venerdì 20 ottobre 2017

20 ottobre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 19/10/17



Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
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INDICE
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
Federazione Toscana PCARC federazionetoscana@gmail.com
SOLIDARIETA’ A MARCO LENZONI!
Giusti Federico giustifederico@libero.it
LA RETORICA DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
QUANTI SONO I LAVORATORI ITALIANI CHE MUOIONO DI KAROSHI?
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
PROCESSO FARSA CONTRO OPERATORI DELLA PREVENZIONE A FIRENZE
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
SI ALZA IL CORO DEGLI SCANDALIZZATI
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
HONEYWELL: LA BALLATA DEL PROFITTO CIECO
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
NON E’ LAVORO, E’ SFRUTTAMENTO
APPELLO PER L’ADESIONE AL FORUM INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E L’ACCESSO UNIVERSALE ALLE CURE
DICIAMO NO ALLA COMMERCIALIZZAZIONE DELLA SALUTE
ILVA, IL DRAMMA (ANNUNCIATO) DI TARANTO
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 02, 2017 12:43 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
DA VENEZIA I COMITATI DI DIVERSE CITTA’ PORTUALI RILANCIANO LA CAMPAGNA INTERNAZIONALE “FACCIAMO RESPIRARE IL MEDITERRANEO”
Lo scorso sabato e domenica nell’ambito delle due Giornate di “Mobilitazione Europea dei movimenti per la difesa dei territori per la giustizia ambientale e la democrazia” si è tenuto un workshop a palazzo Persico dove si sono incontrati per la prima volta i rappresentanti di diversi comitati ed associazioni che operano in alcune città portuali italiane che hanno già aderito alla campagna internazionale “Facciamo Respirare il Mediterraneo”.
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PERFLUOROALCHILI, L’EMERGENZA VENETA, IL CONFRONTO CON L’AVVOCATO BILLOT, LA CONOSCENZA E LA COSCIENZA POPOLARE
Riportiamo le impressioni di una partecipante all’incontro organizzato, tra gli altri, da Medicina Democratica a Lonigo sulla crisi ambientale dovuta ai decennali sversamenti di perfluoroalchili (PFOA, PFAS) dalla Miteni di Trissino.
La conoscenza va di pari passo alla coscienza popolare del problema e alle iniziative di lotta con cui, tra l’altro, premere nei confronti delle istituzioni politiche e sanitarie.
Un metodo da estendere ovunque.
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COME SI DISTRUGGE UN SERVIZIO DI PREVENZIONE: PROCESSO FARSA CONTRO OPERATORI DELLA PREVENZIONE A FIRENZE
Riportiamo il comunicato stampa a cura della Sezione di Medicina Democratica di Firenze sulla messa in discussione dell’operato dei tecnici e dei medici del servizio di prevenzione ASL nel periodo dei lavori per la TAV e il nuovo tracciato autostradale nel tracciato Bologna-Firenze.
Un attacco da respingere nettamente ancor più nel momento in cui gli infortuni aumentano e i politici, con lacrime da coccodrillo, lamentano controlli insufficienti e inadeguati
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PERFLUORALCHILI: CONTINUA LA MOBILITAZIONE POPOLARE IN VENETO
Dopo il successo della iniziativa, tra gli organizzatori Medicina Democratica di Vicenza, del primo ottobre a Lonigo con l’avvocato Billot, la manifestazione del 8 ottobre ha visto 10.000 persone chiedere la tutela della propria salute, delle falde sotterranee e dell’acqua potabile.
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NON UNA DI MENO: LE PROSSIME INIZIATIVE
Riportiamo il comunicato di Nonunadimeno sulle prossime iniziative, a Pisa sarà presente anche una rappresentanza di Medicina Democratica.
Non Una Di Meno: la marea sta tornando, non si fermerà (Comunicato del 29/09/2017 sul sito https://nonunadimeno.wordpress.com)
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NAVI D’AMIANTO: L’ESPOSIZIONE DEI MILITARI
Segnaliamo il testo di Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli nel quale si ricorda il ruolo di Medicina Democratica anche nei processi contro la Marina Militare condotti presso il Tribunale di Padova.
Di seguito una scheda del libro.
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RIFIUTI ZERO: INCONTRO DEI COMUNI E DELLE COMUNITA’ RIFIUTI ZERO
Segnaliamo l’incontro dei comuni e delle comunità rifiuti zero che si terrà a Campi Bisenzio (FI) dal 27 al 29 ottobre.
Tutti invitati e tutti protagonisti per una gestione dei rifiuti (delle merci !!!) corretta nell’ambito di una economia circolare, senza inceneritori e senza discariche.
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SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 287 DEL 13/10/17
INDICE
Cambio di mansione e obblighi relativi a salute e sicurezza
Le giornate sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
Infortuni sul lavoro: dal 12 ottobre obbligo di segnalare anche quelli di un giorno
Invecchiamento e lavoro: un nuovo strumento per gli operatori
Ancora sugli infortuni per interferenze nei luoghi di lavoro
Infortuni con cavedi e bocche di lupo
Lucernari non sicuri
Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
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AMIANTO: MORTI OPERAIE SENZA RESPONSABILI
Sara Riboldi, giornalista in testate locali della provincia di Milano ha fatto il punto e commentato le recenti sentenze, per lo più assolutorie, riguardanti la responsabilità di lavoratori esposti e deceduti a causa dell’amianto (Breda, Enel Turbigo, Alfa Romeo, Fibronit, ecc.) ove Medicina Democratica è parte civile a sostegno delle vittime e per ottenere giustizia.
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Forum di discussione per contattarci discutere e proporre argomenti:
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From: Federazione Toscana PCARC federazionetoscana@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, October 04, 2017 3:13 PM
Subject: SOLIDARIETA’ A MARCO LENZONI!
SOLIDARIETA’ A MARCO LENZONI!
L’UNICO ARTICOLO 18 CHE VOGLIAMO E’ QUELLO DELLO STATUTO DEI LAVORATORI!
Mercoledì 11 ottobre alle 9, presso il tribunale di Massa, si terrà la quarta udienza del processo contro il compagno Marco Lenzoni accusato di aver promosso, il 2 dicembre del 2014, un corteo non autorizzato partito dal Comune di Massa e diretto alla sede del PD, nell’ambito di una mobilitazione contro l’approvazione del Jobs Act che era in discussione in Parlamento.
Il Jobs Act, che è poi è stato approvato, è (come tutti ben sappiamo) un grave attacco ai diritti dei lavoratori e non fa altro che aumentare precarietà e sfruttamento.
I risultati li abbiamo sotto gli occhi, nonostante gli spot fantasia del governo Gentiloni dove l’occupazione continua a crescere, basta guardare nel nostro territorio: disoccupazione al pari delle zone più povere del sud Italia e lavori sempre più precari.
Il Jobs Act è un coacervo di leggi e leggine anticostituzionali che minano la vita sociale del nostro paese e che calpestano il diritto al lavoro; la cancellazione dell’articolo 18 è un affronto alla Costituzione perché rende legale il licenziamento dei lavoratori anche quando non sussiste la giusta causa.
Marco verrà processato per aver violato l’articolo 18 del Decreto Regio fascista del 1931.
Ecco a quali articoli si appella l’attuale classe dominante per impedire le contestazioni alle sue manovre antipopolari e criminali! Una legge del regime fascista ancora in vigore nel nostro Paese.
