sabato 25 giugno 2016

24 giugno - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 259 DEL 24/06/16



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

CHIARIMENTI SULLA VACCINAZIONE ANTITETANICA PER I LAVORATORI
1
ADEMPIMENTI E RESPONSABILITA’ IN CASO DI RIMOZIONE AMIANTO E RISCHIO DI CADUTA DALL’ALTO
3
CHECK LIST PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO STRADALE SUL LAVORO
6
PRONTO SOCCORSO E GESTIONE DELLE EMERGENZE NEI CANTIERI EDILI
9
IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI PROTEGGONO ADEGUATAMENTE GLI OCCHI
11
UNA NUOVA DENUNCIA CONTRO L’ABOLIZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI
14


CHIARIMENTI SULLA VACCINAZIONE ANTITETANICA PER I LAVORATORI

Da Ufficio Salute Ambiente Sicurezza FIOM CGIL

Da diversi Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza è arrivata la richiesta di chiarimenti relativa alla vaccinazione antitetanica che molte aziende stanno imponendo ai dipendenti, rispondo tentando di dare qualche chiarimento che spero sia utile per informare correttamente le lavoratrici e i lavoratori e per confrontarsi con le aziende.

Vediamo di capirci qualcosa sul tetano e sulla vaccinazione antitetanica.
Solo dal 1968 con la Legge 419 la vaccinazione contro il tetano è obbligatoria. La vaccinazione si effettua in diverse tappe: prima iniezione dal 3° al 5° mese di vita del bambino e un richiamo nel corso dell’11° o 12° mese di vita. Successivamente si fa un richiamo al 5° anno di vita e poi ogni 10 anni.

Dunque per fare degli esempi:
-         un lavoratore nato prima del 1968 che non ha mai avuto una vaccinazione è opportuno che a prescindere dall’attività lavorativa che svolge è necessario che la faccia prima possibile;
-         un lavoratore nato nel 1968 è certo che ha fatto la vaccinazione nel 68, poi un richiamo a 5 anni, nel 1973. La vaccinazione antitetanica viene richiesta per l’accesso del bambino alle scuole.
Dopo 10 anni è possibile che abbia fatto successivi richiami nel 1983, nel 1993, nel 2003, nel 2013 e oggi non deve fare il richiamo e cosi per gli altri nati successivamente.

Il lavoratore che ritiene di non aver necessità di richiamo vaccinale non necessariamente deve presentare il libretto delle precedenti vaccinazioni ma è sufficiente che faccia una autodichiarazione in cui dichiara di essere stato già vaccinato e di aver anche fatto i richiami.
Il lavoratore può anche non essere disponibile alla vaccinazione dichiarando sempre in forma scritta che nel passato a fronte delle precedenti vaccinazioni è stato colpito da fenomeni di ipersensibilità e da reazioni allergiche al vaccino.

Diamo alcune informazioni sul tetano.
La spora del tetano vive nell’intestino degli animali, soprattutto erbivori e dunque lo si trova nelle feci di questi animali e non è contagioso in quanto non si trasmette, né per le vie aeree, né da uomo a uomo. Il rischio è dunque presente soprattutto per i contadini, che si feriscono e sono a contatto con la terra ove possono essere state depositate feci di erbivore e per i lavoratori che operano nel ciclo dei rifiuti, sempre per le stesse ragioni.

Esiste il rischio anche per i lavoratori metalmeccanici che sono a contatto con metalli sporchi di terra, rifiuti, polveri depositate in terra. Questo tipo di rischio deve essere comunque evidenziato nel Documento di Valutazione dei Rischi, ove devono essere individuate le azioni per cancellare il rischio tetanico o almeno prevenirlo con la vaccinazione e con l’uso appropriato dei Dispositivi di Protezione Individuali, quali i guanti.
I lavoratori metalmeccanici che non sono impegnati in queste attività, e non sono dunque a contatto con terriccio anche se svolgono mansioni che li portano a utilizzare metalli, non hanno questi rischi e dunque è superflua la vaccinazione.

Bisogna smentire quel senso comune che identifica la possibilità della patologia tetanica alla presenza di ruggine, solo le feci, il terriccio e le polveri che impregnano eventuali utensili che provocano una ferita possono provocare il rischio.
La copertura immunitaria contro il rischio del tetano è forte anche se il lavoratore ha saltato o salta qualche richiamo o gli è stato somministrato a un intervallo superiore ai 10 anni, con l’attenzione però di verificare l’età dello stesso, in quanto in soggetti anziani l’assenza del richiamo aumenta il rischio della possibile infezione antitetanica.

Il tetano può portare alla morte per la paralisi dei nervi, ma se si riconosce rapidamente, al massimo entro le 48 ore, la terapia farmacologica fa regredire la grave situazione, fino alla completa guarigione Negli ultimi anni complessivamente i colpiti dal tetano in Italia sono stati una cinquantina, perlopiù lavoratori e persone molto anziani e soprattutto contadini, in quanto non avevano sufficiente copertura vaccinale, ma nessuno è deceduto.

La vaccinazione antitetanica è sicura se il lavoratore interessato è sano e non affetto da fenomeni allergici, in caso contrario i rischi di shock sono possibili e quindi è meglio evitarla.
Sono presenti dei rischi nell’inoculazione del siero antitetanico, che si utilizza al posto della vaccinazione antitetanica. Infatti essendo il siero un emoderivato, sono immunoglobuline provenienti dal sangue umano.
Pur con tutte le accortezze che vengono prese il rischio della trasmissione dell’epatite A e del HIV sono elevate. Dunque è necessario sempre ponderare bene la decisione di inoculare il siero antitetanico.

Conclusioni: troviamo curioso che le aziende vogliano procedere a campagne generalizzate di vaccinazioni, che ricordiamo si devono realizzare all’interno dell’attività di sorveglianza sanitaria che il medico competente deve realizzare in base ai rischi presenti in azienda e a quanto valutato nel Documento di Valutazione dei Rischi.
Su queste basi che sommariamente abbiamo descritto si dovrebbe svolgere il confronto con le aziende, nell’eventualità che non si trovasse un positivo riscontro c’è la necessità di rivolgersi al Servizio di Prevenzione della ASL.

