SICUREZZA
SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
NEWSLETTER
N. 214 DEL 17/06/15
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
LA PROTEZIONE DA AGENTI
CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE - PRIMA PARTE
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1
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LA DENUNCIA DI REATO DA PARTE DI PUBBLICI
UFFICIALI E DI INCARICATI DI UN PUBBLICO SERVIZIO
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6
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I RISCHI DI ESPOSIZIONE AD AGENTI CANCEROGENI E
MUTAGENI
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8
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SICUREZZA DELLE MACCHINE: GLI OBBLIGHI E LE
RESPONSABILITA’ PENALI
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11
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MOVIMENTAZIONE MANUALE DI CARICHI SOTTO I 3 KG:
QUESITO SUL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI
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14
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LA SCELTA, IL MONTAGGIO, L’USO E LO SMONTAGGIO
DEI TRABATTELLI
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16
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LA PROTEZIONE DA
AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE - PRIMA PARTE
LE
CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.67
Come
sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche
quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su
tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire
che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a
fare chiarezza sui diritti del lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di
leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire
un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi
simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle
persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
In questo caso, vista la lunghezza e la complessità dell’argomento,
dividerò il documento in due parti.
La prima (questa) è relativa a:
-
premessa;
-
definizioni;
-
etichettatura
e schede di sicurezza degli agenti chimici;
-
valutazione
del rischio da agenti chimici.
La
seconda (che pubblicherò nella prossima newsletter) sarà relativa a:
-
misure
di prevenzione e protezione: la sostituzione degli agenti chimici pericolosi;
-
altre
misure di prevenzione e protezione;
-
conclusioni.
Marco Spezia
QUESITO
Ciao Marco,
sono il responsabile
manutenzione di un azienda metalmeccanica.
Ti pongo il mio
problema.
Sono anni che i
dirigenti fanno usare, per i lavori di riverniciatura delle macchine, una
vernice con diluente alla nitro. Non so bene quali danni possa fare, ma
annusare questo diluente una sola volta, può già dare un’idea.
Quando sono entrato in
azienda sono subito passato (dopo una breve consultazione con la ditta che
produceva e vendeva la vernice, che mi parlò di equivalenza di risultati) alla
vernice con diluizione all’acqua, invece che alla nitro, senza avere nessuna
perdita di resa o durata nel tempo.
Le argomentazioni che i
dirigenti della mia ditta mi hanno opposto quando ho cercato di sensibilizzarli
su questo problema furono che la vernice ad acqua costava di più di quella alla
nitro...
A un corso sulla
sicurezza fatto di recente, mi è stato detto che tra due vernici equivalenti come
resa, ecc., la dirigenza ha l’obbligo di scegliere quella non inquinante o meno
inquinante.
Tu sai qualcosa in
merito? E’ possibile costringere la dirigenza a cambiare questa scelta?
Attendo tue notizie e
ti saluto cordialmente.
RISPOSTA
Ciao,
a
seguire la mia relazione sugli obblighi a carico del datore di lavoro di ogni
azienda relativamente agli agenti chimici pericolosi e alle misure di
prevenzione e protezione da adottare per proteggere la salute e la sicurezza
dei lavoratori.
Come
vedrai la sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo
sono o lo sono di meno è obbligo prioritario.
Un
caro saluto.
Marco
LA
PROTEZIONE DA AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE
PREMESSA
Relativamente
alla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori da agenti chimici
pericolosi, il testo di riferimento è il Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile
2008 (il cosiddetto “Testo Unico” sulla sicurezza, nel seguito “Decreto”) e
successive modifiche e integrazioni.
Il
Decreto dedica un intero Titolo (cioè uno dei capitoli in cui è suddiviso il
testo) agli obblighi per i datori di lavoro o i dirigenti relativamente
all’utilizzo di agenti pericolosi per la salute o la sicurezza dei lavoratori.
Per
tutela della salute si intende la tutela del lavoratore rispetto a danni che
possono manifestarsi nel tempo a causa dell’esposizione ad agenti pericolosi
(le malattie professionali), mentre per tutela della sicurezza si intende la
tutela del lavoratore rispetto a danni che possono manifestarsi in periodi
brevissimi, anche istantaneamente, a causa dell’esposizione ad agenti pericolosi
(gli infortuni).