Nel mese di agosto tanta indignazione ha suscitato l’esposizione della bandiera nazifascista sul monte Sagro (ad opera del fascista Manfredo Bianchi, insegnante presso una scuola di Carrara), ma a ben guardare l’operazione repressiva orchestrata dalla questura di Massa contro il compagno Lenzoni è una provocazione e un attacco molto più grave: vengono applicate leggi fasciste per punire il dissenso verso la cancellazione dei diritti costituzionali della Repubblica come il diritto al lavoro.
Bisogna schierarsi: o si sta da una parte o dall’altra, o si sta dalla parte dei diritti o si sta dalla parte di chi i diritti li vuole cancellare.
Schierarsi senza se e senza ma dalla parte di Marco Lenzoni e delle migliaia di donne e uomini come lui che nel paese vengono colpiti dagli attacchi repressivi mirati a fiaccare la resistenza delle masse popolari contro gli effetti della crisi, schierarsi significa resistere in difesa del diritto al lavoro, del diritto alla salute, del diritto alla casa o alla scuola, i diritti si conquistano e si applicano nella pratica soltanto attraverso la lotta.
Non possiamo aspettarci nessuna soluzione positiva all’andamento disastroso della società da parte di chi preferisce dare i soldi alle banche piuttosto che destinare tutti i fondi a disposizione per la creazione di posti di lavoro, mettere mano a tutti gli interventi necessari nel nostro Paese (recuperare il patrimonio edilizio lasciato a marcire inutilizzato, intervenire sul dissesto idro-geologico che ogni anno fa morti e sfollati, moltiplicare e rendere più efficienti i servizi per le masse popolari).
Oggi chi vuole stare dalla parte delle masse popolari deve lottare per l’applicazione delle parti progressiste contenute nella Costituzione, proprio quelle parti che, guarda caso, dal dopoguerra ad oggi sono state sistematicamente disattese. Basta un esempio, quello dell’articolo 4 che dice:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
A qualcuno risulta che lo Stato garantisca, anche solo minimamente, il lavoro ad ognuno di noi? Eppure i primi dodici articoli della Costituzione sono chiamati “Principi fondamentali” e dovrebbero essere applicati prima degli altri!
Dobbiamo organizzarci e applicare dal basso le parti progressiste della la Costituzione come ha fatto Marco e tutti coloro che si sono mobilitati contro l’approvazione del Jobs Act, che colpiva lo Statuto dei lavoratori.
Dobbiamo organizzarci e rendere inapplicabili le norme antipopolari e apertamente anti-costituzionali che vengono messe in campo solo nell’ottica del profitto, come ha fatto proprio Marco Lenzoni (infermiere dell’ASL) nel 2013: quando ha effettuato il prelievo ad una ragazza, anche se non aveva la possibilità di pagare immediatamente il ticket sanitario, rischiando addirittura per questo un provvedimento disciplinare da parte della direzione della ASL.
Questo vuol dire mettere davanti a tutto gli interessi delle masse popolari, prima di tutto i diritti universalmente riconosciuti, questo dovrebbero fare sindaci e consiglieri che amministrano i nostri territori. Non bisogna aver paura di violare le leggi ingiuste, non farlo significa essere complici di un sistema che ci sta portando rovina e disperazione. Bisogna avere paura quando i diritti costituzionali non vengono rispettati.
Per questo vi invitiamo a presenziare al presidio di solidarietà che si terrà a partire dalle 9 davanti al tribunale (durante lo svolgimento dell’udienza), per la cancellazione delle leggi fascistissime del codice Rocco che vergognosamente vengono ancora applicate, per la libertà di espressione e di dissenso, per il diritto al lavoro e la cancellazione del Jobs Act.
La lotta per il diritto al lavoro non si processa!!!
Stracciamo il codice fascista Rocco!!!
Applichiamo con la forza della lotta le parti progressiste della Costituzione, tutti devono avere un lavoro utile e dignitoso!
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC)
Sezione di Massa “Aldo Salvetti” c/o Spazio Popolare di Via San Giuseppe Vecchio, 98
Telefono: 320 29 77 465
Profilo FB: Aldo Salvetti (Carc Massa)
Pagina FB: Sezione Massa P.CARC
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From: Giusti Federico giustifederico@libero.it
To:
Sent: Wednesday, October 04, 2017 6:49 PM
Subject: LA RETORICA DELLA SICUREZZA SUL LAVORO
Le giornate nazionali ed europee per la sicurezza sul lavoro sono diventati appuntamenti rituali utili alle statistiche, ma avulse dalle dinamiche reali del lavoro. Innalzamento dell’età lavorativa, aumento dei carichi di lavoro, codici disciplinari repressivi, lavoro sempre più precario, responsabilità civili, penali ed erariali pesano come macigni.
Ma anche guardare ai dati, a una forza lavoro sempre più avanti con gli anni è utile per comprendere che la cancellazione della Riforma Fornero e dei tetti imposti alla spesa di personale nella Pubblica Amministrazione sono due rivendicazioni utili e necessarie per ridurre lo stress e abbattere i rischi sul lavoro.
Nei settori privati l’aumento dell’orario di lavoro e i ritmi imposti anche attraverso i contratti nazionali degli ultimi anni, il lavoro nei giorni festivi, lo straordinario obbligatorio sanciscono il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Il 22 % dei lavoratori che hanno superato i 50 anni di età sono certi che non saranno in grado di fare il loro lavoro attuale all’età di 60.
Il 26 % dei lavoratori sono certi che il lavoro influisca negativamente sulla loro salute.
Il 45 % dei lavoratori e delle lavoratrici europei percepisce con sempre maggiore ansia la discriminazione per motivi legati alla età avanzata, il timore è di essere inseriti nelle liste degli esuberi per sopraggiunti motivi produttivi.
Solo il 35 % dei lavoratori che ha superato i 50 anni di età ha ricevuto una formazione a carico del datore di lavoro nel corso dell’anno passato (41% per la fascia di età 35-49). La fonte è di European Sul e la dice lunga sulla assenza di percorsi formativi e di riqualificazione nei settori pubblici e privati.
Il 32 % degli stabilimenti non hanno una procedura per sostenere il ritorno al lavoro.
In Italia si spende meno che in formazione della media europea, i dati di assenza dal lavoro sono in linea con le percentuali comunitarie. Occorre ricordarlo a chi in questi anni ha sanzionato economicamente i primi giorni di malattia e ha condotto una battaglia mediatica contro i cosiddetti fannulloni.
In Italia si muore sul lavoro per incidenti, ci si infortuna, ci si ammala per patologie legate al lavoro più che in molti altri paesi del capitalismo avanzato.
Anche le misure per prevenire malattie e infortuni sono giudicate dagli esperti insufficienti e inadeguate: la legislazione spesso e volentieri non viene applicata dalle aziende per motivi di risparmio economico, ben sapendo che i controlli da parte degli Organismi di Vigilanza sono rarissimi e spesso “pilotati”, i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza più determinati vengono messi dalle aziende nella impossibilità di nuocere con ricatti più o meno velati, i lavoratori svolgono un lavoro sempre più precario e hanno così perso il potere di fare valere i loro diritti.