Ufficio Sicurezza Ambiente Salute FIOM CGIL nazionale



ADEMPIMENTI E RESPONSABILITA’ IN CASO DI RIMOZIONE AMIANTO E RISCHIO DI CADUTA DALL’ALTO

Da La Voce del Trentino
15 giugno 2016
a cura di Andrea Merler e Alessandro Pedrotti

La gestione della sicurezza nei lavori in quota, intesi come tutte quelle operazioni che si svolgono ad un’altezza superiore ai 2 metri, sono da sempre oggetto di discussione tra gli esperti del settore e di dibattito giurisprudenziale.
Uno dei lavori più delicati riguarda l’attività di cantiere, a prescindere che si tratti di manutenzione ordinaria e straordinaria, che ha come oggetto i lavori eseguiti sulle coperture in cemento-amianto.
Molte volte per esigenze legate alla tipologia e allo stato di degrado della copertura vi è la necessità di bonificare definitivamente il sito attraverso la tecnica della rimozione. E’ questo il caso tipico della bonifica delle coperture in cemento-amianto. Il materiale in lastre piane e ondulate è stato largamente diffuso come manto di copertura tra gli anni 1955 e 1995 e tuttavia si possono trovare installate coperture in cemento amianto (diverso dal cosiddetto fibrocemento “ecologico”) fino anche al 1999).

Sul piano burocratico e prima dell’inizio effettivo dei lavori, il committente, sia esso l’amministratore di un condominio ovvero un’impresa/datore di lavoro/committente, ha l’esigenza di pianificare i lavori per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Stabilita la presenza di fibre di amianto nel manufatto, l’impresa individuata per la bonifica dell’amianto compatto inteso come legato solidalmente a una matrice cementizia (cemento-amianto) o resinoide (vinil-amianto) deve possedere dei requisiti ben definiti. Prima di tutto la “condicio sine qua non” è l’iscrizione dell’impresa incaricata della rimozione all’albo gestori ambientali per la categoria appropriata (www.albogestoriambientali.it)

In buona sostanza l’impresa deve essere in possesso della cosiddetta idoneità tecnico-professionale che deve essere verificata prima dell’inizio dei lavori dal committente. E’ bene ricordare che il modo in cui verificare l’idoneità tecnico professionale è indicata espressamente nell’allegato XVII del D.Lgs. 81/08.
Non possono certamente bastare la mera iscrizione alla CCIAA (Camera di Commercio) o la regolarità del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), ma serve perlomeno una verifica ulteriore: il possesso dell’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali nella categoria 10/A nel caso in cui l’amianto sia a matrice compatta. Invece, nel caso in cui l’amianto fosse a matrice friabile (ad esempio coibentazioni di tubi e caldaie, guarnizioni, stucchi, materiali spruzzati ecc.) allora il requisito di cui sopra riguarderebbe l’iscrizione all’albo nella categoria 10/B.
Bisogna però stare molto attenti perché i due requisiti (le due categorie) non sono sovrapponibili, ma distinti l’uno dall’altro. Tuttavia l’iscrizione dell’impresa alla categoria 10/B automaticamente implica anche la possibilità di effettuare i lavori anche per la 10/A mentre invece il contrario non è possibile in quanto categoria minore.
Ulteriori abilitazioni potrebbero essere da considerare in riferimento all’importo complessivo dei lavori di rimozione dei materiali in amianto a matrice friabile in quanto l’impresa, in maniera differenziata, oltre ad essere iscritta all’Albo e quindi ad essere “abilitata” a effettuare tali particolari lavori, dovrebbe anche dimostrare di possedere particolari capacità tecnico-economiche.

Un ulteriore adempimento burocratico a carico dell’impresa individuata riguarda la presentazione del piano di lavoro ex articolo 256 del D.Lgs 81/08, in cui vengono comunicate ufficialmente una serie di informazioni (ad esempio data e luogo del cantiere, tipologia dei manufatti da rimuovere, oltre a inizio lavori e informazioni circa lo smaltimento dei rifiuti) e che deve essere presentato, almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori, all’Organo di Vigilanza competente per territorio.
E’ possibile avere accesso alla procedura d’urgenza al fine di abbreviare il termine di trenta giorni ad esempio nel caso in cui vi sia pericolo di crollo a seguito di eventi meteorologici o per ottemperare ad ordinanze emanate dal Sindaco. L’articolo 256, comma 5 del D.Lgs. 81/08 prevede anche un meccanismo di silenzio-assenso all’inizio dei lavori nel caso in cui, nel termine di trenta giorni dalla presentazione del piano di lavoro, non siano richieste dalla ASL integrazioni o modifiche al piano stesso.

Il piano di lavoro serve a varie finalità, di tutela dei lavoratori, ma anche dei terzi e dell’ambiente. Ad esempio per la tutela dei lavoratori è prevista l’individuazione delle misure di sicurezza per i lavoratori contro il rischio di caduta dall’alto oltre alla protezione personale attraverso i Dispositivi di Protezione Individuali, la verifica dell’assenza di rischi al termine dei lavori e la tracciabilità del rifiuto speciale quale è l’amianto.

Molte volte accade che le imprese interpretino l’adempimento necessario del piano di lavoro anche per altre finalità quale ad esempio l’obbligo di redazione del POS (Piano Operativo di Sicurezza).
E’ bene chiarire che non è possibile esonerarsi dall’obbligo di redazione del POS perché i due adempimenti (piano di lavoro e POS) sono del tutto diversi e con soggetti preposti alla verifica distinti. Il piano di lavoro viene verificato dall’Organo di Vigilanza della ASL mentre il POS viene verificato dal Coordinatore per l’Esecuzione nel caso in cui sul cantiere vi sia la presenza di più imprese esecutrici anche non contemporaneamente, ovvero dal committente nel caso in cui l’impresa sia unica.

Un ultimo obbligo importante riguarda gli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso d’asta che devono essere contenuti nel contratto di appalto. In caso di mancata indicazione degli oneri della sicurezza per gestire le interferenze tra le lavorazioni del committente e quelle dell’impresa esecutrice il contratto può essere dichiarato nullo ai sensi dell’articolo 1418 del Codice Civile.

