sabato 29 novembre 2025

29 novembre - info Stellantis - Pmc Melfi: dopo l’incontro al Ministero, continua il presidio degli operai. Ecco che cosa sta succedendo

 

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dei lavoratori Pmc Automotive di Melfi, ancora in presidio:


Verifichiamo che dall’incontro al Mimit del 26 novembre 2025 non è uscito niente di concreto per noi operai.

Il comunicato, firmato da tutti i sindacati, presenta un tono positivo che non ha riscontro nei fatti.

Il MIMIT non da risposte, conferma solo il suo impegno a risolvere il problema degli ammortizzatori sociali che al massimo ci assicurano un reddito minimo per un anno e il suo impegno a trovare un nuovo investitore.

Stellantis si tira fuori dando il contentino di mettere a disposizione” il capannone Pmc di cui è proprietaria che significa poco e niente.

Siamo completamente in alto mare. Neanche i soldi della cassa integrazione a tempo sono assicurati.

Il comunicato sindacale non ci dice quello che da voci di corridoio abbiamo saputo: cioè che Pmc se ne lava completamente le mani anche sugli ammortizzatori sociali e anticipa la cassa solo per gli ultimi due mesi dell’anno e fa pressione per prendersi gli impianti.

Stellantis, il principale responsabile di questa situazione, se ne lava le mani e si limita a promettere di “mettere a disposizione” il capannone.

Dopo aver guadagnato per anni fior di profitti con il nostro lavoro, tutti sono impegnati a salvaguardare come al solito i loro interessi.

Chi rimane al palo siamo noi.

Evidentemente non siamo stati abbastanza convincenti con la nostra mobilitazione.

Allora nel continuare ad andare avanti con il presidio, sarà necessario anche mettere in campo nuove e più incisive iniziative“.



venerdì 28 novembre 2025

28 novembre - Nel giorno dello sciopero una buona notizia: Dichiarato illegittimo il licenziamento della maschera della Scala che gridò “Palestina libera” all’ingresso di Meloni

 

di Chiara Brusini

Il teatro è stato condannato a versare alla lavoratrice 809,60 euro per ogni mese tra l’estromissione e la scadenza del contratto, oltre a interessi e rivalutazione monetaria. Dovrà poi pagare 3.500 euro di spese legali ai difensori


Il Tribunale del lavoro di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento della giovane maschera del Teatro alla Scala che il 4 maggio scorso, all’arrivo della premier Giorgia Meloni per un concerto a inviti organizzato dall’Asian development bank, era salita in prima galleria e aveva gridato “Palestina libera“. Un gesto che le è costato il posto di lavoro.

In attesa del deposito delle motivazioni, la prossima settimana, il dispositivo attesta che non c’erano i presupposti per un licenziamento per giusta causa. La Scala è stata quindi condannata a versare alla lavoratrice 809,60 euro – pari al compenso che avrebbe percepito – per ciascun mese tra l’estromissione e la scadenza del contratto, oltre agli interessi. Il contratto scadeva il 30 settembre, quindi la ragazza avrà diritto a poco più di 4mila euro. Il teatro dovrà inoltre pagare 3.500 euro di spese legali.

Speriamo che la sentenza non venga impugnata e che la Scala ammetta lo sbaglio“, commenta l’avvocato difensore Alessandro Villari. “Il giudice ha accertato che non si può licenziare un lavoratore per aver gridato ‘Palestina libera’. Tanto più che il gesto è stato fatto durante un evento a cui partecipavano ministri e persone potenti, non semplici osservatori della situazione a Gaza”. Israele è tra i membri dell’Asian development bank e nel suo board siede il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, parte dell’ala più estremista dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu.


28 novembre - Contro la Finanziaria antioperaia e antipopolare e per l'economia di guerra: L'intervento all'ex Ilva Taranto  dello Slai Cobas sc

 


giovedì 27 novembre 2025

27 novembre - Da Slai Cobas sc Ravenna: Un saluto militante a Michele Gatta, il compagno operaio, comunista, che ci ha lasciato

 

A Ravenna il nostro sindacato e il nostro circolo hanno perso l'operaio comunista Michele Gatta. 

A Ravenna Michele aveva aderito al nostro Partito e si era iscritto allo Slai Cobas, era un operaio attivo nell'organizzare, nel parlare, si era ribellato ai padroni e ai sindacati confederali che per questo gli avevano fatto cambiare reparto in questa fabbrica per punirlo, per rappresaglia nei confronti di una scelta che poteva mettere in discussione lo status quo in fabbrica, cioè il comando padronale e il collaborazionismo dei sindacati confederali, in una fabbrica chimica dove gli operai dipendenti comunque hanno condizioni salariali migliori. Ma Michele ha voluto ribellarsi a questo e la sua coscienza di operaio comunista ha rafforzato le sue convinzioni.

Michele era un operaio venuto dalla Puglia per entrare all'Enichem di Ravenna, suo padre già vi lavorava all'interno come metalmeccanico con le ditte. È una famiglia comunista, la sua, cresciuta nel partito, nel sindacato di Di Vittorio ma da essi si era staccato quando ormai il divorzio tra PCI e CGIL con la classe operaia era affermato e lui non aveva alcuna intenzione di abiurare le sue idee. Ha cercato altre strade e in questa ricerca ha incontrato proletari comunisti e lo Slai Cobas per il sindacato di classe negli anni '90. Da allora quella scelta si è trasformata in militanza politica e sindacale, ha contribuito nel lavoro di organizzazione.

Michele era un operaio generoso, altruista, sempre pronto a soluzioni pratiche. 

Michele era un operaio attivo nella lotta a livello locale e nazionale per la sicurezza sul lavoro, nelle lotte antifasciste, nelle campagne internazionaliste.

Il suo attivismo ed il legame con la nostra organizzazione si erano interrotti comunque già da prima che gli avessero diagnosticato quella malattia terribile del cancro che lo ha portato alla morte.

