FORMAZIONE OPERAIA - RISPOSTE A DOMANDE: CON IL
SALARIO COSA VIENE PAGATO ALL'OPERAIO? IN CHE MODO IL CAPITALISTA REALIZZA IL
PLUSVALORE?
Una lettrice
della Formazione operaia ci ha posto queste domande, aggiungendo:
"Io penso che contrariamente a quello che si può pensare, il salario non è esattamente un compenso economico per il lavoro effettuato dall'operaio, ma bensì l'equivalente dell'affitto della forza lavoro deciso esclusivamente dal capitalista. Il capitalista per produrre un qualsiasi prodotto impiega un dato numero di operai che vengono pagati al prezzo che lo stesso capitalista impone, avendo anzitempo anche deciso il prezzo del prodotto da vendere, quindi, sostanzialmente, la differenza tra il prodotto venduto e il lavoro per produrlo crea il plusvalore.
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"Io penso che contrariamente a quello che si può pensare, il salario non è esattamente un compenso economico per il lavoro effettuato dall'operaio, ma bensì l'equivalente dell'affitto della forza lavoro deciso esclusivamente dal capitalista. Il capitalista per produrre un qualsiasi prodotto impiega un dato numero di operai che vengono pagati al prezzo che lo stesso capitalista impone, avendo anzitempo anche deciso il prezzo del prodotto da vendere, quindi, sostanzialmente, la differenza tra il prodotto venduto e il lavoro per produrlo crea il plusvalore.
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Prima
questione. Cos'è il
salario? E' il valore della forza-lavoro. Come dice Marx ed Engels la
forza-lavoro dell'operaio è una merce come tutte le altre. L'operaio "ha
bisogno di una determinata somma di mezzi di sostentamento per la propria
esistenza e per la conservazione della propria famiglia, che assicura la
continuità della forza-lavoro anche dopo la sua morte. Il tempo di lavoro
necessario alla produzione di questi mezzi di sostentamento rappresenta perciò
il valore della forza-lavoro".
Quindi, è vero che il salario non è "un compenso economico per il lavoro effettuato dall'operaio", perchè il salario non è una parte del lavoro: cosa ha prodotto, quanto vale il suo lavoro, non è cosa che deve interessare l'operaio; i valori prodotti dagli operai non appartengono agli operai ma al capitalista; l'operaio è stato pagato sulla base dei costi di produzione della sua forza lavoro, del tempo di lavoro, socialmente necessario, per produrre questa merce, forza-lavoro e non ha altro da "pretendere". Se è così, introdurre la parola "esattamente" ("non è esattamente un compenso..."), è sbagliato perchè lascia sempre spazio al concetto che comunque il salario è anche un 'compenso legato al lavoro effettuato'.
Quindi, è vero che il salario non è "un compenso economico per il lavoro effettuato dall'operaio", perchè il salario non è una parte del lavoro: cosa ha prodotto, quanto vale il suo lavoro, non è cosa che deve interessare l'operaio; i valori prodotti dagli operai non appartengono agli operai ma al capitalista; l'operaio è stato pagato sulla base dei costi di produzione della sua forza lavoro, del tempo di lavoro, socialmente necessario, per produrre questa merce, forza-lavoro e non ha altro da "pretendere". Se è così, introdurre la parola "esattamente" ("non è esattamente un compenso..."), è sbagliato perchè lascia sempre spazio al concetto che comunque il salario è anche un 'compenso legato al lavoro effettuato'.
Invece non è
vera la frase successiva: (il salario è) "l'equivalente dell'affitto
della forza-lavoro deciso esclusivamente dal capitalista". Per due
ragioni: Primo, il capitalista non "affitta" la forza-lavoro, ma
l'acquista per una settimana, un mese... e l'operaio di conseguenza la vende,
non la dà in affitto; a fronte di questa vendita/acquisto l'operaio per un
giorno, una settimana, un mese, un anno, non è più proprietario della sua
forza-lavoro, mentre lo è il capitalista. Secondo, quanto paga il padrone
all'operaio non è "deciso esclusivamente dal capitalista", non
dipende dalla volontà del capitalista, dal fatto se è magnanimo o avaro;
altrimenti il, salario dipenderebbe dalla "moralità" dei padroni...