Le giornate ufficiali per la salute e la sicurezza dovrebbero partire da questi dati incontrovertibili, sostenere l’abbassamento dell’età lavorativa, la riduzione dei ritmi e dei carichi di lavoro, aumentare i controlli da parte degli Organi di Vigilanza e applicare seriamente le pene previste dalla normativa contro i datori che non rispettano salute e sicurezza. Il resto sono solo chiacchere.
Federico Giusti - Sindacato Generale di Base
Marco Spezia - Progetto Know Your Rights
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Friday, October 06, 2017 10:25 AM
Subject: QUANTI SONO I LAVORATORI ITALIANI CHE MUOIONO DI KAROSHI?
 “Karoshi”: il termine giapponese significa letteralmente “morte per un carico eccessivo di lavoro”. Quanti sono i Karoshi in Italia? Tantissimi, più di quanti si creda.
Miwa Sado era giornalista televisiva giapponese morta di infarto a 31 anni dopo aver fatto 159 ore di straordinario in un mese e appena due giorni di riposo, ora la rete per cui lavorava ammette responsabilità.
Ma ci chiediamo quanti sono i lavoratori morti di Karoshi in Italia. Probabilmente non si arriva a livelli simili in Italia, ma noi pensiamo in certe categorie ci siamo molto vicini. Forze dell’Ordine, dirigenti aziendali, medici e infermieri negli ospedali, ma anche artigiani e lavoratori dipendenti, Partite IVA a tanti altri.
Se per esempio un camionista o un edile che lavora su un tetto, e che supera i sessant’anni, che già rischia un infortunio nell’orario normale, quanto rischia un malore o un infarto se addirittura fa straordinari?
Le autorità I giapponesi stanno già correndo ai ripari contro questo fenomeno, che riguarda anche tantissime categorie di lavoratori italiani. I normali orari di lavoro non vengono quasi mai rispettati, sia nel Pubblico che nel Privato. E’ ora che anche in Italia si facciano leggi severe contro chi questi orari li supera, che spesso non vengono neppure pagati.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro
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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Saturday, October 07, 2017 12:11 PM
Subject: PROCESSO FARSA CONTRO OPERATORI DELLA PREVENZIONE A FIRENZE
Il titolo potrebbe essere: come si distrugge un servizio di prevenzione.
L’inchiesta del dottor T.C. della Procura della Repubblica di Firenze sugli operatori della Unità Funzionale TAV e Grandi Opere di Firenze ha sicuramente dell’incredibile. Gli operatori avrebbero deliberatamente “gonfiato” i dati sui sopralluoghi e degli interventi in azienda (cantieri della Variante di Valico e della Terza Corsia autostradale) per incrementare di pochissimi spiccioli i loro stipendi.
I militari dei NAS hanno speso circa 2 anni a rovistare nei cassetti e sui computer per cercare prove sul presunto maltolto alle casse dello Stato e della Regione. Tutto questo sarebbe da considerarsi completamente ridicolo se non fosse invece purtroppo estremamente tragico.
La Magistratura completa l’opera già intrapresa a livello dirigenziale ASL di distruggere un’Unità Funzionale che aveva ben operato ricevendo anche numerosi encomi.
Aveva lavorato a 360 gradi su tutti i rischi presenti in un grande cantiere: da quelli dell’antinfortunistica, contenendo gli infortuni gravi e mortali a un numero limitato rispetto a grandi opere degli anni ‘90 (5 morti sulla TAV e 3 morti sulla Variante di Valico contro 8 morti in 8 chilometri nei lavori della Direttissima Firenze–Roma negli anni ‘90) alle malattie professionali, fino a progetti su stress, mobbing e uso abuso di sostanze sui cantieri.
L’inchiesta sui 3 morti del Viadotto Lora che aveva portato alla condanna dei responsabili aziendali aveva persino ricevuto i complimenti del Pubblico Ministero.
E’ chiaro che nella Magistratura c’è un po’ di tutto, come in ogni luogo di lavoro. Magistrati ottimi (pochi) e altri che svolgono molto male il loro lavoro.
Qualche anno fa un Pubblico Ministero che non sapeva neppure scrivere in italiano (l’avviso di garanzia che mi arrivò conteneva numerosi errori di sintassi) aveva tentato (invano) di mandarmi sotto processo per... una prescrizione fatta per salvaguardare la salute di un lavoratore.
A Reggio Emilia un medico del lavoro sta subendo un processo per aver fatto una disposizione a un medico competente che aveva omesso una denuncia di malattia professionale.
E ora questa nuova inchiesta su un intero Servizio!
La mia impressione è che la Magistratura (o almeno una sua parte non piccola) ha fiutato il vento cambiato (i lavoratori non contano più niente in questa società basata più che mai sullo sfruttamento e sul neo-schiavismo del lavoro) per adeguarsi e per contribuire ad affossare definitivamente le sacche di coloro che nella società e, nel caso specifico, nei servizi di prevenzione lavorano ancora con passione e professionalità. E forse non se ne rendono neanche conto!
Se penso a quante inchieste su gravissimi episodi di patologie mobbing correlate da me inviate quando ero Ufficiale di Polizia Giudiziaria sono state regolarmente archiviate dalla Procura della Repubblica mi vien da dire che oggi il mondo gira proprio al contrario.
Ovviamente anche la stampa nella vicenda sta avendo il suo ruolo: i fogli locali filo padronali (Repubblica Firenze, il Corriere Fiorentino e la Nazione) hanno dedicato molto risalto alla vicenda.
Come ex operatore, come coordinatore insieme a Gianluca Garetti della sezione di Medicina Democratica di Firenze, esprimo tutta la mia solidarietà agli operatori coinvolti.
Medicina Democratica, la Società Italiana Operatori della Prevenzione e singoli che vogliono difendere gli ultimi spazi di democrazia dovranno a loro volta non far mancare la loro solidarietà agli operatori ed ex operatori coinvolti.
Gino Carpentiero
Medicina Democratica Firenze
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Monday, October 09, 2017 5:51 PM
Subject: SI ALZA IL CORO DEGLI SCANDALIZZATI
Si alza il coro di scandalizzati perché oggi sono morti 4 lavoratori, mentre è uno stillicidio giornaliero.
Tra l’altro un terzo dei lavoratori morti sul lavoro spariscono dalle statistiche. Che fine fanno gli altri? Resuscitano ovviamente.
Questa mattina del 9 ottobre sono morti a Naro di Agrigento due lavoratori cadendo in una cisterna di una diga. A Torino Mirafiori è morto un manovratore della ditta Villanava. Un operaio è morto in provincia di Ascoli Piceno cadendo da un silos.
Sono diventati 4 i lavoratori morti in questa giornata. Ai due operai siciliani si sono aggiunti altri due morti; a Torino Mirafiori è morto un manovratore, nella provincia di Ascoli Piceno un operaio di 60 anni è caduto in un silos.
Purtroppo sapevo che a breve ci sarebbero state delle morti collettive sul lavoro. Guardando le statistiche di dieci anni di monitoraggio sapevo che sarebbe stato inevitabile. E questo lavoro serio devo farlo io che sono un volontario mentre le istituzioni se ne fregano?
Già la settimana scorso, come avevo già fatto in passato, volevo lanciare l’allarme, anche ieri ho avuto la tentazione di scriverlo. Ma poi dove si sarebbe verificata la tragedia collettiva?