Ha lottato fino alla fine con spirito forte, senza mai abbattersi. 

Ha chiesto di fare il suo ultimo viaggio avvolto in una grande bandiera rossa, un grande drappo rosso su cui il suo fraterno amico, un operaio di Manfredonia come lui, ha pensato di aggiungere una kufia.

Questo dolore per la sua scomparsa oggi sono lacrime ma che ci daranno la forza ideologica per continuare a lottare, per trasformare in avanguardie comuniste gli operai ribelli costruendo il Partito comunista di tipo nuovo, lo strumento politico a cui il compagno Michele Gatta ha dedicato buona parte della sua breve vita.

Buon viaggio, compagno


martedì 25 novembre 2025

25 novembre - dal blog tarantocontro: Alcune note sulla questione inquinamento ambientale dell'Ilva e "soluzioni" - prendendo spunto da un convegno del 15 novembre

 

Partiamo da alcuni fatti, che sono certezze:

Primo - Il Circolo Ilva di Bagnoli dice: “Nella nostra esperienza - e non solo - alla chiusura di importanti centri di produzione industriale, non ha corrisposto una magnifica e progressiva sorte per i territori e le popolazioni che li abitano nella transizione ecologica dell'economia. Proprio l'eredità della fabbrica, la cultura del lavoro e della solidarietà sociale, è il bene più prezioso da salvaguardare. Dopo lo smantellamento dell'ILVA di Bagnoli, ultimato all'inizio di questo secolo, sono trascorsi 25 anni e ancora si attende la rigenerazione sociale, economica e ambientale che è stata promessa”. Lo smantellamento e la Bonifica di Bagnoli ha una superficie di 1.200.000 mq costerà 1.750ML; Per l’ILVA di Taranto che ha una superficie di 15.450.000 mq (quasi 13 volte in più) anche il costo dello smantellamento e della bonifica deve essere aumentato per 13 volte, col risultato - dice qualcuno – che si spenderebbe meno ad investire per rendere eco-compatibile lo Stabilimento.

Chi, e anche noi su questo, si preoccupa dei tempi indicati dal governo per la decarbonizzazione - 12 anni, poi, non sappiamo se per tenere buoni i sindacati, ha parlato di 8 anni – ed esperti parlano di circa 10 anni tra spegnimento degli attuali altoforni e costruzione di nuovi impianti; chi parla di “chiusura della fabbrica subito”, e che così tutti i problemi di ambientalizzazione si risolveranno, fa bassa demagogia. Invece di battersi perché le bonifiche inizino subito in fabbrica, in area industriale, nei quartieri – bonifiche che sarebbero anche una risposta seria alla tenuta occupazionale degli operai dell’Ilva che si vuole invece buttare fuori insieme ai 1600 già fuori e in cig dal 2018.

A Bagnoli dalla chiusura dello stabilimento ad oggi sono passati più di 30 anni, e, nonostante siano in tutti questi anni passati governi di ogni tipo: da centrosinistra, a centrodestra, a destra, non esiste ancora una “rigenerazione sociale, economica, ambientale”. E a Taranto, invece, con una realtà 13 volte più grande di Bagnoli, tutto sarebbe risolto in pochi anni?

Anche a Bagnoli gli operai, messi fuori dalla fabbrica chiusa, i cittadini, associazioni in tutti questi anni si sono battuti perché ci fosse la bonifica, e anche alternative di lavoro, ma hanno dovuto sbattere la testa contro un muro. Ma qui a Taranto ci si compiace di fare del populismo illusorio, di risolvere problemi seri con slogan.

Secondo - Come hanno detto alcuni esperti in un recente convegno il 15 novembre alla Biblioteca Acclavio, "Oltre il bluff della decarbonizzazione": non esiste inquinamento zero - "Emissioni zero non esistono" ha detto per esempio il Prof. Mauro Solari, ingegnere chimico, esperto in valutazioni ambientali, "i limiti di legge tecnologici non portano a salubrità dell’aria" - ma una significativa riduzione del grave inquinamento attuale è possibile, con eliminazione degli impianti più inquinanti: cockerie, impianti di agglomerazione che emettono gli uni benzoapirene e gli altri diossina, eliminazione altoforni, e sostituzione con forni elettrici con uso però di idrogeno green.

Ma chiaramente ci vuole volontà politica del governo e molti finanziamenti. Anche altri esperti hanno detto che “servono investimenti statali, non privati”; così come la delocalizzazione dei nuovi impianti lontano della città è un passaggio serio, necessario.

Quindi, due questioni:

da un lato, coloro che auspicano in questo sistema capitalista “inquinamento zero” dicono che non si deve mai più produrre acciaio – cosa impossibile e fuori dalla realtà (per tantissime cose, anche per le pentole in cui cuciniamo, serve l’acciaio); o peggio, come affermano anche alcuni ambientalisti a Taranto, “da noi NO… che venga prodotto da altri paesi…”, con una logica razzista (come hanno detto a proposito della nave rigassificatrice: a Taranto no, se volete mettetela a Gioia Tauro…);

dall’altro, nel sistema del capitale che produce solo per il profitto, tutte le produzioni sono nocive, perché i padroni, lo stato, il governo puntano a tagliare costi su salute e sicurezza che per loro sono inutili – tant’è che le morti operaie avvengono in tutti i settori (anche nella famosa “agricoltura”, auspicata come una delle alternative produttive all’acciaio a Taranto); così come l’inquinamento ambientale c’è eccome anche in zone in cui non ci sono impianti siderurgici (vedi le battaglie nel napoletano - terra dei fuochi..., vedi la mobilitazione degli abitanti di Casale Monferrato); anche l’economia turistica è certamente inquinante dei mari, dei territori, ecc.

Ma nessuno di coloro, ambientalisti o alcuni esperti professori, che denunciano la situazione ambientale a Taranto, mette in discussione questo sistema capitalista, i governi al suo servizio.

