE, ACCESSORIO E AUTONOMO

Da: PuntoSicuro
30 settembre 2016

Un intervento fa il punto sulle novità delle forme contrattuali e dell’applicazione del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza) alle varie tipologie di lavoratori. Focus sul lavoro intermittente, sul lavoro accessorio e sul lavoro autonomo.

In relazione ai cambiamenti nel mondo del lavoro correlati ai decreti del “Jobs Act”, ci siamo già soffermati sulle novità per le tutele di salute e sicurezza nei lavoratori con contratti di collaborazione, somministrati, distaccati o associati in partecipazione.
L’intervento “Applicazione del D.Lgs. 81/08 ai lavoratori con contratti di lavoro atipici e flessibili”, a cura di Maria Capozzi (Direzione Territoriale del Lavoro di Bologna), si sofferma anche sulle novità per tre altre importanti tipologie di lavoro: lavoro intermittente, lavoro accessorio e lavoro autonomo.
Novità che concernono, in particolare, il coordinamento tra il D.Lgs. 81/08 e il D.Lgs. 81/15 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183”.

Nel lavoro intermittente (a chiamata) il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro per l’esecuzione di attività che hanno la caratteristica di non essere continuative. L’imprenditore può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (anche per periodi predeterminati nell’arco della settimana/mese/anno).

Con riferimento all’articolo 13 del D. Lgs. 81/15 si indica che:
-         il contratto di lavoro a chiamata, può essere stipulato sia a tempo indeterminato che a tempo determinato;
-         il contratto di lavoro intermittente o a chiamata è sempre consentito con soggetti di età inferiore a 24 anni (purché la prestazione sia svolta entro il 25° anno) o con più di 55 anni;
-         è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari (ad eccezione per settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo);
-         in caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato;
-         il prestatore di lavoro intermittente è computato nell’organico dell’impresa in proporzione dell’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre;
-         la comunicazione di assunzione va inviata on-line al centro per l’impiego in via preventiva, prima dell’inizio dell’attività lavorativa;
-         gli obblighi di sicurezza sono in capo al datore di lavoro;
-         è vietato il ricorso al lavoro intermittente ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi.

Veniamo al lavoro accessorio (voucher), un rapporto di lavoro che ha ad oggetto tutte quelle attività lavorative, che non possono essere ricondotte a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, in quanto vengono prestate in via saltuaria e si pongono in posizione ausiliaria e funzionale rispetto ad una attività o situazione principale. E riguarda attività lavorative che (secondo l’articolo 48 del D. Lgs. 81/15) non danno luogo a compensi superiori a 7.000 euro (totalità committenti) o a compensi superiori a 2.000 €/anno (singolo committente imprenditore o professionista).
In particolare il meccanismo di pagamento del corrispettivo è fondato sul sistema dei buoni. Il credito dovuto al lavoratore viene, infatti, cartolarizzato in voucher aventi un valore nominale totale, comprendente, oltre al compenso spettante al lavoratore, anche quote per la gestione separata INPS, per l’assicurazione INAIL e una quota ulteriore a favore dell’INPS per la gestione del servizio.



Si ricorda inoltre che è vietato il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti, di opere o servizi.
E in materia di salute e sicurezza si può far riferimento all’articolo 3, comma 8 del D.Lgs. 81/08, come modificato dal D.Lgs. 151/15, relativo al campo di applicazione del Testo Unico sulla Sicurezza:
“Nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni di lavoro accessorio, le disposizioni di cui al presente decreto e le altre norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori si applicano nei casi in cui la prestazione sia svolta a favore di un committente imprenditore o professionista. Negli altri casi si applicano esclusivamente le disposizioni di cui all’articolo 21. Sono comunque esclusi dall’applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto e delle altre norme speciali vigenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori i piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili”.

Rimandiamo alla lettura integrale dell’intervento per avere altri particolari sul lavoro accessorio e ricordiamo che il 10 giugno 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare un nuovo Decreto Legislativo recante alcune disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in attuazione della Legge delega n. 183 del 2014.

