giovedì 9 giugno 2016

9 giugno - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 257 DEL 09/06/16



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA (RLS): DOMANDE E RISPOSTE
1
AMIANTO: DOMANDE E RISPOSTE
4
L’OBBLIGO DI VIGILANZA DEL DATORE DI LAVORO SULL’OPERATO DEI LAVORATORI
9
I RISCHI PER LA SALUTE NEL SETTORE TESSILE
11
I DPI DA UTILIZZARE IN POZZI, FOSSE E CANALIZZAZIONI
14
IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI METTE IL CARICO IN SICUREZZA
16


IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA (RLS): DOMANDE E RISPOSTE

Da FILCAMS CGIL Lombardia

LA FORMAZIONE DEL RLS DEVE ESSERE EFFETTUATA DURANTE L’ORARIO DI LAVORO?
Il tempo per la formazione è da considerare come orario di lavoro e può essere somministrata anche al di fuori del proprio orario di lavoro, riconoscendo per la stessa la regolare retribuzione (anche straordinaria: se fuori il normale orario di lavoro) non può comportare oneri economici a carico del RLS. La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica di apprendimento.
La Contrattazione Collettiva Nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue di aggiornamento per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.
In mancanza di una contrattazione collettiva nazionale, o altro tipo di contrattazione, il datore di lavoro e comunque obbligato a formare il RLS.

CI SONO DELLE ORE DI PERMESSI PARTICOLARI CHE SPETTANO AL RLS?
I permessi retribuiti, nei settori del Terziario e del Turismo, per lo svolgimento dell’attività propria del RLS, ogni componente avrà a disposizione un massimo di: 30 ore annue nelle aziende o unità produttive da 16 a 30 dipendenti; 40 ore annue nelle aziende o unità produttive oltre i 30 dipendenti.
Per le aziende stagionali il monte ore di cui sopra è riproporzionato in relazione alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di 9 ore annue nelle aziende o unità produttive da 16 a 30 dipendenti e di 12 ore annue nelle aziende o unità produttive oltre i 30 dipendenti.
Nelle aziende fino a 15 dipendenti il RLS avrà a disposizione:
-         12 ore annue in aziende fino a 5 dipendenti;
-         16 ore annue in aziende da 6 a 10 dipendenti;
-         24 ore annue in aziende da 11 a 15 dipendenti.
Per le aziende stagionali il monte ore di cui sopra è riproporzionato in relazione alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di 4 ore annue nelle aziende fino a 5 dipendenti; di 5 ore annue nelle aziende da 6 a 10 dipendenti; di 7 ore annue nelle aziende da 11 a 15 dipendenti.
Il RLS nelle cooperative ha diritto alle seguenti ore annue di permesso retribuito:
12 ore nelle imprese cooperative o unità produttive fino a 5 lavoratori;
30 nelle imprese cooperative o unità produttive da 6 a 15 lavoratori.
Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori, per l’espletamento dei compiti di cui all’articolo 50 del D.Lgs. 81/08 i RLS hanno diritto a permessi retribuiti aggiuntivi a quelli previsti per le RSU, pari a 40 ore annue per ogni RLS.

CI SONO DELLE ORE EXTRA OLTRE LE 40 ORE ANNUALI PREVISTE PER IL RLS?
Si, sono disciplinate dall’Accordo Interconfederale del 18/11/96, e non hanno un limite massimo.
In particolare le ore “extra” vengono utilizzate quando il RLS:
-         è consultato in merito alla valutazione dei rischi;
-         è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, prevenzione incendi, pronto soccorso, emergenze;
-         è consultato in merito alla formazione;
-         riceve formazione;
-         formula osservazione se e quando ci sono visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti (ad esempio ASL);
-         partecipa alla riunione periodica.


UN RLS PUO’ ESSERE PERSEGUITO LEGALMENTE IN MERITO AL SUO RUOLO?
No, il RLS non può essere perseguito a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali (articolo 50, comma 2 del D.Lgs. 81/08).

PUO’ UN RLS RIFIUTARSI DI FIRMARE IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI (DVR)?
No, la firma comporta esclusivamente la conferma dell’avvenuta consultazione e non implica l’adesione o meno alle decisioni dell’impresa (Accordo Interconfederale comma 8, lettera c)). Se si ritiene che ci siano state delle incongruenze in merito alla consultazione o per la valutazione che ha adottato l’azienda, si deve comunque firmare il DVR, ma si può scrivere la dicitura: “per presa visione”. E’ importante scrivere eventuali osservazioni nel verbale della riunione periodica. Tali osservazioni potrebbero essere fondamentali per un eventuale coinvolgimento degli organismi di vigilanza.

E’ COSI’ IMPORTANTE UTILIZZARE IL VERBALE DELLA RIUNIONE PERIODICA?
E’ importante perché il RLS può fare inserire a verbale le proprie osservazioni e i propri argomenti esposti durante la riunione periodica di prevenzione e protezione dai rischi. Il senso di scrivere eventuali osservazioni va a ricollegarsi a due motivi. Il primo è che scrivendo nel verbale, si lascia traccia scritta dell’avvenuta comunicazione in merito ad eventuali criticità. Il secondo riguarda la cosiddetta “esperienza”: il datore di lavoro viene così messo a conoscenza di eventuali criticità così che, se non si è intervenuti per eliminare o ridurre i rischi, in caso di infortunio, il datore di lavoro non può sostenere l’imprevedibilità dell’evento.

IL RLS DEVE ESSERE COINVOLTO IN MERITO ALLA REDAZIONE DEL DVR?
Si, il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento, in collaborazione con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e il Medico Competente (MC) e la consultazione del RLS (articolo 50 del D.Lgs. 81/08).

NEL CASO IN CUI IN AZIENDA AVVENGA UN’ISPEZIONE DA PARTE DEGLI ORGANI DI VIGILANZA, IL RLS DEVE ESSERE CONTATTATO?
E’ buona prassi che il RLS venga avvisato nel caso in cui vi sia ispezione da parte degli organismi di vigilanza. Di norma, quando avviene un’ispezione, gli organismi di vigilanza sentono i RLS, il quale formula eventuali osservazioni. (articolo 50 del D.Lgs. 81/08).

QUANDO PRENDE UN PERMESSO, IL RLS E’ TENUTO A INDICARNE LA MOTIVAZIONE?
No, tranne nei casi di sopralluoghi nei luoghi di lavoro, in cui possono partecipare il RSPP e il MC.

IL RLS DEVE ESSERE COINVOLTO IN MERITO ALLA NOMINA DI UN NUOVO MEMBRO DEL SERVIZIO PREVENZIONE E PROTEZIONE (SPP) E/O IN MERITO ALLA FORMAZIONE?
Si deve essere consultato sulla designazione, del RSPP, nonché in merito alla designazione degli addetti all’attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, all’evacuazione dei lavoratori.
Deve essere consultato preventivamente in merito all’organizzazione della formazione del lavoratore incaricato dell’attività di pronto soccorso, di lotta antincendio e di evacuazione dei lavoratori. Si tratta di una consultazione, da formalizzare e verbalizzare, sulle modalità di formazione di tali addetti. (articolo 50 D.Lgs. 81/08).

