Riporto a
seguire solo alcuni (esclusivamente per motivi di spazio) dei numerosi articoli
apparsi in questi giorni in rete, in occasione dei tre gravissimi incidenti di
Livorno, Treviglio e Crotone.
Una sola preghiera.
Non
ricordiamoci dei morti sul lavoro per infortunio o per malattia professionale
solo quando i media ne danno risalto mediatico.
Ricordiamoci
che, in media, tutti i giorni in Italia muoiono di infortunio 4 lavoratori,
come ricorda bene Carlo Soricelli.
Marco Spezia
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CI VEDIAMO
QUESTA SERA. SE NON MUOIO SUL LAVORO...
Da Radio Onda
d’Urto http://www.radiondadurto.org
di Carmine
Tomeo
Ancora due
morti sul lavoro, questa volta a Livorno. Le chiamano morti bianche per non
indagare sulle cause di una strage quotidiana, inarrestata e inarrestabile se
la vita umana diventa variabile dipendente dal profitto.
“Ciao tesoro,
ci vediamo questa sera”. Poi si esce per andare al lavoro. Verso un cantiere,
una fabbrica, su un furgone per consegnare pacchi o in bici per consegnare un
pasto caldo. “Ciao tesoro, ci vediamo questa sera”. Un saluto normale,
quotidiano, quasi scontato. Come scontato dovrebbe essere tornare a casa dal
lavoro. E invece no. Perché è più probabile morire da lavoratori in Italia che
da soldato italiano in missione all’estero.
“Ciao tesoro,
ci vediamo questa sera”. E’ forse il saluto che Lorenzo ha fatto alla
fidanzata; che Nunzio ha pronunciato alla moglie. Ma Lorenzo e Nunzio a casa
non sono più tornati, morti nell’esplosione di un serbatoio nel porto Livorno
mentre lavoravano. E prima di loro non sono tornati a casa più 140 lavoratori
dall’inizio di quest’anno; e prima ancora oltre 1.000 hanno lasciato il luogo
di lavoro da dentro una bara, lo scorso anno; e più di 1.000 l’anno precedente
e l’anno prima ancora. 13.000 negli ultimi dieci anni. Sono i numeri della
mattanza dei luoghi di lavoro.
In casi come
quelli al porto di Livorno, o alla Lamina Milano, o alla Thyssenkrupp di Torino,
non si fanno mai attendere i pigri attestati di cordoglio istituzionali;
qualche richiamo già sentito al rispetto della sicurezza sul lavoro. Ma mai che
si sollevi un monito contro la smania di profitto, l’accelerazione dei ritmi di
lavoro, la produttività d’impresa come unica variabile indipendente nei
rapporti di lavoro. Niente su precarietà, ricatto occupazionale, impoverimento.
Centoundici
anni fa Jack London, facendo parlare Ernest nel suo straordinario romanzo “Il
tallone di ferro” descriveva con crudo realismo un grave infortunio sul lavoro:
“Quell’uomo si chiama Jackson [...] Ha perduto il braccio nella filanda Sierra,
e voi l’avete gettato sul lastrico a morire come un cavallo mutilato. Dicendo
voi, intendo il direttore e le altre persone impiegate da voi e gli altri
azionisti che dirigono per voi le filande. Fu una disgrazia, dovuta allo zelo
di quell’operaio per far risparmiare qualche dollaro all’azienda. Il braccio
gli venne preso dal cilindro dentato della cardatrice. [...] Era notte: nella
filanda si facevano turni straordinari di lavoro. In quel trimestre fu pagato
un forte dividendo. Quella notte Jackson lavorava da molte ore e i suoi muscoli
avevano perduto la solita vivacità: per questo venne afferrato dalla macchina.
Ha moglie e tre bambini”.
Centoundici
anni dopo, si nascondono ancora le cause profonde dei troppi infortuni sul
lavoro, delle inaccettabili morti sul lavoro: la spasmodica riduzione dei costi
di produzione, la priorità assoluta del profitto rispetto a ogni altra cosa. Mentre
si sprecano i richiami troppo facili a porre termine alle morti bianche. Così
vengono chiamate quando non si vuole indagare sulle cause di una strage
quotidiana, inarrestata e inarrestabile se la vita umana diventa variabile
dipendente dal profitto. Morte bianca, come se fosse una morte innocente. Morte
bianca, per evitare di raccontare la fatica del lavoro, l’ansia di una
condizione di precarietà, la paura della povertà, l’umiliazione del lavoro
sottopagato, la rabbia della costrizione a un lavoro senza diritti, la voglia
di riscatto di un operaio, lo stato di necessità della stragrande maggioranza
di chi ogni giorno deve vendere muscoli e nervi e cervello al mercato del
lavoro. Morte bianca per non raccontare la vita di un operaio. Morte bianca è la
definizione che dà alla morte sul lavoro chi non si schiera e che non
schierandosi sta con il più forte in questa lotta di classe della quale non si
ricordano padroni morti sul lavoro per la sete di profitto, produttività,
accumulazione dei lavoratori. Morte bianca è la definizione che serve a non
indagare le cause di quelle morti; a non cercare i colpevoli; a dare il senso
dell’ineluttabilità di quelle tragedie che di ineluttabile non hanno niente.
Così che poi,
prima ancora di leggere i titoli dei giornali del giorno dopo, si può sempre
tornare a scandire il solito ritmo: produci, consuma, crepa. Produci, consuma,
crepa. Produci, consuma, crepa...
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“PASQUA DI
RESURREZIONE” I 149 LAVORATORI MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO DALL’INIZIO DELL’ANNO
NON RESUSCITERANNO.
