giovedì 31 luglio 2025

31 luglio - Bari, operaio muore cadendo da un’impalcatura in un cantiere Mapei: insieme a lui c’era il figlio

 

da fanpage

Cosimo Granieri, operaio 54enne, è morto cadendo da un ponteggio in un cantiere Mapei a Modugno. Indagini in corso su dinamica, sicurezza e regolarità del lavoro. L’uomo era addetto alla conduzione dei muletti.
A cura di Davide Falcioni

Cosimo Granieri, operaio 54enne di San Giorgio Jonico (Taranto), è morto ieri a seguito di un incidente sul lavoro avvenuto in un cantiere per la costruzione della nuova sede della Mapei, nella zona industriale di Modugno, alle porte di Bari. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo sarebbe precipitato da un ponteggio metallico in fase di montaggio, cadendo da un’altezza di almeno cinque metri. Il tempestivo intervento del personale del 118 non è bastato a salvargli la vita: dopo il trasporto d’urgenza al Policlinico di Bari, Granieri è deceduto a causa di un trauma cranico e di un’emorragia cerebrale. In ospedale è giunto accompagnato dal figlio, anch’egli operaio impiegato nella stessa azienda.
Immediatamente è stato posto sotto sequestro il cantiere, con l’arrivo sul posto dei carabinieri e degli ispettori dello Spesal della Asl di Bari. La salma è attualmente a disposizione del sostituto procuratore Carla Spagnuolo, che ha disposto l’autopsia per domani. La Procura di Bari ha inoltre avviato un’inchiesta per verificare la regolarità dell’assunzione di Granieri e il rispetto delle norme di sicurezza nell’area di lavoro, situata nella zona Asi vicino alla sede della Motorizzazione civile.
Granieri era addetto alla guida dei muletti, ma non è chiaro perché si trovasse sul ponteggio da cui è precipitato. La dinamica dell’incidente resta ancora in fase di accertamento. "Se l’operaio era addetto ad una mansione differente di quella da ponteggiatore, non doveva trovarsi lì mettendo a rischio la sua vita – osservano Ignazio Savino e Davide Lavermicocca, segretari della Fillea Cgil – senza formazione adeguata e senza la corretta percezione del rischio". Mapei, in una nota ufficiale, si è detta "estremamente colpita" e ha "espresso il proprio cordoglio alla famiglia".

mercoledì 30 luglio 2025

31 luglio - info TARANTO: La posizione dello Slai Cobas sulla lotta in corso per ex Ilva

 da tarantocontro

Oggi saremo al presidio conferenza stampa sotto il Comune indetto da #ComitatoNoDiscarica #IlvaisaKiller #Nodissalatore

Abbiamo espresso la nostra prima posizione classista e combattiva anticapitalista sui fatti in ORE 12 - attenta all’analisi concreta della situazione concreta - la riportiamo sotto.

E' chiaro che noi siamo d’accordo con il Comitato no discarica e no dissalatore - ma nessuna delle due questioni dipendono dal l’Ilva - su cui la nostra posizione resta: 

Nocivo è il capitale non la fabbrica - piattaforma operaia e piattaforma ambientale contro padroni  governo / partiti parlamentari / sindacalismo collaborazionista / istituzioni locali / autonomia operaia organizzazione lotta di classe rivoluzione. Alternativa all’ambientalismo piccolo borghese.

Slai Cobas per il sindacato di classe

 DA CONTROINFORMAZIONE ROSSOPERAIA ORE 12:

Noi ci battiamo perché ci sia una piattaforma dei lavoratori, con annessa piattaforma ambientale. Nell’attuale stadio del sistema capitalista e della crisi mondiale dell’acciaio, intorno al capezzale dell’Ilva si combatte una battaglia aperta e segreta.
Ma tutti questi processi di ristrutturazione, acquisizione, vengono di fatto scaricati sugli operai con licenziamenti, cassintegrazione, peggioramento delle condizioni di lavoro, mancanza di sicurezza e ricadute ambientali sul territorio. Gli operai e i lavoratori non vogliono finire senza lavoro né in una cassintegrazione senza ritorno, né stare alla mercè di eventuali piani di ricollocazione dei lavoratori. Tutti i piani che in questa città sono falliti con la Belleli, con la Cementir. Quindi il punto fermo da cui noi intendiamo partire è che i lavoratori devono rimanere operai nella zona industriale, devono essere parte integrante del processo di eventuale riconversione, ambientalizzazione, senza diventare, dopo essere state vittime del sfruttamento, di morti sul lavoro, anche le vittime del processo di cambiamento della fabbrica. Noi escludiamo che la chiusura della fabbrica risolva i problemi dei lavoratori e della salute e dell’ambiente in questa città. Riteniamo che siamo di fronte alla necessità di opporre alla produzione per il massimo profitto e allo scarico sui lavoratori e cittadini della crisi e ristrutturazione, la lotta dei lavoratori in coordinamento, unità con la lotta delle masse popolari della città. La piattaforma operaia ha questo scopo. Dice no agli esuberi, no alla cassa integrazione permanente, dice è per l’utilizzo dei lavoratori, che non possono essere utilizzati nella produzione attualmente, nei lavori di ambientalizzazione e di bonifiche in fabbrica e nella zona industriale. Siamo perché ci sia durante tutto questo periodo una postazione ispettiva dentro la zona industriale che sia di deterrenza e di controllo effettivo di come procede tutta questa opera. Siamo perché ci sia un’integrazione salariale per operai delle Acciaierie e operai dell’appalto nei periodi di cassa integrazione. Siamo naturalmente per tutte le misure che possano alleggerire anche in forma di risarcimento i problemi occupazionali con le questioni dell’estensione dei benefici per i lavori usuranti e per l’amianto. Ne siamo stati i primi a rivendicarli, questa è l’unica voce esuberi che accettiamo all’interno di un piano generale che prevede l’occupazione di tutti i lavoratori nella zona industriale nel processo di ambientalizzazione.
Questo processo di ambientalizzazione noi pensiamo che debba essere accelerato al massimo, anche se nelle mani dei capitalisti di Stato o privati che agiscono per il profitto in una situazione di guerra di mercato e di crisi non c’è da avere alcuna fiducia nel rispetto dei tempi da parte dei padroni e dei governi, in un sistema in cui i rapporti di forza vengono segnati dalla lotta di classe.