Concludiamo riportando qualche informazione sul lavoratore autonomo, persona che si obbliga a compiere verso un corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente (ai sensi dell’articolo 2222 del Codice Civile). O, come indica all’articolo 89 il D.Lgs. 81/08, è la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione
Ricordando che l’assenza di subordinazione nei confronti di chi commette l’opera non significa che il lavoratore autonomo debba comportarsi da “libero battitore” all’interno del luogo di lavoro, sono riportati alcuni obblighi per i lavoratori autonomi, come riportati nel Testo Unico per la Sicurezza (specialmente con riferimento all’articolo 21):
-         utilizzano attrezzature conformi alle norme di sicurezza;
-         si proteggono con dispositivi di protezione individuali;
-         si muniscono di tessera di riconoscimento se svolgono lavori in appalto o subappalto;
-         hanno facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria;
-         hanno facoltà di partecipare a corsi di formazione specifici;
-         si devono adeguare alle indicazioni fornite dal Coordinatore per la Sicurezza nei cantieri;
-         devono dimostrare al committente la propria idoneità tecnica nei cantieri;
-         si devono adeguare alle prescrizioni dei Piani Operativi di Sicurezza nei cantieri;

Sono poi ricordati brevemente alcuni elementi indicatori di un’effettiva autonomia del lavoratore autonomo, come riportati, ad esempio, nella Circolare n. 16 del 4 luglio 2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali:
-         svolgimento dell’attività personalmente;
-         assunzione del rischio del risultato;
-         nessun vincolo di subordinazione gerarchica (orari, giorni, modalità, ecc.);
-         incarico per l’intera opera/servizio affidato e non a “ore”;
-         utilizzo di proprio materiale/attrezzature;
-         pagamento che non sia una “‘retribuzione” fissa periodica;
-         pluricommittenza.

La relatrice ricorda, infine, che i lavoratori autonomi sono esclusi dal computo di cui all’articolo 4 del D.Lgs. 81/08 (cioè dal numero di lavoratori dal quale il Decreto fa discendere particolari obblighi).
Inoltre il lavoratore autonomo non entra nel conteggio del numero di imprese operanti nel cantiere, mentre rientra nel conteggio degli uomini-giorno.

L’intervento “Applicazione del D.Lgs. 81/08 ai lavoratori con contratti di lavoro atipici e flessibili”, a cura di Maria Capozzi è scaricabile al link:



RISCHIO STRESS: PROPOSTA DI AGGIUNTA DI UN NUOVO TITOLO AL TESTO UNICO

Da: PuntoSicuro
05 ottobre 2016
di Tiziano Menduto

Un intervento presenta la proposta di aggiunta di un nuovo Titolo al D.Lgs. 81/08 in materia di stress, molestie e violenze. La normativa vigente e la proposta relativa agli obblighi del datore di lavoro, alla formazione e alla sorveglianza sanitaria.

In questi ultimi anni abbiamo assistito a varie proposte sulla semplificazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, normativa considerata spesso troppo complicata e difficile da applicare. Proposte che, a volte, si sono tradotte in modifiche del Testo Unico o in tentativi, non sempre riusciti, di rendere più semplici gli adempimenti per le aziende. Proposte che, in altri casi, sono ancora sulla carta come il Disegno di Legge Sacconi/Fucksia che vorrebbe ridurre il corpus legislativo del D.Lgs. 81/08 (306 articoli e 51 allegati) a soli 22 articoli e 5 allegati.

Accenniamo oggi invece ad una proposta che sembra andare nella direzione contraria e che vorrebbe arricchire il Testo Unico di un nuovo Titolo dedicato al tema dello stress, della violenza e delle molestie in ambito lavorativo. Una proposta che vuole aumentare l’attenzione su quello che in questi anni si può considerare un rischio emergente, in termini di diffusione, anche con riferimento agli studi e ricerche sui rischi e sul benessere organizzativo.

Per parlare brevemente di questa proposta ci soffermiamo su un intervento al convegno “Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” organizzato da AIBEL, ATS Milano e SNOP (Milano, 7 giugno 2016).

L’intervento “Proposta di recepimento nel D.Lgs. 81/08 degli Accordi europei tra CES e organizzazioni datoriali europee”, a cura del dottor Luigi Carpentiero (Coordinatore dello Sportello Lavorativo di Medicina Democratica, Firenze e dell’Associazione Italiana Benessere e Lavoro AIBeL) fa un breve excursus della normativa/documentazione in materia e riporta alcuni commenti su novità, come il “recepimento”, da parte delle principali parti sociali italiane, avvenuto il 25 gennaio 2016, dell’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro firmato il 26 aprile 2007 dalle parti sociali europee.