Di Carlo
Soricelli soricarlo49@gmail.com
IL REALE NUMERO
DI MORTI SUL LAVORO SENZA TRUCCHI
1° aprile.
Report morti sui luoghi di lavoro (escluso itinere e morti sulle strade che
sono almeno altrettanti ogni anno) nei primi tre mesi del 2018.
I morti sui
luoghi di lavoro sono stati 149, rispetto ai 133 dello stesso periodo del 2017
registriamo un aumento del 10,7% rispetto ai primi tre mesi del 2017.
I morti
schiacciati dal trattore sono stai ben 15 e con l’arrivo del bel tempo le
vittime provocate da questo mezzo aumenteranno spaventosamente.
Ci sono state
nel 2018 già due morti multiple: i Vigili del Fuoco di Catania e dei due
lavoratori nel Porto di Livorno.
Ce ne saranno
ancora: ogni anno sono dalle 4 alle 6 le morti per infortuni che coinvolgono
diversi lavoratori. Con 20 morti è il Veneto la Regione con più morti sul
lavoro, e questa Regione che ci dicono sia guidata bene è sempre ai vertici di
questa triste classifica, segue la Lombardia con 17, il Piemonte con 12,
Campania e Toscana con 10.
E’ Milano, con
8 morti la provincia con più morti sul lavoro, seguono due province venete,
Treviso e Verona con 7 morti.
Ho fondato
l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro il 1° gennaio 2008, a
seguito della tragedia della Thyssen-Krupp di Torino, dopo 40 anni di lavoro in
fabbrica, e non mi arrenderò fino a quando la vita di chi lavora non sarà
rispettata e protetta come una cosa preziosa, come dovrebbe essere in un Paese
civile.
L’indifferenza
vista in questi anni dalla politica e dalla classe dirigente italiana è stata
spaventosa. Le ultime elezioni politiche hanno dimostrato che non si può
truccare la realtà. E’ emerso con evidenza che chi lavora non si fa
infinocchiare dalle chiacchiere da chi, voleva far passare come conquiste leggi
porcate come il Jobs act e la Fornero, che contribuiscono a far aumentare i
morti sul lavoro: è stato devastante far svolgere lavori pericolosi a chi ha
acciacchi e riflessi poco pronti dovuti all’età, togliendogli il diritto di
andare in pensione.
Il Jobs Act che
ha abolito l’articolo 18 per tutti i nuovi assunti, è la forma di precariato
più umiliante: la democrazia non si può fermare davanti alla soglia di un luogo
di lavoro. Posso affermare, senza temere smentite, visto che i morti sui luoghi
di lavoro (escluso itinere) sono per il 95% dove non esiste l’articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori.
Soluzioni?
Lasciare andare in pensione chi svolge lavori pericolosi, far lavorare in tarda
età solo chi se la sente. Ripristinare l’articolo 18 per tutti, anche a chi ne
è stato sempre privo. Chi lavora ha il diritto di rifiutarsi di svolgere un
lavoro pericoloso senza correre il rischio di essere licenziato? Si. Chi lavora
non ci sta più a fare l’utile idiota per chi poi legifera contro i suoi
interessi: è quello che è stato fatto in questi ultimi vent’anni.
Quelli come me
mica si arrendono, sono sannita di nascita: testardi abbiamo combattuto
duecento anni contro i romani per difendere la nostra libertà, mica ci
spaventano altri anni di impegno per cose giuste e civili. In più sono
cresciuto a Bologna, una città che è stata culla della sinistra in Italia e dei
diritti dei lavoratori per decenni.
Continueremo a
denunciare, chiunque governerà questo paese.
Grazie agli
oltre 10.000 visitatori del blog di questi ultimi giorni. E al 1.500.000 che
l’hanno visitato in questi anni.
Per
approfondimenti Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro:
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LIVORNO: BASTA
MORTI, BASTA SFRUTTAMENTO
Da Federazione
Anarchica Livornese t.antonelli@tin.it
Il deposito
costiero Neri, impianto di cui si prospetta un ulteriore ampliamento, è
composto di numerosi serbatoi (l’esplosione è avvenuta nel n. 62), soggetti a
frequenti cambi dei prodotti stoccati e questi cambiamenti comportano una serie
di manovre ad alto rischio perché i prodotti sono altamente infiammabili,
esplosivi, etc.
Questo deposito
è in una zona dove ci sono altre attività industriali ad alto rischio, vicino a
una
raffineria e in
una zona di passaggio anche per i cittadini, che soprattutto nella stagione
estiva, si recano al mare.
Qui non è in
ballo solo la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, ma la sicurezza di
un’intera area della città di Livorno. Questo è un segnale che va colto.
Non sappiamo
ancora le precise cause di questa esplosione ma comunque ogni incidente sul
lavoro accade perché non si spende sulla prevenzione a vantaggio del profitto.
Spesso si sente dire che va ridotto il costo del lavoro, e quei risparmi
vengono fatti scommettendo sulla vita delle lavoratrici e dei lavoratori.
Con il ricatto
della disoccupazione i padroni, i proprietari dei mezzi di produzione,
impongono alle lavoratrici e ai lavoratori condizioni da “nuovo schiavismo”,
mentre i risparmi sui costi della
sicurezza
ingrassano i profitti e i dividendi.
Intanto chi
chiede condizioni di lavoro più sicure, in porto e altrove, subisce
provvedimenti disciplinari, mentre i sindacati che non si piegano ad accettare
accordi capestro vengono emarginati, il tutto sotto l’occhio paterno
dell’Autorità Portuale.
Sappiamo bene
tutte e tutti che la richiesta di maggiori norme di sicurezza cade nel vuoto in
questa società, società capitalista il cui fine è il profitto individuale.