La piattaforma operaia è la soluzione per gli operai, ma deve essere anche la soluzione alla situazione della città. Lo scambio, voluto dal governo a cui le istituzioni locali si prestano, a partire dal Comune, è da respingere. Le nuove opportunità lavorative che vengono poste nel cosiddetto Accordo di programma non devono essere per occupare gli esuberi del piano di ristrutturazione e di ridimensionamento delle Acciaierie, ma devono essere un’opportunità di lavoro alla grande massa dei lavoratori precari, dei giovani, delle donne, dei disoccupati della città. Sulla questione ambientale noi riteniamo che bisogna fare una battaglia rigida rispetto alle fonti inquinanti e per ostacolare tutti i processi produttivi in questo tempo di ristrutturazione che possano appesantire il carico inquinante e sanitario della città. Questo riguarda tutta la questione Ilva, ma riguarda in altrettanta maniera altri insediamenti industriali che sono del territorio. Una battaglia rigida che permetta la continuità della fabbrica, che noi riteniamo indispensabile, con la massima riduzione del danno - in un sistema capitalista in cui la logica del profitto e del taglio dei costi fa sì che nessuna attività del capitale sia “pulita”. In tutto questo contesto, la canea che si è creata intorno alla mobilitazione degli ambientalisti, giusta e necessaria, ha trovato questo “incidente di percorso” dal punto di vista del governo e delle stesse istituzioni, rappresentato dalla contestazione forte e combattiva che si è manifestata nella giornata di lunedì 28/7. Una contestazione assolutamente legittima che con slogan, interventi, ecc. voleva far sentire forte il proprio punto di vista, soprattutto di quelle parti di popolazione, di cittadini che si sentono più o meno rappresentati dalle associazioni che incontravano nello stesso tempo il sindaco. Quindi non c’era da fare scandalo per la contestazione. Le istituzioni si assumono le loro responsabilità, nel dire i loro sì e i loro no, i proletari e le masse li contestano per cercare di far cambiare le loro decisioni. E’ una dialettica che deve essere riconosciuta, e invece è proprio la reazione isterica allo sviluppo di questa dialettica che dimostra che non si vuole riconoscere. Il sindaco non può alzarsi e dire ho affari privati da risolvere e me ne vado. Non può farlo in un incontro pubblico con una parte fortemente critica nei confronti della scelta ambigua del Comune sull’Accordo di programma. E’ mancanza di rispetto verso coloro che stavano sia sopra che in piazza. Invece si è scelta la soluzione peggiore, prima di interrompere la riunione, poi di reagire in maniera arrogante alla contestazione. Per non dire di peggio se si trattasse di una manovra politica per defilarsi, per nascondere le proprie responsabilità o di una manovra ricattatoria, tattica per permettere comunque di far passare l’Accordo di programma. Le responsabilità della giornata del 28 ricadono sul sindaco. Le sua dimissioni sono un sottrarsi alle responsabilità e acutizzare le contraddizioni. Quindi respingiamo ogni tentativo fatto dalla stampa, dal coacervo di partiti, di cui si distingue come sempre il PD, che criminalizzano, parlano di violenze, parlano di aggressione fisica e cose di questo genere. Non c’è stato nulla di tutto questo, se non le espressioni di rabbia. Chi giudica chi poi, quelli che fanno ogni giorno violenza ai diritti dei lavoratori e delle masse popolari della città? Quindi bisogna continuare a lottare. Detto questo, questa battaglia in corso a Taranto non è possibile senza un ruolo determinante dei lavoratori che tutelino lavoro, salute e sicurezza per sé e per tutti i soggetti della città. Le “soluzioni” che sono al Tavolo e che si vogliono far passare tamburo battente non rispondono agli interessi dei lavoratori. In parte questo lo hanno detto durante le assemblee, in parte no, perché tutti i sindacati in Ilva collaborazionisti non vogliono parlare di piani concreti dal punto di vista degli interessi di classe. La battaglia è in corso. Non c’è nessun ultimatum che va accettato, all’interno chiaramente di rapporti di forza in una situazione di una fabbrica che resta nelle mani del capitalismo. Rafforziamo la piattaforma operaia, sviluppiamo gli elementi della piattaforma ambientale che possono permettere di contrastare i piani del governo, dei futuri padroni e delle Istituzioni locali.

Questa è la posizione dello Slai Cobas e su questo continueremo nei prossimi giorni a lavorare, innanzitutto verso gli operai, e nello stesso tempo difendendo ogni attacco alla libertà di manifestare, alla libertà di opinione, alla necessaria battaglia che in questa città è indispensabile per difendere il lavoro dei lavoratori e l’ambiente e la salute dei proletari e delle masse.


martedì 29 luglio 2025

29 luglio - Appello dei sindacati palestinesi pubblichiamo integrale l'appello dei lavoratori palestinesi a lavoratori e 00.SS nel mondo....

 .... naturalmente raccolto e diffuso dallo Slai Cobas per il sindacato di classe


Ai lavoratori liberi ovunque nel mondo,

Ai nostri compagni nei sindacati e nelle federazioni sindacali internazionali,

Vi trasmettiamo la dichiarazione dei lavoratori di Gaza, emessa dalla Federazione Generale Palestinese dei Sindacati, rivolta ai lavoratori e ai sindacati del mondo — un ultimo appello che hanno intitolato “Un grido prima della morte.”

Questo messaggio ci giunge nel mezzo della fame e dell’assedio, da sotto le macerie delle fabbriche e delle case, e dal cuore di una guerra di sterminio che va avanti da quasi 22 mesi, accompagnata da una politica sistematica di fame di massa attuata da “Israele” con il diretto sostegno degli Stati Uniti e dei suoi partner europei.

La dichiarazione recita:

“La guerra israeliana ha distrutto l’80% delle case di Gaza, tutte le sue fabbriche, officine e fonti di sostentamento, e la maggior parte dei suoi terreni agricoli è stata rasa al suolo.”

Infatti, la vita dei lavoratori, pescatori, agricoltori e di tutti i settori produttivi della Striscia assediata è diventata un inferno vivente. Le loro famiglie sono ormai senza riparo e senza reddito. Non c’è cibo, né medicine. Un lavoratore afferma:

“Siamo assediati dalle armi americane ed europee, soffocati dalla fame, dall’abbandono e dal silenzio — tutto nel tentativo di distruggere le nostre vite, spezzare la nostra resilienza e annientare la volontà di resistenza del nostro popolo.”

Oggi ci rivolgiamo di nuovo a voi, non solo come vittime, ma come lavoratori della Palestina: parte integrante delle classi popolari e lavoratrici di questo mondo, in lotta per la giustizia, la liberazione e la dignità. E vi chiediamo di:

Spezzare il silenzio e la complicità, far sentire la vostra voce all’interno dei vostri sindacati e federazioni, e denunciare le politiche di fame, assedio e massacro a Gaza.

Fare pressione sui vostri governi affinché cessino gli accordi sulle armi e la cooperazione militare con l’occupazione, e impongano sanzioni al regime sionista coloniale di apartheid.

Boicottare le aziende che sostengono l’occupazione, e ritirare gli investimenti sindacali da qualsiasi impresa, istituzione o ente che finanzi o tragga profitto dalla guerra.

