Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
e-mail: sp-mail@libero.it
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INDICE
PCARC News pcarc_news@riseup.net
NESSUN LAVORATORE E’ SOLO: DA BRESCIA UN
ESEMPIO DI ORGANIZZAZIONE OPERAIA
USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
COMUNICATO STAMPA: LETTERA APERTA ALLA
COMMISSIONE SANITA’
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
MORETTI: LIQUIDATO E... RISARCITO!
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
9 MILIONI DI BUONUSCITA A MORETTI SONO UN
INSULTO
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
PER UNA CORRETTA DEFINIZIONE DI CLASSE
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
CI DISPIACE PER VOI, MA LA CLASSE OPERAIA
ESISTE
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
UNIDICI AGRICOLTORI MORTI SCHIACCIATI
Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
LA GIUNGLA DEI CORSI SICUREZZA: NUOVA
DENUNCIA
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
SERVIZIO DEL TG3 SU RICCARDO ANTONINI
Posta Resistenze posta@resistenze.org
LA CLASSE OPERAIA NON E’ SCOMPARSA, MANCA
LA COSCIENZA
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
INIZIATIVA SU LICENZIAMENTO DI RICCARDO,
"BUONUSCITA" A MORETTI, IN SICUREZZA IN FERROVIA LA GIORNATA DEL 29
GIUGNO
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From: PCARC News pcarc_news@riseup.net
To:
Sent: Tuesday, May 16, 2017 3:58 PM
Subject: NESSUN LAVORATORE E’ SOLO: DA
BRESCIA UN ESEMPIO DI ORGANIZZAZIONE OPERAIA
Per il clima di repressione e
intimidazione che si vive nella fabbrica di Brescia (un centinaio di
dipendenti, soprattutto donne) dove lavorano queste operaie, pubblichiamo
l’intervista in forma anonima. A qualcuno sembrerà un eccesso di “paranoia”, ma
si moltiplicano i casi di provvedimenti disciplinari (anche licenziamenti) per
ciò che un lavoratore scrive su Facebook o comunque comunica all’esterno
dell’azienda e per quello che fa sul posto di lavoro, anche se è nel suo pieno
diritto. Pertanto, che sembri eccessivo o meno, anche questa precauzione è
esemplificativa di una situazione come probabilmente, anzi sicuramente, ce ne
sono tante altre, nascoste dietro i cancelli e i muri delle fabbriche, degli
uffici, dei supermercati. Fra i compiti dei comunisti c’è anche quello di
“scovarle”, conoscerle e imparare a leggervi i germi del nuovo che nasce sulle
rovine del vecchio e sostenerli. Quello che segue è un esempio utile a tanti,
ma in particolare a chi vuole darsi da fare e iniziare, dal suo “piccolo”, a organizzare
la riscossa che parte dalle aziende e investirà tutto il paese.
* * * * *
SIETE TUTTE DONNE, COME E PERCHE’ SI E’
FORMATO IL VOSTRO GRUPPO?
Tutto è partito da una provocazione da
parte di un “capetto” che ci prendeva di mira perché eravamo attive
sindacalmente come RSU e come semplici iscritte. L’intento era di isolarci per
il nostro essere ribelli e, in una certa misura, politicizzate. Da un fatto
specifico e particolare, una provocazione appunto, abbiamo tratto la spinta per
fare un passo avanti contro il regime che vige in fabbrica. Diciamo che abbiamo
capito persino meglio che avevamo un interesse comune molto concreto, che poi
non è chissà che, ma semplicemente il lavorare in sicurezza, avere i propri
diritti, cose di questo genere… quindi ci siamo unite ancora di più e così è
nato il gruppo.
QUALI SONO LE DIFFICOLTA’ CHE AVETE
INCONTRATO NELLA VOSTRA ATTIVITA’?
Alcune di noi erano RSU, ma siamo state
obbligate a dimetterci perché la direzione ci ha mobilitato contro la maggior
parte degli operai, utilizzando intimidazioni e calunnie, tipo che la crisi
dell’azienda era colpa nostra, che creavamo situazioni che mettevano a rischio
il futuro dell’azienda, ecc. Il sindacato ci ha consigliato di rinunciare alla
carica per evitare ritorsioni peggiori, anche se noi avremmo voluto continuare.
E’ stata un po’ una ritirata. Da noi vige una specie di regime: manca qualsiasi
tipo di libertà, che sia esprimere opinioni o leggere un’informativa. Anche
durante le assemblee sindacali era impossibile avere un confronto libero,
perché erano presenti alcuni capi che facevano azioni di disturbo e plateali
intimidazioni. Questo ha portato molti a non partecipare più. Agli scioperi le
minacce erano prassi corrente: la direzione convocava le lavoratrici in
ufficio, da sole, senza tutele e con richiami più o meno formali le minacciava
di non proseguire su una linea o condotta altrimenti sarebbe arrivato il
licenziamento. Minacce anche campate in aria, ma spesso l’ignoranza in termini
di diritti le rendeva efficaci. Del resto informarsi era impossibile: se
attaccavamo volantini alla bacheca, dopo mezz’ora venivano fatti sparire.
Abbiamo tentato anche di diffonderli di nascosto, ma anche così dopo un paio
d’ore siamo state richiamate dalla direzione che sosteneva fosse proibito
volantinare in azienda. Ecco, la prima difficoltà è far aprire gli occhi ai
colleghi sulla situazione perché molti si accontentano, la paura di perdere il
lavoro favorisce questo problema, ma così la situazione peggiora. Chi si
ribella si trova fra l’incudine e il martello perché anche alcuni colleghi
sembrano vedere solo intenti “polemici” nelle proteste, dicono che si è sempre
andati avanti così e non vedono prospettive.
STATE DESCRIVENDO UNA SITUAZIONE DI
TERRORISMO VERO E PROPRIO...
La ragione dell’azienda viene fatta valere
con intimazioni e pressioni, facendo leva sui soggetti più deboli, sulla paura
della crisi e su chi magari in famiglia ha già problemi con il marito che ha
perso il lavoro: in questi casi la minaccia di licenziamento o di chiudere la
fabbrica fa decisamente il suo effetto. La disorganizzazione è totale, tutto
ricade sulle spalle dei lavoratori. Per il padrone, finché i conti tornano, di
problemi non ce ne sono e c’è gente che si ammazza di lavoro per sopperire a
questa mentalità del dover produrre anche in condizioni che ti ostacolano.
