Una
brevissima premessa... - Il lavoro di Lenin su "Materialismo ed empiriocriticismo"
rende in particolare anche chiaro perchè i principi del comunismo scientifico e
non qualche "analisi concreta" delle condizioni odierne o addirittura
solo le proprie esperienze debbano essere punto di partenza della linea e della
politica, e perchè la lotta per la linea giusta e la politica debba essere
condotta sulla base dei principi del comunismo scientifico.
*****
I compagni
hanno il merito di aver fatto questo tipo di libro.
La prima
cosa da sottolineare in positivo è che questo libro è frutto di un lavoro dei
compagni, non solo di ricerca, di un lavoro complesso e dettagliato sui dati,
ma pure di attività militante verso alcune realtà di lavoratori, in alcune
lotte/vertenze in corso, dove sono andati anche con lo spirito di capire, e con
un giusto rapporto che vi deve essere tra giovani intellettuali e operai, in
cui – come noi abbiamo spesso detto – il giovane intellettuale non va dagli
operai, dai lavoratori né per essere “uguale” e farsi “più lavoratore dei
lavoratori”, né per “dargli la linea” dall'”alto” della sua “scienza”, ma va
per imparare, fare inchiesta; in questo utilizza anche le fonti borghesi, per
restituire ai lavoratori, affinchè questi ne facciano strumenti al servizio
della battaglia politica - Vedremo in seguito come la seconda parte di questo
“rapporto” non venga e non possa essere invece fatto dal CCW.
Quindi va
molto apprezzata l'intenzione e sottolineato lo spirito di lavoro di questi
compagni.
Il libro ha
il merito di mettere insieme una mole di dati statistici sulla condizione dei
lavoratori, e di darne una lettura; e quindi già questo fatto è un esplicito
messaggio politico e anche ideologico per rimettere al centro la questione dei
lavoratori, della centralità sempre attuale nella lotta di classe, nella battaglia
politica rivoluzionaria, del rapporto capitale/lavoro.
Nel
movimento generale, nelle aree dei compagni impegnati nelle varie lotte, già
questo agisce da controcorrente, richiamo a mettere i piedi per terra. In
questo senso si può capire la buona accoglienza che ha questo testo nelle aree
di movimento o genericamente impegnate, più attente alla condizione proletaria.
Mentre, al di là anche della stessa intenzione del CCW, questo testo agisce
invece oggettivamente in critica verso le aree di compagni, le forze di
movimento che non pongono, o dicono che non è più attuale o sono contro la
centralità del rapporto capitale/lavoro.
In questo
senso, invitiamo i compagni del CCW a considerare il loro lavoro anche come
un'arma di lotta, critica verso le altre posizioni.
Noi,
comunisti mlm, che, appunto come mlm riteniamo costitutiva la questione della
centralità della classe, che la “classe operaia deve dirigere tutto”, che ci
basiamo sull'analisi marxista del capitale e dei rapporti di produzione, sulla
costruzione in senso leninista del partito comunista come reparto d'avanguardia
della classe operaia, sulla, diremmo, “filosofia” maoista del ruolo della
classe operaia e del rapporto operai/masse popolari; noi che portiamo avanti il
lavoro di costruzione del partito nel fuoco della lotta di classe in stretto
legame con le masse, siamo contenti che sia stato fatto questo lavoro. Per noi
quei dati e analisi della condizione dei lavoratori non sono una novità, per
non parlare della “lettura” ed esperienze dirette delle varie vertenze e lotte
dei lavoratori fatte o in corso, dove in varie realtà siamo non solo presenti,
ma organizzatori, tramite l'organizzazione di base sindacale slai cobas per il
sindacato di classe.
Potremmo
dire, utilizzando il titolo del libro, “Dove sono i nostri”... ditelo ai
“Vostri”.
Perchè
questo libro, nel bene e nel male, di fatto ha i suoi effettivi interlocutori
nella realtà di compagni, movimenti, in cui grande è la confusione sotto il
cielo, in cui i “movimenti” hanno sostituito le classi.
Ma in questa
realtà, la battaglia principale non è per “l'unità” - altra cosa chiaramente è
l'unità dei lavoratori, il coordinamento delle lotte, la socializzazione delle
esperienze più avanzate – ma per la chiarezza in teoria e in pratica; su questo
non si tratta di “dispute accademiche” ma di applicare ciò che Lenin scrive nel
“Che fare”: per unirsi occorre delimitarsi; definirsi, lottare contro le
posizioni opportuniste o anarco movimentiste.
