SICUREZZA
SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
NEWSLETTER
N. 212 DEL 03/06/15
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
L’ILLUMINAZIONE NATURALE E ARTIFICIALE DEGLI AMBIENTI
DI LAVORO CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AGLI UFFICI E ALLE POSTAZIONI CON VIDEOTERMINALE
– SECONDA PARTE
A
seguito di varie richieste sui requisiti relativi all’illuminazione degli
ambienti di lavoro in generale e delle postazioni con videoterminale in
particolare, ho realizzato la seguente relazione relativa a tutti gli obblighi
di legge finalizzati a tale aspetto.
Come
sempre ho fatto in precedenti occasioni, riporto tale relazione all’interno
della mia Newsletter per rendere edotti tutti coloro che la seguono su quelli
che sono i loro diritti relativamente ai requisiti dell’illuminazione degli
ambienti di lavoro.
Visto
la vastità dell’argomento ho diviso la relazione in tre parti.
La
prima parte (che è stata pubblicata nella Newsletter 211) è relativa a:
-
premessa;
-
normativa
di riferimento.
La
seconda parte (che viene pubblicata nella presente Newsletter) è relativa a:
-
l’illuminazione: concetti
generali
La
terza parte (che verrà pubblicata nella Newsletter 213) è relativa a:
-
requisiti minimi per
l’illuminazione dei luoghi di lavoro;
-
conclusioni.
Marco
Spezia
3. L’ILLUMINAZIONE: CONCETTI GENERALI
3.1 LUCE E PRESTAZIONE VISIVA
La
conoscenza della natura della luce e delle grandezze utili a misurare le
sensazioni che questa produce nell’uomo, sono importanti per descrivere
l’ambiente visivo e individuare i parametri e i fattori che condizionano
l’affidabilità della prestazione visiva nei luoghi di lavoro.
3.2 LA LUCE E IL FENOMENO DELLA VISIONE
Ciò che
definiamo radiazioni luminose o più semplicemente luce, sono le radiazioni
elettromagnetiche che l’occhio umano è in grado di percepire e precisamente
quelle che hanno una lunghezza d’onda (λ) nel vuoto compresa tra 400 e 780
nanometri (nm).
La luce
è quindi la sensazione soggettiva prodotta dall’interazione di queste
radiazioni con l’apparato visivo.
Molte
delle impressioni sensoriali dell’uomo sono di natura ottica e necessitano
della luce come veicolo di informazione. Essa perciò ha una rilevanza
fondamentale nella percezione del mondo e dunque nelle attività umane e
influenza grandemente le relazioni fisiologiche, emozionali, psicologiche
dell’uomo.
L’atto
del vedere si esplica in una complessa sequenza di fenomeni fisici, chimici e
nervosi e si manifesta concretamente attraverso la percezione delle forme, del
colore, del rilievo e del movimento degli oggetti.
Nell’apparato
della visione l’occhio è l’elemento ricevitore; in esso le radiazioni luminose
provenienti dall’esterno attraversano elementi trasparenti (cornea, umor
acqueo, cristallino, umor vitreo) che nel loro insieme costituiscono un sistema
paragonabile a un gruppo di lenti. Questi mezzi diottrici, insieme ai muscoli
intrinseci ed estrinseci dell’occhio, regolano l’ingresso e la direzione delle
radiazioni sulla retina e rifrangono la luce secondo leggi puramente fisiche (rifrazione
statica) e secondo meccanismi fisiologici (rifrazione dinamica).
La
radiazioni luminose così proiettate attraverso gli elementi interni
dell’occhio, stimolano le cellule fotosensibili della retina con conseguente
generazione di impulsi nervosi. Questi, attraverso le fibre che compongono il
nervo ottico, giungono alla zona della corteccia cerebrale deputata alla
trasformazione dei segnali in percezione visiva, vale a dire in una cosciente
rappresentazione luminosa e colorata delle informazioni ricevute dal mondo
esterno. Il sistema visivo si avvale in larga misura di un sistema di autoregolazione:
per far sì che l’immagine dell’oggetto si formi sempre nitida sulla superficie
della retina, il cristallino modifica la sua forma in rapporto alla distanza
dell’oggetto osservato (accomodazione); l’iride è in grado di allargare o
restringere il diametro della pupilla regolando così la quantità di luce
incidente sull’occhio e le caratteristiche ottiche del sistema visivo si
adeguano alla luminanza del campo visivo o alla distribuzione spettrale dello
stimolo luminoso (adattamento). I muscoli oculari hanno la funzione di mirare
il campo visivo e di far convergere entrambi gli occhi sullo stesso punto in
modo che le immagini arrivino sulla parte della superficie retinica in cui si
ha la massima risoluzione (fovea) e si fondano, permettendo la valutazione
delle dimensioni, della tridimensionalità e della distanza dell’oggetto
osservato.
3.3 LE PRINCIPALI GRANDEZZE FOTOMETRICHE
L’occhio
non è un semplice strumento di registrazione di radiazioni: esso possiede
regole e modalità proprie di ricezione che è importante conoscere per poter
descrivere le caratteristiche dell’illuminazione di un ambiente.
Dagli
studi effettuati per definire gli effetti che la radiazione produce
sull’osservatore è stato riscontrato che la risposta fisiopsicologica
(percezione) è diversa a seconda della lunghezza d’onda che caratterizza la
radiazione.
Innanzitutto
diversa è la sensazione cromatica: a ogni lunghezza d’onda e alle loro innumerevoli
combinazioni sono associate percezioni cromatiche differenti dovute alla
diversa sensibilità spettrale dei fotorecettori retinici.
Diversa
è anche l’intensità della risposta, vale a dire la visibilità delle radiazioni:
l’occhio, infatti, manifesta sensibilità maggiori o minori a seconda che la
lunghezza d’onda della sorgente luminosa si trovi rispettivamente al centro o
agli estremi della banda delle radiazioni visibili.
Considerando
le diverse sensazioni prodotte nell’uomo dalle radiazioni delle diverse
lunghezze d’onda, è chiaro che per descrivere le condizioni di luce di un
ambiente o le caratteristiche di una sorgente luminosa non basta riferirsi a
grandezze energetiche (energia, potenza, ecc.). Per questo la curva di
visibilità relativa è di fondamentale importanza: essa infatti consente di misurare
la quantità di energia luminosa emessa da una sorgente o ricevuta da una
superficie in relazione alle sensazioni visive che produce e cioè passare da
grandezze energetiche a grandezze fotometriche.
Le
principali grandezze fotometriche sono:
-
il flusso luminoso (Ф) che
esprime l’energia luminosa emessa da una sorgente puntiforme e ponderata in
base alla curva di visibilità relativa; l’unità di misura è il lumen (lm);
-
l’intensità luminosa (I) che
esprime il flusso luminoso emesso da una sorgente puntiforme in una determinata
direzione entro un angolo solido unitario, l’unità di misura è la candela (cd);
-
la luminanza (L) che
esprime l’intensità luminosa prodotta o riflessa da una superficie estesa in
rapporto all’area di tale superficie così come è vista dall’osservatore (area
apparente); l’unità di misura è la candela per metro quadrato (cd/m2);
-
l’illuminamento (E) che
esprime il flusso luminoso incidente su una superficie in rapporto all’area di
tale superficie; l’unità di misura è il lumen per metro quadrato (lm/m2)
e viene detta lux (lx).
