martedì 2 luglio 2024

3 luglio - EX ILVA, dalla stampa, 2: Ex Ilva, perquisizioni Gdf: ipotesi di truffa in danno dello Stato, falsi dati su CO2 I NOMI DEGLI INDAGATI: C'È ANCHE LA MORSELLI

 

Francesco Casula

Riflettori sulla gestione di Acciaierie d'Italia. Presunta falsificazione di dati relativi alle emissioni di CO2 riconducibili alle attività di Adi 

 Mercoledì 03 Luglio 2024,

TARANTO - Perquisizione e sequestro di documenti. La Guardia di finanza di Bari è entrata poche ore fa nell'ex Ilva di Taranto su ordine della Procura ionica che sta indagando su una truffa ai danni dell'Unione Europea rispetto alla gestione delle quote di Co2 durante la gestione guidata da Lucia Morselli. L'inchiesta delle fiamme gialle, coordinate dal pubblico ministero Francesco Ciardo, è una parte dell'indagine che la procura sta portando avanti e che comprende le emissioni di benzene e l'esecuzione delle manutenzioni nello stabilimento siderurgico. Le perquisizioni vengono eseguite da finanzieri del comando provinciale di Bari nei confronti di 10 persone, amministratori, procuratori, dipendenti e collaboratori pro tempore di Acciaierie d’Italia S.p.A., società, attualmente in amministrazione straordinaria, che gestisce lo stabilimento ex Ilva di Taranto, indagati per il reato di truffa in danno dello Stato. L’inchiesta riguarda una presunta falsificazione di dati relativi alle emissioni di CO2 riconducibili alle attività di Adi s.p.a. e poste in essere in epoca precedente la sottoposizione della società alla procedura di amministrazione straordinaria.  Le perquisizioni vengono eseguite nelle province di Taranto, Bari, Milano, Monza-Brianza e Modena sulla base di un decreto di perquisizione personale e locale emesso dalla procura della Repubblica di Taranto. 

L’indagine riguarda il funzionamento del Sistema Europeo di Scambio di Quote di Emissione (Eu Ets), istituito dalla Direttiva 2003/87/CE (Direttiva Ets), che costituisce il principale strumento adottato dall’Unione Europea per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori in base al protocollo di Kyoto. Il sistema, precisano gli investigatori, si basa essenzialmente sul meccanismo del cosiddetto cap&trade che fissa un tetto massimo al livello complessivo delle emissioni consentite a tutti i soggetti vincolati, permettendo ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato diritti a emettere quote di CO2 secondo le loro necessità nel rispetto del limite stabilito. Il meccanismo ha lo scopo di mantenere alti i prezzi dei titoli per disincentivare la domanda e, pertanto, indurre le imprese europee ad inquinare meno. Secondo quanto accertato sinora nell’inchiesta, in relazione alla restituzione delle quote CO2 consumate nell’anno 2022 e all’assegnazione di quelle a titolo gratuito per l’anno 2023, Acciaierie d’Italia avrebbe attestato nel piano di monitoraggio e rendicontazione falsi quantitativi di consumi di materie prime (fossile, gas, ecc.), di prodotti finiti e semilavorati e relative giacenze, così alterando i parametri di riferimento («fattore di emissione» e «livello di attività»). Adi avrebbe inoltre dichiarato al registro Eu Ets (Sistema europeo di scambio di quote di emissione) un numero di quote CO2 inferiore a quello effettivamente emesso, inducendo in errore il comitato ministeriale, che perciò assegnava gratuitamente allo stabilimento ex Ilva di Taranto, per l’anno 2023, un ammontare di quote superiore a quello effettivamente spettante. In questo modo, secondo l’accusa, gli indagati avrebbero procurato un ingiusto profitto per ADI consistito, da un lato, in un risparmio di spesa, realizzato con la restituzione allo Stato (nello specifico, al Comitato ministeriale) di quote CO2 inferiori a quello che la società avrebbe dovuto restituire, dall’altro, nei maggiori ricavi determinati dal riconoscimento di quote di CO2 gratuite in misura eccedente con pari danno del mercato primario delle «aste pubbliche» dello Stato.