Una società in
cui la Confindustria, che applaude al proprio congresso gli assassini della
Thyssen-Krupp, si preoccupa della produttività e di maggiori margini di
profitto chiedendo nuovi finanziamenti statali, i ministri rilanciano il
messaggio, i politici mettono in programma con l’approvazione dei sindacati
“rappresentativi” e... i lavoratori muoiono.
Per una società
e una vita libera dallo sfruttamento.
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PASQUA NEL
SANGUE CON ALTRI DUE MORTI SUL LAVORO
Da Articolo 21 https://www.articolo21.org
Di Marco
Bazzoni - Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza
Oggi è Pasqua,
doveva essere un giorno di festa, di gioia, di divertimento, di speranza.
Purtroppo non lo è stato.
Stamani due
operai sono morti sul lavoro, alla ECB di Treviglio nel bergamasco.
L’esplosione dell’autoclave è stata loro fatale.
Oramai è uno
stillicidio quotidiano, che non conosce sosta (neppure nei giorni di festa).
L’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro parla già di 151
morti sul lavoro nei primi 3 mesi del 2018 (nei primi 3 mesi del 2017 erano
133).
Ho ascoltato i
TG e da quello che dicono questa ECB era un’azienda sicura.
E allora perché
questi 2 operai sono morti? L’azienda oggi era chiusa per la festività
Pasquale. E allora perché quei due operai erano lì a lavorare?
Anche la
Labromare di Livorno, dicevano, era sicura, eppure il 28 marzo altri 2 operai
sono morti per l’esplosione di un serbatoio.
C’è qualcosa
che non va, queste morti sul lavoro accadono troppo spesso, e non ci credo che
ci sia tutta questa sicurezza sul lavoro in Italia.
Quando accadono
questi drammi è perché in quelle aziende non si rispettavano neanche le minime
norme per la sicurezza sul lavoro.
E nel 2018
ancora le chiamano “morti bianche”, un termine ipocrita, che mi fa rizzare quei
pochi capelli che mi sono rimasti. Un termine assurdo, che andrebbe abolito,
perché è un insulto ai familiari e alle vittime sul lavoro.
La sicurezza sul
lavoro è un tema che deve tornare centrale. E la politica deve tornare a
occuparsene come si deve. Di fronte a queste tragedie non vedo quasi più
nessuno indignarsi, se non i soliti, cioè gli “addetti al lavoro”, cioè chi di
sicurezza sul lavoro se ne occupa tutti i giorni.
La sicurezza
sul lavoro dovrebbe essere al primo posto nell’agenda politica del governo. Vi
pare che questo stia accadendo in Italia?
Come si può
sperare che le morti sul lavoro calino quando con il Jobs Act e la
cancellazione dell’articolo 18 si è precarizzato ancora di più il lavoro?
Il Jobs Act è
costato alle casse dello Stato Italiano 20 miliardi di euro e non ha portato
posto di lavoro.
Le chiamano
“morti bianche”, fanno clamore, giusto il tempo di una prima pagina. Poi le
vittime e le loro famiglie finiscono spesso nel dimenticatoio.
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LIVORNO: DUE
OMICIDI SUL LAVORO PER IL MANCATO RISPETTO DELLA NORMATIVA SULLE ATMOSFERE
ESPLOSIVE
Da Medicina
Democratica https://www.medicinademocratica.org
Poteva esserci
un effetto domino, il sindacato indica uno sciopero
Oggi al porto
di Livorno si è verificata un’esplosione in un serbatoio della zona in cui
vengono stoccati vari materiali combustibili o esplosivi. Due sono gli operai
rimasti uccisi nell’esplosione: Nunzio Viola, e Lorenzo Mazzoni, dipendenti
della Labromare, una ditta specializzata nelle bonifiche, che lavorava in
appalto alla ditta società Neri.
La Repubblica,
edizione di Firenze, fornisce una prima ipotesi di quanto accaduto: “Secondo
una prima ricostruzione i due operai stavano effettuando lavori di
manutenzione. Il serbatoio interessato dallo scoppio si trova all’interno del
deposito costiero della società Neri e conteneva acetato di etile, una sostanza
molto infiammabile. [...] Forse l’esplosione può essere stata causata da una
sacca di gas formatasi all’interno della cisterna stessa”.
Oltre al dolore
e alla rabbia non si può che rimanere sgomenti dall’accaduto.
Come è
possibile che in Italia ogni giorno muoiano 4 lavoratori a causa di quelli che
di fatto sono omicidi sul lavoro?
Eppure in
Italia esistono norme ben precise per la sicurezza in generale e per le
lavorazioni all’interno di serbatoi in particolare.
Il D.Lgs. 81/08
(legge penale) definisce obblighi sanzionabili ben precisi sulla gestione delle
attività lavorative e impone al datore di lavoro di definire procedure di
lavoro in sicurezza.
Il committente
deve informare la ditta appaltata dei rischi che incontrerà nei luoghi di
lavoro in cui andrà ad operare.
Per attività
all’interno dei cosiddetti “spazi confinati”, come quello in cui è avvenuto
l’incidente devono essere adottate specifiche accortezze tecniche per evitare
infortuni per intossicazione o asfissia o incendi ed esplosioni.
Inoltre il
D.P.R. 177/11, che richiama il D.Lgs. 81/08, impone norme procedurali per le
attività all’interno degli spazi confinati, specifiche abilitazioni per le
ditte incaricate di tali attività e specifica formazione e addestramento per i
loro lavoratori.
In attesa degli
accertamenti che verranno eseguiti dalle autorità competenti, bisogna chiedersi
allora:
-
la ditta Labromare era regolarmente
abilitata all’esecuzione di lavori all’interno degli spazi confinati?