Per una
più puntuale definizione di queste stesse grandezze si veda la norma UNI EN
12665:2011.
Le
radiazioni luminose percepite da un soggetto in un ambiente interno sono solo
in parte emesse direttamente dalle sorgenti luminose; una quota più o meno
importante è invece prodotta dalla riflessione dei vari componenti
dell’ambiente (pareti, soffitto, pavimenti, arredi, ecc.).
3.4 LA PRESTAZIONE VISIVA
L’adeguatezza
di un ambiente visivo (che, ricordiamo, deve soddisfare esigenze di buona visibilità,
confort visivo e sicurezza) è misurata in termini di prestazione visiva,
espressione utilizzata per descrivere la capacità di rilevazione e l’attitudine
a reagire che una persona manifesta quando i dettagli dell’oggetto della
visione (compito visivo) entrano nello spazio di osservazione (campo visivo).
La
prestazione visiva è condizionata da diverse variabili che si possono
ricondurre a tre elementi fondamentali: le capacità visive del soggetto, il compito visivo, le caratteristiche
dell’ambiente.
Una
prestazione visiva affidabile può essere conseguita attraverso numerose
combinazioni di questi fattori e le eventuali carenze di uno o più di essi
possono parzialmente essere compensate da un opportuno incremento degli altri.
3.5 LE CAPACITÀ VISIVE DEL SOGGETTO
Come si
è detto, il sistema visivo si avvale in larga misura di un sistema di
autoregolazione per decifrare con chiarezza i messaggi luminosi, mettendo in
atto contemporaneamente meccanismi di accomodazione, regolazione della quantità
di luce incidente, convergenza dell’asse visivo, ecc. .
Tuttavia,
le caratteristiche dell’occhio variano da individuo a individuo e si modificano
con l’età, oltre che per la presenza di anomalie o difetti o per l’insorgenza
di processi patologici. Tali differenze sono riferibili principalmente al
sistema di accomodazione, alla motilità oculare, all’adattamento, al senso
cromatico e questi fattori devono essere presi in considerazione nella fase di
studio del posto di lavoro e dello spazio circostante. Il grado di accuratezza
con cui l’occhio assolve alle sue funzione è misurato in termini di acuità
visiva.
3.6 LE CARATTERISTICHE DEL COMPITO VISIVO
Le
esigenze dell’illuminazione aumentano in presenza di compiti visivi
difficoltosi o complessi, quali quelli che comportano un’osservazione
ravvicinata e prolungata, l’uso di mezzi diottrici, frequenti cambi di visuale
su oggetti posti a distanze diverse, un ridotto tempo di osservazione. Una
corretta e confortevole visione degli oggetti, dei dettagli e dello sfondo
connessi al tipo di mansione da svolgere dipende da numerosi parametri
direttamente correlabili a coefficienti caratteristici legati alle fonti
naturali o artificiali di illuminazione.
3.7 LE CARATTERISTICHE DELL’AMBIENTE
L’illuminazione
di un ambiente deve fornire condizioni ottimali per lo svolgimento del compito
visivo richiesto, anche quando si distoglie lo sguardo dal compito o per riposo
o per una variazione del compito. L’impressione visiva di un ambiente è
influenzata dall’aspetto delle superfici degli oggetti visivi principali
(compito visivo, arredi e persone al suo intorno), del suo interno (pareti,
soffitti, pavimenti, arredi e macchine) e delle sorgenti di luce (finestre e
apparecchi d’illuminazione) e dipende principalmente dai seguenti parametri:
1) Illuminamento:
la quantità di luce che cade sulle superfici influenza notevolmente la percezione
visiva. La visione può essere resa difficoltosa da un difetto di illuminamento
come anche da un eccesso in quanto possono insorgere fenomeni collaterali (per
esempio abbagliamento) che disturbano e alterano la visione. Nella scala degli
illuminamenti raccomandati per gli ambienti interni il valore minimo adottato è
di 20 lx (valore che in condizioni normali permette di riconoscere una persona
dai tratti del viso) e quello massimo di 5.000 lx.
2) L’illuminamento
dell’ambiente va correlato a quello presente nella zona del compito visivo e
non deve presentare eccessive disuniformità all’interno del locale o tra
ambienti comunicanti poiché il passaggio da zone scarsamente illuminate a zone
illuminate può determinare abbagliamento o, nel passaggio inverso, creare
difficoltà di adattamento visivo.
3) Abbagliamento:
con questo termine si indica quella condizione visiva di disconfort e/o di riduzione
della capacita di vedere che si manifesta quando nell’ambiente le luminanze non
sono correttamente distribuite o i contrasti di luminanza sono eccessivi per la
presenza nel capo visivo di sorgenti primarie di luce (abbagliamento diretto) o
di superfici riflettenti (abbagliamento riflesso o di velo). Sorgenti luminose brillanti possono
causare abbagliamento e inficiare la visione degli oggetti. Questo si evita,
per esempio, con una adeguata schermatura delle lampade o con tende alle
finestre.
4) Direzione
della luce: l’aspetto generale di un ambiente è migliore se la struttura, le
persone e gli oggetti al suo interno sono illuminati in modo tale che le forme
e la tessitura delle superfici siano percepite in modo chiaro e piacevole.
Questo effetto si ottiene quando la luce proviene in modo predominante da una
direzione e le ombre e le penombre che si formano danno rilievo alle cose ed
espressione ai visi. La direzionalità della luce deve essere accuratamente
determinata e ben equilibrata con l’illuminazione diffusa: infatti, se
l’illuminazione è troppo direzionale si generano ombre troppo forti e nette, se
è troppo diffusa, l’assenza di ombre nuoce alla buona visibilità e rende
l’ambiente monotono o sgradevole.
5) Luce
diurna: la presenza di luce diurna influenza le caratteristiche
illuminotecniche di tutto l’ambiente. Le dimensioni, la disposizione e
l’orientamento dei varchi di luce naturale sono quindi importanti in quanto in
grado di condizionare l’ambiente visivo e, di conseguenza, l’affidabilità della
prestazione visiva.
3.8 L’ILLUMINAZIONE NATURALE
L’illuminazione
naturale è l’illuminazione che si ottiene utilizzando la luce diurna, vale a
dire quella parte di energia che il sole fornisce alla terra e che può essere
diretta o riflessa dalla volta celeste e dalle varie superfici dell’ambiente
esterno e interno.
