domenica 9 ottobre 2016

8 ottobre - Un interessante report dalla Tunisia



Anche a Gabés come a Taranto, nocivo é il capitale non la fabbrica!




Gabés é una città costiera meridionale tunisina che sorge sull’omonimo golfo. La città ha una particolarità unica al mondo: si é sviluppata all’interno di una grande oasi che si affaccia sul mare, tutte le altre oasi esistenti al mondo sorgono infatti nel bel mezzo del deserto. Prima dell’apertura del GCT le principali attività economiche erano legate al settore primario che sono svolte in forma tradizionale. In particolare la pesca e l’agricoltura (famosa la produzione del melograno e dei datteri da palma) le spezie di Gabés sono tra le più rinomate del paese e infine vi é una discreta attività artigianale che produce oggetti di vimini e derivati dalla foglia di palma come copricapi, ventagli e sporte.


A partire dalla fine degli anni ’60- inizio anni ’70 nascono alcuni impianti industriali nel paese come conseguenza in parte postuma della linea politica dell’allora primo ministro con portafoglio ad interim della Sanità Pubblica e degli Affari Sociali, Ahmed Ben Salah che persegue la strategia della creazione di poli economici decentrati rispetto al centro economico del paese che é stato storicamente la fascia litoranea del paese compresa tra Bizerte e Sfax. La città quindi si trasforma nel principale polo industriale dell’area e si ingrandisce notevolmente raggiungendo gli attuali 120 mila abitanti.