-
i lavoratori della ditta Labromare erano
stati adeguatamente formati e addestrati per questo tipo di lavoro?
-
sono state eseguite tutte le procedure per
lavori in spazi confinati (in questo caso, in particolare, la verifica con
idonea strumentazione dell’avvenuta bonifica da sostanze pericolose del
serbatoio?
-
è stata fatta una valutazione specifica
dei rischi da atmosfere esplosive all’interno del serbatoio?
-
i lavoratori della ditta Labromare erano
dotati di attrezzature e di dispositivi di protezione individuali adeguati ai
rischi presenti del serbatoio?
-
la ditta Neri ha verificato in maniera
adeguata l’idoneità tecnico professionale della ditta Labromare?
-
la ditta Neri ha fornito informazioni
specifiche e dettagliate dei rischi presenti negli ambienti di lavoro in cui la
ditta Labromare doveva eseguire le proprie lavorazioni?
A una o più di
queste domande la risposta sarà sicuramente negativa.
Ancora una
volta non si può parlare di tragica fatalità.
In ogni
infortunio sul lavoro esiste sempre un nesso causale tra omissione di obblighi
legislativi sulla sicurezza e infortunio stesso.
Ma la domanda
fondamentale è: perché tutti i giorni abbiamo a che fare con omissioni di
questi obblighi e quindi con infortuni mortali?
Le leggi e le
norme tecniche ci sono e se applicate regolarmente ridurrebbero a livelli
bassissimi le possibilità di infortunio. Allora perché non si applicano?
Per il semplice
motivo che questi adempimenti hanno un costo e il profitto dei padroni è
enormemente più importante della vita dei lavoratori.
Ma ricordiamoci
anche, al di là della rilevanza mediatica che viene data alla notizia, che
quella di oggi è una realtà che si ripete tutti i giorni.
Inoltre, dato
il contesto (molti altri serbatoi accanto a quello coinvolto) poteva esserci un
effetto domino, magari un’esplosione a catena, causando altre vittime: il
sindacato indica uno sciopero di protesta, a sottolineare l’estrema necessità
di mettere molta più attenzione agli aspetti della sicurezza e alla diminuzione
strutturale del rischio del porto e delle aziende livornesi (ricordiamo i
precedenti disastri alla raffineria ENI nel 1986 e nel 1995 e all’Italso),
anche costringendo aziende ed istituzioni a muoversi.
Marco Spezia e
Maurizio Marchi
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ANCORA MORTI SUL
LAVORO, MA NON E’ FATALITA’!
Da USB Firenze http://firenze.usb.it
Le cronache di
questi giorni riportano in evidenza un fenomeno molto diffuso, ma sempre
oscurato dai mezzi di informazione le morti sul lavoro. Tre morti in Toscana,
due a Livorno e uno ad Arezzo, uno in Emilia, poi ancora due a Catania e infine
due nel giorno di Pasqua in Lombardia. Uno stillicidio che colpisce il mondo
del lavoro da nord a sud, caduti nel settore privato e anche in quello pubblico
(due Vigili del Fuoco).
Dall’inizio del
2018 sono cadute sul lavoro 151 persone con una media di 1,67 al giorno con un
incremento dell’11% rispetto all’anno precedente, un numero esorbitante che
denota una scarsa applicazione delle norme vigenti in materia di sicurezza e
che di fatto trasforma il lavoro in un campo di battaglia. Da una parte il
profitto “che conta”, dall’altra il valore della vita umana “che conta ogni
giorno sempre meno”.
Eppure nel
nostro paese esiste una legge la 81/08 “Testo unico sulla salute e sicurezza
sul lavoro” che per altro sarebbe una “buona legge”, ma poi come sempre accade
non si creano gli strumenti idonei per vigilare sulla sua applicazione. E poi
c’è la crisi e allora con la spending rewiew si tagliano, per economicizzare la
spesa, i soggetti preposti al sistema ispettivo e allora il sistema di
protezione resta solo sulla carta, si tagliano le spese sulla sicurezza sul
lavoro (cosa interessa a loro del lavoro e delle vite di chi lavora?), ma non
si tagliano certo le spese inutili.
E poi si varano
leggi, a partire dalla Fornero, che hanno fatto crescere a dismisura le morti e
gli infortuni fra gli ultra sessantenni, perché volenti o nolenti a una certa
età non è più consigliabile svolgere certi lavori, anche se poi per vivere uno
è costretto a farli. Stesso discorso vale per il Jobs Act che ha precarizzato
ulteriormente il lavoro, rendendo la licenziabilità del lavoratore estremamente
facile e senza appello, rendendo i lavoratori ulteriormente ricattabili e
quindi quasi impossibilitati a opporsi a svolgere un’attività potenzialmente
pericolosa. Come scordare poi che oltre il 20% dei morti sul lavoro ha oltre 61
anni!
Se poi si
osservano i dati forniti dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, se ne evince
che sul totale dei controlli effettuati sono state verificate irregolarità in
oltre il 60% dei casi e allora con una diffusione così ampia di “evasione” come
meravigliarsi per quanto continua ad accadere.
Certo per i
datori di lavoro è più “conveniente” ed “economico” pagare una sanzione che
mettere in totale sicurezza un luogo di lavoro.
Ma se in un
“paese normale”, il valore della vita di un lavoratore dovrebbe essere
superiore a quello delle merci che manipola o che produce, da noi invece il
concetto viene letto al contrario, per cui quando cade un lavoratore basta fare
a gara a battersi il petto, politici in testa!
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LIVORNO: BASTA
OMICIDI SUL LAVORO!