Nell’illuminazione
degli ambienti l’impiego della luce diurna è importante sia per la qualità
della visione e le caratteristiche di gradevolezza e accettazione da parte
degli occupanti, che per ragioni connesse al risparmio energetico. Il
contributo della luce naturale nell’illuminazione degli interni va inoltre
privilegiato in quanto la presenza nell’involucro di un edificio di aperture
verso l’esterno permette di cogliere le modulazioni del ciclo della luce a cui
sono legate importanti funzioni fisiologiche e di mantenere un legame visivo
col mondo circostante che è un bisogno psicologico elementare dell’uomo.
La luce
diurna è caratterizzata da variazioni nel tempo di quantità, composizione spettrale
e direzione e il suo ingresso negli ambienti confinati dipende :
-
dalla località,
-
dall’orientamento dell’edificio,
-
dell’orientamento e dalle caratteristiche delle
chiusure trasparenti,
-
dalla presenza nell’intorno di edifici o altri
elementi del paesaggio.
-
L’illuminazione
naturale può fornire tutta o parte dell'illuminazione di un compito visivo. Essa
varia col tempo in intensità e
-
in composizione
spettrale e perciò produce condizioni luminose variabili in un interno. La luce
naturale può creare
-
distribuzione
di luminanze specifici, dovute alla luce che entra quasi orizzontalmente dalle
finestre laterali.
Le finestre che forniscono un
contatto visivo con l’esterno sono preferite dalla maggior parte delle persone.
Negli interni con finestre laterali,
l’illuminazione naturale diminuisce rapidamente all’aumentare della distanza
dalla finestra.
E' necessaria quindi una
illuminazione supplementare per garantire l'illuminamento richiesto sul posto
di lavoro e per bilanciare la distribuzione delle luminanze all'interno del
locale.
Se vi è abbagliamento dalle
finestre, si devono utilizzare schermi appropriati per ridurlo.
LE LINEE GUIDA PER LA RIDUZIONE DEL
RISCHIO DA ESPOSIZIONE ALLE FIBRE ARTIFICIALI VETROSE (FAV)
Da Portale
Consulenti
18 maggio
2015
di Matteo
Puppo
Il 25 marzo
2015 è stato approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano il documento “Le Fibre
Artificiali Vetrose (FAV): Linee guida per l’applicazione della normativa
inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela
della salute”.
Il documento
è così strutturato:
-
Premessa
-
Identità
-
Proprietà
chimico fisiche
-
Classificazione
di pericolo e aspetti normativi
-
Metodi di
prova ai fini della classificazione delle fibre
-
Tipologia di
utilizzo e settori di impiego
-
Effetti
sulla salute
-
Esposizione
a fibre vetrose artificiali (fav) nei luoghi di lavoro (d .lgs 81 /08)
-
Valori di riferimento
e dati di esposizione
-
Gestione
operativa dei rifiuti contenenti fibre minerali
-
Indicazioni
operative
-
Riferimenti
-
Allegato 1
-
Allegato 2
Sotto la
denominazione di FAV è ricompreso un ampio sotto gruppo di fibre inorganiche
che, con la messa al bando dell’amianto, hanno assunto, per le loro
caratteristiche di isolamento termico e acustico, una rilevantissima importanza
commerciale, con un largo impiego in svariati settori produttivi, in
particolare nei settori dell’edilizia, del tessile e dei prodotti plastici.
Le
caratteristiche di isolamento delle FAV risultano particolarmente utili per
assicurare importanti risparmi energetici, che possono raggiungere ed anche
superare il 70% nel settore dell’edilizia, settore in cui si verifica il
maggior consumo di energia per riscaldare o per climatizzare gli ambienti (pari
a circa il 40% del consumo totale di energia), superiore a quello stimato
nell’ambito dei trasporti o industriale.
L’alto
livello di diffusione e utilizzo delle FAV impone, a tutela della salute della
popolazione e dei lavoratori, ogni approfondimento utile sulle conoscenze
scientifiche più aggiornate relative ai rischi legati alla esposizione a fibre
artificiali vetrose, per individuare le necessarie misure di prevenzione da
adottare e le corrette modalità di impiego, uso e manutenzione da rispettare.
L’evoluzione
normativa e il progresso delle conoscenze scientifiche hanno reso ormai datate
e non più attuali le linee guida per il corretto impiego delle fibre di vetro
isolanti, emanate con la Circolare del Ministero della Sanità n. 23 del 25
novembre 1991.
Per tale
motivo è stato costituito presso l’Ufficio II della Direzione Generale della
Prevenzione un tavolo di lavoro, composto da esperti in vari campi con il
mandato di provvedere a una revisione sulle più recenti conoscenze relative ai
pericoli e danni per la salute derivanti dall’esposizione a FAV, per
individuare e focalizzare procedure utili a consentire una corretta valutazione
dei rischi e l’individuazione delle misure di prevenzione da adottare per la
tutela della salute, in linea rispetto alla normativa più recente.
Il documento
“Le Fibre Artificiali Vetrose (FAV): Linee guida per l’applicazione della
normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela
della salute” approvato il 25 marzo 2015 dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano è
scaricabile all’indirizzo:
GLI INDUMENTI CON
FUNZIONE DI PROTEZIONE DEVONO ESSERE LAVATI DAL DATORE DI LAVORO
Da
Studio Cataldi
I
panni sporchi non si lavano in famiglia...
Commento
alla sentenza n. 8585/2015 della Cassazione Civile
La
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, torna a pronunciarsi sulla questione
relativa al lavaggio dei Dispositivi di Protezione Individuali e, in
particolare, degli speciali indumenti necessari all’esercizio di alcune
attività insalubri.
Il
caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte ha riguardato l’attività di
raccolta e smaltimento dei rifiuti, ma in giurisprudenza, anche di merito, il
principio è stato utilizzato anche in altri ambiti lavorativi e, pertanto,
applicabile ad altre tipologie di lavoratori, quali ad esempio ai dipendenti
con mansioni di pulizia dei treni e delle stazioni (Sentenza della Cassazione
Civile n. 16495 del 18/07/14,) e, più in generale, a tutti i lavoratori esposti
al contatto con polveri nocive, agenti chimici, biologici o ad ambienti
insalubri.
Nel
caso in commento, la vicenda ha riguardato alcuni dipendenti di impresa
esercente attività di raccolta e smaltimento di rifiuti, che avevano adito
dapprima il Tribunale e, successivamente, la Corte d’Appello, per far dichiarare nulla la
norma del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro che poneva in capo agli
stessi lavoratori l’obbligo di lavaggio dei dispositivi di protezione, a fronte
di un compenso in relazione ai giorni lavorati, con contestuale richiesta di
risarcimento danni.
Dopo
il rigetto in primo grado, la domanda veniva accolta in appello, con il
riconoscimento dell’obbligo di legge gravante sul datore di lavoro di
provvedere alla fornitura e manutenzione periodica, ivi compreso il lavaggio,
dei dispositivi di protezione individuale e la conseguente nullità della
previsione della norma del Contratto Collettivi Nazionali di Lavoro che prevedeva
l’obbligo a carico dei lavoratori del lavaggio seppure dietro il compenso di
lire 500 per ogni giorno di effettiva presenza al lavoro.