Produrre, produrre, produrre anche a discapito della salute, questa è la
situazione. La violenza psicologica, inoltre, va “a go go”. Abbiamo casi di
colleghe che si devono curare per i nervi che saltano. Ma è il caso di perdere
la salute per accettare questo ricatto? Ad aumentare la pressione, il fatto che
il capitalista ti vede come una merce: quando hai problemi di salute, quando
non sai più stare in piedi, quando non ci sei più con la testa ti dice “stai a
casa, che non ci servi più”. C’è quindi una tensione latente, anche fra
colleghi a volte si rischia di venire alle mani. Ci sono lavoratori di serie A
e di serie B. La questione è che i nervi saltano perché c’è questo clima e
l’azienda lo favorisce facendo fioccare anche i richiami disciplinari. In casi
di diatribe fra operai viene colpito quello con la tessera sindacale. Anche in
caso di errori nel lavoro: sbagliano due operai e magari ne sanzionano solo
uno. Come mai questa differenza? Lo fanno per mettere uno contro l’altro due
operai che lavorano insieme. Noi abbiamo capito questa tattica. Anche contro il
nostro gruppo tentano queste cose. Una di noi, ad esempio, viene trattata
meglio, sembrano più gentili: secondo noi perché tentano lo stesso tipo di
gioco, di lavorarsela un po’. Ecco, questa era la situazione e in parte è
ancora così.
COSA E’ CAMBIATO O COSA STA CAMBIANDO? E
COME AGITE?
Quando eravamo RSU avevamo questo piccolo
potere e lo usavamo per ottenere qualcosa di positivo per i lavoratori, ad
esempio sul tema della sicurezza qualcosa la proprietà è stata obbligata a fare
e tutt’ora è difficile tornare indietro. E questo ci ha fatto mantenere
prestigio, in un certo senso. Ma nel momento in cui abbiamo toccato dei nervi
scoperti, la direzione ci ha fatto terra bruciata e in parte ci è riuscita,
anche se il nostro gruppo è rimasto coeso. Alcune operaie hanno iniziato a
porsi domande, vediamo che alcune reagiscono, ci sono piccoli segnali, qualche
collega inizia ad alzare un po’ la testa, anche se di nascosto, diciamo. La
smania repressiva della direzione riusciamo a volgerla a nostro favore, perché
le operaie colpite vengono a chiedere aiuto e noi le sosteniamo. Chiaro che la
direzione, continuando ad attaccare i lavoratori, li spinge verso di noi. Anche
i più pacifici a lungo andare si stufano, si stanno fortificando anche quelli
che vengono presi di mira di continuo, perché ritenuti più deboli. Ci sono casi
di colleghe che vediamo crescere in consapevolezza, che iniziano a tirare fuori
le unghie contro i soprusi. Questo è possibile perché sanno che c’è un gruppo
che le appoggia, che non sono sole. Se le nostre colleghe vedono che non
abbiamo paura di reagire, allora si sentono appoggiate. Noi teniamo d’occhio e
seguiamo le persone più deboli che hanno problemi e ci adoperiamo a tutela dei
compagni di lavoro. Rivoltiamo contro la direzione le sue stesse mosse,
trasformiamo in opportunità i tentativi di impedire la nostra iniziativa. Il
tentativo di debellarci esautorandoci come RSU, ad esempio, ha portato
risultati positivi: si può dire che i colleghi quasi ci vedono più adesso come
rappresentanti rispetto a prima, ci cercano di più, ci chiamano per i loro
problemi. Così, il tentativo di separarci assegnandoci turni diversi,
spostandoci in reparti diversi, cambiandoci le mansioni, ecc. ci consente di
“coprire” con la nostra presenza due turni invece che uno solo. Ora abbiamo due
gruppi, anche se piccoli, così veniamo a conoscere tante cose che prima ci
sfuggivano; allarghiamo il nostro bacino di influenza e questa cosa piano piano
si sta ritorcendo contro la direzione, abbiamo potenziato un lavoro di squadra
che ci permette di mettere assieme le scoperte e gli elementi che raccogliamo.
In questa fase la direzione tende a evitarci per non sostenere delle
discussioni con noi. Questo evidenzia già una loro debolezza, una “crepa” nel
regime.
UNA CREPA CHE PUO’ DIVENTARE UNA
VORAGINE...
Una crepa che ci permette di guardare
avanti con fiducia e tirare dritte per il nostro obiettivo: unire più persone
in questo “gruppo” e diventare forti davvero. Ma senza eccessi di entusiasmo...
Abbiamo avuto quella esperienza di cospirazioni organizzate, dove l’azienda è
riuscita a mobilitare tante nostre colleghe contro di noi. Noi le sosteniamo,
ma per accoglierle appieno serve avere più fiducia. È importante che chi si
avvicina comprenda che noi le sosteniamo e che il loro sostegno verso di noi è
importante, per vincere questa battaglia. Perché in realtà noi vogliamo fare
una cosa costruttiva, unendoci e risolvendo i problemi che riguardano tutti.
OLTRE CHE AI RAPPORTI IN FABBRICA,
PENSIAMO ANCHE ALLA GESTIONE DEI RAPPORTI FAMILIARI: CI SONO DELLE PARTICOLARI
PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE COME OPERAIE E COME DONNE?
Con una famiglia è più complicato perché i
doveri familiari solitamente sono sulle spalle delle donne, in una società dove
i ritmi sono sempre più serrati e stressanti. Da parte dei familiari e dei
mariti c’è un sostegno verbale, ma non c’è una collaborazione attiva. E’
difficile far comprendere la situazione che viviamo e, sentendo le cose
dall’esterno, spesso c’è la tendenza a sminuire, a ridimensionare, a cercare di
sdrammatizzare, a dire che bisognerebbe cercare di fregarsene, di fare il
proprio lavoro senza badare a queste cose, di lasciare stare. C’è sempre un
freno, che magari è dettato dal tentativo di preservarti da guai e ritorsioni,
ma credo che in realtà se una è convinta di quello che fa dovrebbe essere
sostenuta.
In fabbrica le donne portano più
problematiche: i figli, il ciclo, la stanchezza (perché lavorano anche a casa),
ecc. La nostra esperienza dice che il trattamento della direzione rispetto agli
uomini che cercano di alzare la testa è quasi lo stesso: il padrone usa un
criterio di classe. Ma è vero che riserva attenzioni maggiori verso le donne.
* * * * *
Questa intervista è il racconto di un
processo in atto e dimostra l’importanza di formare organizzazioni operaie,
cioè di organizzarsi direttamente senza aspettare o contare sull’intervento del
sindacato (che nella fabbrica di cui si parla, non fa neanche le “cose base” di
un’organizzazione sindacale degna di questo nome: si limita a dire alle operaie
di stare attente e sottomettersi alle pressioni del padrone per evitare
ritorsioni peggiori, quindi aiuta il padrone nell’opera di intimidazione).
Emergono molti spunti e crediamo possa infondere coraggio e sentimenti di
riscossa in tanti lavoratori e lavoratrici che ogni giorno lavorano in
condizioni difficili e si dannano nella ricerca di una strada per cambiare il
corso delle cose, in fabbrica e fuori. Mettiamo in luce tre aspetti:
- pur non essendo una RSU, questo gruppo
di operaie è diventato il punto di riferimento dei lavoratori e questo può
succedere ovunque;
- ogni attacco del padrone può essergli
rivoltato contro, se si opera con ottica di prospettiva e senza far dipendere
tutto da una singola battaglia;
- darsi i mezzi della propria politica
vuol dire trovare i modi e le forme per perseguire i propri obiettivi nelle
condizioni concrete in cui ci si trova.
