di Paolo
Scanga
Un resoconto dell’assemblea nazionale dei riders che
si è tenuta a Bologna il 15 aprile: un primo momento di incontro tra le realtà
autorganizzate e di elaborazione di una piattaforma rivendicativa comune
Foodora, Deliveroo, Glovo e JustEat. Queste le catene del food
delivery rappresentate da più di centocinquanta lavoratrici e
lavoratori presenti all’assemblea nazionale dei riders che
si è tenuta domenica nei nuovi spazi di Labas. Da Bologna, Milano,
Torino e tante altre città le e i riders, così come tanti
solidali, hanno risposto all’appello lanciato dal collettivo Riders
Union Bologna. Ma non solo, erano presenti anche rappresentanti
del Collectif des livreurs autonomes de Paris (CLAP) e
del Collectif des coursier-e-s provenienti dal Belgio. Un
elemento, che rappresenta quanto sia centrale lo spazio continentale per
provare a costruire una piattaforma organizzative e rivendicativa all’altezza
di queste catene dello sfruttamento multinazionali.
Quest’ultimo biennio, in
tutta Europa, è stato segnato dalla nascita spontanea di gruppi e nuovi
collettivi di lavoratrici e lavoratori che tramite il loro associarsi, il
conoscersi, azioni e scioperi, hanno svelato e ribaltato la retorica
neoliberale delle piattaforme. Hanno rovesciato la narrazione secondo
cui la gig economy avrebbe permesso una maggiore libertà ai
giovani che avrebbero potuto lavoricchiare divertendosi e possibilmente
arricchendo il curriculum. Questo dal lato delle aziende è servito per
inquadrare i riders come lavoratori autonomi, ovvero scaricare
tutti i costi d’impresa su lavoratori e lavoratrici. Dietro questo racconto di
libertà e di felicità nel trasportare del cibo, però, si nasconde il lato
feroce dell’algoritmo che comporta una definitiva negazione dei, pur minimi,
diritti sul lavoro, una totale mancanza di tutele e sicurezze e di salari
pressappoco infamanti. La giornata di domenica è servita innanzitutto ad avere
un momento per conoscersi, per socializzare e stare insieme – prima sovversione
di un algoritmo che ti obbliga alla solitudine e alla competizione. La
presenza, matura, consapevole e preparata di molteplici realtà come Deliverance
Project di Torino o Delivenrance Milano, oltre a quella bolognese, ha permesso
il racconto delle esperienze lavorative, di narrazione dei progetti di
solidarietà, di cooperazione e di organizzazione che nelle varie metropoli si
stanno costruendo. Questa maturità è stata espressa da una condivisa piattaforma
di rivendicazioni tra cui l’abolizione del pericoloso (per la salute e
sicurezza dei riders) cottimo puro, della richiesta di un salario minimo garantito
e dignitoso, forme assicurative, eliminazione del sistema di ranking che
obbliga a tempi di lavoro troppo dannosi, la protezione dei dati personali che
vengono rilevati dalle aziende tramite il sistema di geolocalizzazione presente
nell’app ma anche richieste di garantire l’attrezzatura e la
manutenzione di questa. Richieste che i ciclofattorini stano portando in
tutta Europa, in Francia, Spagna, Inghilterra e Belgio, oltre che nelle
numerose città e metropoli italiane. Città e metropoli stanno diventando anche
il luogo intorno a cui l’elemento vertenziale sta incrociando diverse
amministrazioni comunali, come a Bologna dove l’autorganizzazione dei
lavoratori del food delivery ha costretto la giunta a firmare
la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”,
che per quanto non abbia un immediato valore giuridico, rappresenta una
vittoria politica importante in quanto prevede un livello minimo di diritti da
applicare a tutti i “lavoratori e lavoratrici digitali”, indipendentemente dal
loro status di autonomo o subordinato. Quello che l’assemblea bolognese è
riuscita a far emergere è questa capacità di lotta che è in grado di
espandersi, di essere contaminante e riappropriativa. Le CLAP parigine hanno
ben raccontato e mostrato come il mezzo di lavoro non fosse, esclusivamente, la
bicicletta o il motorino quanto, bensì, l’app, lo strumento di comando.
Ed è anche di riappropriazione dell’app si è discusso, non una
applicazione di governo e comando del lavoro ma di app che
permettano forme di cooperazione, di solidarietà e di mutualismo tra lavoratori
e lavoratrici. La consapevolezza però è anche sulla spazialità della lotta, non
soltanto le metropoli dove si lavora ma bensì il continente europeo dove sono
presenti le aziende. Non è un caso se nel riconoscersi come lavoratori
e lavoratrici si sia deciso di assumere il Primo Maggio, giornata di lotta
contro il lavoro, come momento europeo per costruire una mobilitazione
continentale contro il food delivery. Dalla Francia, dal Belgio
e dall’Italia migliaia di ciclo fattorini proveranno a costruire forme di
contestazione a queste forme neoschiavistiche di lavoro.
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