Nelle perquisizioni si cerca documentazione amministrativa e contabile per ricostruire le procedure esaminate per stabilire l'esatta quantificazione delle quote effettivamente spettanti. I NOMI DEGLI INDAGATI Nel registro degli indagati è finito il nome di Lucia Morselli, amministratrice delegata di AdI fino all’arrivo dei commissari. Ma non solo. Sotto accusa sono finiti anche il suo segretario, Carlo Kruger, Sabina Zani di PriceWaterCooper con l’incarico di consulente di Adi e poi Francesco Alterio, Adolfo Buffo e Paolo Fietta che hanno ricoperto gli incarichi di procuratori speciali di Adi, Vincenzo Dimastromatteo e Alessandro Labile entrambi per periodi differenti direttore dello stabilimento. E ancora Antonio Mura, anche lui procuratore di Adi con funzioni di Direttore Finanze Tesoreria e Dogane e infine il dipendente Felice Sassi. Codacons, falsi dati Co2 all'ex Ilva fatto gravissimo «Se confermati, si tratterebbe di illeciti gravissimi finalizzati a svendere ambiente e salute pubblica in nome del profitto». Così il Codacons commenta la notizia delle perquisizioni disposte dalla Procura della Repubblica di Taranto per l’ipotesi di false certificazioni relative ai dati su CO2 all’ex Ilva.
«Il Codacons si costituirà subito parte offesa nell’inchiesta della magistratura in rappresentanza dei cittadini tarantini e della collettività, sotto più fronti danneggiati dai reati per cui procede la Procura - spiega il presidente Carlo Rienzi - I soggetti che saranno ritenuti responsabili di illeciti circa le certificazioni ambientali saranno chiamati a risarcire i cittadini dei danni prodotti e dei rischi sanitari e ambientali provocati, e chiediamo che gli indagati siano sospesi con effetto immediato da cariche pubbliche o incarichi conferiti da enti pubblici e, nei casi più gravi, di valutare nei loro confronti la custodia cautelare in carcere». Urso, 'avevamo ragione a riprendere in mano ex Ilva' «Avevamo ragione a riprendere in mano l'ex Ilva con l’amministrazione straordinaria. Questo è l’unico commento che posso fare». Così il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, commenta le perquisizioni all’ex Ilva e l’inchiesta con 10 indagati sulle emissioni di CO2 riconducibili alle attività di Adi spa. Le reazioni dei sindacati «Le indagini che hanno portato oggi alle perquisizioni della guardia di finanza di Bari gettano nuove ombre sulla disastrosa gestione Mittal dell’ex Ilva. Noi abbiamo denunciato più volte la mancanza di trasparenza sull'utilizzo delle quote di Co2 e non solo, anche con una lettera aperta inviata alla presidenza del Consiglio e ai ministri competenti il 20 aprile 2023. Dopo più di un anno di mancate risposte, oltre al danno subiamo la beffa».
Lo dichiara Rocco Palombella, segretario generale Uilm. «I lavoratori - aggiunge - non possono continuare a pagare il prezzo più alto di una gestione fallimentare. Ci auguriamo che a partire da oggi si faccia piena luce sulle vicende che hanno portato l’ex Ilva all’amministrazione straordinaria, alla fermata quasi totale degli stabilimenti con una richiesta di 5.200 lavoratori di AdI As in cassa integrazione e migliaia dell’appalto». «Ci aspettiamo - conclude il segretario Uilm - la piena collaborazione di tutti coloro che sanno e che possono aiutare la magistratura a fare quell'operazione verità che chiediamo da anni». «Sulla vertenza ex Ilva si sono concentrati nel tempo diversi interessi speculativi che ci consegnano il più grande impianto siderurgico europeo in gravi condizioni e 20mila lavoratrici e lavoratori in situazione di incertezza e difficoltà insieme ai cittadini del territorio. Confidiamo che la magistratura faccia chiarezza, accerti le responsabilità. Occorre che il lavoro e l’ambiente tornino ad essere interessi centrali rispetto ai profitti. Quanto sta emergendo deve servire da monito per il futuro». Lo dichiara in una nota Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom Cgil.
«Prima - aggiunge - del 20 febbraio scorso, le organizzazioni sindacali, le lavoratrici e i lavoratori hanno lottato per mesi per il cambio della gestione che ha danneggiato Acciaierie d’Italia. Fino anche a chiedere, come previsto dalle normative, la salita del socio pubblico in maggioranza». Le motivazioni «che ci spinsero unitariamente - osserva Scarpa - a intraprendere quella lotta era lo stato di solitudine in cui versavano i lavoratori, il degrado industriale e ambientale in cui versava l’azienda. Preso atto della volontà del governo di passare all’amministrazione straordinaria, ribadimmo che uno dei compiti della gestione commissariale sarebbe dovuto essere l’accertamento della malagestione dell’azienda in tutte le sedi». Per il segretario Fiom «il ruolo pubblico nelle attività economiche non può essere solo quello di garantire i finanziamenti, ma anche di promozione industriale e occupazionale oltre che di controllo dell’operato complessivo finalizzato alla legalità nell’interesse del Paese. Il medesimo compito spettava e spetta anche alla gestione di Ilva in amministrazione straordinaria che deve garantire l’occupazione e la tutela dei salari». Il commento di Legambiente «Indipendentemente dagli esiti delle indagini, quello che è avvenuto ci conferma ancora una volta l’assoluta necessità di decarbonizzare lo stabilimento siderurgico di Taranto». E’ questa la posizione ribadita dalla presidente di Legambiente Puglia, Daniela Salzedo, e dalla presidente di Legambiente Taranto, Lunetta Franco, in merito all’ultima inchiesta della Procura di Taranto sulle quote di Co2. «Le indagini - aggiungono - sono ancora in corso, ma si spera possano fare piena luce sulla questione dell’aumento progressivo e costante delle emissioni di benzene e, più in generale, sulla gestione degli ultimi anni che ha destato non poche perplessità». Una produzione, sostengono Salzedo e Franco, "insostenibile quella dell’impianto tarantino, secondo l'associazione, non solo da un punto di vista ambientale, ma anche economico. Infatti, ricordiamo che le quote di Co2 dovranno essere acquistate e saranno progressivamente più costose, gravando sui costi di produzione, rendendo di fatto molto meno conveniente la produzione a ciclo integrale, come quella portata avanti da Acciaierie d’Italia». «Riteniamo dunque - proseguono le presidenti - che l’unica strada percorribile sia quella della decarbonizzazione, altrimenti lo stabilimento sarà destinato alla chiusura definitiva». La proposta avanzata da Legambiente Puglia, concludono, «è quindi quella di passare nel più breve tempo possibile, come più volte ribadito, ai forni elettrici, alimentati prima a gas, per poi passare definitivamente all’idrogeno. Un cambio di passo tecnologico che avrà di sicuro una ricaduta positiva anche in termini di emissioni dannose per la salute dei cittadini di Taranto»

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