Infine, l’elemento che sintetizza il tutto
è una legge universale della lotta di classe: finché persiste l’oppressione del
capitale, nessuna forma di repressione può impedire che emergano avanguardie
che cercano e trovano strade per portare avanti la lotta, in fabbrica e fuori.
Redazione di Resistenza
30 aprile 2017
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From: USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Friday, May 19, 2017 12:59 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA: LETTERA APERTA
ALLA COMMISSIONE SANITA’
LETTERA APERTA AI COMPONENTI LA II
COMMISSIONE SANITA’ REGIONE LIGURIA
In data 17/11/16 abbiamo avuto audizione
presso la Commissione Sanità dove i componenti hanno potuto ascoltare le
diverse problematiche. L’impegno di questa Commissione era quello di audire
l’Amministrazione del Gaslini entro 15 giorni
Nulla è accaduto fino all’incontro con i
capigruppo del Consiglio Regionale avvenuto il giorno 11/04/17. In quella sede
infatti, alle nostre critiche sul mancato rispetto degli impegni presi, siamo
stati invitati a richiedere altra audizione in Commissione alla presenza della
dirigenza del Gaslini.
I gruppi politici presenti si sono
mostrati favorevoli
L’incontro è avvenuto il giorno 11/05/17
dove, alla presenza della dirigenza del Gaslini, come delegati USB abbiamo
esposto le varie problematiche.
Non ci aspettavamo altro da quelle che
sono state le risposte dell’amministrazione Gaslini ovvero l’assenza di
risposte e la negazione delle problematiche esposte e, dove ammesse, la non
volontà di risolverle.
Tuttavia ci aspettavamo altro
atteggiamento da esponenti politici del PD e della Lega che, di fatto, hanno
cercato di proibirci di esporre le nostre tesi sia politiche che sindacali.
A quel punto, in maniera sicuramente
ricercata da parte di questi esponenti, l’audizione si è di fatto conclusa e
non vi è stata possibilità di approfondire alcune tematiche che consideriamo
non di poco conto:
- carenza di personale nei reparti del
Gaslini;
- mancato rispetto di molte parti del
D.Lgs. 81/08 sulla sicurezza dei lavoratori: alle nostre istanze per il
rispetto della legge, l’Amministrazione ha risposto con atti intimidatori a
danno del nostro RLS;
- l’impossibilità da parte del personale
di poter effettuare i corsi di formazione nei giorni di riposo ed i dover
rinunciare al recupero delle ore in eccesso;
- il mancato rispetto da parte dell’Assessore
Viale dell’impegno per la costituzione di posti letto per adolescenti
psichiatrici in fase di acuzie;
- l’impossibilità da parte del personale
di poter effettuare visite specialistiche tramite la Mutua come prevede la
Legge (nota del Ministero della Salute DGPOB/III/0014368 del 24/04/15);
- la carenza di divise per il personale;
- il mancato rispetto della ditta CIR
(appalto ristorazione) degli impegni sull’assorbimento del personale;
- il capitolato per l’esternalizzazione
del servizio di ristorazione prevede che l’ordinazione dei pasti dei piccoli
pazienti e dei loro famigliari sia a carico del personale del Gaslini e su
questo siamo totalmente in accordo: non ci vengono date risposte sul perchè il
personale dei reparti debba però inserire i dati tramite un software della
ditta togliendo decine e decine di ore ogni mese all’assistenza pagata dai
cittadini per regalarle a un’azienda privata;
- delucidazioni sull’inconcludente
“accordo” inerente l’assunzione dei precari della ricerca;
- mancata concessione dei nulla osta da
parte della Regione per la mobilità del personale;
- problematiche al centralino CUP;
- proposta di favorire accordi per le
lavoratrici interinali che effettuano turni H24 e che si ritrovano a dover
scegliere tra maternità e lavoro, fatto che riteniamo inaccettabile;
- l’assenza di risposte da parte
dell’Assessore Viale in riferimento alla nostra richiesta di conoscere i
criteri regionali per il riconoscimento delle terapie subintensive;
- l’impegno da parte della politica regionale
di istituire un tavolo per la creazione di un albo per ex esposti amianto.
Auspichiamo che i componenti della
Commissione e i gruppi politici di cui fan parte, vogliano quanto prima
approfondire le questioni affrontate.
Da parte nostra continueremo a pretendere
i diritti per lavoratori e cittadini denunciando tramite media, volantinaggi,
banchetti e rivolgendoci agli enti preposti, con ulteriori costi per i
contribuenti per il disinteresse mostrato da questa amministrazione e da questa
politica nei confronti dei lavoratori e lavoratrici, per cui chiediamo
l’assegnazione dell’onorificenza della Croce di San Giorgio al personale del
Gaslini che, nonostante tutto, continua a fornire un’eccellente assistenza ai
piccoli pazienti.
Genova, 19/05/17
Per USB
Pietro Cusimano Esecutivo Nazionale USB
Pubblico Impiego
Simonetta Peruzzi Coordinamento Nazionale
USB Pubblico Impiego
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Sunday, May
21, 2017 12:42 PM
Subject:
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
UNA PARTECIPATA MANIFESTAZIONE A MILANO IN
SOSTEGNO A DARIO MIEDICO
Si è svolto stamattina un partecipato
presidio (circa 150 persone) nelle immediate vicinanze della sede dell’ordine
del Medici di Milano in sostegno della libertà di espressione di Dario Miedico
e di chiunque altro sul tema dei vaccini (e non solo).
Leggi tutto al link:
* * * * *
Forum di discussione per contattarci
discutere e proporre argomenti:
Aiuta Medicina Democratica Onlus
devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel
settore volontariato e indicando il codice fiscale 97349700159
Sito web:
Facebook:
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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Monday, May
22, 2017 8:57 AM
Subject: MORETTI:
LIQUIDATO E... RISARCITO!
Il 29 maggio a Viareggio ha inizio il mese
della “Memoria e della Solidarietà” che si concluderà il 29 giugno, 8°
anniversario della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, con la
manifestazione cittadina.
Ieri sera, 20 maggio, dalle ore 23.00 alle
ore 00.30, nella stazione si è tenuto un presidio con il blocco di due treni
(Intercity e Treno notte) per protestare contro i “compensi-risarcimenti” di 9
milioni e 400 mila euro a Moretti, dopo la condanna a 7 anni per le pesanti e
gravi responsabilità nella strage ferroviaria.
Quella di ieri sera è stata una “risposta”
a questa ennesima e nuova offesa; una risposta per mostrare che siamo presenti,
siamo mobilitati e vigiliamo. Al presidio, convocato alcune ore prima, di
sabato e a tarda ora, per una protesta “simbolica”, hanno partecipato oltre
cento persone.
Moretti, che da quel 29 giugno ha fatto di
tutto per essere la 33° vittime della strage, ha ricevuto anch’esso, come a suo
tempo e dopo una mobilitazione fu riconosciuta ai familiari, la “legge
Viareggio” dei 10 milioni (200.000 euro per ciascuna delle 32 Vittime).