In un altro sistema sociale, che si chiama socialismo, in cui i proletari, le masse popolari hanno il potere politico ed economico nelle loro mani, è possibilissimo che anche una produzione di acciaio non sia inquinante, perché pone al centro la sicurezza degli operai, delle masse, perché indirizza lo sviluppo delle forze produttive, la scienza, i progressi tecnologici, la sanità a risolvere i problemi vecchi e nuovi delle popolazioni, perché fa della principale forza produttiva – la forza-lavoro operaia liberata dalle catene di sfruttamento del capitale - la forza motrice del cambiamento, del rapporto positivo natura/umanità.

Nocivo è il capitale non le fabbriche. Ma una cosa così evidente, semplice, ci si ostina a non volerla capire.

Alcune associazioni ambientaliste, dai “Lavoratori e cittadini liberi e pensanti”, a “Giustizia per Taranto”, hanno fatto un “gran lavoro” producendo un elenco infinito di attività lavorative alternative, che potrebbero occupare addirittura ben più dei 15 mila operai dell’Ilva e dell’appalto/indotto; si sono semplicemente “dimenticati” di dire che anche questa “economia alternativa” alternativa non è, perché sarebbe sempre e comunque gestita da padroni o da un governo dei padroni che ha sempre come scopo il profitto. Si tratta di spargere illusioni, meglio dire “stupidaggini”, perché, a parte tutto, se a Taranto chiude l’Ilva, si chiudono tanti altri settori lavorativi, e i nuovi non vengono, perché sempre è l’industria grande che attira intorno quelle medie/piccole.

Ci rivolgiamo anche a coloro che parlano – l’hanno fatto anche nel convegno del 15, per es. il prof. Giua – della necessità da parte delle Istituzioni del “coinvolgimento della città, dei cittadini”. Sembra una cosa che dovrebbe essere normale, ma anche qui chi auspica questo sembra non comprendere minimamente la realtà.

Perchè mai questo governo, queste Istituzioni che attaccano i diritti democratici dei lavoratori, delle masse popolari, che lavorano per una “dittatura quasi personale” (Meloni, insegna), che marcia verso un moderno fascismo, dovrebbero volere che i cittadini contino nelle decisioni, nei piani?

Ancora, anche qui, dire queste cose senza dire che la reale partecipazione dei lavoratori, delle masse popolari è nella lotta per rovesciare questa situazione, per rovesciare il governo (tutti i governi dei padroni) che non vogliono dare soluzioni né ai lavoratori, né ai cittadini di Taranto; che non vuole mettere soldi per questo, che se le persone si incazzano seriamente risponde con la polizia; di fatto, che lo si voglia o no, si fa demagogia, o si spargono illusioni impotenti. 

Guardate che oggi come oggi è molto più concreta e può portare a risultati questa battaglia, che non l'elenco di economie alternative.

Noi pensiamo che gli “esperti”, i professori dovrebbero mettere il loro sapere, le loro ricerche al servizio di una reale comprensione della realtà e del ‘che fare’, non per “accompagnare il morto” delle denunce e lamenti.



lunedì 24 novembre 2025

pc 24 novembre - CCNL metalmeccanici: padroni e sindacalisti se la ridono....

COSÌ NON VA...MA NON BASTA VOTARE NO, 
Organizziamo il sindacato di classe in fabbrica

Per lottare sui nostri interessi di classe

SALARIO 

richiesta 280 euro in 3 anni 

firma per 205 euro in 4 anni

RIDUZIONE ORARIO 

Aumenta la gestione dell'azienda su permessi retribuiti, flessibilità e organizzazione del lavoro...


Alcuni estratti  sui punti del contratto della minoranza della fiom contraria all'intesa siglata:

Nel merito sul salario, come detto è andata esattamente come da noi previsto. L'aumento aldilà delle apparenze non è sopra a quello delle cooperative ma bensì inferiore di 60 euro totali. Se infatti si calcolano i montanti, quello delle coop è 5968,04 mentre quello di federmeccanica è 5906,42. Questo perché pur essendo 205 euro di aumento in 4 anni anziché 200, nel 2025 in federmeccanica ci sono solo i 27,70 euro di ipca-nei mentre nelle coop ci sono 42,61 euro. A onor del vero almeno in Federmeccanica la clausola di salvaguardia non è stata modificata in peius come invece accaduto nelle cooperative.

Paradossalmente se si confrontano i 3 ccnl metalmeccanici considerando il solo periodo di vigenza salariale di tutti, il ccnl di confapi è quello che ha il montante più alto, anche qui senza aver modificato la clausola di salvaguardia. Nel biennio 2025-26 infatti il montante confapi è 1950 euro, mentre Coop è 1672,84 e Federmeccanica 1411,41.

Tutto questo rappresenta, ad essere generosi, un misero 55% di quella che era la richiesta sindacale, ovvero 280 euro IN 3 ANNI e non 205 in 4. Questo, è bene ricordarlo, mentre i padroni hanno fatto profitti stellari.


Sulla parte normativa lo scambio più rilevante riguarda due aspetti:


1. La plurisettimanalità che passa da un massimo di 80 ad un massimo di 96 ore annue con una sommatoria complessiva con gli straordinari comandati che aumenta da 120 a 128 ore. Come indennizzo economico, le ore di picco nella plurisettimanalità eccedenti la 80° saranno pagate con una maggiorazione pari alla metà della maggiorazione di una normale ora di straordinario aumentata del 8%.