Il
datore di lavoro ricorreva in cassazione deducendo, tra l’altro, che gli
indumenti in ordine ai quali i lavoratori lamentavano di aver curato il
lavaggio, facevano parte del corredo di abiti consegnati e indossati dagli
operatori al solo fine di preservare i loro indumenti e che, comunque, tutti i
dispositivi di protezione (tute protettive, guanti, scarpe rigide, soprascarpe,
caschi, giacche rifrangenti) erano “a perdere”, pertanto, non necessitavano di
lavaggio.
La Corte di Cassazione, con
sentenza n. 8585, del 28 aprile 2015, ha rigettato il ricorso, condannando la
ditta datrice al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.
La Suprema Corte, dopo aver
premesso che sia la sentenza del Tribunale sia quella di secondo grado hanno
accertato che gli indumenti consegnati ai lavoratori dalla ditta datrice erano
Dispositivi di Protezione Individuale, né risulta dalle sentenze che i
dispositivi di protezione forniti dall’azienda fossero altri e “a perdere”, ha
ritenuto che le censure si risolvono nell’inammissibile richiesta di un riesame
di circostanze fattuali già vagliate dai Giudici del merito che hanno
qualificato gli indumenti di cui all’elenco fornito dai lavoratori fin dal
primo grado dispositivi di protezione, così come sostenuto dagli stessi
lavoratori, considerato che l’azienda svolgeva attività insalubre, di raccolta,
trasporto e smaltimento dei rifiuti e, dunque, era tenuta per legge, ai sensi
del D.P.R. 547/55 e del D.Lgs. 626/94 (articoli 40 e 43), alla fornitura e
manutenzione periodica, ivi compreso il lavaggio periodico, dei dispositivi di
protezione, e che, anzi nel frattempo, l’attività di lavaggio era stata
assunta, in adempimento di preciso obbligo sancito dal contratto collettivo,
dall’Azienda in proprio.
Afferma
altresì che: “l’idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro
deve mettere a disposizione dei lavoratori (a norma del D.P.R. 457/55, articolo
379, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 626/94 e ai sensi degli
articoli 40 e 43, commi 3 e 4, di tale Decreto, per il periodo successivo) deve
sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche
durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa.
Le
norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto
di autonomo diritto primario assoluto (articolo 32 della Costituzione), solo
nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta
fattispecie, è quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni.
Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti
in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro,
quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni”.
Ciò
posto, sussiste il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno ai sensi
dell’articolo 1218 del Codice Civile, risultando affetta da nullità parziale,
per contrasto con norme imperative (D.P.R. 547/55 fino alla data di entrata in
vigore del D.Lgs. 626/94 e successivamente tale Decreto) la clausola, in senso
contrario, del contratto collettivo (in precedenza Sentenze n. 22929/05, n.
14712/06, n. 11729/09, n. 23314/10, n. 16495/14 della Cassazione Civile).
Possiamo
riassumere, pertanto, come in linea generale gli indumenti di lavoro
normalmente possono assolvere diverse funzioni:
-
di
divisa, vale a dire di uniforme aziendale ovvero strumento di identificazione
del personale dipendente (si pensi al personale di bordo degli aerei o dei
treni);
-
di
custodia, vale a dire di salvaguardia degli abiti civili durante l’espletamento
dell’attività lavorativa (si pensi ai dipendenti delle officine meccaniche);
-
di
protezione da rischi per la salute e sicurezza, rientrando solo in questo caso
tra i Dispositivi di Protezione Individuale (si pensi agli addetti alla
raccolta e smaltimento dei rifiuti, alla pulizia delle stazioni o alla
manutenzione della rete ferroviaria).
Quando
gli indumenti assolvono l’anzidetta ultima funzione (indumenti atti ad evitare
il contagio con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici),
esiste l’obbligo di fornitura e di lavaggio degli stessi indumenti, siccome
strumentali alla tutela della salute e sicurezza dei dipendenti.
In
tali casi, i lavoratori hanno diritto alla retribuzione dell’attività
lavorativa prestata e al rimborso delle spese sostenute, per la pulizia degli
indumenti di protezione, forniti dal datore di lavoro, ogni clausola di senso
contrario, sia pure contenuta nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro,
risulta affetta da nullità parziale, per contrasto con norme imperative e, in
quanto tali, inderogabili.
Fermo
restando l’obbligo del lavoratore di preservare e curare gli indumenti forniti
dal datore di lavoro (obbligo di diligenza previsto dall’articolo 2104 del
Codice Civile) che, tuttavia, nel caso dei Dispositivi di Protezione
Individuale, non può estendersi fino al dovere di lavaggio degli stessi.
avvocato
Paolo Accoti
La
Sentenza n. 8585, del 28 aprile 2015 Corte di Cassazione Civile è scaricabile
all’indirizzo:
IL DISTACCO DI LAVORATORI:
L’AMMISSIBILITA’ E I LIMITI
Da:
PuntoSicuro
22 maggio
2015
di Rolando
Dubini, avvocato in Milano
Il distacco
non giustifica una riduzione della tutela a favore dei lavoratori. Aspetti
generali sul distacco, la responsabilità in materia di salute e sicurezza e le
sentenze della Corte di Cassazione.
ASPETTI
GENERALI
Il distacco
di lavoratori sussiste quando un datore di lavoro (distaccante), mette a
disposizione temporaneamente di un altro datore di lavoro (detto
distaccatario), uno o più lavoratori per l’esecuzione di una determinata
attività lavorativa.
Tale forma
contrattuale è regolata dall’articolo 30 del D.Lgs. 279/03 (cosiddetta “legge
Biagi”).
Il distacco
ricorre quando “un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone
temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per
l’esecuzione di una determinata attività lavorativa” (articolo 30 citato).
Quando
“nessun interesse” è ravvisabile per il distaccante, il distacco è del tutto
improponibile e illegittimo.
Si ricade in
tale tipo di rapporto di lavoro in presenza sostanzialmente di lavoratori che
hanno in pratica due datori di lavoro, uno che li distacca, che deve però avere
un suo interesse proprio al distacco in mancanza del quale il distacco è
illegittimo, e uno che li utilizza, il cui interesse è normativamente irrilevante
e ininfluente. Solitamente il distacco è legalmente utilizzabile quasi solo nel
caso di aziende collegate societariamente, negli altri casi è assai facile riscontrare
una violazione del divieto di interposizione nella cessione di manodopera, appalto
illecito di manodopera, eludendo le normative sulla somministrazione di lavoro.
LE
RESPONSABILITA’ DELLA TUTELA DELLA SALUTE E SICUREZZA
La tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori distaccati è prevista
dall’articolo 3, comma 6 del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico): “nell’ipotesi di
distacco del lavoratore di cui all’articolo 30 del Decreto Legislativo 10
settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, tutti gli obblighi di
prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo
a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici
generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene
distaccato”.