Moretti, a 8 anni dalla strage, si porta a
casa o, meglio, porta nelle sue tasche l’equivalente della “legge Viareggio” e
tutta per sé.
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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Monday, May
22, 2017 11:57 AM
Subject: 9 MILIONI DI BUONUSCITA A MORETTI
SONO UN INSULTO
Da TG Regione
9 MILIONI DI BUONUSCITA A MORETTI SONO UN
INSULTO: STRISCIONI DI PROTESTA SUI BINARI
“Nove milioni di buonuscita a Mauro
Moretti non sono solo un insulto alla povertà della maggioranza degli italiani
ma sono soprattutto un’offesa alle 32 vittime del 29 giugno e al licenziamento
di Riccardo Antonini”.
La protesta, annunciata poche ore prima, è
andata in scena sui binari della stazione di Viareggio. Sul posto “Il Mondo che
Vorrei” e “Assemblea 29 Giugno”, con Daniela Rombi, che in quella terribile
notte di fuoco, ha perso sua figlia, e Marco Piagentini, che non solo è rimasto
sfigurato dalle fiamme ma si è visto rubare dal rogo assassino (sprigionato dal
GPL della cisterna del treno merci squarciata dopo il deragliamento) la moglie
e due bimbi piccoli.
Molti gli striscioni, e le lacrime.
“La notizia che Mauro Moretti, condannato
a 7 anni in primo grado per la Strage di Viareggio, percepirà (a titolo di
indennità) la somma di 9,2 milioni di euro, oltre alle competenze di fine
rapporto, per il ruolo ricoperto nel gruppo Leonardo, la notizia non può che
suscitare sdegno e vergogna nei confronti di questo Stato e tutta la nostra
solidarietà nei confronti dei familiari delle vittime del 29 giugno, ma alla
fin fine è una notizia che non ci deve stupire e sorprendere più di tanto” -
questo il commento di Repubblica Viareggina - “D’altra parte è lo stesso Stato
che non si è costituito parte civile nel processo, è lo stesso Stato che
insigna Moretti del titolo di Cavaliere e lo riconferma ai vertici di Ferrovie,
è lo stesso Stato che da una parte, attraverso la magistratura, lo condanna per
la morte di 32 persone, ma la politica lo conferma ai vertici e il potere
economico lo premia con 9 milioni; forse questo Stato non va solo capito ma
combattuto. Sabato 20 maggio abbiamo ritenuto doveroso, sia come singoli
individui che come Repubblica Viareggina partecipare e portare il nostro
contributo al presidio che c’è stato alla stazione ferroviaria”.
“Il 29 maggio a Viareggio ha inizio il
mese della Memoria e della Solidarietà che si concluderà il 29 giugno, 8°
anniversario della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, con la
manifestazione cittadina” - commentano i parenti delle vittime.
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, May 22, 2017 2:58 PM
Subject: PER UNA CORRETTA DEFINIZIONE DI
CLASSE
PER UNA CORRETTA DEFINIZIONE DI CLASSE
E’ DI MODA, SOPRATTUTTO NEI TEMPI DI
INDEBOLIMENTO DEL PENSIERO, PREDICARE LA FINE DELLE CLASSI E, A FORTIORI, DELLA
LOTTA DI CLASSE.
A seguito della pubblicazione della venticinquesima
edizione del Rapporto annuale dell’ISTAT di cui trattiamo in uno specifico
articolo (https://www.lacittafutura.it/editoriali/ci-dispiace-per-voi-ma-la-classe-operaia-esiste.html) la redazione della
Città Futura ritiene necessario proporre questo breve testo apparso sul numero
51 della rivista Contraddizione (http://contraddizione.it) nella sezione
“Quiproquo” col titolo “Classe (definizione)”.
E’ di moda, soprattutto nei tempi di
indebolimento del pensiero, predicare la fine delle classi e, a fortiori, della
lotta di classe. Che ciò sia fatto dall’ideologia dominante è ovvio; che tale
predica venga assimilata e ripetuta acriticamente dagli esponenti della
“asinistra” è conseguenza necessaria proprio di quello stesso dominio di classe
“solido e pericoloso” che costoro vorrebbero far credere di esorcizzare.
E la faccenda non è recente, se già Marx
si sentì in dovere di precisare, nel poscritto alla seconda edizione del primo
libro del Capitale, che “l’economia politica, in quanto concepisce
l’ordinamento capitalistico come forma assoluta e definitiva della produzione
sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane
latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. Dal momento in cui la
lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via
più pronunciate e minacciose, per la scienza economica borghese quella lotta
suonò la campana a morte. Ora non si trattava più di vedere se questo o quel
teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale,
se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono
pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la
cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell’apologetica”.
Del resto, che la lotta di classe appaia
spenta agli occhi dei proletari è inevitabile in momenti in cui la parte attiva
di codesta lotta venga perseguita dalla borghesia trionfante, ancorché in
crisi, e non sia più svolta se non marginalmente dal proletariato stesso. Tutto
ciò non esime dal riconoscere le contraddizioni del modo di produzione
capitalistico, il persistere della lotta delle classi che lo costituiscono e,
anzitutto, l’esistenza e la riproduzione delle classi stesse.
In prima istanza, dal punto di vista della
base economica del modo di produzione capitalistico, la definizione di classe
sociale può essere immediatamente circoscritta all’omogeneità di funzione
svolta dai diversi soggetti nel processo di produzione. L’identità funzionale
individua l’appartenenza all’una o all’altra classe in sé, oggettivamente identificata.
Tale appartenenza, pertanto, non pertiene alla sfera empirica del tipo di
attività svolta, né dell’ammontare di reddito percepito, né tantomeno può
corrispondere biunivocamente con i singoli individui empirici. Essa è, per
l’appunto, oggettiva e trascende il soggetto individuale in quanto un medesimo
soggetto può svolgere più di una funzione nel processo di produzione, con
diverse mansioni e livelli di reddito, per cui la sua appartenenza a quella o
quell’altra classe dipende da quale sua figura prevalga sulle altre, da quella
che ne determina in prima istanza il ruolo e la funzione sociale. Dunque, nel
modo di produzione capitalistico che sta a fondamento delle formazioni
economiche sociali moderne a dominanza borghese, la prima e principale divisione
funzionale al processo di produzione medesimo mette: da un lato, la classe di
coloro che sono proprietari delle condizioni oggettive della produzione, in
quanto non produttori, ossia tali che per definire la loro funzione peculiare
non è necessario che essi partecipino attivamente alla produzione stessa;
dall’altro, la classe di coloro che sono effettivamente i produttori della
ricchezza sociale nella forma storica data, in quanto non proprietari di quelle
condizioni della produzione, pur se accidentalmente e parzialmente possano
esserlo.