2. Dei Permessi Annui Retribuiti si concede all'azienda di poterne programmare collettivamente a piacimento, previo esame congiunto con la rsu, un numero che aumenta da 5 a 7 giornate su 13 complessive. Inoltre la durata dell'esame congiunto per urgenze improvvise è ridotto da 10 a 3 giorni. [Di fatto dunque se un'azienda ha cali improvvisi di lavoro può imporrre per 7 volte anziché 5 ai lavoratori dei permessi anziché la cassa integrazione]. A compensazione, come condizione migliorativa si riduce da 10 a 7 il numero di giorni di preavviso che il lavoratore deve dare per richiede un permesso individuale. Inoltre dei 6 PAR individuali, 3 possono essere usati per assenze improvvise dal lavoro causati da imprevisti.


Altro peggioramento comunque rilevante riguarda un aspetto dell'inquadramento professionale. Ad oggi il lavoratore chiamato a svolgere una mansione inquadrata ad un livello più alto del proprio ha il diritto al passaggio di livello dopo che svoge quella mansione per 30 giorni consecutivi o 75 giorni se frazionati in 6 mesi. D'ora in poi i giorni passeranno da 30 a 60 e da 75 a 120.


Su malattia e mercato del lavoro ci sono dei miglioramenti che per lo più sono frutto di adeguamenti obbligatori a leggi e giurisprudenza.

In particolare sulla malattia si recepisce una legge di agosto e quindi si aumenta la durata della aspettativa per malattia da 24 a 48 mesi e si creano condizioni di miglior favore per chi rientra nelle casistiche della legge 68/99 (disabilità e categorie protette).

Sul precariato come ormai da giurisprudenza si fissa il tetto massimo di durata di somministrati e tempi determinati a 24 mesi e si fissano le causali. L'unico elemento non di legge introdotto è sicuramente il vincolo all'assunzione presso la ditta committente dei lavoratori in staff leasing passati i 48 mesi. Il tetto è decisamente alto ma ad oggi è pur vero che non c'è alcun limite di legge e i metalmeccanici sono i primi 

ad inserirlo. 

 

domenica 23 novembre 2025

23 novembre - TARANTO: OPERAI E ANTIOPERAI

 a proposito della manifestazione indetta a Taranto da una serie di realtà il 22 una marcia dalla direzione Ilva alla portineria Eni

il nostro comunicato prima della manifestazione. 
Perché lo Slai Cobas non può esserci nella marcia di questa mattina dall'Ilva all'Eni
Primo, non si può parlare della Palestina per poi via via "buttarla" a Taranto sulla 
questione ambientale. Si scrive "Obiettivi del corteo sono la denuncia della violenza 
ambientale «che colpisce tanto la Palestina quanto il Sud Italia»"; ma questo vuol dire
come minimo non avere il senso della realtà, e classificare un genocidio 
"violenza ambientale"; come massimo alla fine pensare solo o principalmente a sè stessi.
E' una logica della piccola borghesia di sinistra, che guarda i popoli da un punto di 
vista del proprio paese imperialista;
secondo, non si può andare fare una marcia dall'Ilva all'Eni e non sostenere le lotte 
degli operai; giovedì ci sono stati grandi e lunghi blocchi operai dalla mattina alle 
6 fino alla sera alle 21, ma dov'erano gli ambientalisti? Su questo, non si può far 
finta di niente: o si sta con gli operai (che sono i primi ad ammalarsi e a morire
in fabbrica, che vogliono eccome le bonifiche, l'ambientalizzazione della città; o 
si sta col governo/Urso che marcia verso la chiusura oggettiva della fabbrica 
(al massimo forte ridimensionamento) che peserà tantissimo non solo sugli operai e 
le loro famiglie, ma anche sull'ambiente. 
Addirittura qualche associazione, i Genitori tarantini, scrive: “Non si può 
manifestare occupando le strade" - quindi nessuna solidarietà ma invece attacco 
alla protesta degli operai, e colpevolizzazione dei lavoratori perché col loro 
lavoro fanno "ammalare anche chi con quell’attività non c’entra nulla” - dicendo, 
quindi, che gli operai sono complici. 

Si tratta di un ambientalismo antioperaio, che non serve ed è esso "inquinante", 
dato che oggettivamente serve gli interessi di padroni, governo, sindacati complici; 
così, andare alle fabbriche, Eni, poi sarà la volta della Leonardo, il sabato, 
quando gli operai non ci sono, per tenersi ben lontani dagli operai, che invece, 
vedi alla Leonardo, si stanno ponendo dalla parte della Palestina e denunciano 
il ruolo complice della Leonardo, anche questa logica non ha niente a che fare 
con un'attività che punta all'unità di classe tra operai e realtà solidali. 
Costoro non vanno alle fabbriche in giorni feriali perché anche qui gli operai 
vengono considerati complici e chiaramente potrebbero aspettarsi reazioni da parte
dei lavoratori... 

A proposito: guardate che gli operai dell'Eni e della Leonardo hanno espresso 
solidarietà alla lotta degli operai Ilva.

ieri due compagni da Melfi sono venuti a Taranto per la manifestazione da Ilva 
a Eni e “Palestina” quello che segue è il loro commento inviatoci

sabato 22 novembre 2025

23 novembre - Alcune note sulla situazione di scioperi nazionali/"generali"

 dal blog proletari comunisti

In questo periodo vi è un cumulo di scadenze. Vi è stata la mobilitazione degli studenti il 14 nov., un passaggio importante nella dinamica più generale della lotta di classe e dell'opposizione contro il governo; c’è la manifestazione nazionale delle donne del 22 e le manifestazioni locali nella giornata del 25 che vedono in generale una massiccia partecipazione. C'è sempre la mobilitazione solidale con la Palestina al cui interno vi sono politiche importanti come quella per i prigionieri politici palestinesi, per Anan nel carcere di Melfi che ha visto ieri una manifestazione nazionale a L’Aquila in occasione di un’udienza del processo, in cui in maniera provocatoria era chiamato a testimoniare l’ambasciatore di Israele. Tutto questo si aggiunge alla mobilitazione per lo sciopero generale contro la finanziaria di guerra del 28 indetto dai sindacati di base, con una manifestazione a Roma il giorno dopo, a cui farà seguito l’indizione di sciopero nazionale indetto dalla Cgil per il 12 dicembre.