Organizzare giornate di rabbia e solidarietà globale nelle fabbriche e officine, nei porti e negli aeroporti, nelle strade e nelle piazze pubbliche, in sostegno della Palestina e del suo coraggioso popolo.
Ci rivolgiamo in particolare ai sindacati dei marittimi e dei portuali, esortandoli a rifiutarsi di caricare o scaricare navi “israeliane” o dirette verso porti sionisti, e a fermare ogni forma di cooperazione marittima o commerciale con gli strumenti di guerra e assedio. Le vostre mani forti e le vostre coscienze risvegliate sono capaci di fermare la macchina dello sterminio e bloccare le spedizioni di morte dirette in Palestina. Mostrate all’umanità intera la forza della classe lavoratrice in lotta, quando si unisce in difesa della giustizia e dei valori umani.

Da qui, salutiamo con orgoglio e gratitudine i nostri compagni, i lavoratori portuali in Grecia, per la loro posizione di principio e coraggiosa, e per il loro ruolo guida nel boicottaggio delle navi “israeliane” e nel rifiuto della complicità nei crimini di guerra. Salutiamo anche i sindacati in Norvegia, Spagna, Francia, Canada e altrove per il loro ruolo pionieristico nella solidarietà concreta con il nostro popolo attraverso il boicottaggio delle istituzioni dell’occupazione. Invitiamo tutti i sindacati del mondo a tagliare ogni legame con la cosiddetta “Histadrut”, l’organizzazione sionista che si presenta come sindacato ma partecipa all’assedio dei lavoratori palestinesi, giustifica il genocidio a Gaza, e opera come parte integrante dell’apparato dell’occupazione israeliana.

Compagni,
Quello che si sta perpetrando oggi a Gaza è un crimine di fame di massa sotto gli occhi del mondo intero: il suo scopo è quello di cacciarci e strapparci dalla nostra terra. Non si tratta solo di una guerra di sterminio fisico; è una serie di crimini che superano tutto ciò che è stato commesso dal nazismo e dal fascismo in Europa. È condotta con l’obiettivo di sottometterci distruggendo le stesse condizioni di vita e di dignità umana. Eppure, le classi popolari lavoratrici e i loro sindacati liberi nel mondo possiedono una storia, una forza e un coraggio sufficienti a sconfiggere queste politiche criminali — se uniscono le proprie forze e alzano la voce contro il colonialismo, il sionismo e la ferocia del capitalismo.

Vi promettiamo: Ricostruiremo di nuovo le università, le scuole, le istituzioni e le fabbriche di Gaza, come abbiamo sempre fatto dopo ogni guerra di distruzione americano-sionista. E continueremo a resistere, qualunque siano le difficoltà e le sfide.

Trasformiamo la rabbia in azione e la solidarietà in una presa di posizione concreta.

Spezziamo la politica della fame e alziamo la bandiera della lotta dei lavoratori per la giustizia —Per una Palestina libera, dal fiume al mare.

Il Movimento Palestinese per un Percorso Rivoluzionario Alternativo (Masar Badil)

Il grido dei lavoratori prima della morte.

Un grido che rivolgiamo alla coscienza e alla dignità dei nostri compagni nei sindacati, per chiedere mobilitazione a favore dei bambini che non trovano né latte né pane, per le madri che non hanno più latte, per i malati che attendono la morte per fame, per gli anziani che temono di morire di stenti, e per i lavoratori che non trovano né lavoro né cibo.

Compagni liberi,

Da 22 mesi l’occupazione porta avanti l’uccisione di civili e la distruzione delle abitazioni — ha distrutto l’80% delle case di Gaza, tutte le sue fabbriche, raso al suolo la maggior parte delle terre agricole, e chiuso quasi tutte le fonti di sostentamento.

Stimati colleghi,

Abbiamo fiducia in voi, perciò rimboccatevi le maniche per rompere l’assedio su Gaza. Da voi ci aspettiamo un ruolo umano e morale per salvare Gaza da un blocco in cui l’occupazione criminale ha sigillato ogni finestra per l’ingresso di cibo, medicine e acqua al suo popolo.

Compagni dei sindacati,

Attendiamo il vostro intervento per far giungere il grido dei bambini e dei lavoratori di Gaza ai decisori politici e alle piazze. Voi siete i più adatti a portare questa responsabilità — sosteneteci, mobilitate le piazze, fermate gli accordi sulle armi che stanno uccidendo bambini, donne e lavoratori. Radunate simpatizzanti e sostenitori per rompere l’assedio su Gaza, e fate arrivare la vostra voce libera ai decisori.

Non c’è scusa per chi abbandona Gaza e il suo popolo, o per chi abbandona i lavoratori.

Gaza resterà testimone di chi ha risposto al grido dell’umanità e della libertà, e resterà simbolo per tutti i popoli liberi del mondo.

Invitiamo lavoratori e organizzazioni sindacali a contattarci via email: workers@masarbadil.org

risposta all’appello dello Slai Cobas

Our trade union classist and combactive in Italy diffuses your call in factories Steel/autos/ logistic workers migrant
And we inform you about these actions
Slai Cobas per il sindacato di classe Italy

risposta dei sindacati palestinesi allo Slai Cobas per il sindacato di classe.
Thank you very much for reaching out to us. We look forward to strengthening the comradely relations between us and await your news and your labor and struggle-related activities.
Long live global workers’ solidarity!

Grazie mille per averci contattato. Non vediamo l'ora di rafforzare i rapporti di compagneria tra di noi e attendiamo le vostre notizie e le vostre attività di lotta e sindacali.
Viva la solidarietà operaia internazionale

lunedì 28 luglio 2025

Appello/Dichiarazione della Federazione Generale Palestinese dei Sindacati

"Un grido prima della morte"

23 luglio 2025

Ai lavoratori liberi ovunque nel mondo,

Ai nostri compagni nei sindacati e nelle federazioni sindacali internazionali,

Vi trasmettiamo la dichiarazione dei lavoratori di Gaza, emessa dalla Federazione Generale Palestinese dei Sindacati, rivolta ai lavoratori e ai sindacati del mondo — un ultimo appello che hanno intitolato “Un grido prima della morte.” Questo messaggio ci giunge nel mezzo della fame e dell’assedio, da sotto le macerie delle fabbriche e delle case, e dal cuore di una guerra di sterminio che va avanti da quasi 22 mesi, accompagnata da una politica sistematica di fame di massa attuata da “Israele” con il diretto sostegno degli Stati Uniti e dei suoi partner europei.

La dichiarazione recita:

"La guerra israeliana ha distrutto l’80% delle case di Gaza, tutte le sue fabbriche, officine e fonti di sostentamento, e la maggior parte dei suoi terreni agricoli è stata rasa al suolo.”