La necessità di calpestare superfici di coperture in amianto provoca il tipico rischio di sfondamento delle lastre con conseguente caduta verso l’interno e gravi conseguenze per i lavoratori in quanto il materiale (anche integro e non vetusto) non é in grado di sopportare il peso di una o più persone.
Per questo motivo il legislatore ha previsto una specifica normativa per evitare questo rischio nell’articolo 148 del D.Lgs. 81/08.
In primis, è necessario predisporre misure di prevenzione collettiva (ad esempio ponti di servizio, reti di sicurezza) e accertare la resistenza al sostegno del peso degli operai e delle attrezzature.

Nel caso dell’amianto a matrice compatta delle coperture, i lavoratori hanno l’obbligo di trattare preventivamente il materiale contenente amianto con prodotti incapsulanti su entrambi i lati delle lastre. Quindi qualora le coperture siano posate su struttura priva di solaio portante (ad esempio orditura in ferro), è necessario adottare sempre misure atte a garantire l’incolumità dei lavoratori e quindi prevedere la rimozione dall’intradosso della copertura attraverso l’ausilio di piattaforme di lavoro elevabili.

Qualora invece siano presenti concreti rischi di caduta dall’alto (ad esempio solaio portante con inseriti lucernari) è preferibile sempre l’utilizzo di ponteggi perimetrali o parapetti in gronda, sottopalchi o reti e linee vita a cui collegare i dispositivi anticaduta (cinture di sicurezza).
Anche in caso di sfondamento delle lastre, che dovrebbe comunque essere limitato dall’uso dei dispositivi anticaduta, il lavoratore non dovrebbe MAI poter cadere al suolo per la presenza, necessaria, dei sottoponti di sicurezza (ad esempio reti di sicurezza o sottopalchi).

Qualcuno può ritenere che le protezioni per eliminare il rischio di caduta dall’alto siano una prerogativa specifica dell’impresa esecutrice. Questo non corrisponde affatto al vero. Non solo l’impresa esecutrice, ma anche lo stesso committente, di fronte a rischi palesi come la caduta dall’alto in quanto oggettivamente percepibili da chiunque, deve garantire la sicurezza dei lavori in appalto e dei lavoratori che formalmente non rientrano nella sua organizzazione d’impresa. In sostanza l’impresa deve approntare le misure di sicurezza, il committente deve verificare che adempia concretamente.
La responsabilità in caso di caduta di un lavoratore per sfondamento di una lastra in cemento- amianto può dunque vedere la corresponsabilità del committente e del datore di lavoro dell’impresa esecutrice ai sensi dell’articolo 113 del Codice Penale in cooperazione colposa tra loro. Rimane esclusa la responsabilità del datore di lavoro e dello stesso committente in caso di condotta negligente, avventata, imprudente e abnorme del lavoratore infortunato.
Per accertare se la condotta sia come quella sopra descritta bisognerà accertare in concreto se salire sul tetto era necessario, se le attrezzature e i lavori da eseguire potevano essere espletati in maniera diversa senza dover sbarcare, ad esempio, sulla copertura. Cosa alquanto difficile in tema di rimozione di lastre di copertura in cemento-amianto, più verosimile invece nel caso di approntamento di fari perimetrali a un capannone industriale.



CHECK LIST PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO STRADALE SUL LAVORO

Da: PuntoSicuro
13 giugno 2016
di Marco De Mitri.
Esperto in rischio stradale sul lavoro

Come ridurre il rischio stradale intervenendo sulle componenti uomo, veicolo e spostamento del “sistema guida”?
Una lista di controllo per aumentare la sicurezza stradale.

Ogni datore di lavoro, tra i propri obblighi, ha quello di effettuare la valutazione dei rischi dei lavoratori e prendere le misure per ridurre detti rischi, consentendo al proprio personale di lavorare in piena sicurezza.
Le aziende che hanno grandi numeri in termini di dipendenti, veicoli in uso e spostamenti quotidiani avvertono la gestione del rischio stradale come uno dei principali punti su cui focalizzare la propria attenzione ed a cui destinare una quota significativa delle risorse dedicate alla sicurezza sul lavoro.
Per innumerevoli attività, infatti, il “luogo di lavoro” non è un posto specifico individuato all’interno di un ufficio o di uno stabilimento produttivo (che pure deve avere le sue misure per la riduzione del rischio di infortuni tra veicoli e persone), ma è la strada pubblica, spesso in condizioni di difficile gestione (come nel caso di flussi di merci pericolose che impegnano le strade urbane).
E non va poi dimenticato che gli incidenti stradali sono la prima causa di morte sul lavoro (come testimoniano ogni anno i dati INAIL).
Per minimizzare i rischi di questi lavoratori e aumentare la sicurezza stradale (a vantaggio loro e di ogni altro utente), viene in aiuto dei responsabili aziendali la check list sotto riportata, che consente di ridurre il rischio stradale intervenendo sulle componenti uomo, veicolo e spostamento del “sistema guida”. Ogni responsabile aziendale della sicurezza può consultarla e verificare, punto per punto, se la propria azienda sta tenendo debitamente in conto ogni aspetto importante ai fini della riduzione del rischio.
Le aziende che soddisfano in buona misura i punti di questa check list sono inoltre ben attrezzate per implementare (e vedersi riconoscere tramite specifica certificazione) il proprio sistema di gestione per la riduzione del rischio stradale conforme allo standard ISO 39001.