Il relatore indica che si è partiti con il recepimento della Direttiva Europea 89/391/CEE e altri passaggi successivi sono stati:
-         D.Lgs 626/94 e s.m.i. in cui si indica (articolo 4) che tutti i rischi vanno valutati (dove il “tutti” fu aggiunto nel 2001 dopo la “condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea”): in questo caso la valutazione dei rischi psico-sociali rimaneva implicita in mancanza di riferimenti specifici; il relatore fa poi cenno di alcuni commi nelle misure generali di tutela (articolo 3) che facevano riferimento all’organizzazione del lavoro e all’ergonomia e all’articolo 8 bis, quello che prevedeva la formazione dell’RSPP anche sui rischi psicosociali;
-         nascono i primi Centri Clinici per il disadattamento lavorativo (il primo nasce nel 1998 a Milano);
-         viene pubblicato il primo documento di indirizzo nazionale: il Consensus Document sul mobbing del 2001;
-         l’agenzia europea sulla salute e sicurezza sul lavoro lancia la prima settimana europea nel 2002 (Lavorare con stress);
-         nel 2003 la stessa agenzia pubblica un corposo documento sulla prevenzione dello stress, della violenza e del bullying sul lavoro;
-         viene ratificato l’Accordo tra le parti sociali europee sullo stress nell’ottobre 2004;
-         viene ratificato l’Accordo tra le parti sociali europee su violenza e molestie nell’aprile 2007;
-         con il varo del D.Lgs 81/08 e s.m.i. si è eliminato il concetto di fattori psico-sociali operando in maniera riduzionistica per trattare separatamente stress, violenza e molestie sul lavoro (nelle slide dell’intervento è riportato un estratto dell’Articolo 28 del D.Lgs. 81/08.

La relazione, che fa cenno anche al D.Lgs. 19/14 sul rischio sanitario, arriva anche a ricordare il recente Accordo Confindustria-Sindacati su violenza e molestie sul lavoro del 2016, che viene tuttavia considerato minimalista e difficilmente applicabile.

Veniamo infine alla proposta dell’Associazione italiana Benessere e Lavoro del 2015 di recepire i due Accordi Europei del 2004 e del 2007 inserendo un nuovo titolo nel D.Lgs. 81/08 con l’intento di ricomporre nella valutazione dell’intero rischio organizzativo le problematiche di stress violenza e molestie sul lavoro.

Questi i due Accordi europei da recepire nel Testo Unico:
-         Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 in materia di prevenzione dello stress lavoro correlato tra organizzazioni sindacali e organizzazioni datoriali europee (European Trade Union Confederation e European Association of Craft Small and Medium-Size Enterprises);
-         Accordo Europeo in materia di prevenzione della molestia, vessazione e violenza sul lavoro del 26 aprile 2007 tra organizzazioni sindacali e organizzazioni datoriali europee (European Trade Union Confederation e European Association of Craft Small and Medium-Size Enterprises).

La proposta dell’Associazione italiana Benessere e Lavoro prevede dunque di inserire un Titolo VI bis (Stress Molestia e Violenza) che comprenda un Capo I con le disposizioni generali e alcuni articoli.

L’articolo 167 bis dovrebbe prevedere il campo di applicazione:
“le Norme del presente titolo si applicano a tutte le aziende e a tutti i lavoratori come da definizione di cui all’articolo 2 del presente Decreto”;
e le definizioni di stress lavoro correlato, molestia o vessazione, violenza, patologie correlate allo stress, molestia e violenza.

L’articolo 168 bis presenterebbe gli obblighi del datore di lavoro:
“1. Adottare un’organizzazione del lavoro che tenga conto dei principi dell’ergonomia e che promuova il benessere psichico, fisico e sociale dei lavoratori;
2. Valutare il rischio stress lavoro correlato e quello da molestia e violenza”.
E il datore di lavoro “a tal fine dovrà tenere obbligatoriamente conto del parere dei lavoratori utilizzando gli strumenti più adeguati (questionari validati dalla comunità scientifica, focus group, interviste semistrutturate) per la rilevazione del disagio soggettivo individuale”.
Inoltre il datore di lavoro dovrà:
-         adottare le misure di prevenzione adeguate per quanto riguarda lo stress lavoro correlato;
-         adottare un sistema di monitoraggio in continuo del rischio molestia e violenza consistente in una serie di misure;
mediante, ad esempio:
-         adozione di un Codice di Condotta;
-         nomina di una commissione (o comitato) di garanzia (che sarà “composta preferibilmente da un membro dell’ufficio risorse umane, con funzioni di coordinamento, dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione o suo delegato, dal Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza e dal medico competente”): i membri della commissione “sono tenuti a procedere con la necessaria discrezione per difendere la dignità e la riservatezza di tutte le parti in causa, valutando preliminarmente la possibilità di una mediazione del conflitto”.
Sarà poi necessaria l’assunzione degli “opportuni provvedimenti anche di tipo disciplinare fino, nei casi di particolare gravità, al licenziamento, nei confronti dei dirigenti, preposti e lavoratori qualora la commissione” rilevi da parte degli stessi, “gravi violazioni del codice di condotta”.