A CHI SI PUO’ RIVOLGERE UN RLS QUANDO VIENE VIOLATA UNA NORMATIVA DI SALUTE E SICUREZZA?
Come tutti i lavoratori deve rivolgersi e segnalare eventuali criticità in primis al Preposto, al Dirigente, al Datore di Lavoro, al RSPP e al MC, cioè a tutte le figure responsabili della sicurezza nel luogo di lavoro. Nel caso in cui non, l’azienda non adotti contromisure atte ad eliminare o ridurre i rischi, il RLS può rivolgersi alle autorità competenti: ASL (UOPSAL), Ispettorato del Lavoro, Vigili del Fuoco, INAIL, agenti di pubblica sicurezza, Carabinieri e anche alle categorie sindacali di riferimento (ai sensi dell’articolo 9 della Legge 300/70 “Statuto dei Lavoratori”).

E’ POSSIBILE CHE LA FORMAZIONE BASE DEL RLS SIA FATTA IN MODALITA’ E-LEARNING?
Si, con la presenza on line del formatore. Le modalità della formazione on-line sono descritte nell’Accordo Stato Regioni del 21/12/11.

SE AVVIENE UN INFORTUNIO IN AZIENDA, IL RLS DEVE ESSERE CONTATTATO?
E’ auspicabile, ma non vi è l’obbligo per il preposto o per il datore di lavoro.

IL RLS PUO’ ESSERE ALLO STESSO TEMPO UN MEMBRO DEL SERVIZIO PREVENZIONE E PROTEZIONE?
No, l’esercizio delle funzioni di RLS è incompatibile con la nomina di RSPP o di Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione

A PARTE NELLA RIUNIONE PERIODICA, QUANDO IL RLS PUO’ CONSULTARE IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI?
Il RLS, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del DVR da consultare ogni qual volta che lo ritenga utile e necessario. Il documento può essere consultato esclusivamente in azienda.

RSU/RSA INSIEME AL RLS POSSONO FARE ASSEMBLEE, CHE HANNO PER OGGETTO SALUTE E SICUREZZA, IN AZIENDA?
Si, ed è auspicabile.

L’AZIENDA PUÒ RIFIUTARSI DI CONSEGNARE E/O FAR CONSULTARE IL DVR, MAGARI PER MOTIVI LEGATI ALLA PRIVACY E/O AL SEGRETO INDUSTRIALE?
No, neppure adducendo questioni riguardanti la privacy, in quanto il RLS è tenuto al rispetto delle disposizioni di cui al D.Lgs. 196/03 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel DVR, nonché al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni.

IL RLS, DI FATTO, HA UN RUOLO DI RESPONSABILITA’ ALL’INTERNO DELL’AZIENDA?
No, se non responsabilità morali nei confronti dei colleghi.

UN RLS PUO’ UTILIZZARE LA TEMATICA DI SALUTE E SICUREZZA COME MATERIA DI CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO?
Si, ma solo se tale contrattazione porti a un innalzamento del livello qualitativo, quindi migliorativo, solo cioè se va a migliorare e ampliare le condizioni minime stabilite dalla legge (D.lgs. 81/08). Altrimenti, se non fosse migliorativa, la legislazione dice che la salute non può essere oggetto di scambio contrattuale, di contrattazione monetaria, ma è un diritto costituzionale assoluto (articolo 32 della Costituzione) il cui perseguimento richiede che lo stesso sia un obiettivo comune di tutti in azienda il diritto alla salute, non può, essere mai contrattato.

UN RLS PUO’ ESSERE COINVOLTO IN MERITO ALLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO?
Il RLS deve essere coinvolto per la valutazione dello stress lavoro-correlato. Il documento redatto a conclusione della valutazione deve essere munito di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, dalla sottoscrizione del RSPP, del RLS e del MC.



AMIANTO: DOMANDE E RISPOSTE

Da Assoamianto

COS’E’ L’AMIANTO?
L’amianto, chiamato anche asbesto, è un minerale naturale a struttura microcristallina e di aspetto fibroso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli.
Tra questi silicati, i più diffusi sono: la Crocidolite (amianto blu), l’Amosite (amianto bruno), l’Antofillite, l’Actinolite, la Tremolite, il Crisotilo (amianto bianco).
Le fibre di amianto sono molto addensate ed estremamente sottili. La struttura fibrosa conferisce all’amianto sia una notevole resistenza meccanica sia un’alta flessibilità. L’amianto resiste al fuoco e al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura (termica e meccanica). E’ facilmente filabile e può essere tessuto. E’ dotato inoltre di proprietà fonoassorbenti oltreché termoisolanti. Si lega facilmente con materiali da costruzione e con alcuni polimeri. Perciò l’amianto è un minerale praticamente indistruttibile, non infiammabile, molto resistente all’attacco degli acidi, flessibile, resistente alla trazione, dotato di buone capacità assorbenti, facilmente friabile.

CHE DIFFERENZA C’E’ TRA AMIANTO IN MATRICE COMPATTA E AMIANTO IN MATRICE FRIABILE?
Nei prodotti, manufatti e applicazioni, in cui l’amianto è presente, le fibre possono essere libere o debolmente legate: si parla in questi casi di amianto in matrice friabile, oppure possono essere fortemente legate in una matrice stabile e solida (come il cemento-amianto o il vinil-amianto): si parla in questo caso di amianto in matrice compatta.
L’amianto in matrice friabile può essere ridotto in polvere con la semplice azione manuale.
L’amianto è compatto invece quando può essere sbriciolato o ridotto in polvere solamente con l’impiego di attrezzi meccanici manuali o funzionanti anche ad alta velocità (dischi abrasivi, frese, ecc.).

PERCHE’ L’AMIANTO E’ NOCIVO PER LA SALUTE DELL’UOMO?
L’amianto è nocivo per la salute dell’uomo per la capacità dei materiali di amianto di rilasciare fibre potenzialmente inalabili. E l’esposizione a tali fibre è responsabile di patologie gravi e irreversibili prevalentemente dell’apparato respiratorio.
I più pericolosi sono i materiali friabili i quali si possono ridurre in polvere con la semplice azione manuale e, a causa della scarsa coesione interna, possono liberare fibre spontaneamente (soprattutto se sottoposti a vibrazioni, correnti d’aria, infiltrazioni d’acqua) o se danneggiati nel corso di interventi di manutenzione.
L’amianto compatto invece per sua natura non tende a liberare fibre (il pericolo sussiste solo se segato, abraso o deteriorato).

