sabato 30 agosto 2025

Info Stellantis: Fiat chiama 800 lavoratori da Nepal e Marocco per costruire la Grande Panda in Serbia

 A Kragujevac, lo storico stabilimento in Serbia, arrivano lavoratori stranieri per compensare la carenza di manodopera locale, mentre in Marocco Stellantis raddoppia la produzione e conquista nuovi mercati


Pietro Mella Bitti

redazione@torinocronaca.it

A Kragujevac, lo storico stabilimento in Serbia, arrivano lavoratori stranieri per compensare la carenza di manodopera locale, mentre in Marocco Stellantis raddoppia la produzione e conquista nuovi mercati

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Lo stabilimento Fiat di Kragujevac, cuore industriale della Serbia centrale e oggi parte dell’universo Stellantis, si prepara a vivere una nuova fase. Nella fabbrica destinata alla produzione della nuova Fiat Grande Panda, arriveranno a breve circa 800 lavoratori stranieri provenienti da Nepal e Marocco. La conferma è arrivata dal consigliere comunale per l’economia, Radomir Erić, in dichiarazioni riportate da Televizija Kragujevac.

La notizia ha suscitato reazioni contrastanti, perché arriva in una città che conta circa 9mila disoccupati, secondo i dati diffusi da Autoklub.hr. Kragujevac ha un passato glorioso come polo manifatturiero serbo. Qui sono nate le auto della storica Zastava, simbolo della motorizzazione jugoslava, e qui, dal 2010, Fiat ha investito massicciamente per trasformare la città in un polo automobilistico moderno. Eppure, il nodo resta sempre lo stesso: la difficoltà di garantire condizioni di lavoro e retribuzioni in grado di attirare e trattenere personale locale.

Lo storico sindacalista Jugoslav Ristić, presidente dell’associazione “Nova sveltst” ed ex leader della fabbrica di armi Zastava, lo spiega senza giri di parole: «Gli abitanti di Kragujevac non sono interessati a stipendi leggermente superiori a 70.000 dinari (circa 597 euro), perché non sono sufficienti per sopravvivere. Ecco perché si cercano lavoratori dal Nepal e dal Marocco, Paesi molto più poveri della Serbia».

Secondo Ristić, la forbice economica è evidente: in Nepal, con una popolazione di 27 milioni di abitanti, oltre la metà delle persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno. In Marocco, che conta 37 milioni di abitanti, il PIL pro capite è più di tre volte inferiore rispetto a quello serbo. Nello stabilimento di Kragujevac, ha aggiunto il sindacalista, un operaio può arrivare a guadagnare circa 90.000 dinari (768 euro) al mese, ma solo lavorando tutti i sabati, ben oltre le 40 ore settimanali standard. Un salario che resta comunque al di sotto della media nazionale serba, fissata a circa 108.000 dinari (920 euro). Il confronto con i lavoratori stranieri inviati in passato dall’Italia è impietoso: «Quelli prendevano circa 100 euro al giorno, cifre incomparabili con gli stipendi offerti ai serbi», ricorda Ristić.

La conclusione, per il sindacalista, è amara: «Se la Fiat pagasse 1.000 euro al mese, troverebbe sicuramente lavoratori locali. Ma lo Stato, che possiede un terzo delle azioni dell’azienda, non interviene. Il messaggio è chiaro: la Serbia deve rimanere una zona di manodopera a basso costo. È la politica delle multinazionali, sostenuta dal nostro governo». Il caso di Kragujevac rappresenta bene un paradosso diffuso nei Balcani: alta disoccupazione ufficiale, ma difficoltà croniche a reperire personale disposto ad accettare stipendi bassi e turni gravosi.

Mentre in Serbia Stellantis fatica a trattenere personale e si affida a manodopera straniera, in Marocco il gruppo automobilistico ha intrapreso una strada opposta: quella della crescita e degli investimenti strategici. Lo stabilimento di Kenitra, inaugurato nel 2019 a nord di Rabat, è diventato in pochi anni uno dei fiori all’occhiello del gruppo. Nel 2025 Stellantis ha annunciato un piano da 1,2 miliardi di euro per raddoppiare la capacità produttiva: da 200mila a 535mila veicoli all’anno.

