"Dopo la sentenza su Eternit, come facciamo a
fidarci della giustizia in Italia?" "Il governo ha una responsabilità
politica"
"La giustizia, se è di questo mondo, non verrà
dai tribunali, insomma. Quel che conta è l’attivismo dei comitati, il fatto che
le vedove di quei morti, invece di stare a casa a guardare la tv, hanno
socializzato il loro lutto e ora hanno una grande famiglia costituita dagli
attivisti di Casale Monferrato, mentre le loro istanze si uniscono a quelle di
tanti comitati italiani, ai gruppi contro l’amianto francesi, spagnoli, belgi,
inglesi. La gente a Casale muore coi volantini in tasca. Cioè vive fino
all’ultimo una vita piena, lottando contro la multinazionale dell’Eternit,
creando una comunità in lotta."
Ecco, di una sola cosa siamo convinti questa notte: per noi non finisce qua, ci potete scommettere...
20 novembre
Chiara Organtini
"Dopo la sentenza su Eternit, come facciamo a fidarci della giustizia in Italia?"
Le voci dei parenti delle vittime dopo l'annullamento della condanna in secondo grado per Stephan Schmidheiny. "Il governo ha una responsabilità politica" dice Felice Casson a pagina99. E a Casale il sindaco indice il lutto cittadino
“Noi non perdiamo la speranza, non volteremo lo sguardo da un’altra parte come sta facendo lo Stato che garantisce l’imputato ma non protegge le vittime. Questa sentenza sembra il risultato di una dottrina ottocentesca. L’Italia non è pronta, non sarà mai pronta, a dare giustizia. Siamo dei dilettanti in confronto a magistrati e miliardari, la nostra capacità di organizzazione passa tutta per il volontariato. E per il balsamo e l’abbraccio dei compagni di lotta provenienti da tutto il mondo che domani, a Casale Monferrato, parteciperanno all’assemblea cittadina”. La voce di Bruno Pesce, presidente dell’associazione familiari e vittime dell’amianto, si interrompe, è rotta dal pianto ma non è piegata nella sua tenacia.
La sentenza della Cassazione di Roma, ha prescritto il reato di disastro ambientale nel processo Eternit rivolto all’unico imputato rimasto, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny – Louis De Cartier è morto prima della sentenza d’appello.
I giudici della corte hanno infatti annullato (senza rinvio) la condanna inflitta nel secondo grado – 18 anni per Schmidheiny – ribaltando quello che tutto il mondo attendeva come un verdetto storico: il disastro ambientale, come aveva preannunciato il procuratore generale Iacoviello nella requisitoria della mattinata, è da ricondurre ad una condotta. Una volta che la condotta è conclusa, cessa l’effetto del disastro. Il pg aveva richiamato il diritto, non la giustizia. L’Eternit dello svizzero ha chiuso i battenti nel 1986 a Casale, ma l’esposizione all’amianto senza protezione, a cui ha sottoposto i lavoratori e i cittadini di Casale Monferrato, Rubiera, Cavagnolo e Bagnoli, ha fatto 3000 vittime e il suo conto non s’arresta: secondo gli epidemiologi, il picco delle morti arriverà tra il 2020 e il 2025. Nel 1986, quando la fabbrica di Schmidheiny ha chiuso a Casale, è nata una ragazza che non ha mai lavorato all’Eternit ma che, a causa del tumore da amianto (il mesotelioma), è morta la settimana scorsa.
“E’ come se decidessi di mettere una bomba con uno scoppio ritardato a 40 anni – racconta Pesce. Quando scoppierà e farà vittime, io non sarò più perseguibile; il disastro non ci sarà”. “Eppure – spiega l’avvocato Davide Petrini che ha difeso le parti civili nel I e II grado del processo e che ora è tornato a fare il Professore di diritto penale del lavoro a Torino, le morti sono la prova che il disastro ancora esiste. Questa sentenza, anche se dobbiamo aspettarne le motivazioni, è un paradosso, ma d’altronde la legge sul reato ambientale risale al 1930. Come potevano immaginare i nostri avi che ci sarebbe stato un disastro lungo oltre 40 anni?”