Da Potere al
Popolo https://poterealpopolo.org
Potere al
Popolo Livorno è vicina ai familiari e agli amici di Lorenzo e Nunzio, i due
lavoratori della Labromare, morti nell’esplosione avvenuta al Deposito Costiero
Neri.
Pochi giorni fa
avevamo evidenziato la controtendenza rispetto al resto della Toscana, degli
infortuni, mortali e non, che avvengono nella città di Livorno. 6 furono i
morti nel 2013, ben 11 nel 2016. In calo invece nel resto della regione.
Non si può non
fare subito un accostamento tra la crisi della nostra provincia e gli infortuni
in aumento. Dove la crisi picchia duro, probabilmente c’è un’inevitabile
ricerca del profitto da parte dei datori di lavoro, e una paura della perdita
del posto da parte dei lavoratori stessi. Costretti quindi a obbedire a
straordinari, turni massacranti, contratti e livelli con mansioni diverse
rispetto a quelle praticate e molto altro.
Questa è la
situazione che spesso riscontriamo nella nostra provincia e nella nostra città
e i numeri lo fanno capire.
Per quanto
riguarda lo specifico caso del Porto di Livorno gli incidenti mortali sono
innumerevoli negli ultimi anni: Dasonor morto nel 2010, Priscillano investito
nel marzo di 3 anni fa, e Gabriele morto sulla nave Urania in bacino soltanto 5
mesi più tardi. Molte furono le promesse di un aumento della sicurezza, rimaste
vane. Le leggi sulla sicurezza del lavoro in un periodo di crisi devono essere
ancora più severe, mentre in questi anni i vari governi le hanno allentate,
oltretutto “lasciando morire” il sistema di controllo.
La questione
della sicurezza deve uscire dalla ritualità! La “cultura della sicurezza” è un
approccio che scarica sottilmente anche sui lavoratori le responsabilità. Se un
“errore umano” rischia di costare la vita a sé stesso e/o ad altre persone,
vuol dire che va rivisto in toto il “sistema sicurezza” di quell’azienda o di
quel luogo di lavoro.
Potere al
Popolo Livorno
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ANCORA DUE
OMICIDI IN FABBRICA, ANCORA MANCATO RISPETTO DELLE NORME
Da Medicina
Democratica https://www.medicinademocratica.org
Anche a Pasqua
il non rispetto della normativa di sicurezza sul lavoro miete morti tra i
lavoratori.
Alla ECB di
Treviglio sono stati uccisi Giuseppe Legnano e Giambattista Gatti.
Le informazioni
parlano di un intervento presso l’azienda, non operativa, per la segnalazione
di cittadini per maleodoranze e la esplosione di una autoclave utilizzata per
“cuocere” sottoprodotti animali per la produzione di cibo per animali.
Dunque:
a) si verifica
una sovrapressione dell’autoclave (in attività pur senza lavoratori??!!) che
determina un rilascio da uno dei sistemi di emergenza che gli impianti a
pressione devono avere (da qui gli odori sentiti dai residenti, problema
frequente per molte aziende di trasformazione di sottoprodotti animali e in
genere di grassi animali);
b) i lavoratori
intervengono e durante l’intervento si verifica una ulteriore sovrapressione
che determina l’esplosione dell’autoclave.
Non occorre
essere dei tecnici laureati per individuare dove svolgere gli accertamenti
tenendo conto che la normativa su tali impianti è molto precisa, e in
particolare:
1) impone
“macchine” a pressione dotate di tutte le sicurezze proprio per evitare le
sovrapressione;
2) obbliga a
manutenzioni e verifiche periodiche (queste ultimi da parte di ASL/INAIL)
stringenti per mantenere gli impianti in sicurezza;
3) non permette
certamente che gli impianti siano eserciti “in automatico” senza lavoratori.
Dopo i morti di
Livorno (certamente per un problema di formazione di atmosfere esplosive non
correttamente prevenute/gestite) ci troviamo di fronte ad un altro capitolo che
richiama un altro aspetto importante ben presente e ben codificato nella
normativa sulla sicurezza sul lavoro dagli anni ‘50: gli impianti a pressione.
Condizioni
prevedibili, morti prevenibili.
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DUE OPERAI
MORTI A CROTONE: E’ QUESTO IL VERO “TERRORISMO”
Da Contropiano http://contropiano.org
Finiscono sui
media solo se muoiono almeno in due, altrimenti se ne accorgono solo i
familiari.
L’ennesimo
“incidente sul lavoro” è avvenuto stamattina a Crotone, in Calabria, e ha
coinvolto diversi operai in un cantiere edile.
Due di loro (un
italiano e un ucraino) sono stati estratti ormai morti dalle macerie di un muro
di contenimento crollato all’improvviso. Un altro è rimasto ferito in modo
molto grave ed è ora ricoverato in ospedale.
La ditta per
cui lavoravano è incaricata della ristrutturazione e il prolungamento del
lungomare verso Capo Colonna.
Con quelle di
oggi salgono a 154 le vittime sul lavoro dal 1 gennaio di quest’anno.
Una cifra
superiore a quella registrata nello stesso periodo dello scorso anno, il che
dimostra come la strage di diritti e regole sul mercato del lavoro abbia avuto
come conseguenza anche la diminuzione delle misure di sicurezza (per “ridurre i
costi”) e della capacità dei lavoratori di farle rispettare.
Ah,
dimenticavamo. Nello stesso periodo le vittime del terribile “terrorismo” sono
state zero. Esattamente come in tutto lo scorso anno.
Forse sarebbe
ora, per noi che andiamo a lavorare tutti i giorni, di cominciare a
preoccuparci dei pericoli veri.