Come quando compra una merce qualsiasi non è chi la compra che ne decide il prezzo, anche quando il capitalista compra la merce forza-lavoro non è lui a deciderne il prezzo, dato che, come abbiamo visto prima, esso è determinato dal costo di produzione dei mezzi di sostentamento necessari all'operaio.
Come quando compra una merce qualsiasi non è chi la compra che ne decide il prezzo, anche quando il capitalista compra la merce forza-lavoro non è lui a deciderne il prezzo, dato che, come abbiamo visto prima, esso è determinato dal costo di produzione dei mezzi di sostentamento necessari all'operaio.
Certo, il
capitalista cerca anche di pagare un salario inferiore a quello dovuto, e per
questo usa vari mezzi che poi vedremo, ma le oscillazioni del salario, in meno
e in più avvengono sempre intorno al costo della merce forza-lavoro socialmente
determinato.
Questo
concetto sbagliato di volontà, quasi arbitrio del capitalista ritorna
nell'altra frase della lettrice: "il capitalista per produrre un
qualsiasi prodotto impiega un dato numero di operai che vengono pagati al
prezzo che lo stesso capitalista impone" - come ritorna l'altro concetto
sbagliato, quello di legare il salario al prezzo della merce: "avendo
anzitempo anche deciso il prezzo del prodotto da vendere"; su
quest'ultimo aspetto aggiungiamo che neanche il prezzo del prodotto da vendere
è deciso dal capitalista, ma dal suo costo di produzione.
Seconda
questione. La
lettrice scrive: "la differenza tra il prodotto venduto e il lavoro per
produrlo crea il plusvalore".
Il
capitalista realizza il plusvalore dal pluslavoro che fa l'operaio. Il
plusvalore non avviene con la vendita del prodotto, esso è precedente, esso
avviene nella produzione. Tant'è che, soprattutto nei periodi di crisi, la
merce può rimanere invenduta, ma non per questo il pluslavoro dell'operaio non
ha già aggiunto più valore al prodotto.
Riportiamo,
un passo di Engels: ”... che
cosa avviene dopo che l’operaio ha venduto al capitalista la sua forza lavoro,
cioè dopo che l’ha posta a sua disposizione, per un salario convenuto? Il
capitalista conduce l’operaio nella sua officina o fabbrica, dove già si
trovano tutti gli oggetti necessari per il lavoro, le materie prime, le materie
ausiliarie... gli utensili, le macchine. E qui l’operaio comincia a sgobbare.
Supponiamo che... con il suo lavoro di dodici ore l’operaio aggiunga alla
materia prima impiegata un nuovo valore di sei marchi, un nuovo valore che il
capitalista realizzerà con la vendita del pezzo finito. Di questo importo egli
paga all’operaio tre marchi, e gli altri tre se li tiene per sè. Se l’operaio
produce in dodici ore un valore di sei marchi, in sei ore produce un valore di
tre marchi. Quindi dopo aver lavorato sei ore egli ha già restituito al
capitalista l’equivalente di tre marchi, ricevuti come salario. Dopo sei ore di
lavoro, tutti e due sono pari; nessuno dei due deve più un soldo all’altro.
“Un momento!
- esclama ora il capitalista - io ho noleggiato l’operaio per un giorno intero,
per dodici ore. Sei ore non sono che una mezza giornata. Avanti dunque, al
lavoro, fino a che anche le altre sei ore siano passate. Solo allora saremo
pari!” E in realtà l’operaio deve attenersi al suo contratto “liberamente”
concluso, con il quale si impegna a lavorare dodici ore intere, per un prodotto
di lavoro che costa sei ore...
...la forza
lavoro è una merce, una merce come ogni altra, ma ciò nonostante una merce
tutta affatto speciale. Essa ha cioè la proprietà specifica di essere forza
produttrice di valore, di essere fonte di valore...".
(I "GIOVEDI' ROSSI" RIPRENDONO IL 16 APRILE)
(I "GIOVEDI' ROSSI" RIPRENDONO IL 16 APRILE)
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