QUALI SONO LE PATOLOGIE LEGATE ALL’AMIANTO?
L’esposizione alle fibre di amianto è associata a malattie dell’apparato respiratorio (asbestosi, carcinoma polmonare) e delle membrane sierose, principalmente la pleura (mesoteliomi).
L’asbestosi è una grave malattia respiratoria che per prima è stata correlata all’inalazione di fibre d’amianto, caratterizzata da fibrosi polmonare a progressivo aggravamento che conduce a insufficienza respiratoria con complicanze cardiocircolatorie.
Il carcinoma polmonare, che è il tumore maligno più frequente, si verifica anche per esposizioni a basse dosi. Il fumo favorisce di molto la probabilità di contrarre la malattia.
Il mesotelioma della pleura è un tumore altamente maligno della membrana di rivestimento del polmone (pleura) che è fortemente associato alla esposizione a fibre di amianto anche per basse dosi.

DOVE E’ STATO UTILIZZATO L’AMIANTO?
Le caratteristiche proprie del materiale e il costo contenuto ne hanno favorito un ampio utilizzo industriale. Pertanto per anni è stato considerato un materiale estremamente versatile a basso costo. Esso è stato utilizzato in modo massiccio nel passato per le sue ottime proprietà tecnologiche e per la sua economicità.
Tra gli innumerevoli prodotti contenenti amianto si ricordano, solo per citarne alcuni:
-         corde, nastri e guaine per la coibentazione di tubazioni, di cavi elettrici vicini a sorgenti di calore intenso come forni, caldaie, ecc.;
-         tessuti per il confezionamento di tute protettive antifuoco, coperte spegnifiamma, ecc.;
-         carta e cartoni utilizzati come barriere antifiamma, ecc.;
-         pannelli di fibre grezze compresse impiegati per la coibentazione di tubazioni;
-         filtri costruiti con carta di amianto, o semplicemente con polvere compressa, utilizzati nell’industria chimica e alimentare.
Inoltre, dall’impasto con altri materiali si ottenevano l’amianto a spruzzo, utilizzato:
-         come isolante termico nei cicli industriali con alte temperature (ad esempio centrali termiche e termoelettriche, industria chimica, siderurgica, vetraria, ceramica e laterizi, alimentare, distillerie, zuccherifici, fonderie);
-         come isolante termico nei cicli industriali con basse temperature (ad esempio impianti frigoriferi, impianti di condizionamento);
-         come isolante termico e barriera antifiamma nelle condotte per impianti elettrici.
E’ stato impiegato, inoltre, nel settore dei trasporti per la coibentazione di carrozze ferroviarie, di navi, di autobus, ecc.

COME È POSSIBILE ACCERTARE SE UN MATERIALE CONTIENE AMIANTO?
L’accertamento può essere eseguito in base all’aspetto del materiale, all’eventuale marchiatura, alle conoscenze tecniche di chi esegue l’accertamento oppure può essere eseguito da un laboratorio opportunamente ed adeguatamente attrezzato.

E’ ANCORA POSSIBILE UTILIZZARE L’AMIANTO?
Dal 1994 sono vietate l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto.

CHI HA L’OBBLIGO DI COMUNICARE LA PRESENZA DELL’AMIANTO?
Ai sensi dell’articolo 12, comma 5 della Legge 257/92, presso le unità sanitarie locali (ASL) è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici.
I proprietari degli immobili devono comunicare alle unità sanitarie locali i dati relativi alla presenza di tali materiali. Anche l’Ente pubblico deve provvedere all’individuazione della presenza di amianto relativamente alle strutture di propria competenza e presentare l’autonotifica.

COME VENGONO CLASSIFICATI I MATERIALI CONTENENTI AMIANTO PRESENTI IN EDIFICI?
Ai fini pratici, i materiali contenenti amianto presenti negli edifici possono essere divisi in tre grandi categorie:
-         materiali che rivestono superfici applicati a spruzzo o a cazzuola;
-         rivestimenti isolanti di tubi e caldaie;
-         una miscellanea di altri materiali comprendente, in particolare, pannelli ad alta densità (cemento-amianto), pannelli a bassa densità (cartoni) e prodotti tessili.
I materiali in cemento-amianto, soprattutto sotto forma di lastre di copertura, sono quelli maggiormente diffusi. (D.M. 06/09/94).

QUALI OPERAZIONI OCCORRE ESEGUIRE PER L’ACCERTAMENTO DELLA PRESENZA DI AMIANTO?
Una volta individuate le strutture edilizie su cui intervenire, sarà opportuno, prima di procedere al campionamento dei materiali, articolare un finalizzato programma di ispezione, che si può così riassumere:
-         ricerca e verifica della documentazione tecnica disponibile sull’edificio, per accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua costruzione, e per rintracciare, ove possibile, l’impresa edile appaltatrice;
-         ispezione diretta dei materiali per identificare quelli friabili e potenzialmente contenenti fibre di amianto;
-         verifica dello stato di conservazione dei materiali friabili, per fornire una prima valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio di fibre nell’ambiente;
-         campionamento dei materiali friabili sospetti, e invio presso un centro attrezzato, per la conferma analitica della presenza e del contenuto di amianto;
-         mappatura delle zone in cui sono presenti materiali contenenti amianto;
-         registrazione di tutte le informazioni raccolte in apposite schede (D.M. 06/09/94).

QUANTO COSTA ACCERTARE LA PRESENZA DI AMIANTO?
Dipende dalle modalità di accertamento.
Nel caso di accertamento mediante richiesta di specifiche dei materiali al produttore o all’installatore, o non vi sono costi o questi sono limitati alle spese vive.
Se l’accertamento viene eseguito da tecnici competenti con o senza l’ausilio di eventuali analisi di laboratorio, i costi sono quelli derivanti da tali consulenze o prestazioni.

A CHI CI SI PUO’ RIVOLGERE PER ACCERTARE LA PRESENZA DI AMIANTO?
Ci si può rivolgere a un Tecnico Competente che sia anche un Coordinatore Amianto, abilitato ai sensi dell’articolo 10 della Legge n. 257/92 e dell’articolo 10 del D.P.R. 08/08/94, ovvero in possesso di titolo di abilitazione rilasciato da parte delle Regioni o Province autonome, attestante la partecipazione ad un corso specifico e superamento della verifica finale.
Tale corso, di livello gestionale, è rivolto a chi dirige le attività di rimozione, smaltimento e bonifica dell’amianto.

L’AZIENDA SANITARIA LOCALE EFFETTUA SOPRALLUOGHI PER ACCERTARE L’AMIANTO IN EDIFICI?
L’ASL effettua i sopralluoghi soltanto nell’ambito delle attività di accertamento e controllo di propria competenza.

A CHI RIVOLGERSI PER CHIARIMENTI E INFORMAZIONI PER LA VERIFICA DELLA NECESSITA’ DI INTERVENTO?
Le Aziende Sanitarie Locali forniscono informazioni generali sulla problematica amianto.
Al fine di approfondire aspetti specifici o particolari occorre eventualmente rivolgersi a un Tecnico Competente che accerti e indichi gli eventuali interventi da adottare.