Il cumulo di queste scadenze, siccome le masse non sono un esercito in movimento compatto e continuo, obiettivamente crea dei problemi, perché al di là di quanto si dice non si può pensare che confluiscano in una unica mobilitazione.

Crediamo che non si può fare un paragone con le giornate “magiche” che hanno visto con l'innesco del 22 settembre, il suo prolungamento nello sciopero del 3 novembre e soprattutto la gigantesca manifestazione solidale con il popolo palestinese del 4 ottobre che ha dimostrato ancora una volta che non è vero che le lotte sindacali, le lotte sociali di per sé siano quelle l'unica maniera per coinvolgere le masse e che le masse si muovono solo sulle questioni del salario, delle condizioni di lavoro e di vita. La manifestazione per la Palestina del 4 è stata una grande manifestazione che ha raccolto, unito energie così ampie che non si erano ritrovate nella lotta sociale e probabilmente non si ritroveranno altrettanto facilmente nelle prossime successive scadenze.

Non abbiamo paragonato quella fase di mobilitazione a una sorta di risveglio generale del movimento di massa. Abbiamo ricordato altri periodi storici che hanno visto queste grandi manifestazioni di massa, inizialmente degli studenti, poi operai del 68-69, la cui influenza sul movimento generale non fu misurabile nelle settimane immediatamente dopo ma attraverso il suo penetrare nella coscienza e nella dinamica della mente, del cuore, delle masse che progressivamente scava un solco e si rincontra con i nuovi momenti in cui questo può avvenire - l'esplosione del 68 ebbe una sua continuità nelle dimensioni solo un anno dopo di quello che fu chiamato “l'Autunno caldo”.

Tornando all’oggi, senza fare paragoni superficiali, è evidente che ci vuole tempo perché la forza di quella manifestazione, di queste mobilitazioni dimostri di essere l'innesco di un movimento proletario di massa, con l'ingresso reale di ampi settori proletari attraverso le loro ragioni, le loro forme, che metta in discussione lo stato di cose esistenti, che metta in crisi realmente il governo, e sia potenzialmente in grado di cambiare il vento, di consolidare un cambiamento che ponga all'ordine del giorno un'alternativa sociale e politica di carattere rivoluzionario.

Questa è la dinamica per cui noi lavoriamo, ma questa non corrisponde ancora allo stato del movimento reale.

In questo senso l'appello che fa ad esempio l'Usb per il 28/29, il quale dice che, sulla base della piattaforma, quello è il programma che può mettere in moto le enormi forze sociali e popolari che hanno preso parola contro il genocidio in Palestina, è demagogico e non corrispondente né allo stato effettivo della dinamica del movimento reale né al fatto che la battaglia che si è espressa con il grande movimento per la Palestina possa esprimersi nella dimensione di uno sciopero generale o di una piattaforma che, per quanto radicale, resta una piattaforma sindacale che, come sempre, non può mettere in discussione lo stato di cose esistenti, non può provocare reali cadute dei governi della borghesia e meno che mai questo governo, ed essere in grado di aprire la strada a un cambiamento radicale.

D’altra parte per valutare uno sciopero non bisogna partire dalle piattaforme. Su questo l'intervento che ha fatto il segretario generale dell'Usb, Leonardi, quando ha detto che per valutare lo sciopero indetto dalla Cgil, occorre mettere in luce che c'è sciopero e sciopero perché c'è piattaforma e piattaforma…, è esattamente un modo di ragionare che noi critichiamo. La riuscita di uno sciopero, il peso di uno sciopero non è basato sulla piattaforma, perché oggi come oggi, a fronte dell'attacco dei padroni, del governo, fin troppo evidente per tutte le forze che sono all'opposizione di questo governo, non ci vuole assolutamente niente a fare una piattaforma, attaccano i salari, danno soldi ai padroni e alle loro classi sociali che gli servono anche per mantenersi al governo, indirizzano chiaramente i piani, la spesa sociale verso le armi e la partecipazione attiva del governo, delle classi dominanti imperialiste alla situazione internazionale caratterizzata dalla tendenza fin troppo evidente, a pezzi o non a pezzi, di una guerra imperialista mondiale, ecc: quindi, non ci vuole niente a dire che ci vogliono aumenti salariali, che ci vuole la difesa delle condizioni dei lavoratori, l'opposizione al taglio delle spese sociali.

Quindi, ora non è un problema di piattaforma. Questo solo un politicante, un dirigente sindacalista, come sono gli attuali dirigenti di Usb, possono pensare che tutto il problema starebbe in chi ha la piattaforma migliore.

Non è così. Perché le rivendicazioni non vivono da sole, ma stanno sulle gambe dei proletari e delle masse popolari. E le masse popolari scendono in sciopero, per le rivendicazioni che ci sono in campo, ma anche per tutta un'altra serie di fattori di ribellione, di rabbia, di livelli di organizzazione, per non potere più accettare lo stato di cosa esistente, ecc.

Le rivendicazioni, per poterle tradurre, occorre la dimensione di un movimento operaio di massa, di lotta, di scioperi, unico in grado di conseguirli. Qualsiasi lavoratore, qualsiasi operaio, e soprattutto gli operai e i lavoratori più coscienti, sanno benissimo che per combattere questo governo, per ottenere queste rivendicazioni, serve un grande movimento di massa e l'unità di tutti coloro che si possono unire nell'opposizione a questo governo. Cioè nella costruzione di una massa critica che permetta realmente di dare gambe agli scioperi, che richiami in piazza una massa numerica importante.