E’ possibile anche prevedere quali sono i giorni più a rischio in edilizia e agricoltura e per chi svolge il lavoro all’aperto. Ma purtroppo non si riesca a scalfire l’indifferenza che c’è nella politica, e non solo, per queste tragedie.
Tutti gli italiani sanno, e anche per merito di questo Osservatorio, che le morti sul lavoro sono molte di più di quelle che diffonde l’INAIL, ma anche ieri l’ANMIL, che collabora con l’INAIL prende per buoni questo numero di morti, pur sapendo anche loro che quello che scriviamo è vero. Tra l’altro, anche se sono parziali, quelle diffuse sono solo denunce, e una buona parte di queste ogni anno non verranno riconosciute come tali da l’INAIL.
Ormai sfioriamo a oggi i 1.100 morti complessivi dall’inizio dell’anno Ma i politici fanno finta di credere che i morti calano da decenni, i media prendono per buono questo calo, ma sanno anche loro che non è vero. tra l’altro anche l’anno scorso in questo periodo era stato dato l’allarme “Aumentano i morti sul lavoro”. Poi nessuno va a vedere che nei primi mesi dell’anno dopo, quando diffondono le morti per infortunio riconosciute come tali un terzo delle denunce non vengono riconosciute.
Quando ci sarà il risveglio delle coscienze della nostra classe dirigente e dei partiti politici informati mensilmente da questo Osservatorio che i morti aumentano ogni anno?
Ma tiriamo avanti e continuiamo a fare il nostro lavoro volontario, che contrariamente a altri non ha nessun interesse da difendere.
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Tuesday, October 10, 2017 10:29 PM
Subject: HONEYWELL: LA BALLATA DEL PROFITTO CIECO
di Carmine Tomeo
07/10/17
I lavoratori sono entrati in sciopero ad oltranza: la Honeywell Garrett ha imposto ai lavoratori sacrifici crescenti in termini di flessibilità. Ha usufruito di soldi pubblici e ora vorrebbe abbandonare l’Italia per produrre dove è più facile lo sfruttamento.
420 lavoratori dell’Honeywell Garrett di Atessa, in provincia di Chieti, sono in attesa di conoscere il proprio futuro lavorativo. Quattrocentoventi. Scritto in lettere fa più effetto: i numeri, spesso, sono troppo freddi e nascondo la preoccupazione per il futuro incerto.
All’incontro ministeriale dello scorso giovedì era presente il ministro Calenda (che inizialmente aveva minacciato di non convocare il tavolo se i lavoratori non avessero interrotto lo sciopero) con i massimi dirigenti Honeywell. I sindacati non sono stati convocati. Un incontro nel corso del quale la multinazionale non ha potuto dimostrare che lo stabilimento sia improduttivo e logoro (visto che i numeri dicono il contrario) e perciò l’azienda è stata impegnata a presentare un piano di rilancio entro due settimane. Ma intanto, almeno fino ad allora, il presidio permanente continua con lo sciopero davanti ai cancelli della fabbrica.
La Honeywell Garrett è una multinazionale statunitense che nel 2015 ha realizzato vendite per 40 miliardi di dollari. Nello stabilimento della Val di Sangro, ad Atessa, la Honeywell produce turbocompressori. Non è un dettaglio: questo è l’unico stabilimento Honeywell in Italia a fare questo tipo di produzione. Uno stabilimento che va bene ed è stato in crescita almeno fino al 2006. Nel 2008, poi, la crisi, in coincidenza con la crisi economica mondiale. E così, da allora fino ad oggi, ci sono stati 2 piani di esuberi che hanno interessato 115 lavoratori e 7 piani di ammortizzatori sociali, con cassa integrazione e messa in mobilità. Ma la fabbrica, comunque, continua a fare utili ed a produrre circa 700.000 turbocompressori l’anno. Ora c’è il rischio che chiuda i battenti, lasci a casa quattrocentoventi lavoratori e vada a fare lo stesso prodotto in Slovacchia, dove nel frattempo dovrebbe nascere uno stabilimento che nelle intenzioni dell’azienda dovrà essere un clone di quello di Atessa.
Eppure ad Atessa la Honeywell non stava dando di certo segni di cedimento, né economico, né produttivo. Nel frattempo l’azienda ha goduto di soldi pubblici. Qualcosa come: 1 miliardo di euro di esenzioni di tasse beneficiate dal 1992 al 2002; ammortizzatori sociali avviati da settembre 2008; finanziamenti concessi per 1.110.692,21 € con la Legge 488 terzo bando e 1.928.935,53 € con Legge 488 ottavo bando. Insomma, non si può certo affermare che lo Stato italiano non sia stato generoso con la Honeywell, in questi anni. E poi, ancora, da parte dei lavoratori: flessibilità per andare incontro alla flessibilità della produzione, sacrifici per ottenere il premio come migliore stabilimento europeo per organizzazione del lavoro secondo i parametri Honeywell di produzione snella ed efficiente.
Ma tutto questo non è bastato ai vertici della Honeywell: lo stabilimento di Atessa deve essere chiuso; i lavoratori lasciati a casa nonostante i sacrifici imposti quando si diceva loro che servivano flessibilità e dedizione per mantenere in efficienza lo stabilimento. In una sorta di crescente prova di resistenza stile “Ballata dell’amore cieco” di De André, la Honeywell ha imposto nel tempo ai lavoratori sacrifici crescenti in termini di flessibilità, ed ora, come la cinica donna della “Ballata”, l’azienda vuole dai lavoratori il sacrificio lavorativo estremo: il licenziamento. In questo caso i dipendenti Honeywell non hanno accettato di “morir contenti”, ma hanno risposto con lo sciopero ad oltranza, che ha coinvolto praticamente tutto il personale dello stabilimento.
Soprattutto dopo i primi, infruttuosi, incontri al Ministero dello Sviluppo Economico, i lavoratori, compatti, si sono organizzati con lo sciopero ad oltranza e presidi 24 ore su 24 davanti i cancelli della fabbrica e nei magazzini di smistamento merci. È così che sono state bloccate merci in partenza, che se avessero lasciato i magazzini avrebbe in parte vanificato lo sciopero e probabilmente compromesso l’intera vertenza.
Ancora una volta, la circolazione delle merci si rivela un anello debole della catena di produzione del valore capitalistico. Così, al presidio giunge voce che linee di stabilimenti produttivi dove i turbocompressori Honeywell devono essere assemblati rischiano di fermarsi. E si tratta di produzioni di grandi case automobilistiche che non possono permettersi arresti del ciclo produttivo. Non è un caso che anche in questa vicenda le istituzioni intervengano a muso duro per tentare di far rientrare lo sciopero. Sulla vertenza Honeywell aveva provato a fare la voce grossa il ministro Calenda che, con una odiosa forma di ricatto, esigeva la sospensione dello sciopero e del blocco dei cancelli prima di convocare il tavolo ministeriale con la multinazionale. Un ricatto che non ha scoraggiato, ma semmai ancora più compattato i lavoratori che avevano mandato una risposta al ministro Calenda con uno striscione sui cancelli ancora bloccati: “Noi ci siamo, e tu?”. Un messaggio chiaro: lo sciopero continua fino a quando non ci saranno risposte che garantiscano un futuro allo stabilimento Honeywell di Atessa.