QUALI OPERAZIONI TECNICHE OCCORRE ESEGUIRE IN CASO DI ACCERTATA PRESENZA DI AMIANTO?
Una volta individuate le strutture edilizie su cui intervenire, sarà opportuno, prima di procedere al campionamento dei materiali, articolare un finalizzato programma di ispezione, che si può così riassumere:
-         ricerca e verifica della documentazione tecnica disponibile sull’edificio, per accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua costruzione, e per rintracciare, ove possibile, l’impresa edile appaltatrice;
-         ispezione diretta dei materiali per identificare quelli friabili e potenzialmente contenenti fibre di amianto;
-         verifica dello stato di conservazione dei materiali friabili, per fornire una prima valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio di fibre nell’ambiente;
-         campionamento dei materiali friabili sospetti, e invio presso un centro attrezzato, per la conferma analitica della presenza e del contenuto di amianto;
-         mappatura delle zone in cui sono presenti materiali contenenti amianto;
-         registrazione di tutte le informazioni raccolte in apposite schede (Allegato 5 del D.M. 06/09/94), da conservare come documentazione e da rilasciare anche ai responsabili dell’edificio.

IL CENSIMENTO DEGLI EDIFICI HA CARATTERE OBBLIGATORIO?
Ai sensi dell’articolo 12. del D.P.R. 08/08/94, il censimento degli edifici nei quali sono presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile ha carattere obbligatorio e vincolante per gli edifici pubblici, per i locali aperti al pubblico e di utilizzazione collettiva e per i blocchi di appartamenti.
A tal fine i rispettivi proprietari sono chiamati a fornire almeno i seguenti elementi informativi:
-         dati relativi al proprietario dell’edificio: cognome e nome, data e luogo di nascita, residenza, telefono, denominazione della società (per le società indicare i dati del legale rappresentante, per i condomini indicare i dati dell’amministratore), sede, partita IVA, telefono, telefax, codice fiscale;
-         dati relativi all’edificio: indirizzo, uso a cui è adibito, tipo di fabbricato (prefabbricato, parzialmente prefabbricato, tradizionale. interamente metallico, in metallo e cemento, in amianto-cemento, non metallico), data di costruzione, area totale in metri quadri, numero piani, numero locali, ditta costruttrice (denominazione, indirizzo, telefono), numero occupanti, ditta incaricata della manutenzione;
-         dati relativi ai materiali contenenti amianto (indicare il tipo di materiale e l’estensione): materiali che rivestono superfici applicati a spruzzo o a cazzuola, rivestimenti isolanti di tubi e caldaie, pannelli interni altri materiali.
Il censimento, almeno nella prima fase, ha carattere facoltativo per le singole unità abitative private per le quali, ove ne ricorrano i presupposti, i relativi proprietari potranno essere invitati a fornire gli elementi informativi in loro possesso.
Anche sulla base delle risposte ricevute, le unità sanitarie locali potranno riconsiderare opportunamente il contenuto e le modalità di tale parte del censimento.

QUALI EDIFICI DEVONO ESSERE CENSITI?
Tutti gli edifici nei quali è accertata la presenza di amianto devono essere censiti a prescindere dalla tipologia di attività ivi svolta.

QUALI SONO GLI OBBLIGHI ED I COMPITI DI UN PROPRIETARIO DI UN EDIFICIO A USO COLLETTIVO?
Ai fini della responsabilità generale sul problema amianto, compete l’obbligo di gestione del rischio a tutti i proprietari di immobili e cose contenenti amianto (anche cemento amianto) in quanto responsabili di eventuali danni causati o provocati dalla dispersione di fibre di amianto.
In particolare per l’amianto friabile compete l’obbligo di comunicarne la presenza alle ASL competenti per territorio e di attuare una serie di azioni in tempi brevi che consentano di accedere e di stazionare nei locali in sicurezza.
In caso di presenza di manufatti o prodotti contenenti amianto (specialmente se di tipo friabile) deve essere eseguita anche una valutazione del rischio mirata alla scelta del possibile metodo di bonifica più efficace (da adottare all’occorrenza) al fine di eliminare o comunque minimizzare la esposizione degli occupanti siano essi lavoratori o cittadini.

QUALI SONO LE TECNICHE D’INTERVENTO PER I MATERIALI CONTENENTI AMIANTO?
Le tecniche d’intervento per i materiali contenenti amianto sono tre e precisamente: rimozione, incapsulamento e confinamento.
La rimozione elimina ogni potenziale fonte di esposizione e ogni necessità di attuare specifiche cautele per le attività che si svolgono nell’edificio. In genere richiede l’applicazione di un nuovo materiale, in sostituzione dell’amianto rimosso.
L’incapsulamento è un trattamento dell’amianto con prodotti penetranti o ricoprenti che (a seconda del tipo di prodotto usato) tendono ad inglobare le fibre di amianto, a ripristinare l’aderenza al supporto, a costituire una pellicola di protezione sulla superficie esposta. Con tale intervento il materiale contenente amianto permane nell’edificio e pertanto è necessario i mantenere un programma di controllo e manutenzione.
Il confinamento consiste nell’installazione di una barriera a tenuta che separi l’amianto dalle aree occupate dell’edificio. Se non viene associato ad un trattamento incapsulante, il rilascio di fibre continua all’interno del confinamento. Occorre sempre un programma di controllo e manutenzione, in quanto l’amianto rimane nell’edificio.
La scelta tra queste tipologie d’intervento è legata al tipo ed alle condizioni del materiale, alla sua ubicazione, alla volontà della proprietà di eliminare alla radice il rischio o mantenerlo in modo controllato (attività di controllo e manutenzione).

DOVE E’ POSSIBILE EFFETTURE LO SMALTIMENTO DELL’AMIANTO?
Lo smaltimento deve avvenire in una discarica autorizzata specificatamente per la tipologia del rifiuto prodotto.
Ulteriori notizie e informazioni relative alle operazioni di smaltimento possono essere chieste al Settore Ambiente della Provincia territorialmente competente avendo l’Ente la competenza diretta sulla materia.


A CHI CI SI PUO’ RIVOLGERE PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI DI RIMOZIONE, SMALTIMENTO E BONIFICA DELL’AMIANTO?
Occorre interpellare imprese abilitate iscritte all’Albo Gestori Ambientali nella categoria 10 (sottocategorie 10a e 10b).
Il personale di tali imprese deve essere abilitato ai sensi dell’articolo 10 della Legge n. 257/92 e articolo 10 del D.P.R. 08/08/94, ovvero in possesso di titoli di abilitazione rilasciati da parte delle Regioni o Province autonome attestanti la partecipazione a corsi specifici e superamento della verifica finale.
Tali corsi sono a livello:
-         operativo, rivolto ai lavoratori addetti alle attività di rimozione, smaltimento e bonifica;
-         gestionale, rivolto a chi dirige sul posto le attività di rimozione, smaltimento e bonifica.