Il
Titolo del Decreto che definisce gli obblighi relativi alle sostanze pericolose
è il Titolo IX.
Al
suo interno il Capo I è proprio relativo alla protezione dei lavoratori agli
agenti chimici.
DEFINIZIONI
Prima
di esaminare quali siano gli obblighi a carico di datore di lavoro e dirigenti
in merito all’utilizzo degli agenti chimici pericolosi è necessario capire di
cosa si stia parlando.
A
tale proposito occorre rifarsi all’articolo 222, comma 1, lettera a) del
Decreto che definisce come agenti chimici in generale:
“tutti gli elementi o composti chimici, sia
da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o
smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa,
siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato”.
Ciò
significa che gli obblighi si applicano non solo agli agenti chimici messi in
commercio da produttori (materie prime), ma anche agli agenti che possono
derivare dalla miscelazione di materie prime tra di loro e agli agenti chimici
che si possono produrre, intenzionalmente o meno) dalle attività lavorative
svolte (ad esempio il monossido di carbonio derivante da motori a combustione
interna).
Tra
tali agenti chimici quelli da considerare come pericolosi, sono quelli definiti
dall’articolo 222, comma 1, lettera b) del Decreto come:
“1) agenti chimici classificati come sostanze
pericolose ai sensi del Decreto Legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e
successive modificazioni [...];
2) agenti chimici classificati come
preparati pericolosi ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, e
successive modificazioni [...];
3) agenti chimici che, pur non
essendo classificabili come pericolosi, in base ai numeri 1) e 2), possono
comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di
loro proprietà chimico-fisiche, chimiche o tossicologiche e del modo in cui
sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro, compresi gli agenti chimici cui
é stato assegnato un valore limite di esposizione professionale”.
ETICHETTATURA
E SCHEDE DI SICUREZZA DEGLI AGENTI CHIMICI
Occorre
ricordare che l’immissione sul mercato di sostanze e preparati chimici
pericolosi è regolata dai due Decreti Legislativi (entrambi recepimenti di
Direttive comunitarie) citati dall’articolo 222, comma 1, lettera b), numeri 1)
e 2) del decreto precedentemente riportato.
In particolare il Decreto
Legislativo 3 febbraio 1997, n. 52 tratta dell’immissione sul mercato di
sostanze pericolose (dove per sostanze si intendono “gli
elementi chimici e i loro composti, allo stato naturale o ottenuti mediante qualsiasi
procedimento di produzione [...]” e il Decreto Legislativo 14 marzo
2003, n. 65 tratta dell’immissione sul mercato di preparati pericolosi (dove
per prepararti si intendono “le miscele o le soluzioni costituite da due o
più sostanze”).
Senza
entrare nel dettaglio di tali Decreti occorre mettere in evidenza che i
responsabili dell’immissione sul mercato di tali agenti hanno, tra le altre
cose, due fondamentali obblighi di informazione:
-
applicare
sul contenitore o sull’imballaggio dell’agente chimico un’etichetta riportante
il corrispondete simbolo di pericolo, le frasi di rischio e i consigli di
prudenza;
-
fornire
assieme all’agente chimico la sua scheda di sicurezza.
L’etichettatura
di pericolo è costituito da uno o più quadrati a sfondo arancione su cui sono riportati
(a seconda del pericolo dell’agente chimico) i seguenti simboli:
-
una
fiamma e la lettera O per agenti comburenti;
-
una
fiamma e la lettera F per agenti facilmente infiammabili;
-
una
fiamma e la lettera F+ per agenti estremamente infiammabili;
-
una
bomba che esplode e la lettera E per agenti esplosivi;
-
una
X e la lettera i per prodotti irritanti;
-
provette
che versano prodotti e la lettera C per agenti corrosivi;
-
una
X e la lettera n per agenti nocivi;
-
un
teschio e la lettera T per agenti tossici;
-
un
teschio e la lettera T+ per agenti molto tossici o cancerogeni.
La frase di rischio è costituita dalla lettera R
seguita da un’indicazione di maggior dettaglio degli effetti pericolosi degli
agenti chimici (ad esempio: “R22 Nocivo per ingestione” oppure “R49 Può
provocare il cancro per inalazione”).