Diversamente,
il libro del CCW mostra il suo lato debole, per cui può essere assunto
indifferentemente da realtà classiste, come da realtà opportuniste del
movimento per cui l'apparire è il tutto e il fine è nullo – come per esempio i
'Disobbedienti' che usano gli stessi dati del libro – che si estendono a tutte
le categorie del lavoro dipendente e indipendente - per avvalorare le loro tesi
sulla inesistenza della centralità operaia.
I compagni
del CCW, quindi, hanno il merito di aver messo insieme tutti questi dati e di
aver fornito un quadro completo, statistico, del mondo del lavoro, ma, diremmo,
eccessivamente “orizzontale”, in cui le gerarchie e differenze di classe
rischiano di sparire.
Sulla
lettura delle lotte il testo sconta una superficialità e visione particolare
frutto del fatto che si basa sull'esperienza diretta, e ristretta, che i
compagni del CCW hanno potuto avere delle lotte dei lavoratori o delle realtà
dei lavoratori. Se questo da un lato sarebbe un merito perchè non si fa i
“ciucci e presuntuosi” e ci si basa su ciò che si conosce; dall'altra è un
limite, perchè non si può parlare di “intervento politico” sulla base di questo
ristretta esperienza.
A volte, i
compagni del CCW sembrano dei neofiti che da poco si sono approcciati al mondo
del lavoro e si accorgono ora di questioni su cui vi sono chili di materiali,
di denuncia, come delle stesse esperienze di lotte sindacali di base che sono
molto più ricche, che sono avvenute e sono presenti tutt'ora anche in alcune
importanti fabbriche, che hanno una storia a volte anche di anni, e che
sicuramente non sono avvenute da quando se ne sono accorti questi compagni.
Così vi è
sostanzialmente un azzeramento della storia e che lo si voglia o no si esprime
una concezione anti materialistica storico dialettica, per cui la realtà esiste
da quando io né ho conoscenza.
Nelle
conclusioni i compagni del CCW, nel sintetizzare cosa hanno fatto: “descrivere
la struttura sociale italiana, osservare la realtà da un punto di vista di
classe, scendere fin nei dettagli della vita proletaria...”, fanno riferimento
all'inchiesta maoista. Ma l'inchiesta maoista è altro dal mettere insieme e
leggere dati statistici o dal basarsi sulla conoscenza diretta di alcune realtà
di lavoratori o di lotte. In realtà il CCW chiama “inchiesta” la propria,
oggettivamente ristretta, esperienza, quindi l'inchiesta diventa un partire da
sé per tornare a sé. Riproponendo l'idea per cui “ciò che io conosco è quello
che c'è”.
Questa
concezione è presente anche sulla questione dei sindacati confederali, rispetto
a cui il movimento d'avanguardia dei lavoratori ha già segnato una critica di
non ritorno – da cui chi vuole guardare ai lavoratori deve partire.
Tornando
all'analisi e alle conseguenze che i compagni traggono dai dati delle varie
realtà dei lavoratori, il lavoro fatto in “Dove sono i nostri”, il mettere
insieme di fatto tutte le figure del mondo del lavoro dipendente e
indipendente, è fatto alla luce di una lettura quantomeno confusa di processi
di terziarizzazione dell'industria che esternalizzando una serie di servizi
prima interni alla fabbrica, con un'integrazione tra settori produttivi e
terziario, porterebbe ad una estensione al massimo della figura del lavoratore
produttivo – per i compagni, vi sono i lavoratori che ufficialmente sono
produttivi e quelli che lo sono sostanzialmente.
Questi
processi che avvengono su scala non solo nazionale ma a livello internazionale
da un lato non sono affatto nuovi, ma hanno le loro radici nell'analisi
dell'imperialismo già fatta da Lenin e tuttora attuale (e qui gli stessi
compagni la ricordano, ma per poi allontanarsene), dall'altra sono frutto della
nuova gerarchia economica frutto della crisi che ha visto e vede l'Italia
scendere, con un ridimensionamento della sua potenza industriale e
relativamente, ma solo relativamente, un aumento del terziario.