Agitare invece “bloccare tutto”, senza porsi che per bloccare tutto bisogna realmente mobilitare tutto ciò che deve essere bloccato, si trasforma questa parola d’ordine in una “bandierina”. Devono essere bloccate le fabbriche, i posti di lavoro e sulla base di questa forza raggiunta nelle fabbriche, nei posti di lavoro che blocca la produzione, invade le strade, è possibile rendere effettivamente lo sciopero un momento importante per le masse, un momento che faccia paura ai governi, ai padroni, tale che, come sempre, di fronte alla paura le classi dominanti reagiscono intensificando la repressione oppure facendo concessioni alle masse per fermarle.

Per questa ragione noi che chiaramente siamo per lo sciopero contro questo governo, dobbiamo nel nostro lavoro rivolgerci a tutte le masse e i proletari che possono essere il soggetto reale di un movimento che possa mettere in crisi e far cadere il governo.

Inoltre, come percepiscono questi scioperi alcuni dirigenti dei sindacati di base non corrisponde assolutamente nella maggior parte dei casi alle effettive dinamiche che si sviluppano sui posti di lavoro, nelle fabbriche e nei settori sociali colpiti e che dovrebbero essere i soggetti effettivi della lotta.

Se si pensa per esempio ai due grandi gruppi industriali che sono oggi al centro delle vertenze più importanti e che raccolgono le fabbriche più grandi di questo paese, come l'Ilva di Taranto e la Stellantis, si capisce che gli operai di queste fabbriche sono impegnati già in lotte, scioperi, e lo sciopero generale del 28 del sindacalismo di base, la cui presenza peraltro in queste realtà è relativamente debole, è calato dall’alto; questo giudizio vale in parte anche per lo sciopero lanciato da Cgil, che pur ha una presenza più significativa attraverso la Fiom all'interno di queste realtà.

A noi tocca un mestiere difficile, quello di partecipare agli scioperi, ma propagandare la necessità dello sciopero generale contro questo governo, contro la sua finanziaria, la finanziaria del guerra.

Occorre tener conto della situazione concreta, in particolare di ciò che avviene nelle fabbriche e quindi concentrare la attività verso le fabbriche; perché se si concentra verso le fabbriche ci si rende facilmente conto che la situazione è difficile rispetto a qualsiasi sciopero che in questo momento si voglia proporre, e quindi necessita difendere le ragioni dello sciopero generale collegandole alle situazioni concrete delle fabbriche, e attraverso l’agitazione e la propaganda necessarie per far sì che i lavoratori si spostino da una posizione ancora debole a una posizione attiva di lotta contro il governo.

E’ evidentemente che la scelta della Cgil di non fare lo sciopero il 28 – come avevano richiesto prima con un appello i sindacati di base - è una scelta di parte. I lavoratori certamente non avrebbero visto male uno sciopero unitario di tutti, perché avrebbe avuto maggior forza, maggior impatto. La scelta della Cgil è perché non vuole, per posizione della sua burocrazia sindacale, per la sua linea, unirsi al sindacalismo di base, anzi ha lo scopo di ridimensionarlo, di assorbirne le energie e di cancellarlo. Nello stesso tempo Landini con la sua azione si pone all'interno della dinamica dello scontro parlamentare per fare da supporto, sia pure critico, dell'attuale sinistra parlamentare, perché alla fine è su di essa che affida le sorti di un cambiamento della politica del governo e quindi nella dinamica delle stesse rivendicazioni che alimenta.

Su questo pesa, quindi, non tanto la piattaforma, ma la linea generale della Cgil e il suo riferimento politico.

Concludendo. lo sciopero contro il governo, la sua “finanziaria di guerra” è utile, ma non è sufficiente. Sicuramente avremmo voluto uno sciopero di tutti, perché questo avrebbe contagiato altri settori di lavoratori che altrimenti non scendono in campo.

Invece, da un lato lo sciopero del 28 novembre non coinvolge tutti i lavoratori, e il sindacalismo di base non si rende conto che senza mobilitare l'intero movimento dei lavoratori, si possono portare tutte le proprie rivendicazioni, ma non si ottiene niente e la mobilitazione rischia di diventare un elemento non di fiducia ma di sfiducia negli scioperi generali. Dall’altro il gruppo dirigente della CGIL fa uno sciopero di fatto autopropagandista.

Nello stesso tempo, non bastano denunce generiche, occorre spiegare gli effetti della finanziaria su salario, lavoro; perché alla fine i lavoratori non è che sono più a sinistra ma ora come ora stanno più a destra rispetto alla necessità di uno sciopero generale, di lottare contro il governo, la finanziaria del governo, la finanziaria che taglia le tasse solo al “ceto medio”, che dà soldi solo ai padroni, la finanziaria che dà miliardi alla guerra e alle armi e invece ai lavoratori elemosine ridicole che per i lavoratori sono anche offensive.

Quindi la nostra azione è per far crescere la comprensione dei lavoratori, che spesso si attaccano a piccole rivendicazioni o rivendicazioni individuali e non alzano la testa rispetto a tutto quello che il governo sta facendo; è come se si scava il mare con un cucchiaino mentre il mare, il capitalismo, sta sommergendo tutto e in futuro sarà peggio.

venerdì 21 novembre 2025

pc 21 novembre - INFO: Stamattina all'ex Ilva Taranto

 

 Oggi all'ex Ilva - lotta sospesa - Slai Cobas questa mattina con locandina affissa a tutte le portinerie - capannelli con gruppi di operai alla portineria Acciaieria A - discussione con delegati Uilm alla portineria ditte d'appalto.


21 novembre - dal blog tarantocontro: Intervista ai lavoratori della Leonardo di Grottaglie - “Non in mio nome, non col mio lavoro”

 La corsa al riarmo e la conversione alla guerra della produzione: intervista ai lavoratori della Leonardo promotori della petizione “Non in mio nome, non col mio lavoro”

  • da ordine nuovo


  • ON: Parlaci della genesi di questa iniziativa intrapresa da voi lavoratori della Leonardo. La vostra presa di posizione è stata improvvisa e “non preannunciata”, oppure è frutto di un percorso che come lavoratori avete intrapreso da tempo? Avete provato a coinvolgere i lavoratori degli altri stabilimenti della Leonardo?