Il GCT a Gabés impiega circa 4.800 lavoratori e attualmente rappresenta una buona fetta del Pil tunisino, possiede un proprio porto separato dal porto della città in cui vi é un intenso traffico di navi provenienti da tutto il Mediterraneo. Il modo con cui produce l’impianto, circa quantità e qualità, in un quadro di regime di produzione capitalista che punta quindi al raggiungimento del massimo profitto da parte del padrone (stato tunisino) ha fatto si che l’attività della fabbrica abbia avuto un impatto fortemente negativo sull’ambiente e su alcune attività economiche pre-esistenti, abbia prodotto cioé delle esternalità negative come direbbero alcuni economisti. Cio’ é “normale” in qualsiasi processo di industrializzazione in regime capitalistico, la quantità é direttamente legata a quella richiesta dal mercato e non a quella legata ai bisogni reali, il mercato spesso chiede irrazionalmente una quantità superiore a quella necessaria quindi il capitalista per raggiungere il proprio saggio di profitto spinge la produzione in accordo con questo obiettivo incurante di tutto il resto. Lo stesso vale per la qualità della produzione, il capitalista non si interessa dell’inquinamento prodotto dall’impianto che poi si traduce in disastri ambientali e problemi di salute per gli abitanti dell’area circostante in primis. Ultimamente il “caso Gabés” é stato paragonato al “caso Taranto” in Italia.
In particolare alcuni settori ambientalisti italiani fanno un parallelismo nella seguente maniera:
– Entrambe le città si trovano sul mare e prima del periodo industriale il settore della pesca e dell’agricoltura, entrambi tradizionali, erano molto sviluppati.
– Il mare per entrambe le città ha un grosso potenziale, da cui consegue il famoso leitmotiv “si potrebbe vivere di turismo” che si aggiungerebbe alle attività tradizionali elencate prima.
– In entrambe le città l’industrializzazione ha provocato disastri ambientali e danni alla salute dei cittadini (il termine “cittadino” é enfatizzato e vedremo più avanti perché).
Questi tre punti del ragionamento portano gli ambientalisti a concludere con una domanda retorica: “E’ più importante il lavoro o la salute?” a cui rispondono con certezza: “sicuramente la salute, quindi la fabbrica in quanto nociva deve essere chiusa”. Questo ragionamento viene propugnato spesso da soggetti che abbracciano il paradigma della “post-modernità”, paradigma figlio della “fine della storia” di Fukuyama, che in ultima analisi volta le spalle alla realtà concreta inventandosi la non esistenza delle classi sociali e di conseguenza negando che in un dato tipo di società (il capitalismo) la fabbrica é teatro quotidiano della contraddizione capitale-lavoro cioé degli interessi contrapposti dei lavoratori da un lato e dal capitalista dall’altro; “dimenticano” o negano apertamente episodi storici che invece stanno li a ricordarci che con un’organizzazione politico-sociale e di produzione economica differente in cui i mezzi di produzione sono in mano ai lavoratori e al popolo in generale, la produzione industriale viene organizzata tenendo conto della salute e della sicurezza in primis di chi vi lavora e in secundis della questione ambientale quindi sia dell’ambiente che della salute dei “cittadini”. In base all’esperienza storica possiamo affermare che i veri ambientalisti ante-litteram sono nati nel socialismo “reale” e in particolare nella Cina della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (di qui ricorre quest’anno il 150° anniversario) dove gli operai al comando della produzione avevano a cuore la propria salute, quella della propria famiglia e del resto della popolazione lavoratrice. La qualità della produzione era regolata quindi in modo da non inquinare grazie al fatto che la quantità prodotta dalla fabbrica non veniva decisa in termini di profitto (non essendo la borghesia al potere) ma in base alle reali necessità collettive. All’interno del paradigma post-moderno si nega quindi l’esistenza delle classi sociali e del conflitto di classe e si sostituisce il tutto con un interclassista “cittadino” categoria dalla quale viene buttato fuori l’operaio che, cornuto e bastonato come si suol dire, non solo fatica almeno 8 ore al giorno al soldo del padrone rischiando spesso la vita, non solo é il primo che ha le ricadute negative sulla propria salute ma in più viene etichettato anche come “assassino” come se fosse il responsabile di tutto cio’ e non il padrone (della fabbrica), come successo a Taranto in questi anni da parte dei sedicenti “cittadini liberi e pensanti”. I nostri post-moderni non si limitano a negare la realtà diventando partigiani della “fine della storia”, ma si spingono oltre, pretendono che la storia faccia un salto indietro. Si enfatizza in maniera oggettivamente reazionaria il concetto di “tradizione”: la pesca tradizionale, l’agricoltura tradizionale negando il progresso materiale raggiunto dall’umanità in termini di livelli di produzione e miglioramenti tecnologici utili potenzialmente al miglioramento della qualità della vita generale, cio’ che Marx chiamerebbe “lo sviluppo delle forze produttive”. Inoltre arbitrariamente si parla di “vocazione” della città in termini economici, allora sia Taranto che Gabés sarebbero delle città a vocazione turistica o dedite al settore primario “tradizionale”, secondo lo stesso ragionamento qualsiasi luogo del mondo dovrebbe avere la stessa “vocazione” facendo un volo pindarico temporale come se la Rivoluzione Industriale non avesse mai avuto luogo. Inoltre nel caso specifico tunisino, l’attuale crisi del settore turistico provocata per dirla brutale da un ragazzino armato di kalashnikov dimostra come qualsiasi paese al mondo non possa pensare che il settore strategico del paese possa essere rappresentato dal turismo al contrario ogni paese conta realmente in base alla propria capacità produttiva di beni finiti e non di soli servizi. Per fortuna a Taranto ci sono altri soggetti che si battono da anni sul terreno dei diritti in fabbrica per gli operai e in città per i settori popolari, sia sul fronte più strettamente sindacale come lo Slai Cobas per il Sindacato di Classe che politico come proletari comunisti-PCm che ultimamente ha organizzato “l’accoglienza” al presidente del consiglio Renzi, la parola d’ordine assunte da queste forze sociali e politiche é: “Nocivo é il capitale non la fabbrica”. Questa scontro di posizioni si é riprodotto in maniera surreale all’Università di Gabés lo scorso Aprile durante un convegno dal titolo “I due Sud. Le condizioni socio-economiche e la continua lotta tra cultura e letteratura ‘dimenticate’ “. Surreale perché vi sono stati due interventi fatti da due professori italiani partecipanti al convegno che hanno incarnato queste due posizioni parlando in particolare di Gabés anche se ovviamente non sono mancati i riferimenti a Taranto, é scaturito poi un dibattito con i diretti interessati: gli studenti tunisini.
Abbiamo visto la posizione degli “ambientalisti” italiani, torniamo a Gabés e al gruppo “No pollution”; si potrebbe pensare che anche gli “ambientalisti gabesiani abbiano la stessa posizione e invece no… I giovani studenti qui sono realmente “pensanti”, hanno incominciando organizzando delle manifestazioni contro la direzione del gruppo chimico e non contro gli operai, al contrario le manifestazioni avevano l’obiettivo di sensibilizzare sia i settori popolari in generale che gli operai e non avevano la rivendicazione di chiudere la fabbrica. Gli attivisti del gruppo non negano che quando lo stesso é nato, alcuni membri avevano proposto la parola d’ordine “estremista” della chiusura della fabbrica, ma in seguito a discussioni interne si é deciso che la rivendicazione principale é quella di una bonifica del golfo e dell’oasi utilizzando come fondi necessari una parte dei profitti del GCT, inoltre si chiede una riduzione delle emissioni e il rispetto delle norme ambientali già esistenti e non applicate che prevedano ad esempio l’utilizzo di depuratori. Anche qui si denuncia il fatto che alcuni settori economici come quello della pesca e dell’agricoltura siano stati danneggiati dall’attività della fabbrica, ma innanzitutto bisogna pensare che in un paese come la Tunisia il settore agricolo ha un peso specifico superiore rispetto che ad un paese come l’Italia; in secondo luogo, “sorprendentemente” i pescatori di Gabés sono contrari alla chiusura della fabbrica nonostante danneggi direttamente la loro attività1.
Condividono le parole d’ordine del movimento “No Pollution” é dichiarano espressamente che mai vorrebbero vedere i loro familiari, amici e concittadini disoccupati ma che il governo deve assumersi le proprie responsabilità e bonificare il golfo di Gabés. Quindi a differenza di Taranto qui sono gli ambientalisti che hanno una linea simile a quella che a Taranto hanno organizzazioni sindacali e della sinistra di classe. Al contrario la sinistra ufficiale tunisina e il sindacato, l’UGTT, brancolano nel buio se non addirittura vivono in connivenza con il GCT. Il movimento Stop Pollution é nuovo in città e sicuramente ha ancora della strada da fare e qualcosa da rettificare, ad esempio dopo essere riuscito a farsi conoscere tramite un paio di manifestazioni cittadine, ha organizzato un convegno nell’hotel più in della città in cui alla tavola rotonda é stato inviato anche un portavoce del GCT a cui sono state poste delle domande per verificare le “buone intenzioni” del GCT ad adempiere le legittime richieste della popolazione. Questo approccio é illusorio e svia dal raggiungimento dell’obiettivo, solo i rapporti di forza possono costringere il GCT e quindi il governo ad eseguire la bonifica, non una semplice opera di convincimento. Detto questo sicuramente gli ambientalisti gabessiani sono sicuramente anni luce avanti rispetto ai vaneggiamenti dei loro omologhi tarantini e il fatto di essere principalmente una forza fresca e giovane é sicuramente un punto di forza che fa sperare bene.
1Vedi intervista presente su questo blog: https://wordpress.com/stats/insights/tunisieresistant.wordpress.com


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