Il consiglio di sicurezza è
costituito dalla lettera S seguita da un’indicazione sulle misure di prevenzione e
protezione da adottare nell’utilizzo degli agenti chimici (ad esempio S 37
“Usare guanti adatti” oppure “S 51 Usare soltanto in luogo ben ventilato”).
La scheda di sicurezza è un documento all’interno del
quale sono riportate tutte le informazioni utili per utilizzare i relativi
agenti chimici in condizioni di salute e sicurezza per il lavoratore.
All’interno della scheda devono essere riportate
obbligatoriamente le seguenti informazioni:
1.
Identificazione della sostanza/preparato e della società/impresa
2.
Identificazione dei pericoli
3.
Composizione/informazioni sugli ingredienti
4. Misure di
primo soccorso
5. Misure
antincendio
6. Misure in
caso di rilascio accidentale
7.
Manipolazione e immagazzinamento
8. Controllo
dell’esposizione
9. Proprietà
fisiche e chimiche
10.
Stabilità e reattività
11.
Informazioni tossicologiche
12.
Informazioni ecologiche
13.
Considerazioni sullo smaltimento
14.
Informazioni sul trasporto
15.
Informazioni sulla regolamentazione
16. Altre
informazioni
Come si vedrà nel seguito il datore di lavoro, ai
sensi del Decreto, è obbligato a fornire ai lavoratori che utilizzano agenti
chimici specifiche informazioni sul significato della etichettatura e rendere
disponibili ai lavoratori stessi le schede di sicurezza degli agenti chimici
utilizzati.
Occorre osservare
che l’etichettatura e le schede di sicurezza degli agenti chimici pericolosi di
cui ai due Decreti citati è in via di sostituzione con le nuove norme contenute
nel regolamento Regolamento 1272/2008/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 16 dicembre 2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e
all’imballaggio delle sostanze e delle miscele chimiche.
Secondo tale
regolamento le etichettature e le schede di sicurezza sono diverse, ma in ogni
caso anche secondo tale Regolamento sui contenitori e sugli imballaggi degli
agenti chimici devono essere riportate obbligatoriamente chiare indicazioni sul
pericolo di tali agenti, i quali devono sempre essere accompagnate dalle schede
di sicurezza.
VALUTAZIONE DEL
RISCHIO DA AGENTI CHIMICI
Il primo obbligo a
carico del datore di lavoro, nel caso in cui all’interno della sua azienda
siano utilizzati o prodotti, agenti chimici è valutare quali siano i rischi per
la salute e la sicurezza dei lavoratori e, in conseguenza di ciò definire le
misure di prevenzione e protezione per eliminare o ridurre i rischi individuati.
Tale obbligo si
inserisce in quello generale di cui all’articolo 28 del Decreto e pertanto la
valutazione del rischio chimico deve avere le seguenti caratteristiche e
contenuti:
-
la
redazione della valutazione del rischio da agenti chimici è obbligo esclusivo e
non delegabile del datore di lavoro, che se ne assume la piena responsabilità
dei contenuti (articolo 17, comma 1, lettera a) del Decreto);
-
la
valutazione deve contenere i criteri tecnici e scientifici sulla base della
quale essa è stata redatta (articolo 28, comma 2, lettera a) del Decreto);
-
la
valutazione deve indicare e classificare in ordine di gravità e di priorità di
intervento tutti i rischi legati agli agenti chimici utilizzati o prodotti
(articolo 28, comma 2, lettera a) del Decreto);
-
la
valutazione deve essere integrata dalle indicazione delle misure di prevenzione
e protezione tra cui (ma non solo) i DPI da utilizzare e il programma temporale
di attuazione delle misure individuate (articolo 28, comma 2, lettere b) e c)
del Decreto);
-
la
valutazione deve indicare le procedure per attuare le misure di prevenzione e
protezione, specificando quali sono i ruoli aziendali (dirigenti, preposti,
lavoratori) che hanno il compito di attuare tali procedure (articolo 28, comma
2, lettera d) del Decreto);
-
la
valutazione deve essere redatta con la collaborazione del Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione e del Medico Compente (articolo 29, comma
1 del Decreto);
-
la
valutazione deve essere redatta dopo aver consultato il Rappresentante dei
Lavoratori per la Sicurezza
(articolo 29, comma 2 del Decreto) e deve essere consegnata a questo per
consultazione su sua richiesta (articolo 18, comma 1, lettera o) del Decreto).