L’articolo 169 bis dovrebbe definire gli obblighi di Informazione e Formazione mediante:
-         informazione e formazione a tutti i lavoratori (commi 1 e 2);
-         formazione specifica al Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza e agli altri membri della Commissione (comma 3).

E, infine, riguardo alla sorveglianza sanitaria, i lavoratori, secondo questa proposta dell’articolo 169 bis, sarebbero
“sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, qualora non sia già prevista per altri rischi di cui al presente Decreto, nelle seguenti situazioni:
a) quando dalla valutazione del rischio si evidenziano aree di criticità tali da far ritenere non basso il rischio stress, molestia e violenza;
b) quando si siano manifestate situazioni di disagio lavorativo trattate dalla Commissione di cui al comma 3 dell’articolo 168 bis o sia stata denunciata la presenza di malattia professionale correlata allo stress da parte del medico competente, dell’organo di vigilanza della ASL territorialmente competente, di un Centro Clinico per il disadattamento lavorativo o dell’INAIL”.
Tale proposta di recepimento nel D.Lgs. 81/08 degli Accordi europei tra CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e Organizzazioni datoriali europee, propone una sorveglianza sanitaria biennale.

Secondo la proposta di modifica del D.Lgs. 81/08, per gli approfondimenti specialistici sono necessarie le competenze dei Centri Clinici per il Disadattamento Lavorativo che dovranno essere istituiti in ogni Regione presso le ASL o le Aziende Ospedaliere Universitarie e dovranno essere strutturati avendo le caratteristiche di uno specifico allegato che sarebbe aggiunto al Testo Unico.

Il documento “Proposta di recepimento nel D.Lgs. 81/08 degli Accordi europei tra CES e organizzazioni datoriali europee”, a cura del dottor Luigi Carpentiero (Coordinatore dello Sportello Lavorativo di Medicina Democratica, Firenze e dell’Associazione Italiana Benessere e Lavoro AIBeL), intervento al convegno “Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” è scaricabile all’indirizzo:




IMPARARE DAGLI ERRORI: SE LE SALDATURE SONO EFFETTUATE IN QUOTA

Da: PuntoSicuro
06 ottobre 2016
di Tiziano Menduto

Un esempio di infortunio in attività di saldatura con particolare riferimento al rischio di caduta dall’alto. Le dinamiche degli infortuni, il lavoro in quota, i dispositivi di protezione e i fattori di rischio nella saldatura metalli.

E se dei rischi durante le saldature abbiamo già cominciato a parlare attraverso due recenti puntate di “Imparare dagli errori”, la rubrica di PuntoSicuro dedicata agli infortuni e alle malattie professionali, oggi ci soffermiamo in particolare sul tema delle cadute dall’alto che possono avvenire in varie attività di saldatura.
Ricordiamo che i casi che presentiamo sono raccolti nell’archivio di schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il caso riguarda un infortunio avvenuto durante un’attività di manutenzione.
L’infortunato si trova sulla piattaforma di un camion nel quale è stato montato un apparecchio di sollevamento (granchio) ovvero un’attrezzatura per la presa, il sollevamento e la movimentazione di rifiuti solidi.
Si appresta ad effettuare una saldatura in manutenzione straordinaria, del sedile del “granchio” che si è rotto.
L’operazione viene svolta ad una altezza di 2,5 metri da terra. Prima di iniziare le operazioni di saldatura il lavoratore si preoccupa di ripristinare “l’assetto” normale del sedile e per far questo ancora un gancio su un montante del sedile stesso e fissa l’estremità opposta della fune metallica cui il gancio era collegato, ai denti del polipo.
Sale sul sedile di manovra della gru e mette in tiro fune-gancio, muovendo il polipo in avanti. Poiché questo movimento non è controllabile al centimetro, la messa in tiro della fune-gancio provoca lo strappo del braccio di sostegno del sedile alla colonna girevole provocando il parziale distacco del sedile stesso.
Il sedile cade in basso lateralmente e il lavoratore che vi è seduto, senza essersi agganciato la cintura di sicurezza, è sbalzato fuori precipitando al suolo in prossimità della saldatrice e sbattendo la testa a terra.
Nell’impatto con il suolo il lavoratore riporta un trauma cranico commotivo ed emorragia cerebrale. A terra sono state ritrovate le bombole e il cannello per saldare e il casco di protezione DPI. Sono intervenuti i sanitari del soccorso pubblico 118.
Il lavoratore muore dopo due giorni dall’evento.
Il lavoratore non aveva marcato il rientro pomeridiano sul cartellino delle presenze; forse pensava di effettuare la riparazione in brevissimo tempo.
Questi i fattori causali rilevati nella scheda:
-         il lavoratore effettuava la saldatura a 2,5 metri da terra senza aver predisposto protezione adeguata contro le cadute dall’alto;
-         ha messo in tiro il sistema fune-gancio provocando il parziale distacco del braccio di sostegno del sedile alla colonna girevole.