    Io personalmente sono sempre stato vicino alla causa palestinese, ho manifestato anche quando eravamo in 20 persone, ho sempre frequentato i centri sociali e gli ambienti antagonisti. Per me la petizione è stata una scelta obbligata, per come è fatta la mia coscienza, per voler provare a fare qualcosa. Voglio anche chiarire una cosa: noi nel sito Leonardo di Grottaglie abbiamo sempre fatto produzione ad uso civile, come aerei e fusoliere. Il sito è nato nel 2006 prettamente per il civile ed è ancora tale. Il rischio è che si militarizzi anche Grottaglie, quindi la nostra battaglia sta andando anche in questo senso.

    Tornando alla petizione, con il rapporto di Francesca Albanese sono venute fuori tante cose sulla Leonardo che neanche io sapevo: lavoriamo molto a compartimenti stagni, come aziende separate, specialmente noi a Grottaglie che ci occupiamo solo di produzione civile e siamo fuori da tutti i discorsi del militare. Da quando abbiamo appreso i fatti venuti fuori dal rapporto, abbiamo capito che non potevamo far finta di niente: anche se non siamo direttamente coinvolti nella produzione bellica, lavoriamo comunque per un’azienda che sta facendo delle cose che non possiamo accettare per niente. Ho pensato quindi di buttare giù la petizione, ho poi coinvolto altri colleghi che sapevo essere sensibili all’argomento, purtroppo pochi.

    Abbiamo pensato di coinvolgere in questa battaglia i sindacati: la FIOM ci è stata subito a fianco, la UILM purtroppo ha temporeggiato per un paio di settimane e alla fine ci ha detto di non essere interessata; anzi, poi ha approfittato del comunicato per una polemica strumentale contro la FIOM. La FIM[2], da cui non ci aspettavamo niente in quanto filo-governativi, hanno addirittura denunciato pubblicamente la petizione e i lavoratori che l’hanno lanciata, facendola passare come una petizione per dismettere l’intero settore militare della Leonardo, cosa che non è negli intenti di questo appello. Ci siamo infastiditi per la strumentalizzazione della nostra iniziativa, l’attenzione da parte dei media ad un certo punto è stata più sulla frattura sindacale che sulla petizione stessa. A parte queste cose, la petizione ha avuto molta risonanza: siamo arrivati a 21.000 firme, abbiamo anche sfruttato la notorietà di qualche influencer per rilanciarla.

    Questa petizione vuole essere solo un punto di partenza, volevamo attivare un dibattito, rompere un silenzio, anche dall’interno, e ci siamo riusciti. Abbiamo attirato l’attenzione ad esempio di Fratoianni, che sta in campagna elettorale per le regionali in Puglia, che è venuto a Grottaglie e con cui abbiamo parlato del nostro impegno per evitare la militarizzazione dello stabilimento.

    Con la FIOM stiamo lavorando in questo senso, e con altri colleghi stiamo preparando un dossier tecnico con l’obiettivo di dimostrare che il settore della produzione civile per la Leonardo, oltre che a livello sociale ma anche a livello aziendale, è molto più lungimirante rispetto al settore militare. Infatti, le commesse del settore civile durano 20-30 anni, riescono a saturare gli impianti e ad occupare il personale molto più di quanto possa fare il militare, che ha commesse molto più limitate (2-4 anni) e volatili, con pacchetti di lavoro più piccoli che assorbono un minor numero di lavoratori. Per questo vorremmo dimostrare con questo dossier che la scelta della militarizzazione è sbagliata.

21 novembre - Ex-Ilva: è sciopero contro il piano del governo ma su quale piattaforma di classe e di massa?

da ORE12/Controinformazione rossoperaia del 19.11.25

Dal 19 novembre si stanno facendo assemblee e scioperi all'interno dell'intero gruppo ex ILVA come risposta dei sindacati, tutti, al fallimento dell'ulteriore incontro convocato dal governo per la giornata del 18/11. Qui il governo non ha portato nulla di nuovo, se non aver accolto, a suo modo, la richiesta dei sindacati di non estendere la cassa integrazione. Il governo ha detto che i numeri della cassa integrazione potrebbero rimanere gli stessi fino a febbraio, mentre i soldi risparmiati con l'ulteriore cassa integrazione verrebbero investiti in corsi di riqualificazione di 60 ore. Chiaramente si tratta di un palliativo, di un rinvio di ciò che doveva cominciare a succedere da oggi a febbraio, e su questo i sindacati tutti presenti al tavolo hanno detto di NO. Così come il governo ha cercato ulteriormente di allettare, facendo balenare come sempre l'esistenza di un ulteriore possibile compratore, in questo caso si è passati dal Qatar agli Emirati Arabi come dicono le indiscrezioni, e di un possibile inserimento nella nuova società risultante da questo passaggio di Arvedi. Naturalmente si tratta pur sempre di voci fondate sull'interlocuzione che il governo sta procedendo, visto la sostanziale inaccettabilità dei piani presentati dal fondo di investimento americano. I sindacati hanno fatto la voce grossa in questa occasione, hanno parlato di rottura e hanno indetto 24 ore di sciopero che a Genova cominciano con un'assemblea. Anche noi siamo d'accordo che si vada allo sciopero generale in tutti gli stabilimenti, siamo d'accordo che si parta con assemblee che diventino già forme di lotta e che al blocco della produzione in tutti gli stabilimenti seguano il blocco di strade, di città, per rendere sempre più chiara l'emergenza che colpisce i lavoratori di tutti gli stabilimenti e di conseguenza le ditte dell'appalto e l'indotto di tutta l'intera ex ILVA. Così come siamo d'accordo sullo sciopero, però continuiamo a non essere d'accordo sul fatto che l’ILVA venga svenduta o regalata ai patroni privati, americani, fondi arabi che siano o produttori italiani che entrino e nello stesso tempo questa venga in un piano di sostanziale trasformazione progressiva di una sorta di cassa integrazione permanente in esuberi strutturali che possono arrivare a seconda il tipo di situazione fino a 5.000 operai e, soprattutto, che colpisca in forma decisiva lo stabilimento di Taranto. Riteniamo che a questo bisogna opporre una piattaforma operaia, che i sindacati faticano a raccogliere come indicazione e a realizzare con le assemblee dei lavoratori, che abbia come punti fermi: nessun esubero e l'utilizzo degli operai che non possono rientrare immediatamente nella produzione, nel lavoro delle bonifiche dello stabilimento e dell'area. Non ci sono alternative a questa proposta e neanche i sindacati le devono fare sia agitando, come complemento degli ammortizzatori sociali, gli esodi incentivati, i pensionamenti che sono forme mascherate, in realtà, di accettazione di un massiccio esubero, queste forme sarebbero attenuative di questo piano di esuberi. Così non ci stiamo al gioco della cosiddetta “trasformazione” dell'ILVA in forni elettrici, DRI e alimentazione a gas perché in ogni caso questa soluzione produce esuberi, in ogni caso il transito a questa soluzione passa a una cassa integrazione più o meno permanente e in ogni caso queste soluzioni non garantiscono né il futuro degli operai, né la loro stabilizzazione in termini di lavoro, salario, né l'effettiva verifica se queste soluzioni producono realmente migliori condizioni di sicurezza in fabbrica e minor inquinamento per la città. Dietro queste cose c'è la logica della corsa al massimo profitto che si basa sempre sull'intensificazione dello sfruttamento e sulla riduzione, perché dalle aziende comunque vengono considerate un costo delle norme di sicurezza e la continuità delle ricadute sull'ambiente.