Dunque gli
obblighi fondamentali sono a carico del soggetto utilizzatore nei confronti di
lavoratori che, dipendenti da altro datore di lavoro, sono adibiti a mansioni
lavorative da questo datore di lavoro definite.
In apparenza
le modalità di tutela sembrano cosi chiaramente definite, almeno per quanto
concerne le responsabilità dirette dei datori di lavoro.
Lo schema
dei compiti che la legge attribuisce ai datori di lavoro è così caratterizzata:
-
obblighi per
il distaccante: informazione e formazione sui rischi tipici
-
obblighi per
il distaccatario: tutti gli obblighi di tutela e, in primo luogo, valutazione
dei rischi, formazione specifica, sorveglianza sanitaria.
DISTACCO E
TUTELA
Il distacco
non giustifica una riduzione della tutela a favore dei lavoratori (Sentenza
della Corte di Cassazione Penale n. 34854 del 17 giugno 2011).
La sentenza
della Cassazione Penale n. 31300 del 22 luglio 2013 ha avuto modo di precisare
meglio tale distinzione, affermando che il datore di lavoro distaccante ha
l’obbligo fondamentale di accertarsi preventivamente che nei luoghi in cui il
lavoratore sarà distaccato sussistano le condizioni di sicurezza e, solo dove
tale accertamento abbia dato esito positivo, disporre il distacco. Se ne deve
dedurre che la traslazione degli obblighi relativi ai luoghi di lavoro, delle attrezzature,
delle macchine, degli impianti, delle sostanze utilizzate, ecc. accade
effettivamente, trasferendoli in via esclusiva in capo al datore di lavoro
distaccatario, cioè quello presso il quale si svolge la prestazione lavorativa,
solo a condizione che il distaccante abbia assolto preventivamente, prima cioè
dell’inizio della esecuzione delle prestazioni lavorative, al proprio obbligo
di sopralluogo e verifica della idoneità dell’ambiente lavorativo ove il
lavoratore viene inviato.
Solo a tale
condizione gli obblighi che residueranno in capo al distaccante saranno quelli
di formazione ed informazione generici sui rischi tipici delle mansioni del
lavoratore (che già dovrebbero essere stati assolti).
Nella
fattispecie la Cassazione si è occupata del caso di un lavoratore, inviato da
un’azienda edile presso un’altra, aveva operato sopra un ponteggio con tavole
non ben ancorate al ponteggio medesimo, che, ribaltandosi, ne avevano provocato
la caduta da un’altezza di sei metri e una conseguente malattia superiore ai
sessanta giorni; poiché era emerso nel corso del processo che il datore di
lavoro distaccante si era recato in sopralluogo presso l’azienda distaccataria
e aveva rilevato l’irregolarità del ponteggio, ma non aveva sospeso il distacco
fino ad avvenuto adeguamento del ponteggio medesimo, egli è stato penalmente
condannato, unitamente al datore di lavoro distaccatario.
A maggior
ragione lo stesso tipo di rischio di responsabilità si ripropone nei così detti
distacchi impropri, nei casi cioè di invio dei propri lavoratori presso luoghi
di altri per l’esecuzione di lavori da parte dell’impresa inviante (per
l’esecuzione di commesse, incarichi, commissioni, opere, ecc.).
La Sentenza
della Cassazione Penale n. 19533 del 18 maggio 2011 si è occupata del caso di
un lavoratore inviato presso un’altra azienda per verificare un lavoro da
svolgere e redigere il relativo preventivo. Salito sul tetto di una cella
frigorifera, pur dotato di scarpe antiscivolo, scivolava e nel cadere a terra
si rompeva un calcagno. Il datore di lavoro del lavoratore infortunato è stato
condannato, a nulla valendo il suo tentativo di difendersi argomentando che la
mancata adozione delle misure di sicurezza da attuare sulla cella non poteva
essere a lui imputabile in quanto il fatto era accaduto in luogo di un soggetto
terzo, estraneo alla propria possibilità e sfera di influenza e controllo.
In un altro
caso il presidente di una cooperativa di servizi si difendeva, in ordine
all’infortunio accaduto ad un suo dipendente che stava usando un carrello
elevatore per eseguire dei lavori presso l’opificio industriale di un’azienda
appaltante il servizio di pulizie, osservando ch’egli aveva diligentemente
acquisito e controllato il documento di valutazione dei rischi redatto
dall’azienda proprietaria dell’opificio, senza che si potesse pretendere che
egli dovesse controllare il rispetto della normativa antinfortunistica
dell’opificio anche materialmente oltre che documentalmente. La Cassazione
Penale con Sentenza n. 35412 del 29 settembre 11) ha respinto questa tesi
difensiva, affermando che il controllo del committente doveva spingersi invece
proprio fin anche al controllo materiale della sicurezza dell’opificio;
condannando così sia il Presidente della cooperativa che il datore di lavoro
dell’opificio committente.
L’insieme di
tali casi insegna dunque che ogni datore di lavoro (ed altri soggetti
responsabili della sicurezza), quando invia un proprio dipendente in luoghi
estranei alla propria impresa, non può esimersi dall’obbligo di garantire
l’incolumità del proprio dipendente in quanto tali luoghi sarebbero estranei
alla propria sfera di controllo, ma, al contrario, deve sempre aver cura di
verificare che, anche in essi, il proprio dipendente possa svolgere il suo
operato in piena sicurezza, dovendo altrimenti intervenire per prevenire tutti
gli eventi rischiosi ragionevolmente prevedibili.
Ad ulteriore
conferma di ciò, si veda anche la Sentenza della Cassazione Penale n. 37747 del
13 settembre 2013, che ha condannato il datore di lavoro di un autista
infortunatosi nell’uso di un automezzo per il trasporto di materiali, a seguito
di incidente accaduto per il cattivo funzionamento dei freni dell’automezzo,
per aver dotato il dipendente di un mezzo non adeguatamente efficiente).
Si rimanda
infine alla Sentenza n. 31300 del 22 luglio 2013 della Cassazione Penale
relativa al distacco del lavoratore e ripartizione degli obblighi tra datore di
lavoro distaccante e distaccatario.
La Sentenza
della Corte di Cassazione Penale Sezione IV n. 31300 del 22 luglio 2013 “Il
datore di lavoro distaccante non può dare corso al distacco di un lavoratore
senza avere preventivamente accertato dell’esistenza delle condizioni di
sicurezza dei luoghi presso i quali lo stesso viene distaccato” è consultabile
all’indirizzo:
MACCHINE IN EDILIZIA: I RISCHI DELLE
PIATTAFORME DI LAVORO MOBILI ELEVABILI
Da:
PuntoSicuro
22 maggio
2015
Una scheda e
una lista di controllo si soffermano sulla sicurezza delle piattaforme di
lavoro mobili elevabili. Il rischio di ribaltamento, di caduta dall’alto e di
caduta di materiale. la presenza di linee elettriche e il posizionamento della
macchina.
