Riporto
a seguire il mio intervento all’assemblea di Medicina Democratica Sezione di
Livorno e val di Cecina, che si è tenuto a Rosignano Marittima (LI) il 7 aprile.
Ringrazio
ancora Maurizio Marchi per avermi coinvolto.
Marco
Spezia
UNA
CULTURA DI CLASSE CONTRO LE STRAGI SUL LAVORO
Innanzitutto
invito tutti a non parlare di infortuni mortali sul lavoro (come fanno invece i
media e i social), solo quando l’infortunio provoca “morti multiple” oppure è
“spettacolare” (esplosioni, incendi, spazi confinati, ecc.) e quindi fa “audience”.
Purtroppo
occorre parlarne e indignarsi tutti i giorni, poiché tutti i giorni, in media,
muoiono 4 lavoratori di infortunio sul lavoro. A tale proposito invito a
visitare la pagina internet dell’Osservatorio indipendente sui morti sul lavoro
di Bologna, curato da Carlo Soricelli, in cui vengono puntualmente e
quotidianamente riportati gli infortuni mortali.
E
4 morti per infortunio sul lavoro ogni giorno (e altrettanti di malattie
professionali), non sono certo emergenza, ma la triste normalità di una strage
quotidiana.
Ho
spiegato più volte le cause reali di questa mattanza, ma credo sia necessario
ripetermi un’altra volta.
Le
leggi sulla tutela della salute e della sicurezza ci sono, sono perfettibili,
ma ci sono e, almeno nell’immediato, non ne servono di nuove.
Il
Testo Unico (Decreto Legislativo 81 del 2008) è un corpo normativo completo,
accompagnato e integrato da altra legislazione su salute e sicurezza di
macchine, attrezzature e Dispositivi di Protezione Individuali (Direttiva
Macchine, Direttiva Bassa Tensione, Direttiva DPI, ecc.) e da normativa tecnica
numerosa ed esaustiva.
Come
tecnico che da 20 anni si occupa di prevenzione della salute e della sicurezza
dei lavoratori, mi sento di poter affermare che, se le leggi e le norme
tecniche fossero applicate integralmente, il numero di infortuni (mortali e non)
e di malattie professionali subirebbe una radicale diminuzione.
Il
vero problema non è la mancanza di norme e leggi, ma il fatto che quelle
esistenti non vengono applicate, se non in maniera del tutto formale, per avere
le “carte in regola”.
Norme
e leggi non vengono applicate dai padroni (quelli che eufemisticamente vengono
definiti “datori di lavoro” o “imprenditori”) per la perversa logica del
profitto a ogni costo (anche a costo della vita dei lavoratori) su cui è basata
l’economia capitalista. dall’800 a oggi.
Applicare
leggi e norme vuol dire affrontare dei costi (mettere a norma le macchine e i
luoghi di lavoro, applicare procedure che possono rallentare la produzione, fare
formazione e sorveglianza sanitaria, ecc.), costi che per i padroni sono
improduttivi e che diminuiscono quindi il margine di profitto. E il profitto è l’unica
cosa che conta nell’economia capitalista.
Ma
i padroni possono permettersi di non rispettare le leggi e le norme, nonostante
che facendo questo commettano un reato penale sanzionabile, perché sanno che
gli organi di vigilanza (ASL, Ispettorato del Lavoro, Vigili del Fuoco) non
hanno risorse sufficienti per eseguire controlli e ispezioni in tutte le
aziende (la media delle aziende controllate è del 3%). E questo per precisa
scelta politica di depotenziare gli organi di vigilanza stessi. Non parliamo
poi di ispezioni addomesticate e di ispettori collusi (vedi Thyssen Krupp).
Le
sanzioni penali e amministrative sono poi del tutto irrisorie e sproporzionate
rispetto alla gravità del mancato adempimento (morte o invalidità in moltissimi
casi). E anche questo per decisa volontà politica, in virtù della drastica
riduzione dell’apparato sanzionatorio del Testo Unico voluto nel 2009 dal
Governo Berlusconi.
Quando
poi da queste inadempienza ci scappa il morto, i padroni sono quasi sicuri di
farla franca. O l’assoluzione o la prescrizione sono la conclusione dei
processi per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Insomma, per questi
reati, in galera non ci va nessuno (salvo casi di rilevanza mediatica, come
quello della Thyssen Krupp, anche per la mobilitazione di lavoratori e
cittadini).
In
definitiva c’è una precisa volontà, a livello nazionale e locale, da parte
della classe politica e della magistratura asservite al potere economico
capitalista, di creare bellissime leggi di “facciata”, per poi di non farle
rispettare.
La
vera responsabilità delle morti sul lavoro, al di là dei soliti discorsi di
circostanza, è della nostra classe politica.
Ma,
pensiamoci bene. Siamo noi che eleggiamo questi politici che formano il
Parlamento, che definiscono il Governo, che influenzano le scelte dei Magistrati!
Abbiamo
perso completamente coscienza di classe, perché i valori di dignità, umanità
solidarietà sono stati sostituiti ad arte da quelli effimeri del consumo ad
ogni costo, anche a quello della propria vita.
Il
nostro pensiero è poi completamente omologato e asservito a quello che ci dice
la televisione di regime, i giornali di proprietà dei padroni, i media tramite
notizie false.
E
così si ripete all’infinito il tormentone del “produci, consuma, crepa”.
“Per
fermare la strage dei lavoratori occorre rendersi conto, prima di tutto, che
quella in atto non è solo lotta di classe, ma una vera e propria guerra di
classe, tra chi muore sul lavoro e chi si arricchisce del lavoro (cioè del
plusvalore) e della vita altrui”.
Occorre
pertanto diffondere non solo la cultura della sicurezza, ma di nuovo la cultura
di classe.
Occorre
tornare nelle fabbriche e nei cantieri, non solo per spiegare ai lavoratori
quali sono i loro diritti, ma anche cosa fare per farli rispettare.
Occorre
parlare ai Rappresentanti dei Lavorati per la Sicurezza e alle Organizzazioni
Sindacali sincere e dare loro il massimo sostegno.
Occorre
andare nelle scuole, perché gli studenti di oggi sono i lavoratori di domani (e
l’aberrazione della alternanza scuola-lavoro ce lo sta insegnando).
Il
resto, secondo me, sono soltanto discorsi... purtroppo.
Marco
Spezia
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