Il contrasto tra Kragujevac e Kenitra è evidente: in Serbia, Stellantis deve importare forza lavoro da Paesi ancora più poveri per compensare salari non attrattivi e condizioni considerate dure dagli stessi serbi. In Marocco, invece, il gruppo ha trovato un ambiente favorevole: salari competitivi, politiche industriali stabili, incentivi pubblici e una manodopera giovane e disponibile.

Stellantis, è fuga dall’azienda: i dipendenti si licenziano, è il caos totale

23 Agosto 2025 di Giovanni Messi

Il gruppo Stellantis ha avviato un piano di incentivi al licenziamento, ed in molti sono pronti ad approfittarne. Ora, quanto sta accadendo in un impianto del Centro Italia sta diventando un caso.

Per il gruppo Stellantis non sono tempi facili, e questo è ben noto a tutto il colosso automobilistico ed ai suoi lavoratori, i quali vivono da troppo tempo nell’incertezza. In Italia, la produzione dei veicoli è precipitata nel corso degli ultimi anni, scatenando polemiche a non finire anche con il Governo, il quale più volte è arrivato allo scontro con i vertici. Ora, con l’avvento del nuovo CEO Antonio Filosa si spera che le cose possano cambiare.

Stellantis fuga dall'azienda

Stellantis logo (ANSA) – Tuttomotoriweb.it

Stellantis ha promesso all’Italia di tornare ad investire pesantemente nelle nostre parti, così da dare maggiori sicurezze ai lavoratori ed alla nostra industria automobilistica. Nel frattempo, tuttavia, il lavoro continua a mancare, e come reso noto in queste ore dal sito web “Ilcentro.it“, il prossimo caso riguarda lo stabilimento di Atessa, alle porte di Chieti, dove è prevista una vera e propria fuga di dipendenti. Ad Atessa è appena ripresa la produzione, ma con un gran numero di lavoratori in meno rispetto a prima.

Stellantis, circa 600 i lavoratori pronti a lasciare Atessa

In base a quanto emerso, sono circa 600 i lavoratori del gruppo Stellantis che sarebbero pronti a lasciare Atessa, mediante una richiesta di separation al gruppo. Inizialmente, sarebbero dovuti essere solo 402, 400 appartenenti al gruppo e due di qualche ente centrale, sui quali nel mese di giugno si erano accordati l’azienda automobilistica ed i sindacati, ovvero Fismic, Uglm, Aqcfr, Fim e Uilm. L’accordo riguardava l’uscita incentivata e volontaria per chi si avvicinava alla pensione ed era ormai prossimo a farlo, ma che aveva intenzione di lasciare in anticipo il proprio posto di lavoro. I lavoratori hanno tempo sino al 31 di ottobre per decidere cosa fare.

Stellantis Atessa se ne vanno in 600

Stellantis Atessa in mostra (ANSA) – Tuttomotoriweb.it

Le richieste, sin dai primi giorni, sono aumentate in numero impressionante, e 600 dipendenti, su un totale di 4.800, significa che Atessa perderà il 12% della forza lavoro, un numero impressionante, che non può lasciare tranquillo il gruppo Stellantis. Il piano di fuoriuscita anticipata era partito ad aprile del 2024, ed il provvedimento riguardava 23 quadri ed impiegati, ma i sindacati abruzzesi, firmatari di un contratto specifico FIAT, hanno premuto per espandere il sistema anche ad altri lavoratori. Ed ora la holding multinazionale olandese si ritrova con una vera e propria fuga dalla propria azienda. 

