L’OMICIDIO DEL NOMADE
I proseliti dell’odio
e il silenzio sulle vite tolte
Non si è alzata alcuna voce di umana pietà su quel padre di 10 figli, rom e senza precedenti penali, ucciso da Costelli
Non si alza una sola voce di umana pietà su quel padre di 10 figli, rom poverissimo e senza precedenti penali, ucciso da uno dei sette colpi di pistola sparati in una notte di pioggia dall’ex paracadutista Roberto Costelli, 39 anni, a Calcio. «L’ho fatto per mettere paura, per mandare via i nomadi che sporcavano troppo», ha confessato lui, personaggio intriso di passione per le armi, un certo disprezzo per gli immigrati, un culto quasi maniacale del proprio territorio e dell’ambiente. Caso chiuso, per sua stessa ammissione.
Non sembra un uomo fuori dal tempo e dalla realtà, Roberto Costelli. Sempre aggiornato sui fatti di cronaca, erano frequenti, su Facebook, i suoi commenti su due particolari casi, piuttosto noti. «Cosa doveva fare il signor Monella, farsi rubare l’auto da quattro albanesi del c...?» è il suo parere sul caso dell’imprenditore di Arzago che ha sparato ai ladri in fuga sulla sua auto, uccidendone uno, di 19 anni. «Sto’ zingaro di m...» era invece il commento sul romeno ucciso a Caravaggio da un colpo di pistola sparato nel vuoto — questo dice la sentenza di assoluzione — dal commerciante Angelo Cerioli. Nessuno può dire che la mano dell’ex parà è stata armata dalle campagne politiche su quelle delicate vicende. Ma un elemento comune tra questi casi di cronaca c’è, e non dipende dai suoi protagonisti: è il silenzio quasi assoluto dell’opinione pubblica sulle vite tolte, sugli essere umani uccisi, uomini ancor prima che ladri o rom. Come se un suv rubato potesse valere più di una vita, come se il furto di attrezzi agricoli o da giardino meritasse uno sparo che finisce casualmente per uccidere (ma l’assoluzione di Cerioli veniva chiesta a furor di popolo ben prima del processo), come se l’omicidio gratuito di un rom fosse solo l’esito del gesto di un pazzo — che pazzo proprio non è, secondo gli inquirenti. Ma sommare silenzi a silenzi, di caso in caso, può lasciare sempre più spazio al grosso rischio di far apparire normale e ormai praticabile la strada della giustizia fai-da-te, dettata da qualsiasi movente.
A rendersene conto dovrebbero essere, per primi, quelli che a gran voce contestavano le sentenze, confermate in tre gradi di giudizio, a carico di Monella, quelli che non perdono occasione per lanciare battaglie politiche su alcuni casi di cronaca, per poi tacere su altri, i tifosi del «non poteva fare altro, ha fatto bene». Basterebbe una parola, a volte, per ricordare a tutti che una vita tolta dovrebbe essere l’aspetto principale, da valutare, in determinate vicende. Non un dettaglio a margine.
28 marzo 2015 | 12:27
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