IL GUIDATORE
COMPETENZA
I guidatori sono competenti e in grado di svolgere il proprio lavoro in modo sicuro per essi stessi e per le altre persone?
I nuovi assunti hanno una esperienza precedente?
L’impiego richiede qualcosa di più di una semplice patente di guida per il veicolo che deve essere utilizzato?
Le procedure di assunzione includono appropriate verifiche preliminari (ad esempio richiesta e verifica di referenze)?
La validità della patente di guida viene controllata al momento dell’assunzione e poi ad intervalli periodici?
I vostri guidatori sono consapevoli della politica ambientale sulla sicurezza stradale (e sanno cosa ci si aspetta da loro)?
Avete specificato quali competenze standard sono richieste per le circostanze di un particolare lavoro?
Come vi assicurate che questi standard sono raggiunti?
ADDESTRAMENTO
I guidatori sono addestrati in modo appropriato?
Avete stimato se i vostri lavoratori “su strada” necessitano di addestramento aggiuntivo per effettuare i loro compiti in sicurezza?
Organizzate l’addestramento per i guidatori dando priorità a quelli a maggiore rischio (ad esempio quelli che fanno maggiori percorrenze, quelli che hanno minore esperienza, ecc.)?
I guidatori hanno bisogno di sapere come condurre verifiche di sicurezza di routine (ad esempio su luci, pneumatici, ecc.)?
I guidatori sanno come usare correttamente i dispositivi di sicurezza (ad esempio cinture, ecc.)?
I guidatori sanno come utilizzare correttamente il dispositivo ABS?
I guidatori sanno come effettuare la distribuzione sicura dei carichi (ad esempio in caso di operazioni con carichi e scarichi ripetuti)?
I guidatori sanno come agire per assicurare la loro sicurezza a seguito di una avaria intervenuta sul veicolo?
Avete fornito ai guidatori un manuale con suggerimenti e informazioni sulla sicurezza stradale?
I guidatori sono consapevoli dei rischi derivanti dalla stanchezza?
I guidatori sanno cosa dovrebbero fare se dovessero accusare sonnolenza?
I guidatori sono pienamente consapevoli delle dimensioni del veicolo (ad esempio altezza a vuoto e a pieno carico, ecc.)?
E’ stato stanziato un budget per l’addestramento?
CONDIZIONI FISICHE
I guidatori sono in condizioni fisiche adeguate per guidare in sicurezza e non mettere essi stessi o altri in condizioni di rischio?
I guidatori per i quali sono richiesti per legge particolari requisiti medici, hanno i certificati appropriati?
Anche in caso non sia previsto dalla legge, i lavoratori maggiormente a rischio ricevono sorveglianza sanitaria?
Sono stati avvisati i guidatori che non possono condurre veicoli se sono sottoposti a trattamenti farmacologici che possono influire sulle loro capacità (ad esempio diminuzione dei tempi di reazione, ecc.)?

IL VEICOLO
ADEGUATEZZA
I veicoli sono adatti per l’uso a cui sono destinati?
Verificate prima dell’acquisto che i veicoli siano i migliori dal punto di vista della guida e della sicurezza?
Vi siete assicurati che ogni veicolo della vostra flotta sia adatto all’utilizzo a cui è destinato?
Avete pensato di integrare o rinnovare la vostra flotta con veicoli in leasing o a noleggio?
Vi assicurate che i veicoli privati non siano usati per lavoro (a meno che non siano assicurati anche a tale scopo)?
CONDIZIONI
I veicoli sono mantenuti in condizioni di sicurezza adeguate?
Sono previste adeguate procedure di manutenzione?
Come vi assicurate che manutenzione e riparazioni siano effettuate in modo accettabile?
La manutenzione è programmata in accordo alle raccomandazioni del produttore?
I vostri guidatori sanno come effettuare i controlli basilari di sicurezza?
Come vi assicurate che il carico dei veicoli non ecceda il massimo peso consentito?
La merce e gli equipaggiamenti che devono essere trasportati possono essere assicurati adeguatamente (ad esempio per evitare che si muovano liberamente distraendo il guidatore)?
I tergicristalli sono controllati con regolarità e sostituiti se necessario?
EQUIPAGGIAMENTI DI SICUREZZA
Gli equipaggiamenti sono correttamente conservati e gestiti?
L’equipaggiamento di sicurezza è appropriato e in buone condizioni?
Le cinture di sicurezza ed i poggiatesta sono regolati e funzionano correttamente?
INFORMAZIONI CRITICHE PER LA SICUREZZA
I guidatori hanno accesso alle informazioni che li aiutano a ridurre i rischi?
Avete pensato al modo migliore con cui rendere disponibili le informazioni ai guidatori (ad esempio pressione raccomandata degli pneumatici, regolazione dei fari per compensare l’effetto del carico, regolazione dei poggiatesta per compensare gli effetti del colpo di frusta, azioni da fare se si ritiene che il veicolo non sia sicuro e chi si dovrebbe contattare)?
ERGONOMIA
La salute e la sicurezza dei guidatori sono messe a rischio da posizioni di guida scorrette o da postura inappropriata?
Prendete in considerazione le questioni ergonomiche prima di acquistare o noleggiare nuovi veicoli?
Fornite ai conducenti dei veicoli guide sulla postura corretta e sul modo giusto di sedersi al posto di guida?