Nei vari documenti dedicati ai rischi degli operatori impegnati in attività di saldatura raramente si parla esaurientemente dell’eventuale rischio di caduta dall’alto, correlato alle particolari situazioni operative e manutentive a cui l’operatore può essere soggetto.

Per ricavare qualche indicazione sulle cadute dall’alto e sui lavori in quota possiamo sfogliare una delle schede realizzate dal Sistema di sorveglianza nazionale degli infortuni mortali, dal titolo “Scheda n.2: le cadute dall’alto dei lavoratori” a cura di Colazzo, Cuteri, Martini, Sciarrone, Campo, Guglielmi, Nava, Santia.



Nel documento si ricorda innanzitutto che per lavoro in quota si intende un’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile. E nei casi in cui non sia possibile eseguire i lavori temporanei in quota in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate è necessario scegliere le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri a prescindere dalla modalità specifica dell’incidente:
-         priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
-         dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi;
-         scelta del tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego.

In particolare le attrezzature di lavoro utilizzate per i lavori in quota devono essere confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili al fine di consentire una circolazione priva di rischi. Si devono inoltre individuare le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute.

Come sappiamo i saldatori sono tuttavia soggetti anche a molti altri i rischi.
Per ricordarne alcuni possiamo fare riferimento ad un documento approvato con il Decreto n. 10033 del 9 novembre 2012 della Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia.
Il documento “Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività di saldatura metalli” affronta vari fattori di rischio della saldatura di metalli.

Ad esempio radiazioni non ionizzanti e campi elettromagnetici, rischi microclimatici, rischio rumore, rischi correlati alla movimentazione manuale dei carichi e alla movimentazione dei carichi con macchine, incendio ed esplosione, organizzazione del lavoro ed igiene, ecc.
Nel documento vengono fornite informazioni sui dispositivi individuali di protezione.
Ci soffermiamo in particolare sui rischi correlati al rumore e al microclima.

In particolare il microclima è un fattore di rischio non trascurabile, in particolare durante la stagione estiva, correlato al tipo di lavorazione che richiede il raggiungimento di alte temperature in ambienti spesso ristretti e talora con ventilazione e aspirazione inadeguate. La produzione di calore, in particolare di elevatissime temperature localizzate nella vicinanza del punto di saldatura è caratteristica sostanzialmente comune delle tecniche a gas, ad arco elettrico, al plasma e al laser.
Il documento fornisce alcune indicazioni:
-         nel reparto di saldatura è necessario assicurare una sufficiente aerazione naturale diretta dell’ambiente, realizzando il maggior numero possibile di superfici fenestrate apribili, sia laterali che a soffitto; l’aerazione naturale dovrebbe essere comunque integrata da impianti di ricambio forzato dell’aria che non devono comunque entrare in contrasto con i sistemi di aspirazione localizzata;
-         durante la stagione estiva in certi casi può risultare opportuna l’adozione di particolari precauzioni per assicurare un adeguato assorbimento di acqua e sali minerali.

Infine riguardo al rumore si segnala che nelle lavorazioni di saldatura l’origine del rumore è riconducibile in buona parte alla combustione della miscela gassosa emessa ad alta pressione dal cannello nella saldatura a fiamma ossiacetilenica; allo scoccare dell’arco elettrico, alla fuoriuscita del plasma dall’ugello (sibilo caratteristico) nelle altre tipologie. Nel documento vengono descritte altre sorgenti di rumore e alcuni esempi di livelli di esposizione quotidiana dei lavoratori.
Questi i principali interventi mirati al controllo e riduzione del rischio specifico:
-         acquisto di macchine meno rumorose;
-         regolare manutenzione delle macchine mirata alla sostituzione/manutenzione di componenti soggette ad usura;
-         diminuzione degli urti dei prodotti rigidi tra loro e con i recipienti di raccolta, ad esempio diminuendo l’altezza di caduta e insonorizzando con materiale smorzante i contenitori;
-         controllo dell’emissione sonora degli impianti di aspirazione e ventilazione mediante regolare manutenzione; eventuale insonorizzazione degli stessi;
-         previsione di eventuale rotazione del personale;
-         fornitura di idonei DPI;
-         informazione e formazione i lavoratori sui rischi derivanti dall’ esposizione a rumore.

