martedì 17 aprile 2018

15 aprile - Da Marco Spezia: UNA CULTURA DI CLASSE CONTRO LE STRAGI SUL LAVORO


Riporto a seguire il mio intervento all’assemblea di Medicina Democratica Sezione di Livorno e val di Cecina, che si è tenuto a Rosignano Marittima (LI) il 7 aprile.
Ringrazio ancora Maurizio Marchi per avermi coinvolto.
Marco Spezia

UNA CULTURA DI CLASSE CONTRO LE STRAGI SUL LAVORO
Innanzitutto invito tutti a non parlare di infortuni mortali sul lavoro (come fanno invece i media e i social), solo quando l’infortunio provoca “morti multiple” oppure è “spettacolare” (esplosioni, incendi, spazi confinati, ecc.) e quindi fa “audience”.
Purtroppo occorre parlarne e indignarsi tutti i giorni, poiché tutti i giorni, in media, muoiono 4 lavoratori di infortunio sul lavoro. A tale proposito invito a visitare la pagina internet dell’Osservatorio indipendente sui morti sul lavoro di Bologna, curato da Carlo Soricelli, in cui vengono puntualmente e quotidianamente riportati gli infortuni mortali.
E 4 morti per infortunio sul lavoro ogni giorno (e altrettanti di malattie professionali), non sono certo emergenza, ma la triste normalità di una strage quotidiana.
Ho spiegato più volte le cause reali di questa mattanza, ma credo sia necessario ripetermi un’altra volta.
Le leggi sulla tutela della salute e della sicurezza ci sono, sono perfettibili, ma ci sono e, almeno nell’immediato, non ne servono di nuove.

Il Testo Unico (Decreto Legislativo 81 del 2008) è un corpo normativo completo, accompagnato e integrato da altra legislazione su salute e sicurezza di macchine, attrezzature e Dispositivi di Protezione Individuali (Direttiva Macchine, Direttiva Bassa Tensione, Direttiva DPI, ecc.) e da normativa tecnica numerosa ed esaustiva.
Come tecnico che da 20 anni si occupa di prevenzione della salute e della sicurezza dei lavoratori, mi sento di poter affermare che, se le leggi e le norme tecniche fossero applicate integralmente, il numero di infortuni (mortali e non) e di malattie professionali subirebbe una radicale diminuzione.
Il vero problema non è la mancanza di norme e leggi, ma il fatto che quelle esistenti non vengono applicate, se non in maniera del tutto formale, per avere le “carte in regola”.
Norme e leggi non vengono applicate dai padroni (quelli che eufemisticamente vengono definiti “datori di lavoro” o “imprenditori”) per la perversa logica del profitto a ogni costo (anche a costo della vita dei lavoratori) su cui è basata l’economia capitalista. dall’800 a oggi.
Applicare leggi e norme vuol dire affrontare dei costi (mettere a norma le macchine e i luoghi di lavoro, applicare procedure che possono rallentare la produzione, fare formazione e sorveglianza sanitaria, ecc.), costi che per i padroni sono improduttivi e che diminuiscono quindi il margine di profitto. E il profitto è l’unica cosa che conta nell’economia capitalista.
Ma i padroni possono permettersi di non rispettare le leggi e le norme, nonostante che facendo questo commettano un reato penale sanzionabile, perché sanno che gli organi di vigilanza (ASL, Ispettorato del Lavoro, Vigili del Fuoco) non hanno risorse sufficienti per eseguire controlli e ispezioni in tutte le aziende (la media delle aziende controllate è del 3%). E questo per precisa scelta politica di depotenziare gli organi di vigilanza stessi. Non parliamo poi di ispezioni addomesticate e di ispettori collusi (vedi Thyssen Krupp).
Le sanzioni penali e amministrative sono poi del tutto irrisorie e sproporzionate rispetto alla gravità del mancato adempimento (morte o invalidità in moltissimi casi). E anche questo per decisa volontà politica, in virtù della drastica riduzione dell’apparato sanzionatorio del Testo Unico voluto nel 2009 dal Governo Berlusconi.
Quando poi da queste inadempienza ci scappa il morto, i padroni sono quasi sicuri di farla franca. O l’assoluzione o la prescrizione sono la conclusione dei processi per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Insomma, per questi reati, in galera non ci va nessuno (salvo casi di rilevanza mediatica, come quello della Thyssen Krupp, anche per la mobilitazione di lavoratori e cittadini).
In definitiva c’è una precisa volontà, a livello nazionale e locale, da parte della classe politica e della magistratura asservite al potere economico capitalista, di creare bellissime leggi di “facciata”, per poi di non farle rispettare.
La vera responsabilità delle morti sul lavoro, al di là dei soliti discorsi di circostanza, è della nostra classe politica.
Ma, pensiamoci bene. Siamo noi che eleggiamo questi politici che formano il Parlamento, che definiscono il Governo, che influenzano le scelte dei Magistrati!
Abbiamo perso completamente coscienza di classe, perché i valori di dignità, umanità solidarietà sono stati sostituiti ad arte da quelli effimeri del consumo ad ogni costo, anche a quello della propria vita.
Il nostro pensiero è poi completamente omologato e asservito a quello che ci dice la televisione di regime, i giornali di proprietà dei padroni, i media tramite notizie false.
E così si ripete all’infinito il tormentone del “produci, consuma, crepa”.
“Per fermare la strage dei lavoratori occorre rendersi conto, prima di tutto, che quella in atto non è solo lotta di classe, ma una vera e propria guerra di classe, tra chi muore sul lavoro e chi si arricchisce del lavoro (cioè del plusvalore) e della vita altrui”.
Occorre pertanto diffondere non solo la cultura della sicurezza, ma di nuovo la cultura di classe.
Occorre tornare nelle fabbriche e nei cantieri, non solo per spiegare ai lavoratori quali sono i loro diritti, ma anche cosa fare per farli rispettare.
Occorre parlare ai Rappresentanti dei Lavorati per la Sicurezza e alle Organizzazioni Sindacali sincere e dare loro il massimo sostegno.
Occorre andare nelle scuole, perché gli studenti di oggi sono i lavoratori di domani (e l’aberrazione della alternanza scuola-lavoro ce lo sta insegnando).
Il resto, secondo me, sono soltanto discorsi... purtroppo.
Marco Spezia



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