dal blog proletari comunisti
In
questo periodo vi è un cumulo di scadenze. Vi è stata la
mobilitazione degli studenti il 14 nov., un passaggio importante
nella dinamica più generale della lotta di classe e dell'opposizione
contro il governo; c’è la manifestazione nazionale delle
donne del 22 e le manifestazioni locali nella giornata del 25 che
vedono in generale una massiccia partecipazione. C'è sempre la
mobilitazione solidale con la Palestina al cui interno vi sono
politiche importanti come quella per i prigionieri politici
palestinesi, per Anan nel carcere di Melfi che ha visto ieri una
manifestazione nazionale a L’Aquila in occasione di un’udienza
del processo, in cui in maniera provocatoria era chiamato a
testimoniare l’ambasciatore di Israele. Tutto questo si aggiunge
alla mobilitazione per lo sciopero generale contro la finanziaria di
guerra del 28 indetto dai sindacati di base, con una manifestazione a
Roma il giorno dopo, a cui farà seguito l’indizione di sciopero
nazionale indetto dalla Cgil per il 12 dicembre.
Il
cumulo di queste scadenze, siccome le masse non sono un esercito in
movimento compatto e continuo, obiettivamente crea dei problemi,
perché al di là di quanto si dice non si può pensare che
confluiscano in una unica mobilitazione.
Crediamo
che non si può fare un paragone con le giornate “magiche” che
hanno visto con l'innesco del 22 settembre, il suo prolungamento
nello sciopero del 3 novembre e soprattutto la gigantesca
manifestazione solidale con il popolo palestinese del 4 ottobre che
ha dimostrato ancora una volta che non è vero che le lotte
sindacali, le lotte sociali di per sé siano quelle l'unica maniera
per coinvolgere le masse e che le masse si muovono solo sulle
questioni del salario, delle condizioni di lavoro e di vita. La
manifestazione per la Palestina del 4 è stata una grande
manifestazione che ha raccolto, unito energie così ampie che non si
erano ritrovate nella lotta sociale e probabilmente non si
ritroveranno altrettanto facilmente nelle prossime successive
scadenze.
Non
abbiamo paragonato quella fase di mobilitazione a una sorta di
risveglio generale del movimento di massa. Abbiamo ricordato altri
periodi storici che hanno visto queste grandi manifestazioni di
massa, inizialmente degli studenti, poi operai del 68-69, la cui
influenza sul movimento generale non fu misurabile nelle settimane
immediatamente dopo ma attraverso il suo penetrare nella coscienza e
nella dinamica della mente, del cuore, delle masse che
progressivamente scava un solco e si rincontra con i nuovi momenti in
cui questo può avvenire - l'esplosione del 68 ebbe una sua
continuità nelle dimensioni solo un anno dopo di quello che fu
chiamato “l'Autunno caldo”.
Tornando
all’oggi, senza fare paragoni superficiali, è evidente che ci
vuole tempo perché la forza di quella manifestazione, di queste
mobilitazioni dimostri di essere l'innesco di un movimento proletario
di massa, con l'ingresso reale di ampi settori proletari attraverso
le loro ragioni, le loro forme, che metta in discussione lo stato di
cose esistenti, che metta in crisi realmente il governo, e sia
potenzialmente in grado di cambiare il vento, di consolidare un
cambiamento che ponga all'ordine del giorno un'alternativa sociale e
politica di carattere rivoluzionario.
Questa
è la dinamica per cui noi lavoriamo, ma questa non corrisponde
ancora allo stato del movimento reale.
In
questo senso l'appello che fa ad esempio l'Usb per il 28/29, il
quale dice che, sulla base della piattaforma, quello è il programma
che può mettere in moto le enormi forze sociali e popolari che hanno
preso parola contro il genocidio in Palestina, è demagogico e non
corrispondente né allo stato effettivo della dinamica del movimento
reale né al fatto che la battaglia che si è espressa con il grande
movimento per la Palestina possa esprimersi nella dimensione di uno
sciopero generale o di una piattaforma che, per quanto radicale,
resta una piattaforma sindacale che, come sempre, non può mettere in
discussione lo stato di cose esistenti, non può provocare reali
cadute dei governi della borghesia e meno che mai questo governo, ed
essere in grado di aprire la strada a un cambiamento radicale.