Il link del sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato la scheda numero 2586 (archivio incidenti 2002/2010), è:

Il documento del Sistema di sorveglianza nazionale degli infortuni mortali, dal titolo “Scheda n.2: le cadute dall’alto dei lavoratori” è scaricabile all’indirizzo:

Il documento “Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività di saldatura metalli” della Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia è scaricabile all’indirizzo:




COSA PRESCRIVE LA NORMATIVA IN MATERIA DI ALCOL E TOSSICODIPENDENZA

Da: PuntoSicuro
10 ottobre 2016

Un volume dedicato alle Piccole e Medie Imprese e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza. Focus sulla normativa in materia di alcol e tossicodipendenza: i divieti, i rischi, i test e la sorveglianza sanitaria.

Più volte si è ricordato come l’assunzione di alcol e sostanze stupefacenti di un lavoratore costituisca un pericoloso fattore di rischio aggiuntivo rispetto ai rischi lavorativi già presenti. Un rischio che può minare anche la salute e la sicurezza dei colleghi e di terze persone presenti nei luoghi di lavoro.

Proprio per questo motivo e in attesa della futura nuova intesa, relativa agli “Indirizzi per la prevenzione di infortuni gravi e mortali correlati all’assunzione di alcolici e di sostanze stupefacenti, l’accertamento di condizioni di alcol dipendenza e di tossicodipendenza e il coordinamento delle azioni di vigilanza”, vediamo di riassumere alcuni aspetti normativi vigenti sul tema alcol e tossicodipendenza.

Per farlo sfogliamo le pagine del volume “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), che rappresenta uno strumento di consultazione in grado di favorire una corretta applicazione delle disposizioni di legge.

Nel capitolo dedicato all’alcol e alle tossicodipendenze sono riportati innanzitutto alcuni riferimenti normativi.
Si ricorda che l’articolo 5 (Disposizioni generali) della Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, prevede che il Datore di Lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro.

E in relazione al fatto che gli effetti delle sostanze psicotrope amplificano i rischi insiti nell’attività lavorativa, si sottolinea che l’obbligo generale indelegabile del Datore di Lavoro di valutare tutti i rischi lavorativi (articoli 17 e 28 del D.Lgs. 81/08) include anche le eventuali interazioni dei rischi presenti in ambiente di lavoro con quelli derivanti da errate abitudini personali dei lavoratori, come l’assunzione di alcol e sostanze stupefacenti.

Il documento si sofferma poi sulla dipendenza da alcol e segnala che il D.Lgs. 81/08 prevede (articolo 41, comma 4) che le visite preventive, periodiche e in occasione del cambio di mansione, siano “nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento... altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza...”.

Si indica che all’interno dell’Allegato I del Provvedimento 16 marzo 2006 (relativo all’Intesa in materia di individuazione delle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi, ai fini del divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche) sono indicate le attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi, e per le quali va prevista la sorveglianza sanitaria specifica di cui sopra, tra cui (ad esempio):
-         addetti alla guida di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categoria B, C, D, E, e quelli per i quali è richiesto il certificato di abilitazione professionale per la guida di taxi o di veicoli in servizio di noleggio con conducente;
-         addetti alla guida di macchine di movimentazione terra e merci (carrelli elevatori);
-         lavoratori addetti ai comparti della edilizia e delle costruzioni e tutte le mansioni che prevedono attività in quota, oltre i due metri di altezza.

Parliamo ora di tossicodipendenza.
Si segnala a tale proposito l’Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia di accertamento di assenza di tossicodipendenza ratificata dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni il 30 ottobre 2007. Un’intesa che prevede controlli periodici, sull’eventuale uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, a garanzia della salute e della sicurezza dei lavoratori con mansioni che possono comportare rischi per sé o per i cittadini, su specifiche categorie di mansioni lavorative.
L’intesa, che di fatto attua le previsioni previste in tal senso dall’articolo 125 del D.P.R. 309/90, prevede l’effettuazione di test antidroga a garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori e dei cittadini utenti, esposti al rischio di incidenti gravi e mortali dovuti alla pericolosa condizione di alterazioni per assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope da parte degli stessi lavoratori. Tali controlli, i cui costi sono a carico del Datore di Lavoro, prevedono sia visite mediche che esami di laboratorio.