Infatti, la vita dei lavoratori, pescatori, agricoltori e di tutti i settori produttivi della Striscia assediata è diventata un inferno vivente. Le loro famiglie sono ormai senza riparo e senza reddito. Non c’è cibo, né medicine. Un lavoratore afferma: “Siamo assediati dalle armi americane ed europee, soffocati dalla fame, dall’abbandono e dal silenzio — tutto nel tentativo di distruggere le nostre vite, spezzare la nostra resilienza e annientare la volontà di resistenza del nostro popolo.”

Oggi ci rivolgiamo di nuovo a voi, non solo come vittime, ma come lavoratori della Palestina: parte

integrante delle classi popolari e lavoratrici di questo mondo, in lotta per la giustizia, la liberazione e la dignità. E vi chiediamo di:

Spezzare il silenzio e la complicità, far sentire la vostra voce all’interno dei vostri sindacati e federazioni, e denunciare le politiche di fame, assedio e massacro a Gaza.

Fare pressione sui vostri governi affinché cessino gli accordi sulle armi e la cooperazione militare con l’occupazione, e impongano sanzioni al regime sionista coloniale di apartheid.

Boicottare le aziende che sostengono l’occupazione, e ritirare gli investimenti sindacali da qualsiasi impresa, istituzione o ente che finanzi o tragga profitto dalla guerra.

Organizzare giornate di rabbia e solidarietà globale nelle fabbriche e officine, nei porti e negli aeroporti, nelle strade e nelle piazze pubbliche, in sostegno della Palestina e del suo coraggioso popolo.

Ci rivolgiamo in particolare ai sindacati dei marittimi e dei portuali, esortandoli a rifiutarsi di caricare o scaricare navi “israeliane” o dirette verso porti sionisti, e a fermare ogni forma di cooperazione marittima o commerciale con gli strumenti di guerra e assedio. Le vostre mani forti e le vostre coscienze risvegliate sono capaci di fermare la macchina dello sterminio e bloccare le spedizioni di morte dirette in Palestina. Mostrate all’umanità intera la forza della classe lavoratrice in lotta, quando si unisce in difesa della giustizia e dei valori umani.

Da qui, salutiamo con orgoglio e gratitudine i nostri compagni, i lavoratori portuali in Grecia, per la loro posizione di principio e coraggiosa, e per il loro ruolo guida nel boicottaggio delle navi “israeliane” e nel rifiuto della complicità nei crimini di guerra. Salutiamo anche i sindacati in Norvegia, Spagna, Francia, Canada e altrove per il loro ruolo pionieristico nella solidarietà concreta con il nostro popolo attraverso il boicottaggio delle istituzioni dell’occupazione. Invitiamo tutti i sindacati del mondo a tagliare ogni legame con la cosiddetta “Histadrut”, l’organizzazione sionista che si presenta come sindacato ma partecipa all’assedio dei lavoratori palestinesi, giustifica il genocidio a Gaza, e opera come parte integrante dell’apparato dell’occupazione israeliana.


sabato 26 luglio 2025

26 luglio - Napoli - ancora una strage di operai sul lavoro: solidarietà alle famiglie

 Incidente sul lavoro a Napoli: morti Luigi Romano, Vincenzo Del Grosso e Ciro Pierro

I tre operai morti a Napoli sarebbero precipitati per la rottura di un perno; indagini della Polizia, accertamenti sull’utilizzo dei sistemi di protezione sul lavoro.
A cura di Nico Falco

Il cestello del montacarichi potrebbe non avere retto il peso eccessivo e avrebbe ceduto, facendo precipitare i tre uomini verso un volo senza scampo. Sarebbe stata questa la causa della morte di Ciro Pierro, 62enne di Calvizzano, Luigi Romano, 67enne di Arzano, e Vincenzo Del Grosso, 56 anni, i tre operai morti questa mattina a Napoli mentre erano al lavoro su un edificio al civico 163 di via Domenico Fontana. Sulla vicenda la Procura di Napoli ha aperto una inchiesta, coordinata dalla Sezione Lavoro e colpe professionali (procuratore aggiunto Antonio Ricci, sostituto Stella Castaldo).
L'incidente è avvenuto nella mattinata di oggi, 25 luglio. I tre lavoratori sono precipitati da un ponteggio mobile da un'altezza di circa venti metri, mentre stavano lavorando alla manutenzione del tetto di un palazzo di 6 piani all'incrocio con via San Giacomo dei Capri. Sull'accaduto sono in corso accertamenti, le indagini sono affidate alla Polizia di Stato. Secondo una prima ricostruzione, il cestello in cui erano i tre si sarebbe sganciato mentre gli operai stavano caricando sul tetto un rotolo di bitume; il peso potrebbe avere fatto cedere la colonna portante del montacarichi, facendolo sganciare.

 https://www.fanpage.it/napoli/incidente-sul-lavoro-a-napoli-morti-luigi-romano-vincenzo-del-grosso-e-ciro-pierro/
https://www.fanpage.it/

Dov’erano le protezioni?”: la rabbia dei parenti di Ciro, Luigi e Vincenzo, morti per il ribaltamento del montacarichi

di Paolo Popoli

Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

Ciro Pierro, 62 anni, Luigi Romano, 67, e Vincenzo Del Grosso, 54 anni. Su tre, due dei morti di Napoli sarebbero già in pensione se non avessero allungato indiscriminatamente l'età per andare in pensione e se Salvini sempre prima delle elezioni non avesse promesso di eliminare la Legge Fornero, per poi dimenticarsene una volta rubato il voto. Il 30% dei morti sui luoghi di lavoro hanno più di 60 anni e addirittura il 17% sono ultrasettantenni. Ma il "potere" nasconde questo dato sconvolgente. Poi se vediamo chi sono i morti in edilizia, sono anche al centro nord meridionale ora molti anche stranieri

Ciro Pierro, 62 anni, Luigi Romano, 67, e Vincenzo Del Grosso, 54 anni. Su tre, due dei morti di Napoli sarebbero già in pensione se non avessero allungato indiscriminatamente l'età per andare in pensione e se Salvini sempre prima delle elezioni non avesse promesso di eliminare la Legge Fornero, per poi dimenticarsene una volta rubato il voto. Il 30% dei morti sui luoghi di lavoro hanno più di 60 anni e addirittura il 17% sono ultrasettantenni. Ma il "potere" nasconde questo dato sconvolgente. Poi se vediamo chi sono i morti in edilizia, sono anche al centro nord meridionale ora molti anche stranieri


venerdì 25 luglio 2025

25 luglio - info da tarantocontro: DALLE ASSEMBLEE CASSAINTEGRATI ILVA

 