La predominanza dell’una o dell’altra
funzione fa sì che i soggetti sociali siano identificabili, nel primo caso, con
la classe dei capitalisti (in senso lato) e, nel secondo, con la classe dei
proletari (o lavoratori salariati, in senso lato). E’ altresì ovvio che una
siffatta definizione funzionale di classe, come insieme omogeneo di soggetti
per riguardo al processo di produzione, sia adeguata anche ai modi di
produzione che hanno preceduto quello capitalistico, tenendo tuttavia presente
che nelle epoche passate diverse erano le classi costitutive delle varie
formazioni sociali poiché diversa era la finalità del processo di produzione e
che, proprio in ragione di ciò, solo nella forma capitalistica le classi si
presentano come tali, nella loro elementarità, senza trasmutarsi e
cristallizzarsi nella parvenza di “ordini” o “caste” in forza di superfetazioni
metaeconomiche. Solo sulla base di una tale divisione nelle due classi
principali della società moderna si può costruire una successiva, e necessaria,
articolazione che sia ancora economica, ma anche sociologica e culturale o
perfino comportamentale.
Innanzitutto, come accennato, nulla vieta
che un medesimo individuo sia al contempo “proprietario” e “produttore”, come potrebbe
essere l’artigiano, il coltivatore diretto, o anche il capitalista che lavora
nella propria impresa o il salariato (operaio, bracciante o impiegato) che
possiede qualche mezzo di produzione. Ma la sovrapposizione casuale di più
funzioni non impedisce di comprendere sia che nella generalità dei casi ciò non
caratterizza il modo di produzione capitalistico, ma solo le sue diverse forme
empiriche di esistenza economica sociale, sia di individuare nel caso di una
simile sovrapposizione, accidentale transitoria o residuale, quale funzione
debba essere ritenuta quella qualificante e determinante. In secondo luogo,
perciò, è facile trovare una gran varietà di forme di passaggio, intermedie tra
le due classi principali della società moderna, tali da rappresentare altre
classi, sottoclassi, ceti o gruppi in cui praticamente si articola questa
formazione sociale. Ma, in terzo luogo, infine, nessuno può dubitare che ancora
oggi e per tutta la vigenza in forma dominante del modo di produzione
capitalistico si riproduca in maniera sempre più polarizzata la divisione tra
“proprietari non produttori” (capitalisti industriali, percettori di profitto e
interesse, nella cui classe vanno generalmente ricomprese anche le forme
moderne assunte dai capitalisti monetari e dai capitalisti commerciali, e
proprietari fondiari, percettori di rendita) e “produttori non proprietari”
(lavoratori salariati o proletari, percettori appunto di salario, in qualsiasi
forma esso sia travestito). Nessuno può disconoscere tuttora l’esistenza di
tali classi, su scala mondiale, e le contraddizioni e gli antagonismi che esse
mettono in movimento. E’ bene che la specificazione del concetto di classe e
della sua formazione storica, così come l’analisi delle classi realmente
esistenti e la loro composizione, siano lasciate alle parole stesse di Marx e
dei marxisti.
20/05/17
di Gianfranco Pala
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, May 22, 2017 2:58 PM
Subject: CI DISPIACE PER VOI, MA LA CLASSE
OPERAIA ESISTE
CI DISPIACE PER VOI, MA LA CLASSE OPERAIA
ESISTE
PER QUANTI SFORZI FACCIANO REPUBBLICA E
L’INFORMAZIONE MAINSTREAM, NON E’ SCOMPARSA NE’ LA CLASSE LAVORATRICE NE’
L’INEVITABILE CONFLITTO DI CLASSE
“Ma
d’altra parte ogni movimento in cui la classe operaia si oppone come classe
alle classi dominanti e cerca di far forza su di essa con pressure from without
(pressione dall’esterno) è un political moviment (movimento politico)”.
Forse è il caso di partire da questa
lettera di Karl Marx a Bolte del novembre 1871, per commentare il Rapporto
annuale 2017 dell’ISTAT, nel quale si afferma che “all’interno delle stesse
classi sociali ciò che sembra essersi profondamente modificato è il senso di
appartenenza a una data classe sociale e ciò è particolarmente vero per la
classe media e la classe operaia”. La quale classe operaia, evidentemente,
esiste ancora anche per l’Istituto nazionale di statistica. Eppure, Repubblica
e altre testate giornalistiche hanno letto nel rapporto ISTAT la scomparsa
della classe operaia e della piccola borghesia. Ora, sia chiaro, nessuno
pretende dall’ISTAT e tantomeno da Repubblica che si definiscano marxianamente
le classi sociali. D’altronde lo stesso Marx non fece in tempo a terminare la
sua analisi nel capitolo “Le classi” de Il Capitale, rimasto perciò incompiuto.
Ma il barbuto di Treviri fece in tempo a porre la questione in questi termini:
“Che cosa costituisce una classe? A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto
all’identità dei loro redditi e delle loro fonti di reddito”.
Appunto, solo a prima vista. Perché al
fondo delle cose la linea di demarcazione si trova tra chi è costretto a
passare una ampia quota della sua giornata sul posto di lavoro per produrre
merci e chi si appropria del profitto che si può ricavare da quelle stesse
merci. Questa è la prima suddivisione da tenere in considerazione e dentro
questi primi insiemi si determina, quindi, la divisione sociale del lavoro e la
distribuzione della ricchezza prodotta, che è conseguenza dei rapporti di
produzione e del grado di sfruttamento della forza lavoro. Le classi sociali,
cioè, sono determinate dal “rapporto con i mezzi di produzione”, sulla base
“del ruolo nell’organizzazione sociale del lavoro, quindi sulla base del modo
in cui ottengono la ricchezza sociale e per l’importanza della ricchezza di cui
dispongono”.
Se la sfera della distribuzione della
ricchezza prodotta è conseguenza dei rapporti di produzione, allora l’enorme
divario (segnalato dall’ISTAT) tra i redditi equivalenti della classe dirigente
italiana e quelli delle famiglie a basso reddito è un indicatore dell’esistenza
di una classe che si oppone a quella dirigente, e questa classe è appunto la
classe operaia, ma sarebbe meglio dire la classe lavoratrice, che quindi non è
affatto scomparsa. Semmai il segnale che viene dal rapporto ISTAT è di un
aumento della massa della classe lavoratrice, dal momento che viene posta
“l’attenzione sulla difficoltà dei lavoratori del ceto medio, osservando come
la quota di reddito a essi distribuita sia diminuita, con un conseguente
aumento delle diseguaglianze”. A fare le spese di una distribuzione del reddito
sempre più diseguale sono le famiglie a basso reddito, gli anziani soli, i giovani
disoccupati, le cui gravi condizioni economiche mette la maggioranza dei membri
appartenenti a questi gruppi sociali in condizione di grave deprivazione
materiale e di fronte al drammatico rischio povertà. Una condizione dalla quale
è difficile uscire, dal momento che la mobilità sociale è di fatto solo una
vana speranza.