QUANDO UNA COPERTURA IN CEMENTO-AMIANTO (ETERNIT) DEVE ESSERE RIMOSSA?
Non sussiste alcun obbligo per la rimozione delle coperture in cemento-amianto (Eternit o altra marca analoga) purché lo stato in cui si trova non sia fonte di rischio.
Potrebbe invece essere obbligatorio procedere a uno degli interventi previsti dalla legge (incapsulamento, sovracopertura e rimozione), nel caso in cui questo risultasse friabile (con conseguente rilascio di fibre d’amianto) a causa di un accentuato stato di degrado.

QUALI SONO I RISCHI ED I PERICOLI DELL’AMIANTO CONFINATO?
L’amianto o i prodotti contenenti amianto sono pericolosi solamente per gli operatori che effettuano la manutenzione di impianti e strutture all’interno del confinamento oppure nel caso di danneggiamento dello stesso.



L’OBBLIGO DI VIGILANZA DEL DATORE DI LAVORO SULL’OPERATO DEI LAVORATORI

Da: PuntoSicuro
30 maggio 2016
di Gerardo Porreca

La semplicità delle operazioni di lavoro non giustifica l’attenuazione dell’obbligo di vigilanza atteso che il grado di complessità del lavoro da espletare non è in rapporto di proporzionalità diretto con il rischio da proteggere.

Fa riferimento la Corte di Cassazione Civile Sezione Lavoro, nella Sentenza n. 5233 del 16 marzo 2016, all’obbligo di cui all’articolo, 4 lettera c) del D.P.R. 547/55, vigente al momento dell’evento infortunistico di cui alla Sentenza in esame, in base al quale il datore di lavoro, il dirigente e il preposto devono disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione, (attuale articolo 18, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 81/08 secondo il quale il datore di lavoro e i dirigenti devono richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione).

La semplicità delle operazioni di lavoro, ha sostenuto la suprema Corte in questa Sentenza, non giustifica l’attenuazione dell’obbligo di vigilanza atteso che il maggiore o minore grado di complessità del lavoro da espletare non è in rapporto di proporzionalità diretto con il rischio da proteggere, potendo essere delle lavorazioni complesse, ma non pericolose e, per converso, altre lavorazioni anche semplici, ma con elevato livello di pericolosità.

Il Tribunale ha condannato una società a pagare ad un lavoratore dipendente, a titolo risarcitorio dei danni derivatigli da un infortunio sul lavoro occorsogli, la somma di euro 105.000,00 per danno esistenziale e biologico e quella di euro 23.000,00 per danno morale, il tutto oltre interessi.
La Corte di Appello competente ha ridotto successivamente a complessivi euro 105.000,00 il risarcimento dovuto al lavoratore, confermando nel resto le statuizioni del Tribunale. I giudici di merito avevano accertato che il lavoratore, nell’eseguire le operazioni di revisione di un gruppo leveraggio cambio di un automezzo aziendale, era stato colpito da un bullone che si accingeva a estrarre, riportando una cecità assoluta all’occhio sinistro e uno stress cronico moderato post-traumatico, con conseguente inabilità permanente del 37%.

La società ha presentato ricorso per Cassazione al quale il lavoratore ha resistito con un controricorso. Come principale motivazione la società ricorrente ha avuto a lamentarsi in quanto la sentenza impugnata aveva ravvisata la sua responsabilità pur essendo stato accertato che l’infortunio si era verificato solo perché il lavoratore, operaio tecnico, non aveva inforcato gli occhiali protettivi regolarmente fornitigli dall’azienda. Ha obiettato quindi la ricorrente di aver adottato tutte le dovute cautele e cioè di aver formato professionalmente il lavoratore e di averlo informato circa i rischi del lavoro svolto, munendolo di occhiali protettivi e di lampade mobili, così rispettando sotto ogni aspetto il debito di sicurezza di cui all’articolo 2087 del Codice Civile, sostenendo altresì che nell’occasione non era necessaria una particolare vigilanza del lavoratore essendo l’operazione svolta (lo svitamento d’un bullone) di estrema semplicità.

Le motivazioni addotte dalla ricorrente sono state ritenute infondate dalla Corte di Cassazione.
Secondo la stessa, infatti, giustamente i giudici di merito avevano ravvisato a carico della società una violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile perché l’ambiente di lavoro era scarsamente illuminato e perché l’azienda non aveva vigilato affinché i dipendenti utilizzassero gli occhiali protettivi e i sistemi di illuminazione mobili messi a loro disposizione. In merito all’obbligo di vigilanza, poi, la Corte suprema ha fatto osservare che la sorveglianza dovuta dai datori di lavoro, dai dirigenti e dai preposti non deve essere ininterrotta e con costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può anche sostanziarsi in una discreta, seppure continua e efficace, vigilanza generica, intesa ad assicurarsi, nei limiti dell’umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite e utilizzino gli strumenti di protezione prescritti.

Tale obbligo di vigilanza, ha quindi proseguito la Sezione Lavoro, subisce un’ulteriore attenuazione, in base a un principio di ragionevole affidamento nelle accertate qualità del dipendente, in ipotesi di provetta specializzazione dell’operaio munito di approfondita conoscenza d’una determinata lavorazione cui sia addetto da lungo tempo. Nondimeno però tale mera attenuazione, che comunque è configurabile solo in ipotesi di lavoratore esperto, già adeguatamente formato professionalmente e informato dei rischi connessi alle mansioni assegnategli, non si identifica con la totale omissione di controllo, ravvisata nel caso in esame dai giudici di merito, circa l’uso di lampade mobili e occhiali protettivi, controllo ancor più necessario viste le condizioni di insufficiente illuminazione dell’ambiente di lavoro.
“Né esime da tale obbligo” - ha così proseguito la Corte di Cassazione - “la semplicità dell’operazione lavorativa, atteso che il grado maggiore o minore di complessità del lavoro da espletare non è in rapporto di proporzionalità diretta con il rischio protetto, ben potendosi dare lavorazioni complesse, ma non pericolose e, per converso, altre anche semplici, ma con elevato livello di pericolosità”.
In conclusione, ha così sentenziato la Corte suprema, il ricorso è da rigettare.



I RISCHI PER LA SALUTE NEL SETTORE TESSILE

Da: PuntoSicuro
31 maggio 2016

I fattori di rischio e patologie lavorative dei vari cicli lavorativi di una industria tessile: rischio ergonomico, chimico e allergie professionali.

In relazione ai rischi per la salute nel settore tessile, riportiamo l’approfondimento dal titolo “I rischi per la salute nel settore tessile” pubblicato sulla Newsletter dell’Inca CGIL, Numero 18/16.

L’industria tessile può manifestare le seguenti patologie di rischio:
-         disturbi muscoloscheletrici;
-         esposizione ad agenti fisici;
-         esposizione a rischio chimico;
-         esposizione a polveri e fibre;
-         esposizione ad agenti biologici:
-         stress lavoro correlato.

Il ciclo lavorativo di una industria tessile si caratterizza per le seguenti fasi:
-         magazzino dove avviene il ricevimento dei filati;
-         preparazione tessuti;
-         orditura;
-         tessitura;
-         imballaggio e spedizione;
-         operazioni di manutenzione e pulizia presenti nelle diverse fasi.