D’altra
parte per valutare uno sciopero non bisogna partire dalle
piattaforme. Su questo l'intervento che ha fatto il segretario
generale dell'Usb, Leonardi, quando ha detto che per valutare lo
sciopero indetto dalla Cgil, occorre mettere in luce che c'è
sciopero e sciopero perché c'è piattaforma e piattaforma…, è
esattamente un modo di ragionare che noi critichiamo. La riuscita di
uno sciopero, il peso di uno sciopero non è basato sulla
piattaforma, perché oggi come oggi, a fronte dell'attacco dei
padroni, del governo, fin troppo evidente per tutte le forze che sono
all'opposizione di questo governo, non ci vuole assolutamente niente
a fare una piattaforma, attaccano i salari, danno soldi ai padroni e
alle loro classi sociali che gli servono anche per mantenersi al
governo, indirizzano chiaramente i piani, la spesa sociale verso le
armi e la partecipazione attiva del governo, delle classi dominanti
imperialiste alla situazione internazionale caratterizzata dalla
tendenza fin troppo evidente, a pezzi o non a pezzi, di una guerra
imperialista mondiale, ecc: quindi, non ci vuole niente a
dire che ci vogliono aumenti salariali, che ci vuole la difesa delle
condizioni dei lavoratori, l'opposizione al taglio delle spese
sociali.
Quindi, ora non
è un problema di piattaforma. Questo solo un politicante,
un dirigente sindacalista, come sono gli attuali dirigenti di Usb,
possono pensare che tutto il problema starebbe in chi ha la
piattaforma migliore.
Non
è così. Perché le rivendicazioni non vivono da sole, ma stanno
sulle gambe dei proletari e delle masse popolari. E le masse popolari
scendono in sciopero, per le rivendicazioni che ci sono in campo, ma
anche per tutta un'altra serie di fattori di ribellione, di rabbia,
di livelli di organizzazione, per non potere più accettare lo stato
di cosa esistente, ecc.
Le
rivendicazioni, per poterle tradurre, occorre la dimensione di un
movimento operaio di massa, di lotta, di scioperi, unico in grado di
conseguirli. Qualsiasi lavoratore, qualsiasi operaio, e soprattutto
gli operai e i lavoratori più coscienti, sanno benissimo che per
combattere questo governo, per ottenere queste rivendicazioni, serve
un grande movimento di massa e l'unità di tutti coloro che si
possono unire nell'opposizione a questo governo. Cioè nella
costruzione di una massa critica che permetta realmente di dare gambe
agli scioperi, che richiami in piazza una massa numerica importante.
Agitare
invece “bloccare tutto”, senza porsi che per bloccare tutto
bisogna realmente mobilitare tutto ciò che deve essere bloccato, si
trasforma questa parola d’ordine in una “bandierina”. Devono
essere bloccate le fabbriche, i posti di lavoro e sulla base di
questa forza raggiunta nelle fabbriche, nei posti di lavoro che
blocca la produzione, invade le strade, è
possibile rendere effettivamente lo sciopero un momento
importante per le masse, un momento che faccia paura ai governi, ai
padroni, tale che, come sempre, di fronte alla paura le classi
dominanti reagiscono intensificando la repressione oppure facendo
concessioni alle masse per fermarle.
Per
questa ragione noi che chiaramente siamo per lo sciopero contro
questo governo, dobbiamo nel nostro lavoro rivolgerci a tutte le
masse e i proletari che possono essere il soggetto reale di un
movimento che possa mettere in crisi e far cadere il governo.
Inoltre, come
percepiscono questi scioperi alcuni dirigenti dei
sindacati di base non corrisponde assolutamente nella
maggior parte dei casi alle effettive dinamiche che si sviluppano sui
posti di lavoro, nelle fabbriche e nei settori sociali colpiti e che
dovrebbero essere i soggetti effettivi della lotta.