LO SPOSTAMENTO
I PERCORSI
Si esegue una pianificazione completa dei percorsi?
Pianificate i percorsi in modo adeguato?
Avete la possibilità di usare i percorsi più sicuri e appropriati rispetto alle caratteristiche del veicolo utilizzato?
La vostra pianificazione dei percorsi prende sufficientemente in conto vincoli come ponti, tunnel e altri punti critici (ad esempio passaggi a livello) che possono essere pericolosi per i veicoli più grandi?
LA PROGRAMMAZIONE
Si programmano gli spostamenti in modo realistico?
Prendete in sufficiente considerazione i periodi nei quali i guidatori sono più soggetti a sonnolenza quando pianificate gli spostamenti?
Avete previsto misure per interrompere la guida dei conducenti in caso di sonnolenza, anche se questo potrebbe pregiudicare i tempi pianificati?
Controllate regolarmente i cronotachigrafi (se possibile) per assicurarvi che i guidatori rispettino velocità e tempi di sosta definiti?
Cercate di evitare i periodi di picco del traffico?
Fate una pianificazione “più morbida” per i conducenti meno esperti?
IL TEMPO
Siete sicuri che il tempo stimato sia sufficiente per completare in sicurezza ogni spostamento?)
La vostra pianificazione dei tempi è realistica?
I tempi di viaggio tengono conto del tipo e delle condizioni delle strade e delle pause per il riposo?
La politica aziendale mette i guidatori sotto pressione e li induce a prendere rischi non necessari (ad esempio eccedere la velocità di sicurezza a causa di tempi di arrivo prefissati)?
I guidatori possono fare un pernottamento, piuttosto che dover essere costretti a fare un lungo spostamento al termine della giornata lavorativa?
Avete valutato di segnalare al personale che lavora su orari irregolari quali sono i pericoli del tornare a casa dopo il lavoro, se sono molto stanchi e in queste circostanze, possono considerare delle alternative (ad esempio l’uso del taxi)?
LA DISTANZA
Siete sicuri che i guidatori non siano messi a rischio a causa della stanchezza data da percorrenze eccessive senza pause?
Siete confidenti che i guidatori non siano messi a rischio a causa della stanchezza causata dalla guida per lunghe distanze senza pause adeguate?
Potete eliminare gli spostamenti più lunghi su strada o ridurli combinandoli con altri metodi di trasporto?
Effettuate una pianificazione dei viaggi in modo tale che non siano lunghi al punto di provocare stanchezza o sonnolenza?
Quali criteri seguite per assicurarvi che ai guidatori non sia richiesto di lavorare per un periodo molto lungo durante la giornata?
CONDIZIONI METEO
Siete sicuri che sia data sufficiente importanza alle condizioni meteo avverse in fase di pianificazione dei viaggi?
Tempi e percorsi degli spostamenti possono essere modificati per tenere in conto le cattive condizioni meteo?
Siete confidenti che i veicoli siano equipaggiati adeguatamente per operare in condizioni meteo difficili?
Siete sicuri che i guidatori sappiano bene quali azioni dovrebbero fare per ridurre il rischio?
Siete sicuri che i guidatori non si sentano “pressati” per completare il viaggio se le condizioni meteo sono molto difficili?

La check list è stata tratta dal documento inglese “Driving at work: Managing work-related road safety” pubblicato da Health and Safety Executive.
Le indicazioni fornite sono perfettamente applicabili in ogni parte del mondo.

PRONTO SOCCORSO E GESTIONE DELLE EMERGENZE NEI CANTIERI EDILI

Da: PuntoSicuro
16 giugno 2016

Indicazioni sulla gestione delle emergenze e sui servizi di cantiere correlati. La normativa sul pronto soccorso aziendale, i presidi sanitari, gli addetti al primo soccorso, gli addetti alla prevenzione incendi e al servizio di evacuazione.

Per affrontare un tema rilevante per la sicurezza nei cantieri edili come la gestione delle emergenze, ci soffermiamo su alcuni materiali didattici, in materia di “Organizzazione del cantiere”, pubblicati sul sito web del Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e a cura del Professor Fabrizio Leccisi.

Nella parte del materiale dedicata ai “servizi di cantiere” si indica che la gestione delle emergenze si attua attraverso l’istituzione, da parte del datore di lavoro dell’impresa affidataria dei lavori dei servizi:
-         per la gestione delle emergenze;
-         di pronto soccorso;
-         antincendio;
-         di evacuazione dei lavoratori;
-         di salvataggio nei lavori in sotterraneo.
Si ricorda che gli addetti di questi servizi sono lavoratori della ditta esecutrice dei lavori formati con idonei corsi a carico del datore di lavoro. Nel cantiere deve essere sempre assicurata la presenza di tali addetti.

Si segnala inoltre che il Decreto del Ministero della Salute n. 388 del 15 luglio 2003, “Regolamento recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, in attuazione dell’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni”, ha classificato tutte le aziende ovvero le unità produttive in 3 gruppi individuati con le lettere A, B e C, fissando per ciascuno di questi gruppi l’organizzazione di pronto soccorso obbligatoria.
In edilizia i vari gruppi risultano così definiti:
-      gruppo A: cantieri per lavori in sotterraneo di cui al D.P.R. 20 marzo 1956 n. 320, imprese con oltre 5 lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi tariffari INAIL con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a 4, quali desumibili dalle statistiche nazionali INAIL relative al triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno;
-      gruppo B: imprese con 3 o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A;
-      gruppo C: imprese con meno di 3 lavoratori che non rientrano nel gruppo A.
Per le aziende dei gruppi A e B sono previste le seguenti attrezzature di pronto soccorso:
-      una cassetta di pronto soccorso, da eventualmente integrare sulla base dei rischi presenti e su indicazione del medico competente, se previsto, e del sistema di emergenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, della quale sia costantemente assicurata la completezza e il corretto stato d’uso dei presidi contenuti;
-      un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.
Per le aziende di gruppo C le attrezzature sono invece:
pacchetto di medicazione;
un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.

Inoltre in ogni cantiere devono dunque essere disponibili i presidi sanitari indispensabili per prestare le prime immediate cure ai lavoratori feriti o colpiti da malore improvviso.
Le attrezzature minime di equipaggiamento, i dispositivi di protezione individuale per gli addetti al primo intervento interno e al pronto soccorso ed il materiale di primo soccorso, cassetta di pronto soccorso o pacchetto di medicazione, vanno tenuti in un posto pulito e conosciuto da tutti, riparato dalla polvere, ma non chiuso a chiave, facilmente accessibile e individuabile con segnaletica appropriata per evitare perdite di tempo al momento in cui se ne ha bisogno.

Nel materiale didattico si indica la possibilità di istituire nei grandi cantieri anche altri posti di pronto soccorso e si segnala che è opportuno valutare i presidi medico-chirurgici con il medico competente, se previsto, e con il sistema di emergenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, in relazione alla particolarità dei lavori e sulla base dei rischi presenti in cantiere. I presidi devono, in tutti i casi, essere corredati da istruzioni complete sul corretto stato d’uso degli stessi e sui primi soccorsi da prestare all’infortunato in attesa del medico.

Dopo aver riportato indicazioni sul contenuto del pacchetto di medicazione e della cassetta di pronto soccorso, il documento universitario si sofferma sugli addetti alle emergenze.

Se segnala che l’incarico di addetto alla prevenzione incendi ed evacuazione e quello di addetto al primo soccorso può essere ricoperto sia dal datore di lavoro titolare sia da un dipendente dell’impresa. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. E i vari addetti devono essere opportunamente formati e dotati delle attrezzature adeguate.