21 novembre - info: Tod’s, pm indaga tre manager: “Operai sfruttati”. L’azienda: “Inchiesta grave danno al paese”

 l'arroganza delle imprese che vogliono impunemente continuare a sfruttare e schiavizzare, a cui il governo moderno/fascista da il suo appoggio

di Rosario Di Raimondo


Le immagini scattate durante le perquisizioni 

Per la procura sarebbero stati ignorati i risultati delle indagini che parlano di caporalato


giovedì 20 novembre 2025

20 novembre - DALLO SLAI COBAS sc: dilaga la protesta ex Ilva - Taranto

 

dopo assemblee molto partecipate - noi presenti questa mattina a quella 
fortemente partecipata delle ditte dell’appalto, presente anche il 
nostro gruppo della Castiglia appalto Ilva al porto
i lavoratori hanno trasformato le assemblee in prima forma di lotta  
passando allo sciopero e riversandosi sulle strade  
bloccando ogni accesso alla città 
sulla via Appia come sulla via per Statte 
e infine il più combattivo dei blocchi quello sulla 106 dall’Eni alla 
via Appia dove siamo presenti noi  
in tutti questi giorni abbiamo insistito che si passasse alla lotta 
generale bloccando produzione/ strade e città e oggi è cominciata - 
è una lotta contro governo padroni e i loro alleati Comune-Regione e
la parte dell’ambientalismo antioperaio  
oggi è cominciata la nuova decisiva fase di lotta..,manca ancora però
la piattaforma operaia/ l’organizzazione autonoma operaia in grado 
di influenzare e guidare la lotta fino in fondo  
ma questa strada può essere percorsa solo nel fuoco della lotta in 
stretto legame con le masse operaia. e lavoriamo per questo cercando di
fare meglio di quanto fatto oggi 

la posizione dello Slai Cobas per il sindacato di classe Taranto
slaicobasta@gmail.com wa 3519575628 - blog tarantocontro.blogspot.com



20 novembre - da tarantocontro: Il Processo Ilva a Potenza sta diventando un processo agli operai che muoioni sul lavoro, che si infortunano

 

I danni enormi del trasferimento a Potenza del Processo "Ambiente svenduto" si vedono tutti: 

un processo fatto in un silenzio stampa totale, in aula sempre più piccola perchè si possono contare sulle dita delle mani i pochissimi avvocati presenti, sia da parte degli imputati sia delle parti civili.

Solo lo Slai Cobas e rappresentanti degli operai parti civili Slai Cobas sono presenti a buona parte delle udienze. 

In questa situazione, il processo, ancora più degli anni passati, va avanti senza alcuna interferenza.

Ma soprattutto, questo processo da atto d'accusa contro i Riva e tutti i suoi complici, sta diventando un processo CONTRO GLI OPERAI, in cui alla fine si vogliono indicare gli operai come unici colpevoli di infortuni, malattie, ambiente inquinato; con gli avvocati ben pagati dagli imputati, che la fanno da padroni.

Ieri questo andazzo si è mostrato in tutta la sua schifezza. Nel parlare dei due infortuni mortali, di Marsella e di Zaccaria, un capo area, Colucci, ha potuto fare il suo show, addebitanto la causa degli infortuni alle inadempienze, errori degli stessi operai. ERANO MORTI PER COLPA LORO!

Mentre i padroni, i vari capi dell'Ilva avevano agito in tutto e per tutto correttamente.

Ma questo processo non può, non deve andare così!    

Al termine di questa fase, di udienza preliminare, lo Slai Cobas terrà un'assemblea pubblica a Taranto. Ma la novità è che terrà un assemblea anche a Potenza, sollecitata e organizzata da avvocati e realtà di Potenza - probabilmente nei primi giorni di dicembre.

In queste assemblee leggeremo anche alcuni pezzi dei verbali delle udienze; essi sono emblematici, ampiamente dimostrano che per gli operai, per la popolazione di Taranto NOCIVO E' IL CAPITALE, NOCIVI SONO I PADRONI E I LORO COMPLICI POLITICI/ISTITUZIONALI, non la fabbrica.