I filati pervengono in industria sotto forma di fusi mentre nelle successive fasi sono utilizzati in forma di rocche. La trama di ordito viene invece trasferita su subbi.
La movimentazione dei filati e dei supporti avviene, in genere, con l’ausilio di mezzi meccanici, in particolare di carrelli elevatori ad alimentazione elettrica.

Il filato durante la fase della tessitura può essere oggetto di due diverse lavorazioni a seconda che sia destinato a divenire “trama” o “ordito”.

L’orditura serve a preparare i subbi di ordito per il telaio. La tela di ordito può essere sottoposta a trattamenti finalizzati ad aumentarne la resistenza o a ridurre la produzione di peluria superficiale, nella successiva fase di tessitura.
Tali trattamenti possono essere di varia natura: si può avere l’applicazione di cere a freddo, negli stessi locali dell’orditura, durante la fase di riavvolgimento sul subbio oppure il trattamento di “bozzima” classica che applica degli addensanti in soluzione acquosa a cui sono aggiunte sostanze ammorbidenti e antischiumogene.
Si tratta in genere di prodotti costituiti da alcooli polivinilici, forniti in granuli, e polimeri naturali e sintetici. Successivamente viene effettuata l’asciugatura con una temperatura costante di circa 150°.
La movimentazione dei subbi dall’orditoio alle zone di stoccaggio e da queste ai mezzi di trasporto avviene, in genere, con l’ausilio di carrelli elevatori.

La tecnica della tessitura non è sostanzialmente variata dalle origini, mentre la tecnologia si è evoluta portando dai vecchi telai a navetta, con velocità di 100 colpi/minuto a telai diversi (con trasporto della trama a proiettile, a nastro, a pinza) con velocità molto superiori.
Nelle aree di tessitura sono presenti livelli elevati di rumore e condizioni microclimatiche sfavorevoli.
In genere i telai lavorano in continuo, almeno di giorno, questo richiede una organizzazione del lavoro che prevede dei turni, talora anche notturni.

Nella fase di controllo dei tessuti, imballaggio e spedizione, la verifica di eventuali difetti del tessuto si effettua tramite un controllo visivo facendo scorrere le pezze su tavoli appositamente illuminati dal basso (specchio o tribunale) con l’ausilio di lampade poste sopra ai tavoli.
Il controllo comporta la permanenza dell’addetto in posizione eretta davanti alla macchina specchio e richiede un intenso impegno visivo.

Per la manutenzione e la pulizia dei locali e delle macchine vengono usati aspirapolveri e anche sistemi ad aria compressa. Quando si avvia una nuova tela si effettua sempre una pulizia del telaio, pulizia che ha una durata di circa 15 minuti.

I fattori di rischio ergonomico per gli addetti alle macchine per cucire sono principalmente correlati a posture incongrue, movimenti ripetitivi a carico dell’arto superiore, stress occupazionale, affaticamento visivo e microclima.
Indagini epidemiologiche condotte in Toscana hanno confermato nei lavoratori di questo settore una frequenza elevata di disturbi a carico dell’arto superiore (come la sindrome del tunnel carpale) e del rachide (cervicalgie e lombalgie),
Le cause sono state individuate, oltre che nel tipo di organizzazione tipica di tali lavorazioni nella configurazione della postazione di lavoro che spesso non rispetta i principi ergonomici.
Frequentemente la postazione è composta da arredi non regolabili e pertanto non adattabili alle caratteristiche antropometriche individuali.
Inoltre gli arti superiori e, in particolare, le mani sono spesso impegnati in azioni di tipo ripetitivo, caratterizzate da sforzo muscolare ed atteggiamenti posturali incongrui
Inoltre il lavoro nell’industria tessile comporta la movimentazione di oggetti pesanti oltre al mantenimento di carichi statici (mantenimento di posture fisse, spesso in posizioni scomode) con i muscoli che rimangono in contrazione per periodi prolungati.

Altri fattori di rischio associati alla postura di lavoro, alle richieste del compito e alla capacità individuale di adattarsi alle richieste del lavoro, che contribuiscono all’insorgenza di patologie muscolo-scheletriche e di stress sono l’adozione di posture di lavoro incongrue e fisse dovute a una scorretta configurazione dimensionale del posto di lavoro e al design delle attrezzature, che causano un sovraccarico biomeccanico delle articolazioni ed affaticamento muscolare.

Gli addetti alla cucitura tendono a lavorare in una postura caratterizzata dal tronco in un costante atteggiamento di flessione. Questa posizione è conseguente alla necessità di avere un buon angolo di visione ma dipende anche dalle dimensioni e dalla disposizione della postazione di lavoro e, se il lavoro è svolto in posizione seduta, dalle caratteristiche non ergonomiche della seduta.

Altri fattori di rischio sono dati da:
-         gli scarsi contenuti e la monotonia del lavoro che aumentano lo sforzo di mantenere la concentrazione e l’attenzione;
-         i ritmi di lavoro ad alta ripetitività;
-         la mancanza di autonomia decisionale nel proprio lavoro;
-         il sovraccarico biomeccanico dell’articolazione con tempo di recupero inadeguati;
-         il livello inadeguato di formazione per quanto riguarda i compiti e la sicurezza del lavoro;
-         l’alto tasso di azioni richiedenti sforzo fisico e/o torsioni del tronco;
-         le sedute di lavoro inadeguate per il tipo di compiti richiesti e per gli effetti sulla postura, specialmente per quanto riguarda la posizione del rachide, spalle e arti superiori;
-         i fattori ambientali (microclima e illuminazione);
-         la richiesta di sollevamento e spostamento manuale di carichi anche in postura assisa.

Le patologie muscolo-scheletriche che si riscontrano più frequentemente riguardano le spalle e il collo a causa delle posture incongrue, l’avambraccio e la mano (a causa delle azioni ripetitive e richiedenti sforzo muscolare), il tratto lombare (soprattutto per posture incongrue e movimentazione manuale di carichi).

In merito al rischio chimico, in ambito tessile le più note sostanze soggette a restrizione (secondo il regolamento REACH-CLP) sono le ammine aromatiche cancerogene rilasciate dai coloranti azoici oltre ad altri gruppi quali:
-         composti organo-stannici (TBT, TPhT, DBT, DOT) ossia biocidi e catalizzatori di sintesi nella produzione di poliuretani;
-         ftalati (DEHP, DBP, BBP, DINP, DIDP, DNOP), plastificanti molto utilizzati nel PVC;
-         nichel e cadmio presenti negli accessori metallici;
-         perfluoro ottano solfonati (PFOS), idro/oleo repellenti e additivi utilizzati nella lavorazione del cuoio;
-         alcuni ritardanti di fiamma.
Tra le sostanze soggette ad autorizzazione (secondo il regolamento REACH-CLP) in ambito tessile sono particolarmente significativi:
-         i composti del cromo, utilizzati in alcuni processi di concia e tintura;
-         le paraffine clorurate a catena corta, utilizzate per trattamenti ignifughi,
-         gli ftalati per i quali è prevedibile il passaggio da regime di restrizione a regime di autorizzazione.