Dalle assemblee indette da Fiom, Fim, Uilm sulla situazione Ilva/governo - L'assemblea di stamattina dei cassintegrati Ilva AS

La registrazione completa dell'assemblea/interventi

https://drive.google.com/file/d/1JgWS2uxG_BdvZVErfV453ef3mtqWfMxm/view?usp=drivesdk

Info da parte dell'operaio dello Slai Cobas - i punti del suo intervento e un suo commento sull'assemblea



25 luglio - Strage Brandizzo, 24 indagati per la morte dei 5 operai sui binari, anche Rfi: omissioni e negligenze

 ma cade l'accusa di omicidio volontario che è sistemica di questo sistema, cioè, in particolare, il governo Meloni con l'attacco alla magistratura mette al servizio dell'impunità delle imprese e dei loro profitti

Chiuse le indagini sulla strage di Brandizzo: 24 indagati tra cui 21 persone fisiche e 3 società. Cade l’accusa di omicidio volontario. Per la morte dei lavoratori Giuseppe Aversa, Kevin Laganà, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Sorvillo e Michael Zanera, gli indagati devono rispondere a vario titolo di diversi reati tra cui quelli più gravi sono di omicidio colposo e disastro colposo.
A cura di Antonio Palma

Cade l'accusa di omicidio volontario per la morte dei cinque operai travolti da un treno mentre lavoravano sui binari nella stazione di Brandizzo, in provincia di Torino la sera del 30 agosto 2023. La procura di Ivrea infatti ha chiuso le indagini sulla strage notificando 24 avvisi nei confronti di altrettanti indagati tra cui  21 persone fisiche e 3 società. Nel mirino dei pm le società Rfi, Sigifer di Borgo Vercelli, da cui dipendevano le vittime, e Clf di Bologna, che aveva subappaltato i lavori alla Sigifer, ma anche tutti i vertici di Rete ferroviaria Italiana all'epoca dei fatti.
Per la morte dei dipendenti di Sigifer Giuseppe Aversa, Kevin Laganà, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Sorvillo e Michael Zanera, gli indagati devono rispondere a vario titolo di diversi reati tra cui quelli più gravi sono di omicidio colposo e disastro colposo. Caduta infatti la prima ipotesi accusatoria più grave di omicidio volontario con dolo eventuale.

questo ci dice che serve una rivolta sociale e non lasciar cadere nel vuoto il grido di rabbia e dolore del papà di Kevin ma anche in nome degli altri operai uccisi

Il padre di Kevin, la vittima più giovane a Brandizzo: “Me l’hanno ammazzato un’altra volta”

di Federico Gottardo




giovedì 24 luglio 2025

24 luglio - info 2: Stellantis/Iveco tra riconversione bellica (Leonardo) e cessione al gruppo indiano Tata

 

Il rebus Iveco tra il futuro della Difesa e le mire indiane

Iveco è in vendita: Exor ha deciso di aprire le trattative per la cessione di uno dei suoi principali asset, l’azienda leader in Italia per la produzione di veicoli commerciali e furgoni che negli anni ha rappresentato un perno importante degli affari del gruppo guidato da John Elkann.

Gli scenari per la vendita di Iveco


Si parla di una trattativa col gruppo indiano Tata Motors: “Exor starebbe valutando la cessione della propria quota di controllo (pari al 27,1% del capitale e al 43,1% dei diritti di voto) alla società indiana interessata ad acquisire l’intero perimetro industriale del gruppo, escludendo però la divisione militare”, nota Industria ItalianaSecondo la testata diretta da Filippo Astone si tratta di “un’operazione che potrebbe ridisegnare gli equilibri del settore automotive europeo e riaccende le preoccupazioni politiche e sindacali su un’altra possibile dismissione industriale a favore di gruppi stranieri”.

Indipendente dopo la scissione da Cnh Industrial sotto la galassia Agnelli-Elkann dal 2022, Iveco è un’azienda sana che, nonostante un primo trimestre difficile (-42% dell’utile netto) non ha mai mancato di generare flussi di cassa positivi: dal 2021 ad oggi ha generato oltre 2,2 miliardi di euro di utili operativi e poco meno di 1,5 miliardi di utile netto risultando inoltre capace di garantire la continuità dell’industria motoristica italiana in un contesto di elevata criticità per Stellantis.

Iveco è dunque un’azienda che si porta alle spalle anni di espansione delle capacità produttive e nonostante un difficile inizio di 2025 gioca un ruolo importante nell’industria italiana. La decisione di alienarla da parte di Exor non è una novità: già nel 2019 Elkann valutava la vendita ai cinesi di Faw. Oggi, la scelta di cederla può rientrare nell’ottica di un generale riassetto della galassia Exor, che vuole ridurre a livello generale il peso della manifattura di veicoli nel quadro di una generale transizione verso un ruolo crescente nella tecnologia, nelle scienze della vita, nell’investimento in venture capital.

Il nodo difesa

Va da sé che questo implica una grande attenzione per il futuro della divisione difesa del gruppo, Iveco Defense Vehicles (Idv), che tra Bolzano, Piacenza e il Brasile ha numerose importanti attività e la cui vendita sarà scorporata, nel caso, dalla cessione della casa madre.

Ad oggi, Idv è nel mirino di un consorzio formato da Leonardo e dalla tedesca Rheinmetall, del produttore di mezzi militari franco-tedesco Knds e dal ceco Czechoslovak Group. Bloomberg ha stimato in quasi 1,9 miliardi di euro il valore dato al gruppo. La sensazione è che la vendita di Iveco possa essere colta al balzo da Elkann per piazzare nel migliore dei modi l’asset sfruttando la corsa al riarmo e l’attenzione industriale che lo circonda. Resta, in ogni caso, tracciato un trend: il disaccoppiamento tra gli Agnelli-Elkann ed Exor da un lato e il settore motoristico dall’altro appare tracciato. E qualsiasi analisi sui piani di rilancio dell’auto italiana di cui si parla non può non tenere conto di dinamiche di cui Iveco è una manifestazione.



24 luglio - info: TARANTO, ASSEMBLEE AMBIENTALISTE E POSIZIONI CLASSISTE

 

L'assemblea tenutasi lunedì nella piazzetta Gandhi ha visto la partecipazione circa 300 persone, tra associazioni ambientaliste, rappresentanze civiche, esponenti di partiti come 5 Stelle, consiglieri comunali, cittadini, aveva come tema unitario maggioritario la chiusura dell'ex Ilva, la denuncia del rinnovo dell’Aia  nonostante il parere negativo espresso dal sindaco di Taranto, di Statte, dal presidente della Provincia e dal presidente della Regione Puglia e invito rivolto ai consiglieri è di respingere ogni ipotesi di intesa che non preveda la dismissione definitiva degli impianti ritenuti inquinanti. No “compensazioni” in cambio della salute”. Ma negli interventi si sono evidenziate differenze. 