Se
si pensa per esempio ai due grandi gruppi industriali che sono oggi
al centro delle vertenze più importanti e che raccolgono le
fabbriche più grandi di questo paese, come l'Ilva di Taranto
e la Stellantis, si capisce che gli operai di queste
fabbriche sono impegnati già in lotte, scioperi, e lo
sciopero generale del 28 del sindacalismo di base, la cui presenza
peraltro in queste realtà è relativamente debole, è calato
dall’alto; questo giudizio vale in parte anche per lo sciopero
lanciato da Cgil, che pur ha una presenza più significativa
attraverso la Fiom all'interno di queste realtà.
A
noi tocca un mestiere difficile, quello di partecipare agli scioperi,
ma propagandare la necessità dello sciopero generale contro questo
governo, contro la sua finanziaria, la finanziaria del guerra.
Occorre tener
conto della situazione concreta, in particolare di ciò che avviene
nelle fabbriche e quindi concentrare la attività verso le fabbriche;
perché se si concentra verso le fabbriche ci si rende facilmente
conto che la situazione è difficile rispetto a qualsiasi sciopero
che in questo momento si voglia proporre, e quindi necessita
difendere le ragioni dello sciopero generale collegandole alle
situazioni concrete delle fabbriche, e attraverso l’agitazione
e la propaganda necessarie per far sì che i lavoratori si spostino
da una posizione ancora debole a una posizione attiva di
lotta contro il governo.
E’
evidentemente che la scelta della Cgil di non fare lo sciopero il 28
– come avevano richiesto prima con un appello i sindacati di base -
è una scelta di parte. I lavoratori certamente non avrebbero visto
male uno sciopero unitario di tutti, perché avrebbe avuto maggior
forza, maggior impatto. La scelta della Cgil è perché non vuole,
per posizione della sua burocrazia sindacale, per la sua linea,
unirsi al sindacalismo di base, anzi ha lo scopo di ridimensionarlo,
di assorbirne le energie e di cancellarlo. Nello stesso tempo Landini
con la sua azione si pone all'interno della dinamica dello scontro
parlamentare per fare da supporto, sia pure critico, dell'attuale
sinistra parlamentare, perché alla fine è su di essa che affida le
sorti di un cambiamento della politica del governo e quindi nella
dinamica delle stesse rivendicazioni che alimenta.
Su
questo pesa, quindi, non tanto la piattaforma, ma la linea generale
della Cgil e il suo riferimento politico.
Concludendo.
lo sciopero contro il governo, la sua “finanziaria di
guerra” è utile, ma non è sufficiente. Sicuramente
avremmo voluto uno sciopero di tutti, perché questo avrebbe
contagiato altri settori di lavoratori che altrimenti non scendono in
campo.
Invece,
da un lato lo sciopero del 28 novembre non coinvolge tutti i
lavoratori, e il sindacalismo di base non si rende conto che
senza mobilitare l'intero movimento dei lavoratori, si possono
portare tutte le proprie rivendicazioni, ma non si ottiene niente e
la mobilitazione rischia di diventare un elemento non di fiducia ma
di sfiducia negli scioperi generali. Dall’altro il gruppo dirigente
della CGIL fa uno sciopero di fatto autopropagandista.
Nello
stesso tempo, non bastano denunce generiche, occorre spiegare gli
effetti della finanziaria su salario, lavoro; perché alla fine i
lavoratori non è che sono più a sinistra ma ora come ora stanno più
a destra rispetto alla necessità di uno sciopero generale, di
lottare contro il governo, la finanziaria del governo, la finanziaria
che taglia le tasse solo al “ceto medio”, che dà soldi solo ai
padroni, la finanziaria che dà miliardi alla guerra e alle armi e
invece ai lavoratori elemosine ridicole che per i
lavoratori sono anche offensive.
Quindi
la nostra azione è per far crescere la comprensione dei lavoratori,
che spesso si attaccano a piccole rivendicazioni o rivendicazioni
individuali e non alzano la testa rispetto a tutto quello che il
governo sta facendo; è come se si scava il mare con un cucchiaino
mentre il mare, il capitalismo, sta sommergendo tutto e in futuro
sarà peggio.