Questi sono i compiti degli addetti al primo soccorso:
-      mantenere in efficienza i presidi medico aziendali, cassetta o pacchetto di pronto soccorso;
-      aggiornare i recapiti telefonici dei servizi pubblici competenti;
-      intervenire in caso d’infortunio, evitando che l’infortunato venga soccorso in modo non corretto.

In particolare riguardo al servizio di pronto soccorso, si indica che in funzione della natura delle attività e delle dimensioni del cantiere, devono essere presi i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso ed assistenza medica di emergenza, rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati. All’attuazione di tali provvedimenti devono essere designati uno o più lavoratori incaricati, se non vi provvede direttamente il datore di lavoro.
Per i lavori in sotterraneo e quelli esterni connessi, con più di 150 lavoratori per turno ed in quelli in cui, indipendentemente dal numero di lavoratori, vi è o sia probabile la presenza di gas infiammabili o esplodenti, il numero di lavoratori volontari idonei prescelti per operazioni di soccorso o di salvataggio deve essere non inferiore a 9, designando anche elementi di riserva. In tali cantieri devono essere tenuti disponibili almeno 4 autorespiratori con un numero adeguato di bombole di ossigeno di ricambio e gli altri mezzi di emergenza necessari.

Veniamo al servizio antincendio.
Il documento universitario segnala che in relazione al tipo di attività, al numero di lavoratori occupati e ai fattori di rischio devono essere individuate e messe in atto le misure di prevenzione incendi e di gestione delle emergenze conseguenti, nonché le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio.
Chiaramente i dispositivi per combattere l’incendio devono risultare adeguati ai rischi e facilmente accessibili ed utilizzabili.

Concludiamo parlando del servizio di evacuazione e salvataggio.
Infatti sempre in relazione al tipo di attività, al numero dei lavoratori occupati e ai fattori di rischio, vanno anche definite misure che consentano ai lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, di cessare la loro attività, ovvero mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il posto di lavoro.

In particolare le misure devono essere contenute in apposito piano di evacuazione, e devono essere individuati i soggetti incaricati della gestione di tale piano. Il piano di evacuazione deve essere reso noto a tutti i lavoratori interessati ed esposto in cantiere. I soggetti incaricati del servizio di evacuazione dei lavoratori nelle situazioni di pericolo grave ed immediato, devono accertarsi che tutti i lavoratori abbiano abbandonato i posti di lavoro o la zona di pericolo e mettere in atto le relative procedure di emergenza.

Il documento del Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, “Organizzazione del cantiere. Impianto di cantiere. I servizi di cantiere. Viabilità di cantiere” è scaricabile all’indirizzo:

IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI PROTEGGONO ADEGUATAMENTE GLI OCCHI

Da: PuntoSicuro
16 giugno 2016
di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati all’uso errato o al mancato uso dei Dispositivi di Protezione Individuale DPI per la protezione degli occhi. La manutenzione di linee elettriche e le conseguenze delle schegge. La dinamica degli infortuni, i fattori causali e la prevenzione.

In “Imparare dagli errori”, la rubrica dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, si siamo soffermati in questi anni più volte sulle problematiche relative ai DPI, dispositivi che nei luoghi di lavoro a volte possono essere inadatti, assenti, non utilizzati, usati male, in cattive condizioni.
Dispositivi che, come si può visualizzare nelle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi, non sono quasi mai il principale fattore causale dell’incidente, ma la cui assenza rende l’infortunio possibile o più grave.

Operando una ricerca su INFOR.MO. in relazione ai casi gravi di infortunio correlati a DPI e abbigliamento, compaiono tre diverse categorie:
-         uso errato o mancato uso (anche se disponibile) di DPI;
-         inadeguatezza strutturale o deterioramento di DPI;
-         DPI non fornito.

Ci soffermiamo ora sulla prima categoria individuata. Quanti sono i casi di infortunio grave in cui è rilevabile un errato uso o un mancato uso di DPI disponibili in azienda? Sicuramente ancora troppi.
Per aumentare la consapevolezza dell’importanza dell’uso adeguato dei DPI, riporteremo alcuni casi di infortunio e alcune informazioni sui DPI, sul loro uso, sulla scelta e la manutenzione, in questo caso ci occuperemo dei dispositivi per la protezione del viso e degli occhi.

I CASI

Il primo caso riguarda un infortunio in attività di manutenzione di linee elettriche.
Un manutentore si trova, assieme a due colleghi, in una zona di campagna per effettuare un intervento di manutenzione su un palo di una linea elettrica.
Dopo aver messo in sicurezza il tratto di linea interessato dai lavori (installando su di un palo il dispositivo di messa in corto circuito e a terra), effettua i lavori, e al termine di questi, risale sulla scala a pioli in alluminio appoggiata al palo, per scollegare e recuperare il dispositivo di cui sopra, ma nello scendere a terra, viene colpito da un ramoscello dell’albero che si trova a fianco del palo, riportando un trauma penetrante del bulbo con incarceramento dell’iride nella ferita corneale.
L’infortunato ha riferito successivamente che “probabilmente il ramoscello, dapprima incastrato tra altri rami, per un suo movimento durante la discesa, si liberava, tornando repentinamente nella sua posizione naturale. L’azienda ha fornito ai propri lavoratori, quali DPI, anche degli schermi facciali, ma nelle procedure aziendali non è previsto che questi vengano utilizzati nelle suddette operazioni”. Ma nella valutazione dei rischi, nella scelta dei DPI e nelle procedure aziendali si era tenuto conto di tutti i rischi per i lavoratori?

Questi i fattori causali identificati nella scheda:
-         nello scendere dalla scala urta alcuni rami dell’albero presente a fianco del palo;
-         schermo facciale non previsto e quindi non utilizzato.

Il secondo caso riguarda un infortunio con ferita all’occhio sinistro di un lavoratore.
Un lavoratore sta rifinendo una scatola di ferro quando, nel tentativo di rimuovere un eccesso di saldatura con martello e scalpello nuovo, una scheggia di questo eccesso di saldatura colpisce il suo occhio sinistro.
E’ stato accertato successivamente che il lavoratore utilizzava gli occhiali di protezione in modo non adeguato.

Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:
-         lo scalpello, nuovo, si scheggiava;
-         il lavoratore utilizzava gli occhiali di protezione in modo non adeguato.