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INFORTUNI,
SENZA REGOLE PAGA IL LAVORO
Da Rassegna.it http://www.rassegna.it
“Con la ripresa
dell’attività produttiva si è ricominciato a morire sul lavoro. Riparte il
motore dell’economia e della produzione e ripartono gli infortuni, soprattutto
quelli mortali. Questo significa che non vi è una ripresa che porta con sé
significativi elementi di qualità e innovazione”. Lo ha detto Franco Martini,
segretario nazionale CGIL, ai microfoni di RadioArticolo1, commentando il
drammatico incremento di morti sul lavoro degli ultimi giorni.
L’incidente più
recente, quello avvenuto a Crotone, “conferma che le causali che si registrano,
soprattutto nei settori più esposti come appunto quello dell’edilizia, sono le
stesse identiche che oramai da decenni segnano la dinamica di questi
infortuni”, ha detto Martini nel corso del programma ItaliaParla.
“Siamo di
fronte a una ripresa dell’attività economica e produttiva che non avviene con
la priorità dell’investimento sulla qualità del fattore lavoro e quindi sulla
qualità del lavoro umano, ed è una grande contraddizione nel momento in cui
parliamo delle profonde trasformazioni tecnologiche, dall’intelligenza
artificiale alla robotica. E’ veramente drammatico vivere queste
contraddizioni: il fatto che si trascini il vecchio modo di lavorare e il fatto
che siamo ancora impreparati e indifesi a governare quelle che saranno le
implicazioni sulla salute del nuovo modo di lavorare”.
“Nel dibattito
che soprattutto in questi ultimi giorni si è sviluppato ricorre frequentemente
il concetto di cultura della sicurezza, cioè è innanzitutto un problema
culturale, e questo è vero. Ma la cultura della sicurezza non è che l’altra
faccia di una medaglia che riguarda la cultura dell’impresa e la cultura del
lavoro” - prosegue Martini.
“Le politiche
condotte in tutti questi anni, sia da parte delle imprese che da parte dei
governi, hanno svalorizzato il lavoro e incentivato tipologie contrattuali di
breve durata. Sono esplosi i contratti a termine, ed è del tutto evidente che
la precarietà non è il terreno più idoneo per l’investimento formativo. Per
quale motivo un’impresa dovrebbe investire sulla formazione, oltre l’obbligo
naturalmente, se non vi fosse l’interesse alla stabilizzazione occupazionale?
Se dobbiamo assumere la cultura della sicurezza come il tracciato di rotta
fondamentale per lo sviluppo del Paese, dobbiamo parlare di cultura
dell’impresa e di cultura del lavoro. E’ vero, c’è bisogno di implementare
l’investimento formativo, ma solo a condizione che sia scelta in maniera
irreversibile la via della competizione alta, perché se si pensa di
riagganciare la ripresa alla vecchia maniera noi non faremo altro che
arricchire questo triste pallottoliere che è il numero dei morti sul lavoro,
dei feriti, degli infortunati, per non parlare addirittura delle malattie
professionali”.
C’è poi il tema
che attiene ai controlli, allo smantellamento delle centrali che dovrebbero
presidiare la sicurezza sul lavoro, al calo delle risorse a disposizione di
ASL, INAIL e Ministero del Lavoro.
“Al riguardo” -
precisa Martini - “le leggi per la sicurezza nei luoghi di lavoro ci sono.
Certo ogni legge può essere perfezionata e migliorata, ma intanto quelle che
abbiamo nel nostro Paese sono positive. Purtroppo l’Italia è uno degli ultimi
Paesi a non aver ancora adottato una propria strategia nazionale, perché una
strategia per la sicurezza non può che essere una politica interdisciplinare
che mette insieme i vari ingranaggi del governo dello sviluppo e quindi anche
della parte pubblica e delle parti sociali”.
“Ciò detto, è
evidente che se le leggi già esistenti sono comunque importanti, vanno fatte
rispettare. E qui viene fuori un problema: il definanziamento del Servizio
Sanitario Nazionale, dove il tema della prevenzione, che era uno dei cavalli di
battaglia delle grandi riforme sanitarie che abbiamo fatto, è oramai ridotto al
lumicino nelle spese di quasi tutte le regioni. Assistiamo inoltre
all’indebolimento, se non al vero e proprio smantellamento, di organi che
avevano funzioni ispettive, quindi di controllo. E’ chiaro che se indeboliamo
l’esercito che deve controllare il rispetto delle leggi, non facciamo altro che
incentivare un disinteresse e una fuga dagli obblighi che impongono le leggi
stesse. Non c’è ombra di dubbio” - conclude Martini – “che, se non vogliamo
piangere lacrime di coccodrillo, dobbiamo ripensare la spesa nella direzione della
sicurezza sul lavoro, quella pubblica e quella privata, ma dobbiamo partire da
quella pubblica”.
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LA MATTANZA
IMPROPRIAMENTE DEFINITA “MORTI BIANCHE”
Delegati e lavoratori indipendenti Pisa http://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.it
Di Federico
Giusti
Una autentica
mattanza impropriamente definita “morti bianche”, non conosciamo altre parole
per denunciare la strage di lavoratori e lavoratrici. I mezzi di informazione
giocano un ruolo dirimente nell'occultare le morti sul lavoro relegandole a
fatti di cronaca o catalogandone le cause come errori umani.
Uno stillicidio
che accomuna tutte le regioni d'Italia, colpisce indistintamente lavoratori
pubblici (Vigili del Fuoco) o del settore privato. Anche a volere rinchiudere
le morti sul lavoro dentro asettici dati statistici non riusciremmo
nell'intento, in media si registrano nei primi 100 giorni del 2018 ben 1,67
morti al giorno con incremento di oltre l'11% rispetto al 2017.
