Bangladesh tra crisi mondiale e licenziamenti di Stato,
protestano i lavoratori: questa volta a scendere in lotta tocca
ai lavoratori tessili della iuta
Il governo del Bangladesh ha
deciso di chiudere tutti i 25 stabilimenti di produzione della iuta
di proprietà dello stato [1] e gestiti da BJMC (Bangladesh Jute
Mills Corporation), licenziando i suoi circa 25mila addetti, ma
perderebbero il lavoro anche un numero circa uguale di lavoratori
irregolari.
La comunicazione della chiusura delle fabbriche è stata fatta il 3 luglio tramite l’affissione di cartelli ai cancelli.
Le fabbriche sono in debito a causa di cattiva gestione, corruzione, mancanza di coordinamento, inefficienza e mancanza di infrastrutture. La perdita o la mancanza di redditività viene addotta come scusa per esternalizzare la produzione al settore privato, una giustificazione addotta anche per non far pagare ai colpevoli. Il settore della lavorazione della iuta, è uno dei settori manifatturieri tradizionali più antichi del Bangladesh, produce per circa 1 miliardo di $ l’anno. Circa il 90% della juta prodotta nel mondo è prodotta in India e Bangladesh. Lo scorso maggio hanno scioperato quasi 80mila lavoratori di 27 stabilimenti di lavorazione della iuta, chiedendo il pagamento degli arretrati di salari e pensioni, per questo mancato pagamento ora si trovano in estrema povertà e rischiano la morte per fame.
Il licenziamento significa per molti lavoratori anche la perdita di un’abitazione, dato che risiedevano presso il luogo di lavoro, e non hanno una casa in cui tornare nel loro villaggio. Disoccupazione e assenza di aiuti statali li costringe a finire nella trappola del debito, mentre la crisi pandemica aggrava la condizione di vita generale. Si calcola che a causa di Covid il 13% dei bengalesi abbia perso il lavoro.
La comunicazione della chiusura delle fabbriche è stata fatta il 3 luglio tramite l’affissione di cartelli ai cancelli.
Le fabbriche sono in debito a causa di cattiva gestione, corruzione, mancanza di coordinamento, inefficienza e mancanza di infrastrutture. La perdita o la mancanza di redditività viene addotta come scusa per esternalizzare la produzione al settore privato, una giustificazione addotta anche per non far pagare ai colpevoli. Il settore della lavorazione della iuta, è uno dei settori manifatturieri tradizionali più antichi del Bangladesh, produce per circa 1 miliardo di $ l’anno. Circa il 90% della juta prodotta nel mondo è prodotta in India e Bangladesh. Lo scorso maggio hanno scioperato quasi 80mila lavoratori di 27 stabilimenti di lavorazione della iuta, chiedendo il pagamento degli arretrati di salari e pensioni, per questo mancato pagamento ora si trovano in estrema povertà e rischiano la morte per fame.
Il licenziamento significa per molti lavoratori anche la perdita di un’abitazione, dato che risiedevano presso il luogo di lavoro, e non hanno una casa in cui tornare nel loro villaggio. Disoccupazione e assenza di aiuti statali li costringe a finire nella trappola del debito, mentre la crisi pandemica aggrava la condizione di vita generale. Si calcola che a causa di Covid il 13% dei bengalesi abbia perso il lavoro.
Secondo il rapporto del Bangladesh Institute of Development Studies, circa un quinto (19,23%) di coloro che hanno un reddito mensile inferiore a 5.000 taka (50€, circa) ne hanno perso il 75% dal mese precedente.
Quasi un quarto (23,31%) di coloro che hanno un reddito tra 5.000-15.000 taka (50-150€) ne ha perso il 50%.
Il 7 luglio sono stati arrestati due leader sindacali, Oliar Rehman e Nur Islam, per aver organizzato le proteste nel distretto di Khulna e Jashore contro la chiusura delle fabbriche. Le autorità locali avevano promesso che gli arretrati sarebbero stati pagati prima della festività musulmana di Eid, il 30 luglio. La promessa non è stata mantenuta e ora centinaia di lavoratori della fabbrica Asha di Debidwar si sono radunati sulla autostrada Dhaka-Chattogram a protestare, anche contro l’amministrazione. Ai licenziati sono stati promessi corsi di aggiornamento e la priorità nelle nuove assunzioni, quando le fabbriche verranno modernizzate e riaperte, in partnership pubblico-privato, o in joint venture o … Secondo i dati dell’Ufficio di promozione delle esportazioni, l’export di iuta e di suoi prodotti è aumentato di circa il 5,74% nei primi 11 mesi dell’anno fiscale 2019-2020 (sensibilità ambientalista), mentre è diminuita di circa il 19% quella di abbigliamento (crisi Covid e cancellazione degli ordini o mancato pagamento da parte dei committenti globali) e del 22% quella di prodotti in pelle, il cui valor di esportazione è ora sorpassato da quello della iuta. Con il rientro dall’estero di un gran numero di lavoratori bengalesi immigrati vengono a mancare anche le rimesse. E allevamento, agricoltura e iuta sono attività considerate rilevanti per la ripresa economica. Gli stabilimenti privati si inseriranno in questa ripresa del mercato globale della iuta… Potrebbero tornare utili i lavoratori licenziati dalle imprese statali, commenta il giornale Daily Star. Nel settore privato, prima della crisi Covid erano attive 81 fabbriche riunite nella Bangladesh Juta Spinners Association, e 97 nella Bangladesh Jute Mills Association, con quasi 95.000 dipendenti, secondo le statistiche BJMC.
Fonti: Peoples Dispatch, Daily Star, NewageBD,
Dhaka Tribune e Ucanews. Traduzione a cura di G.L.
- Il governo nazionalizzò il settore nel 1972, dopo
l’indipendenza del paese. La principale ragione addotta per la
nazionalizzazione fu evitare la corruzione! Nel 1973 la sua
esportazione ammontava all’89,9% del totale delle esportazioni del
paese. Negli anni 1980, l’avvento di materiali sintetici, come
polietilene e plastica, assieme al forte sviluppo del
tessile-abbigliamento, e alla privatizzazione innescarono il declino
della produzione di iuta e della sua esportazione. Nel 2010 il
governo cercò di contrastarne il declino, varando la legge
Mandatory Juta Packaging Act, , che obbligava a utilizzare la iuta
per l’imballaggio di 17 prodotti.
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