LA PREVENZIONE

Sono tanti i documenti pubblicati in questi anni che hanno affrontato il tema dei DPI e dell’importanza di utilizzarli adeguatamente per prevenire infortuni più o meno gravi.

Riprendiamo oggi una scheda informativa pubblicata dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) dell’Azienda ULSS 9 di Treviso dedicata alla protezione degli occhi e intitolata “Occhiali per la protezione degli occhi contro la proiezione di schegge”.

La scheda ricorda, ad esempio, che in Veneto tra il 2009 e il 2011 sono stati denunciati all’INAIL ben 8.906 infortuni agli occhi, cioè in media circa 3.000 infortuni all’anno. E sicuramente molti infortuni agli occhi non vengono denunciati perché generalmente non comportano lunghe assenze dal lavoro.

Nella scheda si sottolinea che nonostante l’apparente lievità anche lesioni minime agli occhi possono provocare gravi conseguenze per la vista se insorgono complicanze infettive o si formano cicatrici nella cornea in corrispondenza della pupilla. Conseguenze che possono determinare lesioni permanenti indennizzabili (superiori al 5%), seri danni alla vista, fino alla perdita del bulbo oculare.
Ed è dunque evidente che nei luoghi di lavoro è perciò necessario adottare sempre tutti gli accorgimenti necessari per proteggere gli occhi.

La scheda ricorda che il maggior numero di infortuni denunciati agli occhi negli ultimi tre anni si registra in metalmeccanica (2.334) e in edilizia (1.666). E un caso particolare è quello degli agenti chimici: con questi agenti gli infortuni non sono molto numerosi, ma sono spesso gravi quando sono coinvolte sostante corrosive.

E cosa fare per la prevenzione?
Si segnala che se la prevenzione si deve basare innanzitutto sull’adozione di misure protettive di tipo collettivo, per questa tipologia di rischio spesso è inevitabile ricorrere anche all’uso dei DPI, come occhiali e schermi.

Riportando le indicazioni della scheda su cosa deve fare, per questa tipologia di prevenzione, il datore di lavoro, il preposto e i lavoratori.

Il datore di lavoro (o il dirigente) deve:
-         valutare i rischi e individuare le misure di protezione più idonee;
-         assicurarsi che le attrezzature siano dotate degli schermi di protezione contro la proiezione di materiali, se previsti (protezione collettiva);
-         se necessario usare anche i DPI, esporre la segnaletica che indica l’obbligo di utilizzare gli occhiali protettivi in prossimità del posto di lavoro in cui è presente il rischio;
-         fornire i DPI idonei ai lavoratori;
-         informare, formare ed addestrare i lavoratori all’uso dei DPI;
-         formare i preposti;
-         vigilare sulla sicurezza delle attrezzature e sull’uso dei DPI da parte dei lavoratori.

Invece il preposto deve:
-         vigilare sull’uso dei DPI da parte dei lavoratori, richiederne l’uso e informare il datore di lavoro (o il dirigente) sulle inadempienze dei lavoratori;
-         segnalare al datore di lavoro (o al dirigente) le deficienze dei DPI e ogni condizione di pericolo di cui venga a conoscenza.

I lavoratori devono:
-         osservare le disposizioni aziendali ai fini della protezione collettiva e individuale;
-         utilizzare correttamente i DPI;
-         segnalare al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei DPI e ogni condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza;
-         non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o segnalazione o controllo;
-         partecipare ai programmi di formazione e addestramento.

Si ricorda infine che anche i lavoratori autonomi devono utilizzare correttamente DPI idonei rispetto al rischio a cui sono sottoposti.

Il link del sito web di INFOR.MO è:



UNA NUOVA DENUNCIA CONTRO L’ABOLIZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI

Da: PuntoSicuro
17 giugno 2016
di Tiziano Menduto

E’ stata presentata alla Commissione Europea una denuncia relativa all’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro infortuni come prevista dal D.Lgs. 151/15 (uno dei Decreti attuativi del Jobs Act). I possibili punti di violazione con il diritto europeo e la mancanza del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP).

 “L’abolizione del registro infortuni non è una mera trasformazione e semplificazione, pur auspicabile, dell’obbligo di documentazione del datore di lavoro; essa consiste invece in una vera e propria cancellazione, non sostituita [...] da alcuna misura equipollente”.
Ad affermarlo è una recente denuncia della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) alla Commissione Europea sull’ abolizione del registro infortuni prevista da uno dei Decreti attuativi del “Jobs Act” (legge 10 dicembre 2014, n. 183).
Una denuncia ricevuta dalla Commissione Europea e protocollata con numero CHAP(2016)01863.

Sulle vicende dell’abolizione del registro infortuni (operata dal D.Lgs. 151/15 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”) è già intervenuto più volte il nostro giornale.
Sia per raccontare come si sia arrivati a questa imprevista abolizione (per lo meno in mancanza dell’istituzione del SINP, il sistema informatizzato per la gestione degli infortuni e delle malattie professionali), sia per presentare una analoga denuncia fatta già nel 2015 alla Commissione Europea dall’RLS toscano Marco Bazzoni.

Prima di riprendere il testo della denuncia della CGIL presentiamo per chiarezza quanto riportato dal D.Lgs. 151/2015 all’articolo 20, comma 1, lettera h):
Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:
[...]
all’articolo 53, comma 6, le parole «al registro infortuni ed» sono soppresse;
[...]”.
e all’articolo 21, comma 4:
A decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, è abolito l’obbligo di tenuta del registro infortuni”.

Con il D.Lgs. 151/2015 si arriva dunque alla soppressione del riferimento al registro infortuni nell’articolo 53 del D.Lgs. 81/08 e all’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro infortuni dal 23 dicembre 2015.