Le
piattaforme di lavoro mobili elevabili, attrezzature conosciute anche come
“piattaforme aeree o elevabili”, “ponti sviluppabili” o in gergo tecnico,
“cestelli”, sono quelle attrezzature che la norma definisce come “ponti mobili
sviluppabili” e che sono indicate anche con l’acronimo “PLE” (Piattaforme di
Lavoro Elevabili).
Di questi
“ponti sviluppabili” esistono in realtà un numero considerevole di tipologie e
modelli con predisposizione specifica per diversi ambienti di lavoro.
Ad esempio
le PLE possono essere articolate, telescopiche, a pantografo (verticali) o si
possono anche suddividere in autocarrate, rimorchiate (su carrello trainabile)
e semoventi.
In ogni
caso, come più volte segnalato anche nella rubrica “Imparare dagli errori”,
tutte queste tipologie di PLE presentano vari rischi per la sicurezza dei
lavoratori.
E per
migliorare la prevenzione degli infortuni nell’uso delle PLE presentiamo oggi
una scheda contenuta nella seconda parte del manuale “Le macchine in edilizia.
Caratteristiche e uso in sicurezza”, un documento nato dal rapporto di
collaborazione tra l’INAIL Piemonte e il CPT Torino.
La Scheda 3
“Piattaforme di lavoro mobili elevabili” riguarda le piattaforme di lavoro
mobili elevabili motorizzate e ricorda che le PLE sono diventate un mezzo di
lavoro molto diffuso per i lavori in quota che non richiedono lunghi tempi di
esecuzione o che devono essere effettuati in punti circoscritti in diverse zone
del cantiere, oppure ancora per raggiungere in sicurezza punti pericolosi,
anche a notevole altezza, per la realizzazione di opere o per la
predisposizione di protezioni (ad esempio parapetti).
Oltre a
ricordare che la PLE è destinata a portare persone alla quota di lavoro che
devono operare esclusivamente dal cestello accedendo o uscendo solo dalla
posizione definita dal fabbricante, la scheda precisa che la PLE si differenzia
dalle piattaforme di lavoro autosollevanti su colonne (chiamate anche ponteggi
autosollevanti), che necessitano di installazione fissa, per le sue
caratteristiche di mobilità, mentre si differenzia dagli ascensori di cantiere
perché, a differenza di questi ultimi, non dà la possibilità di far salire e
scendere gli operatori dalla navicella in corrispondenza di diversi piani
definiti nello spazio.
Segnaliamo
che la scheda si sofferma su vari aspetti correlati alla macchina:
-
elementi
costituenti: telaio, stabilizzatori, gruppo rotazione, struttura estensibile,
piattaforma di lavoro, impianto idraulico, apparecchiatura elettrica;
-
dispositivi
di sicurezza: dispositivi di sicurezza relativi al telaio e agli
stabilizzatori, dispositivi di sicurezza relativi alla struttura estensibile,
dispositivi di sicurezza relativi alla piattaforma di lavoro;
-
dispositivi
di comando e di controllo;
-
fattori di
rischio: ribaltamento e caduta di materiale dall’alto; caduta dall’alto; urti,
colpi, impatti, compressione, schiacciamento; rischio elettrico; gas di
scarico; agenti chimici; rumore; vibrazioni.
La scheda
non solo descrive i principali rischi, ma riporta le principali misure di
sicurezza da adottare per prevenirli o per la protezione dei soggetti interessati
dalle attività inerenti l’uso dei ponti sviluppabili.
Uno dei
principali fattori di rischio è relativo al ribaltamento e alla caduta di
materiale dall’alto.
In
particolare si indica che il ribaltamento dell’attrezzatura può essere
determinato da una serie di cause come:
-
cedimento
del piano di appoggio, ad esempio per la presenza di sottoservizi;
-
posizionamento
scorretto degli stabilizzatori, ad esempio per la mancata o insufficiente distribuzione
del carico sul terreno;
-
errori di
manovra durante il sollevamento oppure esecuzione di manovre vietate;
-
cedimento
strutturale, ad esempio dovuto a mancata o carente esecuzione dei controlli, in
particolare sui dispositivi di sicurezza come i limitatori di momento;
-
urti del
braccio contro ostacoli fissi o mobili;
-
vento di
intensità elevata.
In
particolare per prevenire questo rischio occorre eseguire un’indagine
preliminare per la scelta del luogo in cui posizionare il ponte sviluppabile,
rispettare scrupolosamente le istruzioni del fabbricante e il relativo registro
di controllo, eseguire le verifiche previste dalla norma.
Ad esempio
per quanto riguarda il vento è necessario sospendere l’uso dell’attrezzatura
quando è raggiunta la velocità limite stabilita dal fabbricante o, in mancanza
di questa, dalle velocità stabilite dalla norma.
Inoltre il
rischio di caduta di materiale dall’alto è dovuto alla presenza sulla
piattaforma di utensili che possono sfuggire alla presa del lavoratore o
materiali di vario genere che possono fuoriuscire dalla piattaforma anche a
causa di errate manovre che comportano l’urto della piattaforma contro
strutture fisse. L’operatore a bordo della navicella deve prestare particolare
attenzione nell’utilizzare utensili, avendo cura di riporli in apposite guaine
o di assicurarli in modo da impedirne la caduta, in particolare durante le fasi
di movimentazione della piattaforma. I materiali di piccole dimensioni devono
essere riposti in appositi contenitori.
Ed
evidentemente è necessario interdire il transito sotto ponti sviluppabili con
barriere o proteggere l’area a rischio con l’adozione di misure adeguate.
Un altro dei
rischi affrontati è relativo alla caduta dall’alto.
In
particolare il rischio riguarda gli operatori a bordo della piattaforma e
insorge in caso di uso non corretto della macchina; pertanto, è fatto divieto
di sporgersi dalla piattaforma sia durante le attività da eseguire a bordo
della navicella sia durante la movimentazione della stessa; il ponte
sviluppabile deve essere usato esclusivamente per l’altezza per cui è stato
progettato, senza aggiunte di sovrastrutture. Il passaggio dell’operatore dalla
piattaforma della PLE a un altro piano di lavoro deve essere reso sicuro.
Inoltre, gli operatori a bordo della piattaforma devono fare uso di idonea
attrezzatura anticaduta (cintura di sicurezza) ancorandola agli appositi punti
di aggancio predisposti a bordo della navicella e indicati dal fabbricante.
Concludiamo
con un breve approfondimento su due tematiche che riguardano la sicurezza nell’
uso di PLE.
La prima
riguarda la presenza di linee elettriche.
La scheda
indica che non è consentito eseguire lavori in prossimità di linee elettriche e
di impianti elettrici con parti attive non protette o non sufficientemente
protette e comunque a distanze inferiori di quelle riportate nella tabella
presente nella scheda, salvo che non vengano adottate misure organizzative e
procedurali, idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi, in
accordo con l’esercente della linea. Le distanze sono da considerare al netto
degli ingombri derivanti dal tipo di lavoro, delle attrezzature utilizzate,
nonché degli sbandamenti laterali dovuti all’azione del vento e degli
abbassamenti di quota dovuti alle condizioni termiche.