Stellantis, Melfi: “Senza speranza e messo ai margini, ho mollato”

21 agosto 2025 | 11:02

Eugenio Bonanata

Eugenio Bonanata

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Stellantis, Melfi: “Senza speranza e messo ai margini, ho mollato”

Il commovente racconto di un operaio a ridotte capacità lavorative che ha accettato il licenziamento con incentivo. “Non mi chiamavano sulla linea da marzo 2024, mi sentivo inutile, sofferente, frustrato. Chi è più fragile viene emarginato”

Ho mollato, non ce la facevo più, troppa frustrazione, eppure, dentro, mi è rimasto un forte rammarico”. A parlare, col cuore in mano, è un operaio Stellantis a ridotte capacità lavorative (rcl) che il mese scorso ha accettato l’incentivo all’esodo, quindi di licenziarsi, dopo 31 anni di lavoro nella fabbrica di Melfi. “Sono tra coloro i quali hanno avuto una parte attiva nei 21 giorni del 2004 – racconta – la Fiat ce l’avevo nel sangue, quella bandiera, quei simboli, l’italianità, ma oggi non è rimasto più niente, non c’è più un’anima”

INFINITI MESI SENZA UNA CHIAMATA Riavvolge il nastro, l’operaio, che per invalidità e seri problemi fisici, si è sentito relegato in un angolo. “Prima di decidere di lasciare c’è stata la fase più dura e frustrante che abbia mai attraversato”, racconta. Si riferisce a quei “17 mesi senza lavorare”. Già. “Dalla primavera del 2024 non sono stato più chiamato in fabbrica neanche per una giornata”. E vivendo così ha iniziato a portarsi dentro un malessere, un nodo in gola che si amplificava giorno dopo giorno. “All’inizio non mi pesava, ma da un certo punto in poi ho iniziato a maturare pensieri negativi, vedevo colleghi che facevano qualche giornata in fabbrica, invece a me quella chiamata non arrivava mai. Mi sentivo inutile, inadatto, una sorta di scarto della società”.

UN PAESE POCO CIVILE Entra nel cuore del problema. “Un Paese civile non dovrebbe consentire che gli ultimi, i più disagiati, vengano messi all’angolo, marginalizzati, trattati come anormali”. E ancora:”Anche una grande azienda come Stellantis non dovrebbe consentire che chi si è ammalato, chi non può coprire più tutte le postazioni venga lasciato a casa, come se fosse una vergogna da nascondere”. Ed ecco le motivazioni che hanno spinto il lavoratore a mollare. “Dei soldi, dell’incentivo, non me ne frega nulla, non stavo male economicamente, era dentro, piuttosto, che qualcosa si era rotto irrimediabilmente e quindi per non impazzire, ho deciso di lasciare”. È vivo il suo racconto, vero il suo sfogo. Trattiene a stento le lacrime.

SENZA SPERANZA, NÈ FUTURO” Si sente così il lavoratore. “È come se a un certo punto smetti di lottare – ammette – è talmente forte la frustrazione che decidi di prendere e mollare tutto”. Salvo poi svegliarsi il giorno dopo, non senza rammarico.”Quando qualche amico mi ha fatto notare che potevo ancora rimanere in Stellantis, per un attimo ho avuto dei ripensamenti, mi sono guardato indetro e ho visto quel ‘prato verde’ dove siamo entrati, a Melfi, oltre 30 anni fa, con la voglia di lavorare, di segnare una nuova era per la Basilicata”. Ma poi i ricordi si rattrappiscono, passano, e resta ciò che oggi è diventata ai suoi occhi quella realtà. “Non vedo futuro e speranza neanche per San Nicola di Melfi. Se si pensa che qualche anno fa hanno smantellato la linea nuova, non quella vecchia, allora si capisce che forse c’era già il disegno di tagliare personale, dimezzare, d’altronde come li metti migliaia di operai sull’unica linea rimasta. Era chiara la direzione verso cui si stava procedendo”. E poi un altro affondo: “I sindacati vogliono ancora illudersi e illuderci che con in nuovi modelli elettrici tornerà l’impennata produttiva, ma loro lo sanno, in fondo, che nulla tornerà più come prima, anzi…”. Infine un’ultima stoccata la indirizza al “cinismo” che ha toccato con mano negli ultimi anni di lavoro. “Un tempo i capi, sulla linea, ti trattavano come un figlio, ti davano anche lo scappelotto affettuoso, oggi invece sono diventati spavaldi, indifferenti. Non tutti, ma alcuni, spadroneggiano. Giocano al ‘non sai chi sono io’ e fanno i forti con i deboli. E forse all’azienda fa comodo così.


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