Un indicatore, in questo senso, è dato dal
livello di istruzione, i cui più alti livelli risultano preclusi ai gruppi
sociali in condizioni economiche disagiate. E l’ISTAT sottolinea quanto il
livello di istruzione incida sulla mobilità sociale. Ma l’istruzione è sempre
meno garantita da un sistema scolastico sempre più classista. Basta notare nel
rapporto dell’Istituto di statistica come, tra le famiglie italiane a basso
reddito, la quota di persone che riesce ad arrivare a una laurea costituisce
solo il 5,5%, contro il 73,6% di chi gode del privilegio di essere parte della
classe dirigente di questo Paese. E ciò conta in misura tanto maggiore quanto
più si tiene in considerazione che, mentre la classe lavoratrice, che ci dicono
sia scomparsa, subisce la crescente precarietà lavorativa significativamente
aggravata negli ultimi anni dalla legge Fornero prima e dal Jobs Act poi, “nei
gruppi a reddito più elevato caratterizzati da maggiori tassi di occupazione,
il possesso di elevati titoli di studio favorisce l’accesso a un lavoro più
stabile”. Tanto che, mentre spesso e volentieri una donna lavoratrice viene
costretta a scegliere tra la maternità e il lavoro, tra la classe dirigente
risultano protetti “i livelli di occupazione delle donne anche quando diventano
madri”.
Una condizione difficile da modificare
anche perché il mantenimento dei rapporti di produzione che garantiscono alle
classi dirigenti di questo Paese l’appropriazione delle risorse economiche che
permettono le migliori condizioni di vita, permettono anche, allo stesso tempo
e a quella stessa classe sociale, la possibilità di partecipazione diretta e
indiretta alla vita politica e sociale. Si legge nel rapporto ISTAT che chi ha
il privilegio di partecipare al banchetto della classe dirigente, ha ovviamente
maggiori possibilità di quanti sono costretti a condizioni di vita peggiori,
non solo di svolgere attività di partito, ma di sostenere economicamente i
partiti. Che poi sono, verosimilmente, gli stessi partiti che affermano la
necessità di fare sacrifici, che applicano misure di austerità, che accrescono
le condizioni di precarietà, che allungano l’età pensionabile, che attentano
alla Costituzione per ridurre ulteriormente gli spazi di democrazia e di
partecipazione per le classi sociali più deboli. Una classe dirigente, quindi,
che favorita dagli attuali rapporti di produzione, può permettersi di imporre,
direttamente o indirettamente, misure economiche e politiche che mantengono la
loro posizione di privilegio sociale, a scapito della stragrande maggioranza di
questo Paese.
Per quanti sforzi facciano Repubblica e in
generale l’informazione mainstream nostrana, la classe lavoratrice non è
scomparsa ed è fatta di quelli che lavorano in fabbrica, in cantiere, in un
call center; che smistano le merci in un magazzino o le consegnano a casa; che
fanno le pulizie in un ospedale, che servono pasti in una mensa, che insegnano
in una scuola. Una classe che cresce, si impoverisce, diventa più precaria,
muore sul lavoro o per la sua mancanza, ma spesso lotta e che perciò si
vorrebbe far scomparire dall’immaginario collettivo perché quando si fa
scomparire la classe lavoratrice si fa scomparire il conflitto inevitabile di
questa con il capitale. In realtà, la classe lavoratrice non è affatto
scomparsa, semmai se ne è ridefinita la composizione. Ma che ciò accada non è
affatto una novità. Già Marx notava come “la stratificazione delle classi non
appare neppure lì [nell’Inghilterra del suo tempo] nella sua forma pura. Fasi
medie e di transizione cancellano anche qui tutte le linee di demarcazione. Ma
per la nostra analisi ciò è irrilevante”. Ciò che conta, è “la tendenza
costante e la legge di sviluppo del modo di produzione capitalistico di
separare in grado sempre maggiore i mezzi di produzione dal lavoro [...] trasformando
con ciò il lavoro in lavoro salariato e i mezzi di produzione in capitale”.
Posta in questi termini, la classe lavoratrice, la classe operaia, non è
scomparsa, semmai è aumentata la sua massa, dal momento che aumentano le
disuguaglianze e, come afferma l’ISTAT, “anche la borghesia ha al suo interno
componenti di livello reddituale e occupazionale meno consolidate di quanto il
nome di questa classe evochi”.
Ciò che sta aggravando ulteriormente una
situazione già oggettivamente drammatica è che, come sottolinea l’ISTAT, in
particolare per la classe operaia “ciò che sembra essersi profondamente
modificato è il senso di appartenenza a una data classe sociale”. E questo pare
essere l’intento nel far passare l’idea della fine della classe operaia. Il motivo
è che fintanto che i lavoratori non abbiano coscienza dell’appartenza di
classe, risulta molto più difficile la loro organizzazione perché si possano
modificare le condizioni di disuguaglianza descritte dall’ISTAT nel suo
rapporto. “La classe operaia” - sosteneva Marx nella lettera a Bolte già citata
“si oppone come classe alle classi dominanti” e solo in questo modo che “dai
singoli movimenti economici degli operai sorge e si sviluppa dappertutto il
movimento politico” che, come abbiamo visto, le classi dirigenti ostacolano con
la loro attività politica e sociale consentita dalla loro condizione di classe
privilegiata.
Rimane, però, il potenziale conflittuale.
E nonostante la crescente stratificazione di classe, ed anzi proprio perché è
così accentuata che (come hanno indicato i compagni del Clash City Workers in
“Dove sono i nostri”, pregevole, recente inchiesta su lavoro, classe e
movimenti italiani) è necessario “ricostruire le fila, agendo su ogni punto di
essa per creare l’alleanza più vasta possibile fra i lavoratori [...]
Attaccando però ogni volta il punto apicale. [...] Organizzare qualsiasi
comparto di classe [...] senza mai dimenticare di orientarlo e di connetterlo
alla sfera della produzione, che resta il piano strategico”.
20/05/17
di Carmine Tomeo
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, May
23, 2017 9:14 AM
Subject: UNIDICI
AGRICOLTORI MORTI SCHIACCIATI
IO INASCOLTATO COME CASSANDRA: UNIDCI
AGRICOLTORI MORTI SCHIACCIATI DAL TRATTORE NEGLI ULTIMI DIECI GIORNI, TRE ANCHE
IERI
PAPA FRANCESCO PENSACI TU
Una settimana fa avevo spedito un migliaio
di mail scrivendo che dopo tanta pioggia sarebbe arrivato il bel tempo e che
sarebbero morti tantissimi agricoltori schiacciati dal trattore.
Purtroppo così è stato: ho cercato di
sensibilizzare tutti. Dal Ministro delle Politiche Agricole Martina in giù
(ormai arriviamo a cinquecento morti a causa di questo mezzo da quando è
Ministro), ma niente, nessuno ha cuore la vita dei nostri agricoltori. Ne sono
morti negli ultimi dieci giorni ben undici.
Insomma come Cassandra non vengo
ascoltato: eppure da dieci anni monitoro le morti sul lavoro, so quando queste
stragi cominciano, quando ci può essere un maggior pericolo.