Le Regioni più
colpite sono quelle del Nord che registrano il maggior numero di impiegati e di
ore lavorate, Veneto, Lombardia e Piemonte, ma anche nel centro Italia non si
scherza (10 morti in Toscana) o nel Sud (11 in Campania).
Le statistiche
dell'INAIL sono parziali perchè innumerevoli infortuni e morti sul lavoro non
risultano tali, la consuetudine di non denunciare gli infortuni di piccola e
media entità è diffusa nel mondo del lavoro, le pressioni delle aziende
timorose di subire sanzioni e controlli sono spesso determinanti
Non si tratta
solo di una insufficiente (a dir poco) applicazione delle norme vigenti in
materia di sicurezza. Fin dalla sua approvazione, il Testo Unico sulla
sicurezza ha subito attacchi delle aziende e in Parlamento miranti a contenere
le sanzioni a carico delle aziende inadempienti e a ridurre il penale a favore
di semplici multe.
In Italia si è
operato in ambito legislativo per ridurre il sistema dei controlli, per anni
abbiamo denunciato l'assenza di Ispettori nei cantieri. Il problema non può
essere ridotto alla semplice osservanza di regole e normative, le ragioni del
profitto hanno prevalso nell'ignavia e nel disinteresse degli stessi sindacati.
Esistono
accordi e protocolli che vedono protagonisti sindacati, aziende e istituzioni
locali, accordi disattesi e destinati a rimanere lettere morta, protocolli
fatti di chiacchere perchè lo stato e le autorità competenti in materia di
salute, prevenzione e sicurezza hanno abdicato alle imprese.
L'ingresso
nella UE non è stato determinante, anzi spesso sono proprio le regole europee
ad avere creato una attenzione formale che magari produce delle leggi
accettabili che poi vengono, pezzo dopo pezzo, smontate e addomesticate. Troppi
vincoli alle imprese vengono ritenuti negativi per la crescita delle stesse, le
regole, quando esistono, sono facilmente aggirabili perchè i padroni possono
agire indisturbati.
Il sindacato
confederale non ha mai portato avanti istanze e lotte reali per la sicurezza
nei luoghi di lavoro, non basta ampliare l'elenco delle malattie professionali
riconosciute, esiste una interminabile trafila burocratica perchè il lavoratore
colpito possa raggiungere il sospirato riconoscimento, ancora più lunghi sono i
tempi per la corresponsione di un indennizzo.
Gli anni della
crisi hanno acuito il problema, si lavora precariamente e con appalti al ribasso
e le spese per la sicurezza rappresentano costi sempre più ridotti, del resto
l'obiettivo dei Governi è stato quello di alleggerire gli oneri a carico delle
imprese.
Le morti sul
lavoro sono un problema di classe: o si combattono oppure si fanno solo
chiacchere.
Ma per
combatterle non si può assecondare il lavoro gratuito, il Jobs Act, la
cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori o far finta di
opporsi quando non si convocano neppure degli scioperi.
La spending
rewiew (Ricordate l'uomo del Fondo Monetario Cottarelli? Quel Cottarelli che
viene invocato anche dai Grillini...) ha tagliato anche la spesa per gli
Ispettori senza i quali mancano le figure preposte al controllo effettivo dei
cantieri. Lavorare a ritmi insostenibili e allungare l'età lavorativa, questo
accade da anni e rappresenta una delle principali cause dell'aumento di
infortuni e di morti sul lavoro, aumentano infatti i casi di infortuni/morti di
over sessantenni.
E il sindacato?
A loro signori basta accordare un anticipo della pensione ampliando di poco le
categorie dei lavori usuranti che per altro escludono innumerevoli mansioni
pericolose. Ma anche quel anticipo è di pochi mesi e non incide più di tanto in
un mondo del lavoro all'insegna dello sfruttamento sempre più intensivo, il
logoramento psico-fisico è tangibili, basterebbe ricordare e documentare quanto
accade da anni negli stabilimenti della FCA
E infine la
inosservanza delle normative in materia di salute e sicurezza va di pari passo
con l'evasione, ossia con la presenza sempre più numerosa di lavori irregolari,
al nero o pagati solo per poche ore rispetto alla loro effettiva prestazione
lavorativa. Del resto con il voucher è stato possibile sottopagare la forza
lavoro, esentare le imprese dal pagamento di tante tasse ed aggirare le
normative di sicurezza, quel voucher che avrebbe dovuto essere cancellato ma
negli ultimi tempi sta tornando in altre vesti.
I datori di
lavoro hanno ottenuto quello che volevano, libertà di sfruttare e di licenziare
chi alza la testa e rivendica diritti, hanno ottenuto di scambiare un processo
penale con il pagamento di qualche sanzione. Il profitto ha vinto, ha assoldato
i sindacati nella folta schiera dei servi, i lavoratori e le lavoratrici morti
diventano oggetto di statistiche, occasione per qualche patetico discorso
istituzionale o articoli di cronaca.
Noi non
vogliamo adattarci a questo stato di cose, il solo modo che conosciamo per
difendere la dignità e i salari dei lavoratori è quello di intraprendere
percorsi conflittuali: senza lotta, senza far male ai padroni non si tutelano i
lavoratori, la loro stessa salute e sicurezza.
Non può esserci
consociativismo e accordo istituzionale con i responsabili della mattanza.
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MORTI E PRODUTTIVITA’, ROVESCIARE IL RAGIONAMENTO
Da Controlacrisi http://www.controlacrisi.org
di Federico Giusti
La mattanza continua, le statistiche degli infortuni e delle morti, delle
malattie professionali contratte nei luoghi di lavoro andrebbero aggiornate di
giorno in giorno. 1,67 morti al giorno, è questa la percentuale stando alle
statistiche ufficiali che poi in fatto di salute e sicurezza sono sottostimate.