Ma tutto
questo non porta al fatto che farebbero parte di un unica classe proletaria sia
gli operai dell'industria che producono la merce sia le figure lavorative del
terziario che commercializzano la merce, i lavoratori addetti ai vari servizi
di cui si avvale il capitale (vedi per es. call center, l'ampliamento dei
settori della pubblicità dei prodotti, ecc). Così di fatto si oscura chi
produce il plusvalore; si annullano le differenze di classe. E si confonde il
processo del capitale di usare ogni figura per sé, e di imporre le leggi
dell'organizzazione del lavoro industriale anche ai servizi, che comporta anche
l'impoverimento, la proletarizzazione di settori lavorativi non proletari, con
il fatto che “siamo tutti operai”.
E' con il
pluslavoro operaio che il capitalista paga tutte le figure che operano nei
servizi connessi all'industria (comunicazioni, ricerca e sviluppo, informatica,
trasporti, ecc.).
I compagni
del CCW, invece, rovesciano il discorso: siccome oggi il capitale per fare una
merce utilizza tante figure, se dentro la merce prodotta è cristallizzato il
lavoro di una pluralità di soggetti, il valore di quella merce è il prodotto
del lavoro non solo di “quelli che hanno la tuta blu”, ma di tutti i soggetti
che vi hanno contribuito, fino a quelli che hanno progettato la merce, a chi ha
prodotto il software su cui “gira il robot azionato dall'operaio”, a quello che
trasporta la merce, ecc.
Ma una cosa
è utilizzare il concetto di “proletarizzazione” di settori non operai legato al
peggioramento delle loro condizioni di lavoro e salariale, all'immiserimento di
settori lavorativi prima privilegiati, che porta materialmente questi strati di
lavoratori ad avvicinarsi alla condizione di vita degli operai e anche a
modificare le loro concezioni; altra cosa è assimilarli tout court ai
lavoratori produttivi, dire che la “classe oggi è molto più omogenea che in
passato”; fino ad applicare l'analisi marxista del capitale costante e capitale
variabile anche a settori come l'Unipol...
Da questa
analisi del CCW la questione quindi diventa di “lavorare per ricomporre da un
punto di vista soggettivo quello che oggettivamente è connesso”, sia dal
processo di terziarizzazione dell'industria che dal processo di
finanziarizzazione (“capitali che via via si concentrano o diventando un'unica
entità, o delineando grossi blocchi di interesse che attraversano il mondo
produttivo e quello improduttivo”).
Da questo i
compagni ne fanno scaturire la “possibilità materiale di fare la rivoluzione e
instaurare un diverso modo di produzione”.
Ma, questo è
il classico economismo! E che tale sia è poi confermato dal fatto che i
compagni del CCW aggiungono che poiché non si tratta di aspettare l'occasione,
ora dobbiamo preparare il terreno, accumulare le forze. Come? Prendendoci le
case, le merci, i trasporti e tutto ciò che noi abbiamo prodotto, e portare
avanti “la rivendicazione più forte e più centrale: lavorare tutti, lavorare
meno e a salari più alti”.
Sul che fare
per ricomporre i diversi fronti dei lavoratori, sul piano nazionale e
internazionale, la risposta che i compagni danno nel libro è quella di “cercare
di creare dei network che facciano girare informazioni sulle lotte, sui metodi
utilizzati, sugli obiettivi perseguiti, network che funzionino non solo come
scambio di esperienze e di sostegno ma come centri di elaborazione”.
“...trasformarci
in supporto per il movimento autonomo della classe, essere l'hardware e la
possibilità di connessione di un programma elaborato dai proletari stessi, a
partire dalle necessità che la maggioranza esprime” (dall'introduzione).
Non si parla
di organizzazioni rivoluzionarie, di partito. L'internazionalismo è ridotto a
legami degli operai dei vari paesi per elevare le stesse lotte economiche,
arretrando a pre movimento comunista.
Di fatto il
CCW descrive ed esalta il movimento reale, non lavora per trasformarlo.
E si
potrebbe anche accettare che i compagni parlino di “trasformarsi in supporto
per il movimento autonomo della classe”, se non guardassero in maniera basista
questo “movimento autonomo”, quindi solo economicista e il loro “supporto”
limitato al sostegno, elaborazione delle stesse lotte economiche, chiamando
questo lavoro politico.
Gli operai,
i lavoratori non hanno bisogno di intellettuali che li aiutino a fare meglio la
lotta sindacale o a portare meglio avanti rivendicazioni sociali – a questo gli
operai ci arrivano da “soli” attraverso le organizzazioni sindacali che si
danno; così come, soprattutto oggi nell'epoca di facebook, blog (se vogliamo,
eccessivamente usati dagli operai), non hanno bisogno del “supporto esterno”
solo per un'attività di connessione, generalizzazione di piattaforme, lotte,
ecc.