In particolare il provvedimento si propone di:
-         assicurare una efficace prevenzione degli infortuni e degli incidenti, mediante la sospensione temporanea del lavoratore risultato positivo agli accertamenti sanitari;
-         favorire il recupero della tossicodipendenza del lavoratore attraverso idonei programmi di riabilitazione aventi l’obbiettivo di reintegrare il lavoratore alle sue vecchie mansioni;
-         evitare il passaggio da un uso saltuario di droghe a uno stato di tossicodipendenza, prevedendo controlli specifici e periodici.

Il documento sottolinea poi che non vi è nessun licenziamento per i lavoratori in difficoltà che accettino il percorso di riabilitazione. Infatti, in caso di positività degli accertamenti sanitari, l’accordo prevede che il Datore di Lavoro è tenuto a sospendere il lavoratore dall’espletamento delle mansioni, ma se lo stesso accetta di sottoporsi a percorsi di recupero, fornisce ampie garanzie della conservazione del posto di lavoro.

Il documento si sofferma poi sui vari rischi per la salute del lavoratore correlati all’assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope, anche abitudinaria o saltuaria, e ricorda, ad esempio, che l’interazione dell’alcol con alcune sostanze chimiche può alzare il rischio di malattie professionali. Ad esempio, il consumo di alcol associato all’esposizione a metalli, a pesticidi o a solventi può provocare danni al fegato e al sistema nervoso, mentre se associate alle basse temperature le bevande alcoliche possono provocare patologie da raffreddamento e se consumate nel corso di attività rumorose possono essere fonte di danni all’apparato uditivo.

Si segnalano, in conclusione, anche gli obblighi relativi alla sorveglianza sanitaria.
Si indica che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente, di norma con periodicità annuale. E qualora il medico competente ravvisi la necessità che un lavoratore (appartenente alle categorie di cui all’Intesa sopra citata) sia sottoposto ad ulteriori accertamenti sanitari per verificare un’eventuale stato di tossicodipendenza, invia il lavoratore stesso al Servizio per le Tossicodipendenze della ASL competente per territorio. Nel caso in cui il lavoratore non si sottoponga all’accertamento, senza giustificato motivo, il Datore di Lavoro è tenuto a farlo cessare dall’espletamento delle mansioni per le quali l’accertamento è previsto, fino a che non venga accertata l’assenza di tossicodipendenza.

Il documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia, “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare” del 2014 è scaricabile all’indirizzo:




IMPARARE DAGLI ERRORI: LA CADUTA DI MATERIALI DALL’ALTO

Da: PuntoSicuro
13 ottobre 2016
di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati al mancato o errato uso di dispositivi di protezione della testa. Le conseguenze delle cadute di materiali dall’alto in assenza di casco protettivo. La dinamica degli infortuni e le informazioni sui dispositivi di protezione.

Una delle cose che più frequentemente possono capitare in diverse attività lavorative, ad esempio in edilizia, è la caduta di materiali dall’alto e al di là della necessaria prevenzione di queste cadute, sicuramente uno strumento per evitare o ridurre la gravità degli infortuni correlati è il casco o elmetto di protezione.

Ricordiamo, a questo proposito, che un’analisi svolta sui casi di incidenti (2008-2012) in INFOR.MO., strumento correlato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi, mostra come le cadute dall’alto di gravi rappresentino poco meno di un quinto (16,8%) di tutti gli eventi incidentali mortali presenti in INFOR.MO. nel periodo. E i principali settori di attività economica interessate dalle cadute dall’alto dei gravi sono le costruzioni (35,1%), il comparto manifatturiero (29,6%) e il comparto agricolo (16,8%).

Riprendiamo dunque il nostro viaggio di “Imparare dagli errori”, la rubrica che PuntoSicuro dedica al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, attraverso le conseguenze relative all’uso errato o mancato uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nei luoghi di lavoro. E torniamo anche a parlare di protezione della testa con particolare riferimento al rischio di cadute dall’alto di gravi.
Segnaliamo che le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte proprio dalle schede di INFOR.MO.

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto in un cantiere durante i lavori di ripuntellatura delle pareti divisorie all’interno di un convento.
I lavori consistevano nella rimozione a strappo dei mattoni degradati della parete, con successiva ricucitura di nuovi mattoni e malta cementizia. Aderente alla parete era presente una cornice verticale (colonna in mattoni) che fungeva da appoggio, assieme ad un’altra cornice verticale sulla parete opposta, alla cornice orizzontale di irrigidimento del sovrastante piano. Le 3 cornici caricavano il loro peso sulla volta sottostante. Per effetto della rimozione di mattoni di appoggio della cornice verticale, la stessa si staccava dalla parete e sfondava la volta, precipitando al piano sottostante. La cornice orizzontale (in laterizio e cemento) conseguentemente, rimanendo priva di appoggio, cadeva sul piano della stanza colpendo il lavoratore alla testa.
L’operazione di ripuntellatura della muratura, prima di essere effettuata, richiedeva la puntellatura della parete e della volta sottostante (con idonee opere provvisionali) che all’atto dell’infortunio non era stata eseguita.
Dalle testimonianze raccolte, si evidenzia che l’infortunato non indossava il casco.
Questi i fattori causali individuati dalla scheda:
-         mancata puntellatatura dal basso della parete e della volta;
-         la rimozione dei mattoni di appoggio alla base della cornice verticale;
-         mancato uso del casco.