Non si tratta di applicare normative di legge perché queste normative
sono facilmente aggirabili e chi dovrebbe vigilare (gli Ispettori ASL) sono in
numero insufficiente da anni, anzi hanno organici così risibili da effettuare
ormai solo controlli a campione.
La lotta contro il lavoro, e a solo vantaggio del capitale, è stata
sostenuta con tenacia negli ultimi 30 anni, lustri nei quali ogni legge
approvata, ogni accordo sindacale sottoscritto, è andato nella direzione
auspicata dai padroni.
Il Jobs act, la revisione Fornero dell'articolo 18, il voucher, il lavoro
gratuito non hanno prodotto occupazione stabile anni i contratti a tempo
determinato continuano a imperversare, cresce l'interinale e nel frattempo i
morti e gli infortuni sui luoghi di lavoro continuano imperterriti, la notizia
è relegata alla cronaca locale di qualche giornale per poi scomparire.
I processi poi sono così lunghi e tortuosi che in molti casi arriva la
prescrizione invece della condanna a carico del datore di lavoro inadempiente.
Ma spesso a essere condannati sono gli anelli deboli della filiera della
sicurezza, i meri esecutori di ordini e non chi ha deciso gli appalti/lavori al
ribasso e la inosservanza effettiva delle normative.
La precarietà contrattuale e salariale va allora di pari passo con gli
infortuni, le malattie e le morti sul lavoro, non si combatte la mattanza se
cediamo a logiche confindustriali come accaduto con l'accordo sulla
rappresentanza (gennaio 2014), sui salari (2018) per non parlare poi del
diritto di sciopero e dei contratti nazionali siglati negli ultimi due anni che
scambiano aumenti salariali con i bonus e misure di previdenza e sanità
integrativa.
Aborriamo l'ipocrita cordoglio istituzionale e le lacrime di coccodrillo
ai funerali, non serve qualche sciopero rituale, ma invertire la marcia giorno
dopo giorno, ripristinare e rafforzare non solo le sanzioni, ma le pene e i
processi penali, le interdizioni, a carico dei veri responsabili delle morti e
degli infortuni, evitiamo di abbassare i costi degli appalti perché la salute e
la sicurezza non sono optional o variabili dipendenti da sacrificare
sull'altare della crisi.
Chi ha inquinato per anni in Italia dovrebbe essere colpito con la
requisizione e la nazionalizzazione delle sue proprietà, esistono decine di
siti da anni inquinati a costituire una minaccia non solo per l'ambiente, ma
per la nostra salute e sicurezza (ci sentiamo minacciati dai problemi reali e
non dalla presenza di migranti). Invece di pagare gli interessi del debito (ai
quali viene indirizzata gran parte della ricchezza prodotta) dovremmo
utilizzare i soldi per le bonifiche.
E a partire da queste elementari considerazioni (che tuttavia
determinerebbero una catarsi sindacale all'insegna del conflitto), ci
colleghiamo al mantra della produttività, luoghi comuni declinati ogni giorno
come pietre miliari di una campagna martellante a solo vantaggio degli
interessi capitalistici
Il tracollo finanziario del 2007-2008 è ancora oggi analizzato solo dal
punto di vista del calo produttivo e occupazionale, tanto da far parlare di una
seconda Grande Depressione dopo quella dell'ormai lontano 1929. Ma quella
depressione venne documentata da intellettuali comunisti (e per questo partì
contro di loro una feroce caccia alle streghe) che ne evidenziarono i disastri
sociali, la crisi del 2007/8, eccezion fatta per poche e isolate voci, è stata
riletta solo dal punto di vista capitalistico omettendo la devastazione sociale
che ha colpito le classi meno abbienti, quanti sono stati ridotti sul lastrico,
cacciati di casa, senza un lavoro o un reddito.
Il reddito nazionale raggiunse il suo apice nel 2006, tre anni dopo era
inferiore del 5%, nell'arco di 4/5 anni ha recuperato il gap e ormai da anni ha
superato la crisi. Al contrario, in Italia, sono serviti 10 anni per ritornare,
e superare di poco, i livelli ante crisi.
Il capitalismo USA ha superato in fretta le difficoltà quando nel 1929
furono necessari dieci anni e il ricorso neokeynesiano alla guerra.
Ma il parametro di confronto continua ad avvenire in termini errati, si
interpreta l'economia solo dal punto di vista della produttività del lavoro,
dimenticando gli investimenti statali, la spesa sociale, la spesa sanitaria e
per l'istruzione e il loro effetto benefico sulla crescita del PIL.
E' ormai consuetudine leggere i dati economici solo dal punto di vista
del capitale o per favorire, in Italia come nel resto dei paesi, politiche
fiscali a solo vantaggio delle imprese.
Non a caso, sempre negli USA, sotto accusa è la politica di Obama in
ambito sanitario, quella legge destinata alle cure di quanti ormai erano così
poveri da non potersi permettere una assicurazione sulla salute. La
produttività del lavoro elevata a mantra determinerà scelte ancora più radicali
in ambito liberista, contrazione dei salari e delle pensioni, riduzione dello
stato sociale e aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro.
Se vogliamo tutelare la nostra salute mentale, proviamo almeno a leggere
le dinamiche economiche e sociali in materia diametralmente opposta ai padroni
e ai loro lacchè. Basta parlare di produttività, di morti bianche,
ripristiniamo i termini giusti per descrivere la guerra del capitale contro i
lavoratori.
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