Intanto, l’umore al presidio è alto; lo sciopero va avanti da giorni, a oltranza, con piena adesione; c’è fiducia e solidarietà. E i lavoratori sono determinati affinché da lì non esca nemmeno un bullone. La lotta va avanti contro una multinazionale che vorrebbe imporre la chiusura dello stabilimento per andare a produrre in cosiddetti Greenfield, cioè prati verdi dove più facile è lo sfruttamento dei lavoratori, dove i salari sono più bassi, dove la conflittualità è praticamente inesistente e dove di solito le aziende possono accaparrarsi nuovi incentivi pubblici.
Ma i lavoratori sono decisi a non lasciarsi rubare il futuro da chi per realizzare un X% di profitto in più, vorrebbe lasciare a casa, ad Atessa, lavoratori per sfruttare più intensamente altri lavoratori in Slovacchia. Intanto, cresce la solidarietà dei lavoratori di altri stabilimenti, che nei giorni scorsi hanno manifestato insieme davanti ai cancelli della Honeywell. E una cassa di resistenza è stata attivata per sostenere i lavoratori in sciopero.
Salviamo la Honeywell
IBAN IT50H0896877750000160300431
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday, October 15, 2017 9:19 PM
Subject: NON E’ LAVORO, E’ SFRUTTAMENTO
di Eliana Como
14/10/17
Il libro appena edito di Marta Fana va dedicato alla classe operaia, perché legga sé stessa in quelle pagine, esca dal senso di colpa in cui l’hanno relegata e tiri di nuovo su la testa.
“Non è lavoro, è sfruttamento” è il libro di una giovane ricercatrice militante, Marta Fana, recentemente uscito in libreria per Laterza. Il libro è una sorta di viaggio oltre la frontiera dei diritti, lì dove si sperimentano le nuove e più radicali forme di sfruttamento, dai voucher al cottimo fino al lavoro gratuito, passando dall’alternanza scuola-lavoro. Un viaggio dentro il reality del nuovo mercato del lavoro, dove non ci sono diritti, non c’è orario e non c’è luogo di lavoro, non c’è malattia e non ci sono ferie, a volte non c’è nemmeno salario. Insomma, lì dove il concetto di lavoro si dissolve in quello di sfruttamento.
Il libro è da leggere, scorre via veloce, scritto in una prosa semplice e gradevole. Mi permetto quindi una riflessione che va un po’ oltre. E un passo indietro. Cosa è lavoro e cosa è sfruttamento? Nel 1978 nel suo Dizionario di Sociologia, Luciano Gallino li definiva così. Lavoro: attività intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo e di energia, a modificare in un determinato modo le proprietà di una qualsiasi risorsa materiale o simbolica, onde accrescerne l’utilità per sé o per altri, con il fine ultimo di trarre da ciò, in via mediata o immediata, dei mezzi di sussistenza. Sfruttamento: vedi Capitale.
In una società capitalistica, di fatto, il lavoro è sfruttamento, cioè appropriazione più o meno indebita di parte del plusvalore prodotto. Però c’è stato un tempo in cui il lavoro era anche identità, integrazione, riconoscimento sociale e persino dignità. Efficacemente, un altro sociologo, Aris Accornero, aveva definito il Novecento il secolo del Lavoro (con L maiuscola), descrivendone poi la parabola che, sul finire degli anni ‘90 lo stava trasformando nel più prosaico termine di lavori (al plurale e con la L minuscola). Proprio quei lavori di cui parla Marta Fana 20 anni dopo, nel mercato usa e getta della precarietà assoluta.
Non è che l’operaio del Novecento fosse meno sfruttato del lavoratore precario di oggi. L’organizzazione taylor-fordista del lavoro nelle fabbriche di quei decenni non era certo meno massacrante. E nemmeno la classe operaia degli anni ‘70 andava in paradiso. Ma era protagonista, nella società, nella politica, nella cinematografia, appunto e in generale nell’immaginario collettivo. C’era una centralità del lavoro, in particolare una centralità operaia, conquistata anche con le lotte degli anni ‘70, che lo rendeva soggetto sociale e politico. A fronte di una condizione per definizione monotona e ripetitiva, la classe operaia aveva in cambio le garanzie del posto fisso, l’accesso al welfare e alla società dei consumi, la costruzione di un sistema di tutele e diritti di cui lo Statuto dei Lavoratori fu l’architrave. Piacesse o meno, alla base esisteva un compromesso, tutto interno alla società capitalistica: sfruttamento in cambio di diritti, salario e inclusione sociale.
Il punto è questo. Oggi è rimasto soltanto lo sfruttamento. Non ci sono più i diritti e lavorare non è più garanzia di inclusione, né tanto meno di benessere. Si può lavorare, ma essere comunque poveri. E oggi a nessuno verrebbe in mente di cantare “chi non lavora, non fa l’amore”, perché il lavoro non garantisce di per sé alcuno status. La parabola è iniziata a cavallo degli anni 80 e 90, preparata nelle fabbriche, nella politica e nell’immaginario collettivo dalla sconfitta del movimento operaio ai cancelli di Mirafiori nel 1980.
Da allora, profezie tanto apocalittiche quanto affrettate hanno portato l’opinione comune a credere che, con l’innovazione tecnologica e organizzativa, la classe operaia fosse in via di estinzione. In realtà, non sono mai spariti gli operai. Non c’è mai stata alcuna evidenza statistica di questo tipo. Sono diminuite di sicuro le grandi fabbriche fordiste e aumentate le micro-imprese artigiane. Sono entrate in massa le donne nel mercato del lavoro e sono aumentate le professionalità a basso valore aggiunto nei servizi. Ma non è mai sparito il lavoro operaio, né tanto meno lo sfruttamento. Soltanto che non aveva più il volto dell’operaio interpretato da Gianmaria Volonté nel film del 1971.
Non capire in tempo questo passaggio è stato un errore, anche da parte di molta sinistra. Quella di governo e i sindacati confederali, certamente. Ma anche parte di quella sinistra radicale e dei centri sociali, caduti in preda alle fascinazioni di concetti tanto inconcludenti quanto insidiosi, come cognitariato, reddito di cittadinanza, liberazione dal lavoro. Con l’illusione del post-fordismo e il pretesto della flessibilità positiva, mentre si blaterava di privilegi e lavoratori di serie A e serie B, fantasticando di futuri scenari di liberazione dalle catene del posto fisso, si è finito per non accorgersi (o far finta di non accorgersi) che l’obiettivo del mercato era contrapporre gli interessi di generazioni di lavoratori, rompere la solidarietà di classe e dare spazio a un paradigma economico feroce.
Così, non è mai sparita la classe operaia in quanto tale, ma la sua centralità sì. E con essa il suo essere soggetto politico e sociale. Questo ha corrisposto a una necessità politica precisa: marginalizzare il conflitto nei luoghi in cui concretamente si produceva valore e si confrontavano capitale e lavoro. E, infatti, questa retorica ha accompagnato un decennio intero di accordi di concertazione, quelli che ci hanno portato poi in caduta libera per i successivi 15 anni. La conclusione è che nelle fabbriche, anche in quelle 4.0, la catena di montaggio non è tanto meglio di quella degli anni ‘70, nei centri commerciali le cassiere non hanno il tempo di andare al bagno, nei poli della logistica i migranti sono trattati come carne da macello e torna il cottimo tra i riders di Deliveroo.