La seconda
riguarda il posizionamento della PLE.
Infatti la
scelta del luogo in cui stabilizzare la macchina deve essere fatta in modo che:
-
non ci sia
pericolo di scivolamento della macchina; tale rischio riguarda soprattutto le
PLE con stabilizzatori e occorre valutare: pendenza del terreno (l’attrezzatura
deve essere stabilizzata su terreni pianeggianti, tuttavia gli stabilizzatori
sono progettati per compensare piccole pendenze che, fatte salve le indicazioni
del fabbricante, è opportuno non superino, sia longitudinalmente che
trasversalmente, i 4,5° pari a circa 8% di pendenza); aderenza del terreno
(occorre scegliere un terreno asciutto, non ghiacciato, compatto e ruvido specialmente
se la superficie di appoggio è in pendenza);
-
il tipo di
suolo abbia resistenza adeguata; prima di posizionare la PLE è necessario determinare
le condizioni del terreno in quanto potrebbe essere necessario l’uso di piastre
supplementari di ripartizione dei carichi; il libretto di istruzioni d’uso
fornisce i valori di pressione esercitata dagli stabilizzatori o dai pneumatici
e in alcuni casi, fornisce inoltre indicazioni in merito alla resistenza dei
vari tipi di terreno (ad esempio terreno di rinterro, suolo naturale, suolo
compatto) e la relativa superficie di appoggio minima necessaria, cioè le
dimensioni delle piastre di appoggio;
-
sia possibile
la completa estensione degli stabilizzatori lasciando adeguati spazi
percorribili.
Ricordiamo
che, come già accennato riguardo al vento, è possibile usare la piattaforma di
lavoro mobile sviluppabile in condizioni di sicurezza entro un determinato
valore di velocità del vento, specificatamente indicato dal fabbricante nel
libretto di istruzioni d’uso. Il valore massimo consentito di velocità del
vento è inoltre riportato nella targa informativa affissa alla base della PLE.
Nel libretto di istruzioni è in genere anche riportata una tabella dettagliata
con i valori delle velocità del vento secondo la scala internazionale Beaufort
e le indicazioni per un’interpretazione “visiva” della velocità del vento.
La Scheda: 3
“Piattaforme di lavoro mobili elevabili” contenuta nel documento di CPT di
Torino e INAIL Piemonte, “Le macchine in edilizia. Caratteristiche e uso in
sicurezza”, edizione settembre 2013 è scaricabile all’indirizzo:
INDUSTRIA DEL LEGNO: I RISCHI PER LA
SALUTE
Da:
PuntoSicuro
25 maggio
2015
Sull’ultimo
numero di ISL Igiene e Sicurezza del Lavoro (4/2015) è stata pubblicata una monografia
dedicata al tema “Salute e Sicurezza nell’industria del legno”.
Di questa
interessante pubblicazione riprendiamo le parti che possono essere utili alla
nostra attività di tutela.
Il
macro-settore legno-arredo comprende:
-
la prima e
seconda trasformazione del legno: produzioni di semilavorati per l’edilizia e
finitura di interni (porte, finestre, pavimenti in legno, ecc);
-
tutti i
materiali di base, semilavorati e componenti per l’industria del mobile e per
l’arredamento (industria del mobile).
Le imprese
di prima trasformazione, per la maggioranza microimprese individuali o a
carattere familiare, operano principalmente nel settore della produzione della
carpenteria, del pannello, degli imballaggi in legno e nella
commercializzazione di semilavorati. Le specie più lavorate rimangono l’abete e
il pioppo, impiegate principalmente dalle industrie di produzione dei pannelli
a base di legno e dai produttori di imballaggi. Il legname consumato (tondo e
semilavorato) proviene per oltre il 65% dall’estero.
Tra le
imprese di seconda trasformazione ad alto livello di specializzazione dei
processi produttivi e dei prodotto, le falegnamerie e le carpenterie sono
quelle maggiormente rappresentate come numero di imprese. Dalla lavorazione dei
prodotti semilavorati le imprese del settore lavorano per la produzione di
mobili in legno, panelli e prodotti finiti per l’industria meccanica e
manifatturiera utilizzando principalmente materiale proveniente dal mercato
estero.
Di
particolare importanza sono le imprese di tradizione artigianale nella
produzione di mobili, caratterizzate dalla ridotta manodopera che utilizza
principalmente legname di latifoglie proveniente dal mercato locale.
L’industria
del legno ha il più alto indice di gravità infortunistica e detiene sempre il
terzo in indice di frequenza.
Per quanto
concerne le malattie professionali i dati INAIL rilevano che il 37% delle
malattie denunciate è rappresentato dalle ipoacusie da rumore, il 32% dalle
patologie che interessano l’apparato muscolo-scheletrico, seguite dalle
neuropatie, compresa la sindrome del Tunnel Carpale con l’8%, dalle malattie
dell’apparato respiratorio sempre con l’8% e infine dalle forme neoplastiche
con il 4%.
Di queste ne
sono state accolte dall’INAIL quali malattie di origine professionale il 51%
tenendo conto che la percentuale maggiore di riconoscimenti si è registrata tra
le ipoacusie (61%) e le neuropatie (58%).
Il ciclo di
lavorazione del legname prevede schematicamente le seguenti fasi:
-
stoccaggio
del legname
-
prelevamento
del legname
-
sezionamento
del legname
-
piallatura,
profilatura, assemblaggio
-
impregnazione
ed essiccazione
-
carteggiatura
e spolvero
-
verniciatura
ed essiccazione
-
assemblaggio
trasporto e
montaggio presso cliente
Stoccaggio
legname
Rappresenta
la prima fase del ciclo lavorativo con la ricezione delle materie prime
costituite essenzialmente dal tavolame di legno e/o pannelli semilavorati.
L’immagazzinamento
del materiale necessario alla produzione può essere effettuato a mano o con
l’ausilio di mezzi meccanici (carrelli transpallet, carrelli elevatori diesel,
carrelli elettrici).
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
vibrazioni
trasmesse al corpo intero per coloro che utilizzano le diverse tipologie di
carrelli;
-
rischio
biologico da esposizione a microorganismi;
-
-Sovraccarico
biomeccanico del rachide da movimentazione manuale di carichi.
Prelevamento
legname
Le materie
prime stoccate presso il magazzino vengono prelevate e portate ai reparti per
la lavorazione con le macchine utensili.
Il prelievo
lo smistamento ed il trasporto ai reparti del materiale necessario alla
produzione può essere effettuato a mano o con l’ausilio di mezzi meccanici
(carrelli transpallet, carrelli elevatori diesel, carrelli elettrici).