La denuncia sindacale indica tuttavia che questa abolizione sarebbe in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 9, paragrafo 1, lettera c) della Direttiva 89/391/CE, in base al quale il datore di lavoro deve “tenere un elenco degli infortuni sul lavoro che abbiano comportato per il lavoratore un’incapacità di lavorare superiore a tre giorni di lavoro” e conseguentemente con le disposizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera b) della medesima Direttiva, in base al quale “i lavoratori che hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori o i rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori devono avere accesso all’elenco e alle relazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere c) e d)”.
Inoltre, continua la denuncia, l’abolizione del registro infortuni comprometterebbe seriamente le fondamentali funzioni di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di cui all’articolo 12 della medesima Direttiva, posto che la consultazione preventiva deve vertere, anche sulle “informazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1 e all’articolo 10”.

La denuncia precisa poi che l’abolizione del registro infortuni (introdotto dal D.P.R. 547/55 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”) era già stata prevista dal D.Lgs. 81/08 (articolo 53, comma 6). La cancellazione del registro sarebbe derivata dall’abrogazione della norma che lo istituiva di cui al D.Lgs. 626/94. Il legislatore ha ritenuto che tale obbligo avrebbe ben potuto essere sostituito da quello introdotto dall’articolo 18, comma 1, lettera r) del D.Lgs. 81/08 stesso, in base al quale il datore di lavoro ha l’obbligo di “comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro [SINP] di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento”, precisando altresì che “l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124”.

Il problema, al di là di altri dubbi di conformità con la normativa europea sollevati dalla denuncia, è legato al fatto che successivamente non si ebbe alcuna concreta innovazione, perché la nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 81/08 non entrò mai in vigore.
In particolare il comma 1-bis del medesimo articolo 18 del D.Lgs. 81/08 stabiliva che le disposizioni relative alla tenuta del registro infortuni sarebbero rimaste in vigore fino all’emanazione del decreto istitutivo del SINP e per i sei mesi successivi. E non essendo mai stato istituito il SINP, l’obbligo di tenuta del registro infortuni è sostanzialmente rimasto in vigore sino alla nuova previsione della sua abolizione di cui all’articolo 21 del D.Lgs. 151/15.

E, continua il documento della CGIL, la comunicazione all’ente previdenziale dell’infortunio, che costituisce l’unico obbligo che resta in vigore a carico del datore di lavoro, non può considerarsi equipollente alla tenuta del registro.
Essa, infatti, presenta alcuni rilevanti limiti. Anzitutto, e per quanto dettagliata sia la comunicazione, non è affatto garantito che il soggetto che poi vi accede riesca ad avere contezza del dato storico ovvero a ricostruire le dinamiche aziendali con una visione d’insieme degli infortuni che si sono verificati in un’azienda nel corso del tempo, delle loro dinamiche e modalità, elemento questo indispensabile per le funzioni preventive, poiché solo dall’analisi complessiva degli eventi è possibile verificare se un determinato infortunio sia frutto di dinamiche del tutto casuali, di cause di forza maggiore o di una carenza di prevenzione.
Invero la disponibilità di tali dati e le modalità con cui vi si accede sembrano del tutto rimesse alla prassi amministrativa. Le modalità di registrazione dei dati, la loro conservazione, il tempo di conservazione e le condizioni per l’accesso dipenderanno insomma dal come verrà istituito e regolamentato il SINP tuttora in attesa di realizzazione.

Secondo la denuncia un altro punto di violazione della Direttiva riguarda la conservazione nel tempo dei dati, in quanto la disposizione di legge, “abolendo l’obbligo di tenuta del registro infortuni, con effetto dal 23 Dicembre 2015, incide non solo sugli eventi infortunistici successivi a tale data, ma potenzialmente anche su quelli precedenti ; quindi, abolendo l’obbligo di tenuta del registro, non si impone affatto la conservazione dello stesso, anche con riferimento a quelli antecedenti all’entrata in vigore delle nuove disposizioni”.

Si ricorda che l’INAIL, con circolare n. 92 del 23 dicembre 2015, ha tentato di sopperire al vuoto normativo mediante il rilascio del cosiddetto “Cruscotto infortuni”. La finalità dell’istituzione del Cruscotto è quella di fornire i dati agli organi preposti all’attività di vigilanza; e infatti l’accesso è consentito soltanto agli ispettori delle aziende sanitarie locali, dell’INAIL e dell’Ispettorato del lavoro (Direzioni territoriali del lavoro), mediante l’inserimento di credenziali. L’accesso ai dati del singolo infortunio inoltre sarà consentito solo mediante il possesso del codice fiscale del soggetto infortunato. Agli utenti esterni (all’amministrazione) è permesso l’accesso solo a informazioni di carattere generale, mediante numero verde gratuito.
Tuttavia se con la circolare l’INAIL si è espresso “nel senso della conservazione del registro contenente i dati fino al dicembre 2015”, la CGIL ritiene che la circolare comunque si tratta di “una disposizione che non garantisce un’adeguata tutela degli interessi protetti: trattandosi di disposizioni soggette alle regole e ai principi generali che informano il diritto penale e amministrativo, prevarrebbe sempre l’interpretazione più favorevole al reo, sicché il datore di lavoro potrebbe sempre opporsi alla sanzione che gli venisse eventualmente comminata per la mancata tenuta del registro contenente i dati fino al 2015”.
La circolare n. 92/2015, dunque, non è in grado di garantire che “l’obbligo prescritto dalla Direttiva europea sia corredato da sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive”.

Infine secondo la denuncia alla Commissione Europea l’abolizione del registro infortuni limiterebbe “gravemente il diritto del lavoratore a condizioni di lavoro giuste ed eque di cui all’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. E sarebbero violati anche l’articolo 35 della Carta relativo alla protezione della salute, nella misura in cui l’abolizione del registro infortuni non consente l’accesso dei cittadini UE a misure di prevenzione adeguate, e l’articolo 27 relativo al “diritto all’informazione e consultazione dei lavoratori nell’ambito dell’impresa”.

Il documento “Violazione da parte dell’articolo 22 del D.Lgs. 151/15 della Direttiva 89/391/CE”, punto 6/7/8/9 della denuncia della CGIL alla Commissione Europea è scaricabile all’indirizzo:

Il documento della Commissione Europea Direzione Generale Occupazione, affari sociali e inclusione “Prima risposta della Commissione Europea del 6 giugno 2016 alla denuncia della CGIL” è scaricabile all’indirizzo:

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183” è consultabile all’indirizzo:

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