Dopo gli ultimi tre morti di pochi giorni
nella mia regione l’Emilia Romagna ho scritto al presidente Bonaccioni: ma
neppure si degna di rispondere, come del resto fanno tutti quelli che occupano
un posto di responsabilità a livello locale e nazionale. Ho anche scritto
centinaia di volte, ed è così anche quest’anno, come del resto tutti gli anni,
che un morto sui luoghi di lavoro su cinque è provocato dal trattore, ma si
vede che questo non interessa.
Occorrerebbe (ma lo scrivo da anni) una
campagna informativa sulla pericolosità del mezzo. Tra l’altro quello che
angoscia di più è che per l’ennesima volta è stata rinviata una Direttiva
europea dove c’è scritto che occorrerebbe sottoporre a esame d’idoneità alla
guida “un patentino” chi guida questo mezzo mortale. E’ stato rinviato per
l’ennesima volta la Direttiva.
Anche bravi giornalisti di quotidiani
nazionali hanno cercato di sensibilizzare e hanno scritto che era assurdo
l’ennesimo rinvio. Ma nulla: neppure l’opposizione si interessa a questa strage
e questo la dice lunga. Non disturbare i manovratori su questioni cruciali per
la gente normale.
Molti che mi conoscono associano la mia
immagine quando vedono un trattore: lo vedono ribaltato e con l’agricoltore
schiacciato sotto.
Proverò a scrivere a Papa Francesco. L’ho
sognato questa notte e lo baciavo, era su un letto: quando mi sono avvicinato
ho sentito che aveva la barba non rasata. Come i nostri agricoltori che
levandosi alla mattina presto pensano di rasarla dopo essere tornati dai campi.
Se ritornano vivi.
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From: Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Tuesday, May 23, 2017 5:18 PM
Subject: LA GIUNGLA DEI CORSI SICUREZZA:
NUOVA DENUNCIA
Ma quali sono i soggetti formatori
autorizzati?
“C’è chi falsifica i registri e chi i
registri non li redige neppure. C’è chi subappalta i corsi a enti non
autorizzati e chi tiene lezioni di primo soccorso senza alcuna esperienza in
campo medico”.
Inizia così l’articolo del Fatto
Quotidiano che dà voce alla denuncia di Susanna Cantoni, Responsabile di
sicurezza sul lavoro nella ASL di Milano dal 1978, sugli innumerevoli illeciti
riscontrati in merito ai corsi di formazione obbligatori sulla sicurezza sul
lavoro (D.Lgs. 81/08).
Le più frequenti violazioni della legge
riguardano corsi di formazione subappaltati da associazioni sindacali ad enti
bilaterali, società private e liberi professionisti senza alcuna abilitazione
all’erogazione dei corsi D.Lgs. 81/08, in presenza e in modalità e-learning.
Gli attestati e i patentini rilasciati in
seguito a questi corsi risultano ovviamente privi di qualsiasi validità.
Quali sono i soggetti formatori
autorizzati alla formazione in materia di sicurezza?
La norma di riferimento è l’Allegato A
dell’Accordo Stato Regioni del 07 luglio 2016, dove vengono individuati i
soggetti formatori autorizzati alla formazione in materia di sicurezza.
Tra questi, ritroviamo:
- Regioni e Province Autonome;
- Enti di formazione accreditati
conformemente al modello di accreditamento specifico di ogni Regione;
- le Associazioni sindacali dei datori di
lavoro o dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale e gli organismi paritetici, limitatamente allo specifico settore di
riferimento.
Nessuna menzione per gli Enti Bilaterali,
che risultano esclusi dai soggetti formatori in materia di salute e sicurezza
sul lavoro.
associazioni sindacali e organismi
paritetici possono fare formazione?
No, a meno che non rispondano al requisito
di rappresentatività sul piano nazionale, ovvero solo se hanno un numero
consistente di associati e hanno partecipato alla stipulazione dei contratti
nazionali collettivi di lavoro (non è rilevante la firma del CCNL per mera
adesione.)
Gli organismi che soddisfano questi
criteri sono autorizzati a erogare formazione solo “limitatamente allo
specifico settore di riferimento” e non possono stipulare convenzioni per
avvalersi di altri enti di formazione che non facciano capo all’organismo
stesso (vedi nota al Punto 2, lettera I) dell’Allegato A dell’Accordo Stato
Regioni del 07 luglio 2016).
Per fare un esempio pratico,
un’associazione sindacale rappresentativa sul piano nazionale e firmataria del
CCNL Metalmeccanici può erogare formazione esclusivamente ai lavoratori del
settore metalmeccanico con strutture formative di diretta ed esclusiva
emanazione. Attestati rilasciati a lavoratori di altri settori produttivi
risultano non legalmente validi.
Quali sono i soggetti in grado di
garantire la validità della formazione?
Nel caso di associazioni sindacali o
organismi paritetici è importante che il consulente o il datore di lavoro
verifichi che sussista il requisito di rappresentanza che garantisca la
validità dei corsi effettuati in funzione di uno specifico settore di
riferimento (ma questo spesso è più facile a dirsi che a farsi).
Viceversa, per gli Enti di formazione
accreditati, la validità della formazione è certificata per qualsiasi settore
da un’autorizzazione regionale dopo un rigido iter di accreditamento e non
necessita di alcun ulteriore controllo.
Quali sono gli enti di formazione
accreditati nella tua Regione?
Ogni regione pubblica e mantiene
aggiornato un elenco degli Enti accreditati per la formazione, che si trovano
ai link seguenti:
Valle d’Aosta
Piemonte
Liguria
Lombardia
Trentino Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia Romagna
Toscana
Marche
Umbria
Lazio
Abruzzo
Campania
Basilicata
Puglia
Calabria
Sicilia
Sardegna
20 Aprile 2017
di Giulia Pacini
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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Thursday,
May 25, 2017 8:32 PM
Subject: SERVIZIO
DEL TG3 SU RICCARDO ANTONINI
Segnalo il servizio di Stefano Vidori
andato in onda durante il TG3 Toscana di oggi, 25 maggio 2017, mentre si
svolgeva il presidio davanti alla stazione di Pisa del 15 maggio scorso in
appoggio a Riccardo Antonini.
Buona serata.
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, May 25, 2017 12:38 PM
Subject: LA CLASSE OPERAIA NON E’
SCOMPARSA, MANCA LA COSCIENZA
Da La Riscossa
17/05/17
La pubblicazione del rapporto annuale
dell’ISTAT 2017 ha consentito ai giornali di formulare i consueti titoli da
scandalo sulla “fine della classe operaia”. I maggiori telegiornali hanno
parlato di “classe operaia spazzata via dalla crisi”.
Al netto di qualche critica ad alcune
delle scelte operate dall’ISTAT sulle categorie statistiche (dalla scelta delle
categorie spesso dipende anche il risultato politico dell’analisi) i dati che
si ricavano dal rapporto spingono ad un ragionamento più articolato, che non
mette in discussione l’esistenza numerica dei lavoratori salariati, ma punta
dritto alla questione della percezione che i lavoratori hanno di sé stessi.