Inoltre le singole fibre possono determinare patologia allergica cutanea con sporadici e differenti quadri clinici:
-         la lana causa irritazione acuta o cronica, aggrava la dermatite atopica ed induce DAC ed orticaria da contatto;
-         la seta è in grado di aggravare una dermatite atopica e raramente induce orticaria da contatto;
-         il nylon può causare DAC e orticaria da contatto;
-         lo Spandex (utilizzato nella lingerie) determina soltanto DAC;
-         la gomma contenuta in numerosi prodotti determina allergia.

Le manifestazioni dermatologiche causate da contatto con gli indumenti sono generalmente attribuite a sostanze chimiche e coloranti che vengono aggiunti alle fibre tessili durante la loro manifattura e assemblaggio in indumenti.
In particolare gli agenti responsabili sono rappresentati da prodotti per le tinture e per il finissaggio, i metalli, la gomma e le colle. Occasionalmente anche gli sbiancanti ottici, i biocidi, i materiali ignifughi e altre sostanze chimiche aggiunte sono responsabili dell’insorgenza del quadro clinico cutaneo.

I coloranti sono le sostanze chimiche più usate e possono essere classificate in acidi, diretti, reattivi, dispersi: vengono legati al mordente per diffondere più facilmente fra le fibre. Dal punto di vista della classe chimica il 40% dei coloranti tessili sono azoici ma non tutti sono altamente allergizzanti. Tra questi coloranti quelli che più facilmente determinano sensibilizzazioni appartengono al gruppo dei dispersi: questi formano legami stabili con le fibre naturali mentre si legano meno stabilmente con le fibre sintetiche. Sono composti liposolubili e per questa caratteristica penetrano bene attraverso la cute.
Altro gruppo responsabile di allergie sono le resine, usate per dare certe proprietà specifiche ai tessuti come sofficità, resistenza ai colori, ecc.
Come mordente il più impiegato è il bicromato di potassio e con analoga funzione vengono impiegati coloranti metallo complessi che contengono cobalto o nichel all’interno della molecola.

La causa dei problemi professionali della cute è il contatto con talune sostanze durante il lavoro. Essi interessano le mani e gli avambracci (preferibilmente) ossia le parti del corpo che con più probabilità vengono a contatto con la sostanza, ma possono estendersi ad altre parti.
La rapidità di reazione della cute dipende dalla concentrazione o dalla potenza della sostanza nonché dalla durata e dalla frequenza del contatto di questa con la pelle.
In taluni casi gli allergeni possono causare sintomi a livello cutaneo se inalati o ingeriti. Può anche accadere che il contatto della pelle con sostanze chimiche provochi sintomi allergici all’apparato respiratorio.

Il documento “I rischi per la salute nel settore tessile” è pubblicato sulla Newsletter dell’Inca CGIL nel numero 18/16, visionabile al link:



I DPI DA UTILIZZARE IN POZZI, FOSSE E CANALIZZAZIONI

Da: PuntoSicuro
31 maggio 2016
di Tiziano Menduto

Un documento di Suva si sofferma sulla sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni.
Focus sui dispositivi di protezione individuale con particolare riferimento al pericolo di atmosfere pericolose.

Nei molti articoli dedicati in questi anni agli spazi confinati, abbiamo più volte ricordato come spesso nei pozzi, fosse e canalizzazioni possa verificarsi una carenza di ossigeno.
E le sostanze nocive, quando penetrano o si formano in ambienti insufficientemente ventilati, possono raggiungere in breve tempo concentrazioni elevate e mettere in pericolo le persone che entrano o si soffermano all’interno di tali ambienti.

A raccontarlo è una pubblicazione di Suva (Istituto svizzero per l'assicurazione e la prevenzione degli infortuni), dal titolo “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni”.

Spesso le conseguenze degli infortuni nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni sono molto gravi e generalmente la causa degli infortuni gravi va ricercata nella presenza di un’atmosfera pericolosa. Inoltre contrariamente alla maggior parte degli altri rischi professionali, la messa in pericolo non si limita a spazi ristretti, ma può senz’altro estendersi su tutta la zona di pozzi, fosse e canalizzazioni. Sono quindi esposti allo stesso rischio non solo gli infortunati ma anche i soccorritori.
E l’esperienza dimostra ripetutamente che in pozzi, fosse e canalizzazioni accadono gravi infortuni perché nessuno ha individuato l’atmosfera pericolosa e il pericolo è stato sottovalutato.

Il documento, che riporta diverse indicazioni per la prevenzione degli infortuni, si sofferma anche su un aspetto importante relativo alle attività negli spazi confinati: l’utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

Segnalando che il materiale e l’equipaggiamento da utilizzare dipendono dai pericoli, dal tipo di impianto in cui si svolge il lavoro e dalle misure di protezione da adottare, si indica che i lavoratori e il gruppo di lavoro devono poter disporre del seguente equipaggiamento:
-         respiratori indipendenti dall’aria circostante per la sosta in atmosfera pericolosa e per gli interventi di salvataggio: sono adatti gli apparecchi che alimentano l’utilizzatore con aria non proveniente dall’atmosfera circostante, ossia apparecchi non autonomi (respiratori a presa d’aria esterna assistiti e quelli ad aria compressa alimentati dalla linea) oppure apparecchi autonomi (autorespiratori a circuito aperto e autorespiratori a rigenerazione);  per gli interventi in canalizzazioni si raccomanda di mettere a disposizioni apparecchi autonomi (ossia apparecchi alimentati con bombole): lavorando in canalizzazioni tortuose o usando tubi di presa d’aria o di alimentazione lunghi esiste altrimenti il pericolo che il tubo rimanga impigliato;
-         autorespiratori d’emergenza (autosalvatori) per il salvataggio e la fuga (apparecchi a circuito aperto ad aria compressa e apparecchi a rigenerazione) per sostare in canalizzazioni e per prestare il primo soccorso sul posto: gli autorespiratori d’emergenza (autosalvatori) sono concepiti esclusivamente per un’immediata evasione da zone pericolose e per la prestazione dei primi soccorsi sul posto e non è consentito usarli per lavorare; apparecchi adatti sono quelli che funzionano in modo indipendente dall’aria circostante e hanno un’autonomia da 15 a 30 minuti; non è ammesso l’uso di maschere a filtro;
-         cintura di salvataggio o indumento di sicurezza provvisto di occhiello incorporato all’altezza della nuca: gli indumenti di sicurezza con occhiello incorporato all’altezza della nuca sono indicati esclusivamente come un mezzo di salvataggio; nei casi d’intervento, la fune di salvataggio viene agganciata nell’occhiello dell’indumento di sicurezza e il sollevamento dell’infortunato avviene, per esempio, con un apposito elevatore provvisto di dispositivo di blocco dello scarrucolamento automatico; queste apparecchiature possono essere usate anche per entrare in ambienti ristretti;
-         indumenti da lavoro appropriati: gli indumenti da lavoro allacciati evitano di sporcarsi e di riportare possibili infezioni; per rendersi ben visibile agli utenti della strada è bene indossare indumenti di colore vistoso;
-         scarpe appropriate: le scarpe di sicurezza devono offrire una buona stabilità ed essere impermeabili (per esempio stivali di gomma);
-         guanti: guanti appropriati servono a proteggere le mani da ferite e dal contatto con sostanze nocive e acque inquinate;
-         casco di protezione: il casco protegge la testa contro specifici pericoli, ad esempio, per caduta di materiale oppure per contatto o urto con elementi fissi od oggetti;
-         protezione degli occhi: quando si è esposti al pericolo di lesioni agli occhi da schegge, spruzzi di sostanze pericolose, ecc., occorre proteggere gli organi della vista;
-         protezione dell’udito: quando si è esposti a rumore pericoloso per l’udito occorre usare protettori auricolari appropriati, per esempio cuffie antirumore.
Senza dimenticare, infine, di poter utilizzare illuminazione indipendente dalla rete elettrica, per esempio lampade portatili a prova di spruzzi d’acqua o lampade fissate al casco.