Le motivazioni della Corte però, potranno discostarsi dalla sua stessa pronuncia. “E già ora abbiamo la conferma che le morti non sono smentite dalla Corte" incalza Sergio Bonetto, legale delle parti civili in quest’ultimo grado di giudizio. “Quel che sembra confermato dalla Cassazione è l’errore della Procura della Repubblica fin dal principio dell’istruttoria, quando decise di procedere per disastro anziché per omicidio. E noi infatti procederemo ora con un processo per omicidio”.
Il problema però resta e anzi, si aggrava. Ed è anche la politica ad aver inferto il colpo più lacerante. “Con questa sentenza – ricorda ancora il Professor Petrini – non si potrà più celebrare alcun processo per amianto in Italia”. E sarà altrettanto difficile se non impossibile, recuperare il risarcimento del danno per le vittime e gli eredi.
“La prescrizione del reato inibisce il danno alle parti civili nei primi gradi di giudizio – spiega La Peccerella, l’avvocato dell’Inail che ha seguito il processo, fino a qualche settimana fa.
“Il nostro presidente del Consiglio aveva detto largo ai giovani, così io trattenuto in servizio, sono stato destinato alla pensione alla fine di ottobre. Dopo di me però, nessun giovane, né tanto meno un’assunzione”. La Peccerella aveva fatto da apripista nel recupero delle provvisionali imposte a Schmidheiny, anche fuori dal perimetro di competenza dell’ente: centinaia di milioni che lo svizzero avrebbe dovuto versare a titolo di risarcimento alle parti civili, ma che non ha mai fatto. Il lavoro dell’Inail, nel recupero fatto da La Peccerella, si è dovuto così fermare.
“I 280 milioni di risarcimento negati all’Inail potrebbero non essere annullati in sede civile e comunque occorre aspettare le motivazioni della sentenza. Quel che è più grave, però, è il segreto bancario svizzero che ci impedisce di aggredire le proprietà del magnate dell’Eternit: sappiamo che le risorse per coprire gli oltre 300 milioni di provvisionali ci sono nelle tasche di Schmidheiny. Ha ancora fabbriche in Cina e in Russia. Ma pur avendo la Svizzera aderito al sistema di omologazione delle sentenze (dal prossimo gennaio), rischiamo di non recuperare alcun centesimo. E poi, certamente, rimane l’immane problema della prescrizione: in sede penale non basta portare a processo qualcuno per interromperne il decorso. Con il penale criminale potremmo riempire le carceri, ma con quello finanziario, su cui urge una modifica legislativa, l’Italia è uno dei pochi paesi – nell’elenco di quelli con un sistema politico meno democratico del nostro – dove non conta niente.”
Intanto a Casale, il primo sindaco donna, Titti Palazzetti, ha indetto per oggi il lutto cittadino. “Sono addoloratissima, la sentenza tradisce il lavoro fatto in tutti questi anni, anche se il reato è stato riconosciuto”. Dopo oltre due anni dalla decisione, finalmente, sono stati sbloccati i 18 milioni di euro che il governo aveva destinato a Casale Monferrato per le bonifiche. “Sono ancora in Regione, ma stavolta abbiamo speranza di vederli – spiega Palazzetti – perché li hanno tolti dal Patto di stabilità 2015. Sebbene l’ex sindaco di Casale Demezzi stava per cadere nella tentazione di prendere i soldi offerti da Schmidheiny, abbiamo fatto bene a non prendere un centesimo da lui. Ora però spetta al governo fare la sua parte: chiediamo di essere ricevuti dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, di colmare le lacune legislative in tema di amianto. Basta discutere di premi di maggioranza per la legge elettorale! Sarà battaglia!”.