Il secondo caso riguarda un infortunio avvenuto in un cantiere in cui sono in corso lavori di manutenzione straordinaria di un edificio.
Un operaio, che lavora insieme ad un suo collega, dopo aver trasportato con un autocarro alcune reti metalliche elettrosaldate (dimensione 2 metri per 4 metri), le va a scaricare senza l’ausilio di aiuto, ma servendosi di una gru a torre e di un tondino di ferro ripiegato alle estremità così adattato a gancio.
Durante l’operazione di scarico, le reti vanno a toccare il cavo elettrico aereo che attraversa il cantiere e il gancio deformandosi le lascia cadere. Le reti colpiscono il lavoratore (frattura cranio) che si trova sotto il carico sospeso.
Il lavoratore non faceva uso del casco.
I fattori causali dell’infortunio indicano che il lavoratore infortunato:
-         usa un ferro piegato come gancio per il sollevamento;
-         si posiziona sotto il carico sospeso;
-         mentre solleva le reti con la gru, intercetta il cavo elettrico aereo:
-         non usa il casco.

Per conoscere più da vicino i DPI per la protezione del capo possiamo riprendere quanto indicato in un documento, dal titolo “Dispositivi di protezione individuale”, realizzato dall’ingegner Daniele Galoppa (INAIL) e pubblicato sul sito dell’Ente Scuola Edile di Cosenza.

Il documento ricorda che i DPI vanno usati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da:
-         misure tecniche di prevenzione;
-         mezzi di protezione collettiva;
-         misure o procedimenti di organizzazione del lavoro.

E riguardo agli elmetti di protezione il documento indica che:
-         gli elmetti sono formati da un guscio esterno e da un rivestimento interno;
-         il guscio esterno può essere in materiale plastico resistente (policarbonato termoplastico, polietilene HD) o rinforzato (in fibre di vetro) o metallico (alluminio o lega leggera);
-         il rivestimento interno è formato dalle fasce portanti, dalla fascia perimetrale, dalla fascia posteriore, dalla fascia antisudore e dall’imbottitura interna.

E i requisiti obbligatori degli elmetti di protezione sono:
-         assorbimento degli urti;
-         resistenza alla penetrazione (dei solidi);
-         resistenza alla fiamma;
-         ancoraggi del sottogola;
-         etichetta.

La norma di riferimento dei DPI del capo è la UNI EN 397:2013 che definisce le caratteristiche costruttivi e i requisiti essenziali di resistenza degli elmetti al fine della protezione da alcuni rischi specifici: caduta di oggetti, lacerazioni, fiamme libere e dal possibile rischio di intrappolamento e soffocamento conseguente all’uso della cinghia sottogola. Tali elmetti sono ritenuti idonei per lavori in edilizia, in fossati, apparecchi di sollevamento, ecc.
Ogni elmetto deve avere un marchio stampato o impresso che riporti le seguenti indicazioni:
-         il numero della norma europea EN 397;
-         il nome o la marca del fabbricante;
-         l’anno e il trimestre di fabbricazione;
-         il tipo di elmetto;
-         la taglia o la scala taglie.
Indicazioni complementari, quali le istruzioni o raccomandazioni di regolazione, di montaggio, di uso, di lavaggio, di disinfezione, di manutenzione e di stoccaggio, sono specificate nel foglietto di utilizzo.

Ricordiamo che la norma UNI EN 397:2013, relativa agli elmetti di protezione per l’industria, versione ufficiale della norma europea EN 397:2012+A1:2012, sostituisce la norma UNI EN 397:2012 e indica che gli elmetti di protezione per l’industria sono destinati essenzialmente a proteggere l’utilizzatore da oggetti in caduta e dalle lesioni cerebrali e fratture del cranio che possono derivarne.

Il link del sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 648 e 255 (archivio incidenti 2002/2010), è:

Il documento “Dispositivi di protezione individuale”, realizzato dall’ingegner Daniele Galoppa (INAIL) e pubblicato sul sito dell’Ente Scuola Edile di Cosenza è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_Inail_slide_DPI.pdf

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