Può consolarsi chi negli anni Novanta lamentava i privilegi dei padri contro le aspettative dei figli. Oggi siamo tutte e tutti precari, non ci sono più garanzie né posto fisso, nemmeno nel settore pubblico. E di privilegi nemmeno l’ombra. E’ sparito il Lavoro. E’ rimasto lo sfruttamento, sempre lì dove era, alla voce Capitale. Anche la classe operaia è ancora lì, dove è sempre stata. Solo che ha più paura, è più sola. Non ha più l’articolo 18 né la pensione di anzianità. Ha in mano un contratto che vale meno di niente o peggio ancora una partita IVA. Non ha alcuna garanzia per il futuro e spesso si chiede perché lavora visto che non è nemmeno pagata.
E’ a questa classe operaia che il libro di Marta va dedicato. Perché legga sé stessa in quelle pagine, esca dal senso di colpa in cui l’hanno relegata parlando di bamboccioni, neet e choosy e riaffermi la propria esistenza e la propria centralità. Tiri di nuovo su la testa, anche nell’immaginario collettivo e simbolico, ma soprattutto nella politica e nel sindacato. Partendo dalle lotte di chi, pur nell’isolamento e nella riprovazione generale, non ha mai smesso di pensare che ribellarsi fosse necessario.
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
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Sent: Monday, October 16, 2017 4:50 PM
Subject: APPELLO PER L’ADESIONE AL FORUM INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E L’ACCESSO UNIVERSALE ALLE CURE
Appello per l’adesione al Forum Internazionale per il diritto alla salute e l’accesso universale alle cure (4 e 5 novembre a Milano)
Il 5 e il 6 novembre 2017 si svolgerà a Milano l’incontro dei ministri della salute del G7, ultima tappa di una serie di riunioni ministeriali che in questi mesi hanno visto le rappresentanze dei potenti della terra discutere su tematiche come l’ambiente, i trasporti, l’industria, la scienza, il lavoro, l’agricoltura, il cibo.
Anche se l’agenda dell’incontro non è stata ancora resa nota, sembra che i principali temi al centro del dibattito saranno le ricadute sulla salute dei cambiamenti climatici e le politiche sui farmaci.
L’11% della popolazione mondiale ha problemi di alimentazione, soprattutto in zone coinvolte da conflitti e da situazioni ambientali disperate. Negli ultimi decenni l’aumento delle concentrazioni di carbonio, conseguenza della deforestazione e della combustione di carbone, petrolio e gas, ha provocato gravissime conseguenze come il surriscaldamento del globo e pericolose alterazioni all’ecosistema con un susseguirsi di eventi climatici estremi, il cui impatto sulla salute è di proporzioni disastrose. Si stima che, a livello globale, nel 2000 si siano verificati circa 150.000 morti a causa del cambiamento climatico. In assenza di cambiamenti decisivi nelle politiche ambientali l’OMS prevede che entro il 2040 si raggiungeranno i 250.000 morti all’anno.
La desertificazione di vaste aree, la privatizzazione e il dirottamento di risorse idriche a beneficio del profitto delle multinazionali privano dell’accesso all’acqua intere popolazioni.
Quasi 700 milioni di persone al mondo, secondo l’OMS e l’UNICEF, non possono usufruire di acqua pulita. La disuguaglianza nella disponibilità e nel consumo di acqua tra paesi ricchi e paesi poveri è enorme e sta continuamente aumentando.
L’accesso ai farmaci è determinato dalle logiche di mercato imposte dalle multinazionali che governano il settore e non certo da priorità decise in base a obiettivi di salute pubblica.
Mentre viene incentivato il consumismo di prodotti inutili, è ostacolata la diffusione dei più economici farmaci equivalenti e a milioni di malate e malati è negato il diritto di assumere i farmaci necessari perché troppo costosi. In questo quadro va sottolineato il ruolo del capitale finanziario che spinge l’acceleratore sulla commercializzazione della salute a danno di tutte le donne e gli uomini, soprattutto di quelli più poveri. Il prezzo dei farmaci innovativi è in continua ascesa, in quanto le aziende titolari dei brevetti stabiliscono in regime di monopolio prezzi non giustificati dai costi di produzione. Questa situazione è destinata a peggiorare ulteriormente se gli accordi commerciali internazionali allungheranno la durata dei brevetti, già garantiti per 20 anni dagli accordi TRIPs e porranno ulteriori vincoli al potere già debole degli stati di regolare il mercato.
I governi della maggior parte dei paesi, anche di quelli che si sono dotati di un servizio sanitario nazionale, da anni riducono le risorse assegnate alla tutela della salute nei loro bilanci, perseguono politiche di privatizzazione dei servizi e di riduzione dell’accesso universale e gratuito alle cure.
In tutte le regioni sono attivi processi di privatizzazione della sanità. In Lombardia ad esempio è in atto uno dei più feroci tentativi di privatizzazione dei servizi sanitari che raggiunge l’apice con la proposta di sostituire, per 3.350.000 concittadine e concittadini affetti da una patologia cronica, il Medico di Medicina Generale, con un “gestore” rappresentato spesso da società private finalizzate al profitto.
Questi elementi, presi nel loro insieme, configurano un vero attacco alla salute delle popolazioni di cui le politiche neoliberiste, portate avanti dai potenti della terra rappresentati nel G7, sono la causa determinante. Difendere il diritto alla salute, il libero accesso alle cure e la conservazione del territorio significa contrapporsi in modo chiaro e deciso a queste politiche, a questi trattati, allo strapotere delle multinazionali, assumendo senza ambiguità una posizione di contrasto nei confronti di chi è parte integrante di questo sistema economico.
La soluzione al problema non sta, come hanno tentato di farci credere anche qui in Italia, nell’aumentare di qualche migliaia il numero di malate e malati che possono accedere a terapie specifiche, mentre diverse migliaia di altre cittadine e cittadini ne restano esclusi. Garantire la salute per tutte e tutti significa anche mettere in discussione il ruolo di Big Pharma e la complicità delle politiche che ne tutelano, a tutti i livelli, gli interessi.
Per questo il GUE, Gruppo parlamentare “Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica” in collaborazione col gruppo consiliare “Milano in Comune” e con il Comitato “Salute senza padroni e senza confini”, costituitosi in questa occasione attraverso l’adesione di decine di realtà collettive, chiamano a raccolta associazioni e movimenti operanti nel settore dell’ambiente e del diritto alla salute per organizzare un Forum internazionale per diritto alla salute e l’accesso universale alle cure sabato 4 novembre a Milano presso Base Milano, in via Bergognone 34 (MM2 Porta Genova, MM Sant’Agostino) in concomitanza con la riunione dei ministri della salute del G7 e in contrapposizione all’ipocrisia dei partecipanti a questa riunione che anziché proporre soluzioni al bisogno di salute delle popolazioni, confermerà le politiche liberiste che sono la causa reale dello sfruttamento di donne e uomini e del territorio.
L’obiettivo è quello di realizzare, due giornate di riflessioni e confronti non solo per denunciare l’attacco durissimo condotto alle condizioni di salute degli esseri umani e del nostro pianeta da parte di chi è al vertice della politica, dell’economia e della finanza mondiale, ma anche per mostrare quali sono le reali priorità nel campo della tutela della salute, indicare le scelte da compiere, mostrare le buone pratiche sperimentate sui territori e organizzare un’agenda globale di lotta con obiettivi precisi contro la privatizzazione della sanità.