Il Senatore Felice Casson, che in più occasioni si è occupato e ha dato battaglia in Parlamento sul tema dell’amianto e la relativa legislazione, aveva proposto un disegno di legge in commissione giustizia per interrompere la prescrizione almeno al I° grado di giudizio in sede penale – dando così una buona mano al processo Eternit in corso e non solo a lui. “Avevamo raccolto il sostegno di parlamentari di quasi tutti gli schieramenti politici ma il governo ci impose un alt: l’esecutivo disse di star lavorando a una proposta più ampia su anticorruzione e anticoncussione. E quindi avevamo l’obbligo di fermare tutto, sapendo che dopo 30 giorni il governo avrebbe dovuto presentare la sua proposta anche sulla prescrizione. Era giugno e, da allora, sono ampiamente passati i 30 giorni. Questa sentenza ci ha posto di fronte al quel problema irrisolto con drammaticità: non era dovuta quell’interpretazione e non ne convidido l’impianto giuridico. La responsabilità però resta tutta politica”.
“Abbiamo pianto tutta la notte, la maggior parte di noi ha perso fiducia nella giustizia – racconta esausto Pesce. “Dicono che l’amianto non ha commesso un disastro, ma noi diciamo che non vogliamo vedere più nessuno morire per colpa dell’amianto.”
Anche i Tribunali dei padroni devono essere terreno di scontro di classe
Eternit, il calpestabile dolore
Alessandro Robecchi
Cacciare il Novecento dalle nostre vite, immaginare di superare quelle divisioni tanto radicate in secoli di storia, prima tra tutte quella tra capitale e forza lavoro, accettare il mood furbetto del “tutti sulla stessa barca” che tralascia di dire chi rema nelle stive e chi brinda nel salone delle feste. Ecco. Anche a volerci provare, anche a volerci credere, quando si torna coi piedi per terra si rischia di farsi un po’ male. Chi ha visto le immagini della lettura della sentenza Eternit, ieri in Cassazione a Roma, può capire.
Da una parte l’impunibile profitto a spese dei lavoratori e degli abitanti, dall’altra il calpestabile dolore delle vittime. Dicano esperti e giuristi della correttezza tecnica della sentenza. Qui non interessa. Quel che si vede da qui sono i più di tremila morti da una parte e l’arroganza impunita dall’altra, una città martire (Casale Monferrato) e un padronato che sguscia via dalla giustizia. Tutto finito, tutto prescritto. Tranne il dolore. E il Novecento.
Ecco, di una sola cosa siamo convinti questa notte: per noi non finisce qua, ci potete scommettere...
20 novembre
Chiara Organtini
"Dopo la sentenza su Eternit, come facciamo a fidarci della giustizia in Italia?"
Le voci dei parenti delle vittime dopo l'annullamento della condanna in secondo grado per Stephan Schmidheiny. "Il governo ha una responsabilità politica" dice Felice Casson a pagina99. E a Casale il sindaco indice il lutto cittadino
“Noi non perdiamo la speranza, non volteremo lo sguardo da un’altra parte come sta facendo lo Stato che garantisce l’imputato ma non protegge le vittime. Questa sentenza sembra il risultato di una dottrina ottocentesca. L’Italia non è pronta, non sarà mai pronta, a dare giustizia. Siamo dei dilettanti in confronto a magistrati e miliardari, la nostra capacità di organizzazione passa tutta per il volontariato. E per il balsamo e l’abbraccio dei compagni di lotta provenienti da tutto il mondo che domani, a Casale Monferrato, parteciperanno all’assemblea cittadina”. La voce di Bruno Pesce, presidente dell’associazione familiari e vittime dell’amianto, si interrompe, è rotta dal pianto ma non è piegata nella sua tenacia.
La sentenza della Cassazione di Roma, ha prescritto il reato di disastro ambientale nel processo Eternit rivolto all’unico imputato rimasto, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny – Louis De Cartier è morto prima della sentenza d’appello.