Ciò che gli
operai hanno bisogno e che non possono trarre dalla loro esperienza di lotta
economica, è la lotta politica, è la conoscenza di quello che avviene nelle
altre classi, del ruolo dello Stato, dei governi e del loro ruolo per porre
fine alla condizione di lavoro salariato, e di un sistema, in tutte le sue
articolazioni al servizio del capitale.
Ci viene in
mente quello che scriveva Lenin nel Che fare? quando descrive gli operai che
rivolgendosi agli intellettuali che vogliono “aiutarli” nella lotta economica,
gli dicono: non ci venite a parlare di ciò che sappiamo già o possiamo sapere
da noi, parlateci di quello che non possiamo sapere attraverso solo la nostra
esperienza... “vogliamo conoscere particolareggiatamente tutti gli aspetti
della vita politica e partecipare attivamente ad ogni avvenimento politico.
Bisogna quindi che gli intellettuali ci ripetano un po' meno ciò che sappiamo
già e ci diano un po' più di ciò che ignoriamo ancora, di ciò che la nostra
vita di fabbrica e la nostra esperienza “economica” non ci permettono mai di
imparare, le “cognizioni politiche”.
E qui si
pone il problema che in ultima analisi è la questione negativa delle
conseguenze che dal lavoro di “Dove sono i nostri” traggono i compagni del CCW:
agire per “elevare” la lotta economica. Si teorizza il passaggio dalla pratica
ad una pratica più vasta, restando, quindi, sempre nell'economismo. Questo non
aiuterà certo i proletari a costruire un'organizzazione e una lotta che vada
effettivamente oltre una difesa migliore della loro condizione.
Lo
“spettro”, anche per compagni che hanno una concezione marxista, uno spirito
classista, una pratica che vuole mettere al centro il lavoro verso la classe, è
sempre il partito.
E loro sono
la dimostrazione che non mettendo al centro la costruzione del partito
comunista, come reparto d'avanguardia della classe operaia, che deve dirigere
il processo rivoluzionario, succede:
che pur
dichiarandosi marxisti, si contrappone di fatto Marx a Lenin e Mao;
che pur
basandosi sull'analisi marxista delle classi, la si abbandona, abbracciando
altre teorie interclassiste;
che ci si
lascia scivolare inevitabilmente nel movimentismo ideologico,
nell'economicismo, nell'”innovazione”; mentre su altri campi, conosciuti poco,
si riprendono superficiali analisi e luoghi comuni.
Si esprime
una incomprensione del concetto di “politico” di Marx, Lenin, Mao.
Infine,
alcune altre questioni, sicuramente importanti e da approfondire.
Nell'affrontare
i nodi presenti nella classe operaia, si dà una centralità a settori su cui
puntare “come condizione più universale”, quali donne e immigrati. Il CCW
coglie nodi reali ma dà una risposta sbagliata, che comunque resta sempre sul
terreno sempre dell'economicismo.
Per es.
sulla contraddizione di “genere” la evidenziano, ma non vanno alle sue
conseguenze. Noi diamo a questa contraddizione una risposta tattica – lo
sciopero delle donne – e una risposta strategica – la rivoluzione nella
rivoluzione. Su questo i compagni e le compagne del CCW, invece di guardare
alla nostra esperienza avanzata, si comportano da “ciucci e presuntuosi”.
Su donne,
immigrati svolgono un ruolo di sopprimere le contraddizioni per realizzare
l'unità; lì dove invece l'unità deve essere frutto dell'evidenziare le
contraddizioni e della lotta all'interno della classe stesse (vedi la
contraddizione di genere all'interno della contraddizione di classe che deve
eccome prevedere ed essere portata avanti come lotta)
Sulla
questione meridionale, i compagni sembrano scoprire ora questioni vecchie, e
restano su una visione cristallizzata. A livello dei processi di
industrializzazione, poi, non si tiene conto che oggi vi sono realtà del
meridione che sono molto più industrializzate di realtà del nord, che vi è una
nuova geografia industriale che cambia le gerarchie (la Sata di Melfi è oggi
più importante della Fiat di Torino). L'analisi e la risposta in termini
sindacali/politici è quindi vecchia.
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