In questo contesto non si può prescindere dall’enorme sviluppo della produzione di armi e dalle guerre in corso, che hanno, come prima conseguenza, la diffusione in tutto il globo di malattie e morte, ingiustizie e miseria, povertà e migrazioni di massa.
Il 4 Novembre si terrà un Forum con la presenza di esperte, esperti, attiviste e attivisti provenienti da tutto il mondo che, intrecciando le loro comunicazioni con le testimonianze provenienti dai territori, affronteranno, tra gli altri, i seguenti temi:
la disuguaglianza sociale e la povertà come determinanti di malattie;
l’accesso ai farmaci e alle cure;
la privatizzazione dei servizi sanitari;
le cause, le conseguenze e le responsabilità dei cambiamenti climatici, la difesa dell’acqua e della terra come beni comuni.
Il 5 novembre è previsto, sempre a Milano, un incontro nazionale tra le reti, le organizzazioni e i movimenti attivi sui diversi temi della tutela della salute e dei cambiamenti climatici operanti in Italia. L’incontro si svolgerà c/o il “Residence sociale Aldo dice 26x1” in via Oglio 8 (MM3 Brenta)
Tutte le realtà interessate a partecipare a tale incontro e ad aderire al Comitato “Salute senza padroni e senza confini”, sottoscrivendo questo appello, possono contattarci all’indirizzo e mail dirittoallasalute2017@gmail.com.
Il presente appello può essere inoltre visionato e letto collegandosi alla pagina evento Facebook Forum diritto alla salute e accesso universale alle cure
Rivolgiamo un appello ai movimenti, alle associazioni, alle organizzazioni non governative, alle/ai rappresentanti delle/dei lavoratrici/lavoratori, alle realtà di base della società civile e alle forze politiche che si riconoscono nella lotta per affermare il diritto alla salute affinché aderiscano al Forum internazionale, partecipandovi attivamente, e diffondendone la notizia attraverso tutti i canali di comunicazione a loro accessibili.
GUE, Gruppo parlamentare “Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica”
Milano in Comune, Gruppo consiliare al Comune di Milano
Comitato “Salute senza padroni e senza confini”
prime adesioni:
Medicina Democratica movimento di lotta per la salute;
37,2” la trasmissione di Radio Popolare sulla salute;
AIEA Associazione Italiana Esposti Amianto;
Rete per il diritto alla salute di Milano e Lombardia;
Forum Diritto alla Salute;
NAGA;
Comitato per l’acqua pubblica;
Il sindacato è un’altra cosa opposizione CGIL;
CONUP Coordinamento Nazionale Unitario Pensionati di oggi e di domani;
Comitato Nascere a Latisana;
AIUTO Associazione Italiana Umanitaria Tutela Ospedali;
CNS Comitato Nazionale Sanità
Milano, 5 ottobre 2017
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 16, 2017 4:50 PM
Subject: DICIAMO NO ALLA COMMERCIALIZZAZIONE DELLA SALUTE
Con due delibere, la n. 6164 del 3 gennaio e la n. 6551 del 4 maggio 2017, la Giunta Regionale Lombarda, senza nemmeno una discussione in Consiglio Regionale, sta modificando totalmente l’assistenza sanitaria in Lombardia e cancellando alcuni dei pilastri fondativi della legge di riforma sanitaria la n. 833 del 1978, nello specifico quello della medicina generale o di base.
Medicina Democratica e alcuni sindacati medici, hanno presentato ricorso al TAR per incostituzionalità delle delibere: una delibera non può modificare una legge! Allo stato il TAR ha risposto negando per la sospensiva della delibera, dicendo che il problema era troppo complesso per poter intervenire in sede di urgenza. Da parte nostra e di altri sindacati medici è stato chiesto di fissare l’udienza di merito al più presto. Restiamo in fiduciosa attesa.
La vicenda riguarda, secondo le stime della Regione, circa 3.350.000 cittadini “pazienti cronici e fragili” che sono stati suddivisi in tre livelli a seconda della gravità della loro condizione clinica. Costoro riceveranno in autunno una lettera attraverso la quale la Regione li inviterà a scegliersi un “gestore” (la delibera usa proprio questo termine) al quale affidare, attraverso un “Patto di Cura”, un atto formale con validità giuridica, la gestione della propria salute. Il gestore potrà essere loro consigliato dal medico di base o scelto autonomamente da uno specifico elenco. Il gestore, seguendo gli indirizzi dettati dalla Regione, predisporrà il Piano di Assistenza Individuale (PAI) prevedendo le visite, gli esami e gli interventi ritenuti da lui necessari; il medico di medicina generale (MMG) può eventualmente integrare il PAI, provvedendo a darne informativa al Gestore, ma non modificarlo essendo il PAI in capo al Gestore.
Il MMG viene quindi privato di qualunque ruolo, sostituito da un manager e da una società; ed è questa una delle ragioni che ha fatto scendere sul piede di guerra diversi sindacati medici. La Regione si sta mettendo sulla strada di cancellare la figura del medico di base, per ora svuotando nei fatti la sua operatività. Probabilmente, dopo il referendum sull’autonomia regionale, procederà ulteriormente. Sulla sanità (già oggetto di numerosi tagli) ne abbiamo già sentite molte, da Renzi alla Lorenzin e questa non sarà l’ultima.
Una “legge eccezionale”, sostiene la Regione, perché eviterà che cittadini malati, in maggioranza anziani, debbano impazzire con le ricette, le telefonate interminabili ai centralini regionali per fissare le visite, le code agli sportelli, le liste di attesa ecc.. Senza considerare però che la scelta degli esami cui sottoporsi contiene esami inutili, mentre altri utili, non ci sono. Il cittadino che aderisce al sistema dovrà pagarseli.
La Regione Lombardia non dirà che tutti questi disagi sono stati costruiti ad arte, prima da Roberto Formigoni e poi da Roberto Maroni, per spingere i cittadini verso la sanità privata che li aspetta con gioia per lucrare ulteriormente sulla loro pelle.
Se il TAR non cancellerà queste delibere e se i cittadini e le organizzazioni della società civile non si ribelleranno è forte il rischio che molti nostri concittadini accetteranno quasi con riconoscenza il piano della Regione; salvo poi accorgersi che ad essere trascurata sarà proprio la loro salute. Ma allora potrebbe essere troppo tardi.
RESPINGIAMO LA LETTERA DEL GESTORE E TENIAMOCI IL MEDICO DI BASE!
Medicina Democratica
Milano 12 ottobre 2017
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From: MicroMega newsletter@micromega.net
To:
Sent: Monday, October 16, 2017 4:54 PM
Subject: ILVA, IL DRAMMA (ANNUNCIATO) DI TARANTO
di Antonia Battaglia
Si svolge a Taranto in queste ore quello che sembra essere il più grande dramma occupazionale che abbia mai investito la città. E che riguarda non solo Taranto ma anche gli stabilimenti ILVA di Genova Cornigliano e di Novi Ligure.