I giudici della corte hanno infatti annullato (senza rinvio) la condanna inflitta nel secondo grado – 18 anni per Schmidheiny – ribaltando quello che tutto il mondo attendeva come un verdetto storico: il disastro ambientale, come aveva preannunciato il procuratore generale Iacoviello nella requisitoria della mattinata, è da ricondurre ad una condotta. Una volta che la condotta è conclusa, cessa l’effetto del disastro. Il pg aveva richiamato il diritto, non la giustizia. L’Eternit dello svizzero ha chiuso i battenti nel 1986 a Casale, ma l’esposizione all’amianto senza protezione, a cui ha sottoposto i lavoratori e i cittadini di Casale Monferrato, Rubiera, Cavagnolo e Bagnoli, ha fatto 3000 vittime e il suo conto non s’arresta: secondo gli epidemiologi, il picco delle morti arriverà tra il 2020 e il 2025. Nel 1986, quando la fabbrica di Schmidheiny ha chiuso a Casale, è nata una ragazza che non ha mai lavorato all’Eternit ma che, a causa del tumore da amianto (il mesotelioma), è morta la settimana scorsa.
“E’ come se decidessi di mettere una bomba con uno scoppio ritardato a 40 anni – racconta Pesce. Quando scoppierà e farà vittime, io non sarò più perseguibile; il disastro non ci sarà”. “Eppure – spiega l’avvocato Davide Petrini che ha difeso le parti civili nel I e II grado del processo e che ora è tornato a fare il Professore di diritto penale del lavoro a Torino, le morti sono la prova che il disastro ancora esiste. Questa sentenza, anche se dobbiamo aspettarne le motivazioni, è un paradosso, ma d’altronde la legge sul reato ambientale risale al 1930. Come potevano immaginare i nostri avi che ci sarebbe stato un disastro lungo oltre 40 anni?”
Le motivazioni della Corte però, potranno discostarsi dalla sua stessa pronuncia. “E già ora abbiamo la conferma che le morti non sono smentite dalla Corte" incalza Sergio Bonetto, legale delle parti civili in quest’ultimo grado di giudizio. “Quel che sembra confermato dalla Cassazione è l’errore della Procura della Repubblica fin dal principio dell’istruttoria, quando decise di procedere per disastro anziché per omicidio. E noi infatti procederemo ora con un processo per omicidio”.
Il problema però resta e anzi, si aggrava. Ed è anche la politica ad aver inferto il colpo più lacerante. “Con questa sentenza – ricorda ancora il Professor Petrini – non si potrà più celebrare alcun processo per amianto in Italia”. E sarà altrettanto difficile se non impossibile, recuperare il risarcimento del danno per le vittime e gli eredi.
“La prescrizione del reato inibisce il danno alle parti civili nei primi gradi di giudizio – spiega La Peccerella, l’avvocato dell’Inail che ha seguito il processo, fino a qualche settimana fa.
“Il nostro presidente del Consiglio aveva detto largo ai giovani, così io trattenuto in servizio, sono stato destinato alla pensione alla fine di ottobre. Dopo di me però, nessun giovane, né tanto meno un’assunzione”. La Peccerella aveva fatto da apripista nel recupero delle provvisionali imposte a Schmidheiny, anche fuori dal perimetro di competenza dell’ente: centinaia di milioni che lo svizzero avrebbe dovuto versare a titolo di risarcimento alle parti civili, ma che non ha mai fatto. Il lavoro dell’Inail, nel recupero fatto da La Peccerella, si è dovuto così fermare.
“I 280 milioni di risarcimento negati all’Inail potrebbero non essere annullati in sede civile e comunque occorre aspettare le motivazioni della sentenza. Quel che è più grave, però, è il segreto bancario svizzero che ci impedisce di aggredire le proprietà del magnate dell’Eternit: sappiamo che le risorse per coprire gli oltre 300 milioni di provvisionali ci sono nelle tasche di Schmidheiny. Ha ancora fabbriche in Cina e in Russia. Ma pur avendo la Svizzera aderito al sistema di omologazione delle sentenze (dal prossimo gennaio), rischiamo di non recuperare alcun centesimo. E poi, certamente, rimane l’immane problema della prescrizione: in sede penale non basta portare a processo qualcuno per interromperne il decorso. Con il penale criminale potremmo riempire le carceri, ma con quello finanziario, su cui urge una modifica legislativa, l’Italia è uno dei pochi paesi – nell’elenco di quelli con un sistema politico meno democratico del nostro – dove non conta niente.”