Di seguito alcune sintetiche informazioni da parte di rappresentanti dello Slai Cobas per il sindacato di classe che erano presenti all'assemblea.

Marescotti PeaceLink insiste sul ricorso al Tar contro l'Aia e sul fare pressione perchè non si accetti l'Accordo di programma; Giustizia per Taranto nel valorizzare la grossa partecipazione ha sottolineato come fatto positivo che gli Enti locali abbiano detto no all'attuale accordo di programma presentato dal governo; e ha ricordato che ad ottobre comincerà un altro processo Ilva (simil "Ambiente svenduto") che riguarderà i danni odierni dell'ex Ilva all'ambiente;

Un ex operaio Ilva in rappresentanza di un movimento civico ha denunciato la Cisl che ha plaudito alle decisioni del governo, e l'assenza degli altri sindacati presenti in Ilva. Sì alla chiusura della fabbrica, però si deve risolvere il problema occupazionale degli operai mettendoli a lavorare nelle bonifiche:

Un ragazzo studente (unico a dirlo) ha detto che solo i lavoratori hanno la forza per cambiare lo stato di cose esistente;

I Liberi e pensanti hanno polemizzato con altri interventi, rivendicando che le cose che vengono dette ora le avevano dette insieme prima, poi vi è stata una divisione tra le varie realtà; no alle pressioni verso gli Enti locali verso cui non bisogna avere nessuna fiducia perchè prima dicono no e poi sì. Quindi: dobbiamo fare da noi. Proposta di marciare sulla fabbrica per "chiuderla noi". Gli operai che potevano opporsi erano quelli del 2 agosto 2012. 

Un rappresentante dei 5Stelle ha detto di inviare una pec al sindaco sulla bozza di accordo;

Il consigliere Luca Contrario: importante che per la prima volta gli Ento locali hanno preso posizione; altro consigliere Lenti da "politicante" si è autodichiarato "Noi siamo la classe dirigente".

Le conclusioni sono state: 

- una Dichiarazione comune di "stato di emergenza sanitaria e ambientale"; evidenziando l’impatto delle emissioni che continua a colpire in modo grave la salute pubblica, soprattutto quella dei bambini e delle fasce più vulnerabili della popolazione. La Dichiarazione sarà inviata alla Presidenza del Consiglio, ai ministeri competenti, alla Commissione Europea, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e all’Organizzazione delle Nazioni Unite, chiedendo un’indagine internazionale indipendente,

- 24 luglio nuova assemblea in piazza Garibaldi;

- 30 luglio al Consiglio comunale sull'Accordo di programma.

LA POSIZIONE DELLO SLAI COBAS

In tutta questa questione/mobilitazione ambientalista che ora si è riaperta a Taranto, la massa degli operai non ha alcuna possibilità di farsi sentire. Ma gli operai Acciaierie, dell'appalto, gli operai in Cigs in Ilva AS sono in realtà il centro di tutto, e sono gli operai che possono e dovrebbero offrire una soluzione generale che risponde ai problemi di salute, inquinamento dei quartieri. Su questo la deviazione, il freno, è costituito principalmente dalla linea e prassi dei sindacati in fabbrica confederali e Usb. Noi siamo contro questa Aia, contro l'Accordo di programma. Il confronto su questo con gli Enti locali è sbagliato. Il Comune ha tutti gli strumenti, di legge, amministrativi, per intervenire in difesa della cittadinanza. Ma non lo fa! E, peggio, agisce con una logica di scambio tra accettazione dell'accordo di programma del governo e soldi e interventi su Taranto: interventi che si dovrebbero fare a prescindere e che non devono dare occupazione agli esuberi ex Ilva ma ai disoccupati, precari, giovani di Taranto. Se la nave rigassificatrice, gli impianti Dri inquinano, il Comune, la Regione hanno tutti gli strumenti per dire: Stop, senza chiedere a nessuno, nè fare accordi. Ma non lo fanno, non lo vogliono fare, al massimo denunciano ma si guardano bene dall'assumersi le loro responsabilità. Così di fatto si dice al governo: tu fai quello che ti serve, in cambio però dammi soldi per interventi Università, areoporto, ecc. ecc. Noi non siamo d'accordo neppure che gli operai ex Ilva abbiano una cassintegrazione di tantissimi anni come è già avvenuto per la Belleli e ora per la Cementir. Si tratta di soldi pubblici buttati che hanno anche l'effetto di spegnimento della forza operaia o peggio di corruzione. Noi siamo perchè gli operai siano impegnati nell'ambientalizzazione in fabbrica e nelle bonifiche dell'area industriale; e in questo siano tutti occupati dal nuovo padrone che si prenderà l'Ilva.


mercoledì 23 luglio 2025

23 luglio - TARANTO: ASSEMBLEE ACCIAIERIE/APPALTO, LE INDICAZIONI DELLO Slai Cobas sc

 


23 luglio - dal blog tarantocontro: Il governo Meloni usa il decreto Ilva per attaccare i diritti di tutti i lavoratori in Italia

 

Da fanpage

Una nuova norma al decreto Ilva, proposta dal relatore di Fratelli d’Italia, punta a restringere i tempi per far valere i crediti da lavoro, a limitare il diritto a una retribuzione dignitosa e a indebolire il ruolo della magistratura nel garantire la giustizia sociale.

L’articolo 9-bis riguarda "Termini di prescrizione e di decadenza in materia di crediti di lavoro e determinazione giudiziale della retribuzione dei lavoratori".

Al di là dei tecnicismi, significa scardinare due tutele fondamentali: la possibilità per i lavoratori di far valere i propri diritti senza temere ritorsioni durante il rapporto di lavoro e quella di ottenere in giudizio una paga dignitosa. In assenza di interventi sul salario minimo legale, affossati anche da questo governo, la prospettiva di portare davanti al giudice la propria busta paga, e di ottenere così una condanna al pagamento del giusto salario e delle differenze retributive, resta l'unico baluardo per chi viene sfruttato e sottopagato.

Anche questa tutela residua è troppo per la destra al governo, che intende anticipare la decorrenza della prescrizione, imporre nuovi obblighi giudiziali a pena decadenza e persino impedire ai tribunali di dare tutela in caso di retribuzioni troppo basse, limitando le ipotesi di intervento e addirittura vietando di condannare il datore di lavoro al pagamento degli arretrati, anche di fronte a una retribuzione insufficiente.

La proposta è potenzialmente incostituzionale e sicuramente dannosa per chi lavora: vediamo nel dettaglio perché.