La nuova proprietà dell’ILVA, la cordata Am Investco, formata dal leader mondiale della siderurgia Arcelor Mittal e dal gruppo Marcegaglia, ha infatti annunciato un piano di ristrutturazione aziendale che prevede 4.000 esuberi sui 14.200 lavoratori totali del Gruppo, di cui 3.330 a Taranto.
L’adesione allo sciopero indetto da FIM, FIOM, UILM e USB contro i tagli annunciati e contro le nuove condizioni di inquadramento contrattuale dei lavoratori, è stata quasi totale e ha coinvolto anche le aziende dell’indotto.
Il Gruppo ILVA era stato ceduto alla cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, divenuto appunto Am Investco, pochi mesi fa. Arcelor Mittal, il gruppo mondiale leader nell’approccio combinato tra estrazione di minerali e produzione siderurgica, è al momento il più grande produttore nelle Americhe, in Africa e in Europa, dove vanta una presenza molto importante in diverse aree (ricordiamo il reportage realizzato per MicroMega sulla riconversione delle acciaierie di Belval in Lussemburgo, dove Arcelor Mittal ha avuto un ruolo centrale).
La strategia ambientale e industriale della Am Investco per Taranto sembrava molto dubbia già al momento della cessione del Gruppo. Ma come si è potuti arrivare a una crisi così grave, e tuttavia annunciata, senza che il Governo sia stato coinvolto nei piani di ristrutturazione che la cordata aveva già progettato? Quello che accade adesso è davvero una sorpresa?
Mittal aveva dichiarato già prima dell’estate di esser pronto ad investire a Taranto circa 4 miliardi di euro. L’obiettivo delineato nelle linee guida del piano industriale era di operare un veloce rilancio delle attività dell’ILVA attraverso il ripristino della capacità produttiva. Da 5.7 milioni di tonnellate di bramme prodotte da ILVA nel 2016, AM Investco prevedeva di arrivare a 8 milioni nel 2024 con ricavi raddoppiati, che da 2.2 miliardi di euro annui dovrebbero passere a 4.
Le linee guida che erano circolate parlavano di una “profonda ristrutturazione dell’area a caldo” (la parte la più inquinante), il mantenimento in vita di tre altoforni e la messa a nuovo dell’AFO5, l’altoforno più grande d’Europa.
Ma nel documento si illustravano anche i punti salienti di quello che veniva chiamato il “mantenimento dei livelli occupazionali” e che in realtà prevedeva migliaia di esuberi: infatti, solo pochi giorni dopo FIOM, FIM e UILM dichiaravano che i piani industriali e occupazionali presentati erano inaccettabili. ILVA oggi impiega oltre 14.000 addetti, mentre Mittal stimava nel 2018 di avere 9.407 dipendenti, cifra che nel 2023 sarebbe dovuto scendere a 8.480 addetti. Quello che accade oggi è, quindi, davvero inaspettato?
Dal punto di vista ambientale, il Gruppo scriveva di voler investire circa 1,14 miliardi circa per realizzare l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), ma la data prevista per il completamento delle prescrizioni è il 2023, una data spaventosa perché vuol dire procrastinare ulteriormente una situazione già molto pericolosa al momento attuale. Ed inoltre, la somma indicata per i lavori di adeguamento appare assai esigua rispetto alla natura e all’urgenza degli interventi previsti. Si ricorda che la somma stimata dal GIP Todisco nel 2013 per porre rimedio al disastro ambientale ammontava a circa 8,1 miliardi di euro.
La situazione ambientale a Taranto rimane ancora drammatica. Ciò che preoccupava e preoccupa maggiormente è lo stato di attuazione dell’AIA, le cui prescrizioni sono state dilazionate nel tempo, man mano che sono arrivate alla scadenza prevista per la loro attuazione e gli interventi di proroga hanno periodicamente salvato la produzione dello stabilimento, facendo venire meno la certezza dello stato di diritto.
Ad oggi, purtroppo, non vi è ancora alcuna evidenza che sia venuto meno l’impatto sanitario delle emissioni dell’ILVA e che l’inquinamento della falda superficiale e profonda non prosegua. Nessun intervento cospicuo e risolutivo è stato fino ad ora messo in atto per arginare il fenomeno, nonostante l’AIA preveda la decontaminazione del suolo e della falda e una serie di altre misure da sempre urgenti.
Si attende anche il parere europeo in merito all’acquisizione di ILVA da parte di AM Investco, manca infatti l’OK definitivo dell’Antitrust europeo.
La politica europea in materia, infatti, si articola intorno a due nodi centrali definiti dal Trattato EU:
l’articolo 101, che stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno europeo tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni e le pratiche che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza;
l’articolo 102, che stabilisce che è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale dello stesso.
Oggi Arcelor controlla, secondo le ultime stime, circa il 35% del mercato europeo. L’Antitrust, quindi, farebbe scattare un’investigazione per regime di monopolio sul mercato nel caso in cui venisse superata la soglia del 40%, il che vorrebbe dire che AM Investco non potrebbe produrre a Taranto più di cinque o sei milioni di tonnellate d’acciaio, e che quindi, restando sotto la soglia permessa dal diritto europeo, si potrebbero mettere a rischio la produttività e la sopravvivenza stessa dell’impianto tarantino.
Considerati tutti questi elementi, ci si chiede quando arriverà il momento della presa di coscienza del fatto che lo stabilimento di Taranto è una bomba a cielo aperto per motivi sanitari, ambientali, e anche per ragioni di sostenibilità economica e produttiva e, di conseguenza, occupazionale.
Taranto è un boomerang politico per il governo attuale e per quelli futuri e, restando in un’ottica di realpolitik, anche volendo tralasciare le fondamentali questioni sanitaria ed ambientale, una gestione cosi tentennante, con orizzonti sempre brevi e piani poco vincenti, si conferma inadeguata.
Vista la gravità della situazione ambientale e sanitaria e considerata anche l’impossibilità di raggiungere un equilibrio economico produttivo in grado di assicurare una stabilità occupazionale, non sarebbe arrivato il momento di un cambio di paradigma profondo, che veda rinascere Taranto orientando su altre direttrici di sviluppo la realtà del comprensorio?
Vista l’impossibilità o la non volontà di dotare lo stabilimento di impianti e processi di produzione moderni e non inquinanti ed economicamente competitivi, appare improrogabile un intervento profondo e risolutivo che possa ridare speranze e respiro alla città.
Progettare un futuro nuovo per Taranto deve essere un’operazione da affrontare allontanandosi dal modello che ha portato alla disastrosa esperienza di Bagnoli, lasciata in mano alle mafie per troppo lungo tempo. La situazione di quella che era la ricchissima mitilicoltura appare anche difficile, e a soffrire della questione inquinamento e dei conseguenti danni causati all’immagine sono anche le numerose ed eccellenti aziende del settore turistico e dell’agroalimentare, di cui la regione è ricchissima.
E’ il momento di immaginare e disegnare un futuro diverso e completamente nuovo. L’ILVA può ancora davvero definirsi un asset strategico nazionale a cui sacrificare lo sviluppo della città?
Ci si augura che il Governo voglia dar vita ad un gruppo di riflessione sul futuro di Taranto e cominciare a raccogliere idee e contributi per costruire un progetto valido, economicamente vincente e che possa rendere la città di nuovo protagonista del proprio destino a partire dalle ricchezze già presenti e non valorizzate.
9 ottobre 2017

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