Intanto a Casale, il primo sindaco donna, Titti Palazzetti, ha indetto per oggi il lutto cittadino. “Sono addoloratissima, la sentenza tradisce il lavoro fatto in tutti questi anni, anche se il reato è stato riconosciuto”. Dopo oltre due anni dalla decisione, finalmente, sono stati sbloccati i 18 milioni di euro che il governo aveva destinato a Casale Monferrato per le bonifiche. “Sono ancora in Regione, ma stavolta abbiamo speranza di vederli – spiega Palazzetti – perché li hanno tolti dal Patto di stabilità 2015. Sebbene l’ex sindaco di Casale Demezzi stava per cadere nella tentazione di prendere i soldi offerti da Schmidheiny, abbiamo fatto bene a non prendere un centesimo da lui. Ora però spetta al governo fare la sua parte: chiediamo di essere ricevuti dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, di colmare le lacune legislative in tema di amianto. Basta discutere di premi di maggioranza per la legge elettorale! Sarà battaglia!”.
Il Senatore Felice Casson, che in più occasioni si è occupato e ha dato battaglia in Parlamento sul tema dell’amianto e la relativa legislazione, aveva proposto un disegno di legge in commissione giustizia per interrompere la prescrizione almeno al I° grado di giudizio in sede penale – dando così una buona mano al processo Eternit in corso e non solo a lui. “Avevamo raccolto il sostegno di parlamentari di quasi tutti gli schieramenti politici ma il governo ci impose un alt: l’esecutivo disse di star lavorando a una proposta più ampia su anticorruzione e anticoncussione. E quindi avevamo l’obbligo di fermare tutto, sapendo che dopo 30 giorni il governo avrebbe dovuto presentare la sua proposta anche sulla prescrizione. Era giugno e, da allora, sono ampiamente passati i 30 giorni. Questa sentenza ci ha posto di fronte al quel problema irrisolto con drammaticità: non era dovuta quell’interpretazione e non ne convidido l’impianto giuridico. La responsabilità però resta tutta politica”.
“Abbiamo pianto tutta la notte, la maggior parte di noi ha perso fiducia nella giustizia – racconta esausto Pesce. “Dicono che l’amianto non ha commesso un disastro, ma noi diciamo che non vogliamo vedere più nessuno morire per colpa dell’amianto.”
Anche i Tribunali dei padroni devono essere terreno di scontro di classe
Eternit, il calpestabile dolore
Alessandro Robecchi
Cacciare il Novecento dalle nostre vite, immaginare di superare quelle divisioni tanto radicate in secoli di storia, prima tra tutte quella tra capitale e forza lavoro, accettare il mood furbetto del “tutti sulla stessa barca” che tralascia di dire chi rema nelle stive e chi brinda nel salone delle feste. Ecco. Anche a volerci provare, anche a volerci credere, quando si torna coi piedi per terra si rischia di farsi un po’ male. Chi ha visto le immagini della lettura della sentenza Eternit, ieri in Cassazione a Roma, può capire.
Da una parte l’impunibile profitto a spese dei lavoratori e degli abitanti, dall’altra il calpestabile dolore delle vittime. Dicano esperti e giuristi della correttezza tecnica della sentenza. Qui non interessa. Quel che si vede da qui sono i più di tremila morti da una parte e l’arroganza impunita dall’altra, una città martire (Casale Monferrato) e un padronato che sguscia via dalla giustizia. Tutto finito, tutto prescritto. Tranne il dolore. E il Novecento.
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