Da quando decorre la prescrizione? Governo contro Cassazione

Il primo comma riguarda la prescrizione dei crediti da lavoro. Il termine di prescrizione è il tempo entro il quale si può far valere un diritto. Nel caso dei crediti da lavoro, come ad esempio retribuzioni non corrisposte o pagate solo parzialmente, il periodo è di cinque anni. Ma da quando decorre questo termine?

sabato 19 luglio 2025

19 luglio - COLLABORAZIONISMO SINDACALE: Cisl - La longa manu del governo tra i lavoratori

 da proletaricomunisti.blogspot.com


Usare la parola "sindacato" - anche il più collaborazionista con padroni e governi - per la Cisl è inappropriata. 

Se la politica, i piani della Cisl, sono quelli espressi dalla attuale dirigente nazionale, Daniela Fumarola, al congresso aperto il 16 luglio, e prima ancora da Sbarra con la legge corporativa sulla "partecipazione dei lavoratori all'impresa" - grazie a cui è stato nominato/premiato dalla Maloni sottosegretario per il sud? - ; così come l'opposizione ai referendum sui diritti dei lavoratori e degli immigrati (per indicare gli ultimi decisivi passaggi che hanno caratterizzato la linea e l'azione della Cisl), questa organizzazione che si dice "sindacato" agisce tra i lavoratori, le lavoratrici come rappresentante dei padroni e del governo, voce degli interessi di chi opera ogni giorno per peggiorare la condizione dei lavoratori, per togliere diritti. 

Giustamente il giornale Il Manifesto scrive: "il congresso della Cisl è stato allestito come una kermesse di un partito di maggioranza. Lo dimostra il programma che prevede la presenza di ben 4 ministri, più il meloniano Raffaele Fitto... e altre personalità riconducibile alla destra di governo". 

E in effetti, la dirigente ha parlato come se fosse segretaria di un altro partito di destra. 
Il governo non può agire direttamente tra i lavoratori; anche oggi, per quanto la situazione soggettiva tra i lavoratori non va affatto bene, se il governo, la Meloni, i ministri intervenissero direttamente sarebbero mandati a quel paese; ci vuole, quindi, un sindacato che formalmente lo è, ma che parla e agisce come un'altra gamba del governo. 

Nel suo intervento la Fumarola ha lanciato un «grande patto di responsabilità: governo, sindacato e sistema delle imprese che partecipino insieme verso obiettivi comuni»; dando seguito al patto, ora

legge, neo corporativo di Sbarra - che lega i lavoratori esplicitamente alle sorti delle aziende. In sintesi: "se l’impresa fa utili io partecipo alla spartizione di una minima quota di quegli utili, ottenuti grazie allo sfruttamento degli operai, al taglio dei costi del lavoro/dei salari; se l’impresa perde, io me ne faccio carico, mettendo una parte del mio salario, collaborando nella gestione dei licenziamenti, della riorganizzazione produttiva, del ridimensionamento, se non della completa scomparsa dell’impresa…".

Per questo uno dei primi saluti fatti dal palco da Giorgia Meloni - accolta con grande calore dalla Daniela Fumarola, un pò meno dai delegati cisl - è stato al neo sottosegretario, Sbarra, dicendo: «Sono fiera di averlo tra i banchi del governo». E sulla legge sulla partecipazione, parla di «conquista storica» perché contribuisce a scardinare «quella distruttiva e vecchia visione conflittuale tra lavoratori e datori di lavoro, tra padrone e operaio». Quindi, non solo nessuna "vecchia" contrapposizione, e "antica" lotta di classe, ma un "vogliamoci bene tra operai e padroni". Chi non è su questa posizione di fatto, ha praticamente detto la Meloni, è assimilabile alle Brigate rosse, ricordando, non a caso, nel suo intervento gli assassinii di professori, collaboratori dei governi, che hanno contribuito (vedi Biagi) a cancellare quelle poche leggi a favore dei lavoratori e ad iniziare la stagione lunga di leggi e prassi per cui i lavoratori sono "usa e getta" e non devono pretendere alcun diritto.   

La Daniela Fumarola «soddisfattissima» dell'intervento e complimenti della Meloni, l'ha assicurata: sul patto «andremo avanti con chi ci sta».

Continuando la Fumarola ha attaccato i referendum di giugno, dicendo che si tratta di "arnesi vecchi e pesanti, indossando armature di un tempo che non c’è più..., (occorre rimuovere) "troppe tare antiche...". Quindi. operai, lavoratori tutti, precari scordatevi di avere diritti, questo poteva accadere in un tempo passato, ora non più. E - tanto per essere chiari - oggi i lavoratori non devono lottare, prendersela con chi, padroni e governo gli rende la vita impossibile, li licenzia, gli fa contratti "usa e getta", gli aumenta i carichi di lavoro, attacca ancor più sicurezza e salute, li fa morire... NO! Perchè, ha detto Fumarola, è «facile prendersela con qualcuno se le cose non funzionano, piuttosto che rimboccarsi le maniche e affondare le mani nella creta del possibile».

Sul resto, la dirigente Cisl "lancia giusto una proposta sullo ius scholae ma per ribadire che non sarà una spina nel fianco della maggioranza, si dice favorevole al nucleare e contraria al salario minimo".

Fumarola nei vari passaggi si è presa la "pizzicata" con gli altri sindacati confederali, Cgil, Uil, che, ma non poteva essere diversamente, hanno risposto tutto sommato timidamente, chiedendo rispetto (reciproco), facendo notare, soprattutto Landini, che di patti loro ne hanno sottoscritto eccome, ma "c'è un problema di applicazione". 

Ma la realtà è che, tra i lavoratori, le lavoratrici, va ben compresa la natura della Cisl e la sua funzione attuale nel movimento dei lavoratori; essa non va affatto sottovalutata e normalizzata. Certo anche gli altri sindacati confederali, Uil, Cgil, sono da tempo collaborazionisti, e quando possono cogestori dei processi anti lavoratori nelle fabbriche, nei posti di lavoro; ma la Cisl va oltre. E' il corporativismo di stampo fascista, che lega, come la corda sostiene l'impiccato, i lavoratori al sostegno dei padroni e del governo, un corporativismo che viene sempre più dai vertici Cisl praticato, politicamente, sindacalmente, ideologicamente. La Cisl è il sindacato giusto nella marcia del sistema borghese verso un moderno fascismo.