In termini marxisti si potrebbe esprimere
questa situazione con la differenza tra il concetto di “classe in sé”,
storicamente determinato sulla base dei rapporti sociali di produzione, e
quello di “classe per sé”, ossia di classe cosciente del proprio ruolo e della
propria funzione storica. Andiamo con ordine, in attesa di un’analisi più
accurata del dossier, che condurremo nei prossimi giorni.
Gli ultimi dati sull’occupazione
disponibili in Italia parlano di 22,8 milioni di occupati, di cui 16 milioni
dipendenti, 8 milioni dei quali inquadrati contrattualmente come operai. Il
numero degli operai in Italia è dunque pari a un terzo del totale della
popolazione occupata, e nel complesso il numero dei lavoratori dipendenti
continua a crescere. Questo nonostante una parte rilevante del lavoro
dipendente sia qualificato contrattualmente, e dunque incluso nelle
statistiche, nelle varie forme di lavoro autonomo senza dipendenti. Il frutto
delle esternalizzazioni, del massiccio ricorso alle partite IVA infatti
trasforma sulla carta in lavoro autonomo forme di lavoro che sono a tutti gli
effetti subordinate, alterando anche le statistiche. Nella forbice che separa i
16 milioni di dipendenti dal totale di 22 milioni di occupati devono quindi
essere considerate queste forme, che con statistiche accurate farebbero
ulteriormente lievitare il numero di lavoratori salariati/stipendiati.
Se dunque si parla di esistenza materiale
della classe operaia, i dati sono chiari, anche al netto di alcune riduzioni
che si sono verificate nel numero di occupati nell’industria (-387.000 dal
2008), compatibili con le massicce delocalizzazione e le crisi aziendali, il
pesante ricorso a processi di automazione in alcuni settori, e nell’edilizia,
per la crisi del settore dopo anni di speculazione e bolle immobiliari.
Perché dunque i lavoratori perdono la
percezione di sé come classe? Qui dalla sfera materiale si passa al livello
della coscienza. Certamente la parcellizzazione contrattuale è stata una leva
fondamentale in questo processo. A partire dagli anni ‘90 il numero e le
tipologie di contratto si sono moltiplicate, diminuendo l’efficacia di lotte su
rivendicazioni immediate. L’ISTAT rileva come anche nel 2017 siano in aumento i
contratti di somministrazione (+6,4%), e part-time, e che nel complesso esista
una tendenza alla dequalificazione dell’occupazione nelle fasce sociali più
basse. Un processo che risponde alla tendenza generale dell’abbassamento del
costo del lavoro, e dei salari, come strategia per la ripresa che oggi il
capitale sta adottando massicciamente in Italia.
La parcellizzazione contrattuale è senza
dubbio il primo passaggio, ma grande responsabilità hanno anche l’insieme delle
forze sociali (sindacali e politiche) che hanno, per le note ragioni, ridotto
la propria capacità d’influenza sui lavoratori, e sul processo di costituzione
in classe.
Per i lavoratori comunisti, i dati
dell’ISTAT sulla percezione di classe non dicono nulla di sconosciuto, che non
sia immediatamente visibile sui luoghi di lavoro, durante un’assemblea o nei
giorni che precedono uno sciopero. La maggioranza dei lavoratori in questi
anni, in assenza di quel lavoro di informazione, lotta e organizzazione, ha
fatto proprie categorie che teorizzano il superamento della logica dello
scontro di classe, che appartengono alla strategia delle classi dominanti, per
le quali la rottura dell’unità e della coscienza di classe è presupposto
necessario per il mantenimento del proprio potere.
Così i luoghi di lavoro da cui una volta
si proiettava una cultura e una visione del mondo nella società, sono divenuti
preda di visioni che prescindono dalla centralità del conflitto
capitale/lavoro. I lavoratori hanno così finito per farle proprie in larga
maggioranza, e specialmente nelle generazioni nate dopo gli anni ‘80 che non
hanno conosciuto la forza delle lotte e dell’organizzazione del movimento
operaio. Hanno iniziato a tornare a ragionare da una parte con il ricorso alle
“categorie” sempre più parcellizzate, e sempre più frammentate, si pensi alla
differenza tra precari e lavoratori a tempo indeterminato, o a quelli interni
rispetto a quelli che lavorano per società in appalto. Dall’altra hanno
iniziato a ragionare da semplici “cittadini” e non più come lavoratori, anche
grazie a forze di opposizione, che appaiono le uniche titolate a garantire un
cambio di governo, e che rifiutano una cultura del lavoro, e al contrario fanno
proprie quelle teorie che vanno nella direzione della rimozione del concetto di
classe, di ogni forma di organizzazione di classe, a partire da quella
sindacale. La visione interclassista è quindi assolutamente dominante nella
società odierna, perché unisce le principali forze di maggioranza e opposizione
(nazionaliste o anti-politiche).
Ed è proprio questo il segreto che
consente, l’immobilismo politico, la passività della classe operaia pur di
fronte alla durezza delle politiche antipopolari e all’acuirsi delle differenze
sociali. “Una divisione nuova della società italiana farebbe pensare a
cambiamenti rivoluzionari” - scrive Repubblica - “In realtà di rivoluzionario
in Italia al momento non c’è niente: è una società che cristallizza le
differenze, e che da tempo ha bloccato qualunque tipo di ascensore sociale. In
effetti funziona quello verso il basso, ma i piani alti sono sempre meno
accessibili”.
Nessun cambiamento rivoluzionario potrà
esistere in assenza di coscienza da parte della classe sociale che deve guidare
questo cambiamento. La sola crisi economica, gettando sul lastrico milioni di
lavoratori e di famiglie non produrrà questo cambiamento, ma al massimo un
orientamento dei lavoratori verso le forze percepite immediatamente come
artefici di un cambiamento realizzabile, che purtroppo però non è altro che la
riaffermazione sotto altre forme degli stessi rapporti sociali da cui dipende
lo sfruttamento dei lavoratori. Ecco perché oggi il compito della “costituzione
del proletariato in classe” è ancora il primo compito dei comunisti; bisogna
rimboccarsi le maniche e lavorare in questa direzione, valorizzando ogni
embrione di quella coscienza, come pure non tardano a vedersi, dandogli forza e
organizzazione.
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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 28, 2017 9:47 PM
Subject: INIZIATIVA SU LICENZIAMENTO DI
RICCARDO, "BUONUSCITA" A MORETTI, IN SICUREZZA IN FERROVIA LA
GIORNATA DEL 29 GIUGNO
Giovedì 1° giugno dalle ore 08.30 alle ore
11.00, presidio e volantinaggio di fronte al Tribunale di Lucca, via Galli
Tassi, su licenziamento di Riccardo, "buonuscita" a Moretti,
(in)sicurezza in ferrovia, la giornata del 29 giugno a Viareggio (8° anniversario
della strage ferroviaria annunciata del 29 giugno 2009).
L'appello del 1° giugno è rivolto a quanti
sono disponibili in quelle ore della mattina.
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