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
vibrazioni
trasmesse al corpo intero per coloro che utilizzano le diverse tipologie di
carrelli;
esposizione
a rumore;
rischio
biologico per esposizione a microrganismi;
sovraccarico
biomeccanico del rachide da movimentazione manuale di carichi.
Sezionamento
del legname
In questa
fase si attua la prima lavorazione delle tavole grezze provenienti dal
deposito: la tavola viene segata longitudinalmente e/o “intestata” a misura o
piallata. Se ne ricavano quindi listelli, che ulteriormente lavorati e
assemblati tra loro costituiranno il telaio del serramento/mobile.
In questa fasi
i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
a rumore (macchine, impianto di aspirazione);
-
rischio
biologico per esposizione a microrganismi (ferite);
-
esposizione
a inalazione di polveri di legno;
-
fattori
ergonomici.
Piallatura,
profilatura, assemblaggio
In questa
fase si ha la creazione del telaio e quindi di ciò che costituirà l’ossatura
del serramento/mobile, determinandone le caratteristiche dimensionali ed
estetiche. Secondo la dotazione tecnologica dell’azienda, la lavorazione può essere
più o meno automatizzata Le macchine che possono essere presenti in questa fase
sono: tenonatrice, cavatrice, bedanatrice, scorcinatrice, calibratrice,
levigatrice a nastro, o pialle a filo spessore.
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
a rumore (macchine, impianto di aspirazione);
-
esposizione
ad inalazione di polveri di legno;
-
esposizione
a microorganismi;
-
fattori
ergonomici.
Impregnatura
ed essiccazione
Rappresenta
una operazione che consente di conferire al legno buona resistenza meccanica e
ha la funzione di dare protezione al legno contro gli agenti atmosferici, i
raggi ultravioletti, le muffe, gli sbalzi termici, i tarli e di vivificare la
sua tinta.
Ha un ruolo
molto importante, se si vuole ottenere un buon risultato, la fase di
preparazione della superficie da impregnare, una accurata carteggiatura ben
pulita e non bagnata.
A seconda
dello strato in cui si trova il supporto ligneo, è necessario effettuare una
serie di operazioni prima di passare l’impregnante. In particolare sul legno
già dipinto o verniciato, occorre effettuare la sverniciatura per ritrovare il
legno grezzo, sul legno grezzo è necessario poi, effettuare l’operazione
preliminare di levigatura generalmente con carta vetrata fine.
Le
operazioni di impregnatura vengono eseguite, in genere, nelle modalità a
immersione, a pennello e a spruzzo. In quest’ultimo caso possono essere
utilizzate macchine sprezzatrici con le quali i pezzi vengono dapprima
impregnati attraverso la nebulizzazione del prodotto quindi spazzolati per
eliminare le eccedenze di impregnante. Segue la fase di essiccazione dei semilavorati
nella quale si assiste alla completa evaporazione dei solventi.
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
ad inalazioni di sostanze nocive (vernici a solvente, diluenti);
-
esposizione
a microrganismi;
-
posture
incongrue;
-
sovraccarico
biomeccanico degli arti superiori.
Carteggiatura
e spolvero
La
carteggiatura dei manufatti è la fase lavorativa con la quale vengono eliminate
eventuali imperfezioni dalla superficie del pezzo in lavorazione attraverso
l’uso di carte o altri mezzi abrasivi. Può essere effettuata dopo la fase di
impregnatura (ad esempio nei serramenti) o dopo la verniciatura di fondo e
prima di quella finale.
La
carteggiatura può essere praticata con mezzi manuali o con mezzi meccanici,
ossia mediante elettroutensili (pistole ad aria compressa, compressore
portatile).
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
a rumore;
-
esposizione
a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio;
-
esposizione
ad inalazione di polveri di legno;
-
esposizione
ad inalazione di formaldeide;
-
esposizione
a microrganismi;
-
rischio da
posture incongrue;
-
rischio di
movimenti ripetitivi degli arti superiori.
Verniciatura
ed essiccazione
La
verniciatura è una delle operazioni di finitura dei pezzi fra le più importanti
del ciclo di seconda lavorazione del legno e viene effettuata sia manualmente
che attraverso l’utilizzo di sistemi automatizzati.
I sistemi di
applicazione delle vernici possono essere diversi e il loro impiego dipende
anche dalla natura, grandezza, forma e qualità dell’oggetto da verniciare
nonché dall’effetto estetico che si vuole ottenere.
Le tecniche
di verniciatura maggiormente utilizzate nel settore del legno, sono:
-
a spruzzo;
-
a rullo;
-
a velo;
-
a pennello.
La tecnica
di verniciatura più diffusa nell’industria del legno è quella a spruzzo.
Tale
applicazione prevede la nebulizzazione del prodotto verniciante sul supporto
ligneo mediante l’utilizzo di una speciale pistola e può essere effettuata
manualmente o mediante l’utilizzo di sistemi automatici di verniciatura (senza
l’intervento di personale).
L’applicazione
a spruzzo elettrostatica viene utilizzata in maniera molto limitata nel settore
del legno e solitamente nella verniciatura delle sedie, finestre e torniti.
Questo
sistema applicativo non esclude vernici idrosolubili.
Le
applicazioni a rullo e a velo vengono effettuate generalmente in modo
completamene automatico attraverso una linea di verniciatura che può essere
programmata e gestita mediante l’operatore (cabina verniciatura a secco, cabina
verniciatura a usno di impianto di verniciatura/impregnazione/immersione).
La
verniciatura a pennello viene effettuata manualmente, generalmente questa
tecnica si utilizza per effettuare piccoli lavori di finitura o ritocchi.
L’essiccazione
dei pezzi viene generalmente effettuata in apposita camera di essiccamento a
temperatura controllata, ma in alcuni casi la stessa cabina di verniciatura
viene utilizzata per l’essiccamento dei pezzi senza permanenza del personale,
aspirando l’aria viziata con un aspiratore e immettendo aria riscaldata con una
speciale unità termo ventilante.
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
a inalazione di sostanze nocive (vernici a solvente, diluenti);
-
esposizione
a fattori ergonomici.
Assemblaggio
L’ultima
fase del ciclo tecnologico della produzione dei manufatti in legno è costituita
dall’assemblaggio e dal montaggio finale delle varie parti dei mobili o dei
serramenti. In questa fase non vengono utilizzati, di regola, macchinari.
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
a inalazione di polveri;
-
esposizione
a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio;
-
esposizione
a fattori ergonomici;
-
esposizione
a posture incongrue.
Trasporto e
montaggio presso cliente
I vari
elementi costituendi del mobile o del serramento vengono assemblati in azienda
utilizzando morse e/o strettoi. Il montaggio avviene in cantiere nel caso dei
serramenti o presso il cliente finale per gli arredi.
In questa
fase non vengono utilizzati, di regola, macchinari.
In questa
fase i rischi per la salute sono rappresentati da:
-
esposizione
a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio;
-
esposizione
involontaria a microrganismi;
-
sovraccarico
biomeccanico del rachide;
-
posture
incongrue.
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