Il documento di Suva “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e canalizzazioni” è scaricabile all’indirizzo:



IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI METTE IL CARICO IN SICUREZZA

Da: PuntoSicuro
01 giugno 2016
di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni tratti da Suva: un infortunio avvenuto durante lo scarico di alcune lastre di marmo. Un lavoratore rimane schiacciato da una lastra di tre tonnellate. La dinamica dell’incidente, le riflessioni sulle cause e le regole di prevenzione.

Molti degli incidenti raccolti dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi e correlati all’uso di veicoli pesanti riguardano le problematiche connesse con lo scarico e carico delle merci. E “Imparare dagli errori”, la rubrica di PuntoSicuro dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, si è soffermata più volte sui rischi correlati al carico, scarico e trasporto delle merci.

Oggi si soffermiamo ancora su questo tema, ma con riferimento a una scheda di un infortunio, dal titolo “Schiacciato da una lastra di marmo”, pubblicata sul sito di Suva (Istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni) e correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite”. La scheda racconta di un infortunio mortale avvenuto durante lo scarico di alcune lastre di marmo: un lavoratore perde la vita perché schiacciato da una lastra pesante 3 tonnellate.

Nel caso in questione, due autotrasportatori stanno trasportando con un semirimorchio alcune lastre di marmo a una ditta che lavora materiali lapidei. Parcheggiano il veicolo davanti alla ditta, salgono sul pianale di carico e allentano le catene con le quali sono fissate le lastre sulla rastrelliera.
Per prima cosa scaricano le lastre a sinistra della rastrelliera e per scaricare le altre devono girare il semirimorchio. Il primo autotrasportatore sale sul pianale di carico.
Durante la manovra il camion si sposta dalla piazzola antistante alla strada e sale su un marciapiede in forte pendenza. La ruota posteriore destra si abbassa di 25 cm e questo fa rovesciare il carico. L’autotrasportatore sul pianale di carico non ha via di scampo e rimane schiacciato da una lastra di marmo di tre tonnellate.

Perché l’incidente è avvenuto?
La scheda di Suva indica che:
-         le catene che tenevano ferme le lastre non sono state tese nuovamente prima della manovra;
-         il carico non è stato messo in sicurezza prima di girare il semirimorchio: in questa situazione tutte le persone coinvolte avrebbero dovuto fermare subito i lavori;
-         contro ogni regola l’autotrasportatore sale sul pianale di carico (zona pericolosa);
-         prima della manovra l’autista non verifica se le lastre sono in condizioni di sicurezza.
Dunque, riepilogando, questi sono i principali fattori causali dell’infortunio:
-         il carico non è in condizioni di sicurezza durante la manovra del camion;
-         un autotrasportatore sale sul pianale di carico e si trova nella zona di pericolo.

Per favorire la prevenzione degli infortuni correlati all’attività degli autotrasportatori, con particolare riferimento al carico e scarico della merce, la scheda propone degli approfondimenti tratti dal documento “Sette regole vitali per gli autotrasportatori”.

Ricordiamo brevemente le regole:
-         rispettare le regole della circolazione e le pause;
-         bloccare le ruote del veicolo;
-         agganciare e sganciare il carico in sicurezza;
-         fissare correttamente il carico (regola rilevante per il caso in questione);
-         proteggersi dalle cadute dall’alto;
-         utilizzare correttamente le attrezzature;
-         utilizzare i dispositivi di protezione.
Riguardo alla quarta regola, regola rilevante in questo caso, riprendiamo brevemente alcuni suggerimenti, come contenuti nel documento “Sette regole vitali per gli autotrasportatori. Vademecum”.

La quarta regola impone di mettere sempre in sicurezza il carico in modo che non possa cadere, ribaltarsi o scivolare:
-         il lavoratore mette in sicurezza il carico durante le fasi di carico, trasporto e scarico;
-         il superiore stabilisce regole chiare su come il carico deve essere messo in sicurezza durante le fasi di carico, trasporto e scarico e fornisce le attrezzature di lavoro necessarie.

La scheda indica che se la merce non è messa in sicurezza, c’è il rischio che l’intero carico o parti di esso possano spostarsi improvvisamente. Il pericolo è che qualcuno venga travolto o seppellito dalla merce. Ma i lavoratori hanno conoscenze sufficienti sulla messa in sicurezza del carico? E si dispone di materiale sufficiente e integro per la messa in sicurezza del carico?
Si sottolinea che bisogna prestare la massima attenzione al controllo e alla manutenzione degli accessori di aggancio e degli altri ausili. Garantirne la manutenzione stabilendo un apposito piano.

Oltre al controllo dell’integrità delle attrezzature di lavoro è poi necessario operare da una postazione sicura.
Infatti durante le operazioni di carico e scarico delle merci bisogna sempre scegliere una postazione sicura. E durante i lavori in quota i dipendenti devono essere equipaggiati contro le cadute dall’alto. I dipendenti non devono essere colpiti dalla caduta, dal ribaltamento o dallo spostamento accidentale dei carichi.

Riportiamo infine alcune indicazioni relative ai dispositivi di protezione individuale:
-         l’uso dei guanti è obbligatorio durante le operazioni di carico e scarico, durante l’imbracatura dei carichi e il fissaggio e l’allentamento dei dispositivi di sicurezza del carico;
-         se per le attività di carico e scarico si impiega una gru, bisogna anche indossare il casco di protezione;
-         se si prevede la presenza di altri veicoli, bisogna indossare gli indumenti ad alta visibilità (minimo un gilet).

Il documento di Suva “Schiacciato da una lastra di marmo”, dinamica di un incidente correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite” è scaricabile all’indirizzo:

Il documento di Suva, “Sette regole vitali per gli autotrasportatori. Vademecum” dell’aprile 2014 è scaricabile all’indirizzo:

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