Questo va subito capito dagli operai, dai lavoratori, dalle lavoratrici, per trarne le necessarie conseguenze.



venerdì 18 luglio 2025

18 luglio - Ex Ilva - Il governo Meloni/Urso per conto dei padroni fa approvare l'AIA tamburo battente fingendo di trattare - No all'Aia/No all'accordo di programma

 

L'alternativa Slai Cobas è un'altra

Punto sulla situazione allIlva - da una intervista dello Slai Cobas a Radio Blackout Torino

L'intervista è di martedì 16 luglio 

La fabbrica doveva essere assegnata agli azeri. Ma è emersa la questione della nave rigassificatrice. Gli azeri sono specialisti nella vendita, approvvigionamento e fornitura di gas. L’impianto di Taranto era una tappa di questa prospettiva. Senza il gas non c’era tutto il resto e l’interesse degli azzeri cadeva. A quel punto è cominciata una sorta di telenovela che si protrae anche in queste ore: prima si fa la nave rigassificatrice, dopo si assegna eventualmente agli azeri la fabbrica, in cui comunque la produzione sarebbe stata ridimensionata, ma era centrale il gas. E qui sono cominciati i problemi, perché la nave rigassificatrice, comunque la si voglia presentare, è un aggravamento del peso ambientale sulla città. E per di più la vendita quasi a scatola chiusa per operai e popolazione, della serie: intanto vi prendete la nave e poi si vedrà, gettava ombre su tutto ciò che avrebbe dovuto seguire, l’ambientalizzazione, esuberi, ecc.

Da allora è cominciata da un lato la perplessità generale dei sindacati che però in una sola occasione hanno fatto una effettiva risposta di lotta con occupazione stradale, e dall’altro è cresciuto a livello cittadino il movimento che dice no a rigassificatore - con due posizioni di fondo, una che dice chiudiamo tutto e buonanotte e l’altra che dà una chance all’ambientalizzazione però pone dei paletti prima fra tutti i rigassificatori.

Qui il governo ha cambiato ritmo ed è passato ad una aperto ricatto verso i lavoratori e la città, con

diverse fasi. La fase ultima è: o vi prendete la nave rigassificatrice oppure la fabbrica chiude a fine mese. Chiaramente la fabbrica è entrata estremamente in difficoltà per effetto anche dell’incendio dell’altoforno che ha prodotto come inevitabile conseguenza il blocco, il sequestro dell’altoforno. Il governo ha colto l’occasione per spostare l’attenzione sui magistrati dicendo che sono loro che stanno impedendo che la fabbrica prosegua e stanno allontanando i soggetti che la vogliono comprare.

Ma poi tutto è diventato un ostacolo: la necessità di un accordo di programma che coinvolgesse gli enti locali, che dovevano firmare seduta stante così com’era l’attuale Ilva con una lunga cassintegrazione; era un ostacolo anche voler sapere di più sugli esiti sia occupazionali che industriali. E quindi si è entrati in una fase di ultimatum-ricatto fatto dal governo che intanto però faceva trapelare che gli azeri alla fine potevano non esserci, e che dovevano essere richiamati in campo nuovi soggetti, gli indiani e il sempre misterioso fondo Bedrock americano canadese. Nello stesso tempo si sono sollevate le voci degli industriali dell’acciaio italiani che da un lato hanno detto che forse la nazionalizzazione in questo momento poteva servire per guadagnare tempo e mettere in condizioni di assegnare l’impianto, e dall’altro esprimevano la disponibilità a prendersi l’azienda ma in un quadro di spezzatino Genova/impianti del nord.

In questa situazione è scoppiata una fase che potremmo chiamare di “tempesta perfetta” in cui le dichiarazioni di ognuno erano volte a risolvere il problema ma in realtà andavano tutte in una direzione di non risoluzione.

Ora siamo a un ritorno alla casella iniziale però sotto un clima di ultimatum agli operai e alla città.

Gli azzeri non è più detto che ci siano e il giornale della confindustria Sole 24 Ore parla esplicitamente di rientro di Jindal, che intanto ha preso lo stabilimento di Piombino insieme agli ucraini, facendo arrivare il preridotto dai propri impianti in Oman, e quindi potrebbero fare a meno della nave rigassificatrice a Taranto.

Da parte degli industriali italiani, non vedono l’ora di liberarsi di Taranto di mettere le mani sulla siderurgia consociativa e corporativa, perché è tale la posizione di Genova, e Taranto vada a qualcun altro. Si tratta di posizioni inaccettabili.

Per gli operai sono in campo le cosiddette “due proposte”. Una che prevede una lunga cassitegrazione che prima doveva durare 11 anni o più e poi sarebbe ridotta a 7-8 anni; intanto si cerca di rimettere su la fabbrica così com’è recuperando altoforni fermi, compreso quello sequestrato dalla magistratura, per cercare di mantenere una produzione accettabile.

Intanto si dovrebbero pianificare tre forni elettrici e tre impianti di produzione del preridotto a Taranto, sempre però alimentati dalla nave rigassificatrice, che prima doveva essere al centro città, poi andava spostata di 12 chilometri (però il governo dice che questo spostamento sarebbe economicamente costoso).

L’altra proposta è: vi prendete solo i tre forni elettrici, spostiamo a Genova il preridotto; il gas eventualmente servisse si sposta a Gioia Tauro; così a Taranto rimangono quattro gatti in fabbrica, con 15mila esuberi effettivi, perché crollerebbe l’appalto e l’indotto. In questa ipotesi Genova si troverebbe beneficiata di questa vicenda assurda.

Per gli operai ci sarebbero soprattutto esuberi, e una ricollocazione improbabile e inaccettabile, perché qui il famoso Accordo di programma dovrebbe prevedere tutta una serie di attività date a Taranto in cui convogliare gli esuberi dell’Ilva. Tutte queste attività, una tra tutte: assumere gli operai in esubero nel pubblico impiego e così via - sono inaccettabili per principio. Non è che non si voglia l’aeroporto o un aumento degli organici nel pubblico impiego, o un’università che funzioni meglio, miglioramento della sanità, ecc.; ma queste si devono fare comunque, non c’entrano con l’Ilva, ma col lavoro a tanti disoccupati, precari di Taranto. Non per gli operai che devono lavorare nelle attività industriali, nella bonifica della fabbrica.

Infine. Chi l’ha mai detto che gli operai e i cittadini debbano essere loro i soggetti che devono risolvere i problemi del capitale? Se il potere passa nelle mani dei lavoratori e del popolo, allora Sì.

Ma che tutto l’ambaradan sindacale e ambientalista debba essere al capezzale del governo, dei piani dei padroni per vedere come possono riprendere i profitti, e collocarsi meglio nella acuta guerra commerciale mondiale dell’acciaio, guerra dei dazi e così via, non si vede perché.

Gli operai, la parte consapevole della fabbrica e delle masse popolari della città sono dall’altra parte. Devono fare una lotta anticapitalista. Che oggi significa rigida difesa dei lavoratori e guerra sociale per ottenere le rivendicazioni sociali giuste che riguardano l’ambientalizzazione, la sanità e tutto il resto.

Quindi è un’altra via, che chiaramente è quella che vorremmo noi. Un’altra strada in cui gli operai o la prendono o sono destinati ad essere il famoso “cadavere che passa nel fiume” mentre gli altri fanno profitti.