L’articolo 223, comma 1 del Decreto specifica poi in
dettaglio come deve essere redatta la valutazione specifica per il rischio da
agenti chimici:
“Nella valutazione di cui all’articolo 28, il
datore di lavoro determina preliminarmente l’eventuale presenza di agenti
chimici pericolosi sul luogo di lavoro e valuta anche i rischi per la sicurezza
e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti, prendendo
in considerazione in particolare:
a) le loro
proprietà pericolose;
b) le informazioni
sulla salute e sicurezza comunicate dal responsabile dell’immissione sul mercato
tramite la relativa scheda di sicurezza predisposta ai sensi dei Decreti
Legislativi 3 febbraio 1997, n. 52 e 14 marzo 2003, n. 65[...];
c) il livello, il
modo e la durata dell’esposizione;
d) le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza
di tali agenti, tenuto conto della quantità delle sostanze e dei preparati che
li contengono o li possono generare;
e) i valori limite
di esposizione professionale o i valori limite biologici [...];
f) gli effetti
delle misure preventive e protettive adottate o da adottare;
g) se disponibili,
le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese”.
Il mancato
adempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di valutazione dei
rischi da agenti chimici è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 1,
lettera a) del Decreto con
l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Di
quanto imposto dall’articolo 223, comma 1 del Decreto al datore di lavoro,
giova mettere in evidenza che:
-
la
valutazione deve essere fatta sia relativamente ai rischi per la sicurezza
(infortuni) che ai rischi per la salute (malattie professionali);
-
la
valutazione deve tenere conto sia delle proprietà degli agenti chimici
utilizzati (attraverso le schede di sicurezza degli agenti stessi), sia le loro
quantità, sia le modalità del loro utilizzo (compreso l’uso di adeguati DPI),
sia i risultati della sorveglianza sanitaria;
-
la
valutazione deve tenere conto anche degli agenti chimici che si generano nel
ciclo produttivo a seguito delle attività lavorative eseguite.
Di
particolare importanza poi, all’interno dell’articolo 223 del Decreto relativo
alla valutazione dei rischi da agenti chimici, è quanto imposto dal comma 6:
“Nel caso di un’attività nuova che comporti
la presenza di agenti chimici pericolosi, la valutazione dei rischi che essa
presenta e l’attuazione delle misure di prevenzione sono predisposte
preventivamente. Tale attività comincia solo dopo che si sia proceduto alla
valutazione dei rischi che essa presenta e all’attuazione delle misure di
prevenzione”.
Il mancato
adempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di eseguire la
valutazione prima dell’inizio di una nuova attività è reato penale sanzionato
dall’articolo 262, comma 1, lettera b) del Decreto con l’arresto fino a sei
mesi o con l’ammenda da 2.000
a 4.000.
Quanto
imposto dall’articolo 223, comma 6 comporta il fatto che la valutazione del
rischio da agenti chimici deve essere eseguita prima di esporre i lavoratori ai
relativi rischi e cioè che il datore di lavoro prima di disporre l’utilizzo di
agenti chimici all’interno del ciclo lavorativo della azienda deve verificare
il tipo e il livello di rischio che tali agenti introdurranno e predisporre in
anticipo adeguate misure di prevenzione e protezione.
LA DENUNCIA DI
REATO DA PARTE DI PUBBLICI UFFICIALI E DI INCARICATI DI UN PUBBLICO SERVIZIO
Da
Studio Cataldi
L’articolo
331 del Codice di Procedura Penale (Libro Quinto “Indagini preliminari e
udienza preliminare” Titolo II “Notizia di reato”) tratta della denuncia da
parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio.
Il
testo della norma è il seguente:
“1. Salvo quanto stabilito dall’articolo 347 [Obbligo
di riferire la notizia del reato da parte della polizia giudiziaria], i pubblici ufficiali e gli incaricati di
un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del
loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne
denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale
il reato è attribuito.
2. La denuncia è
presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di
polizia giudiziaria.
3. Quando più
persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche
redigere e sottoscrivere un unico atto.
4. Se, nel corso di
un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può
configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e
trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.
Se
il privato cittadino ha una mera facoltà (salvo determinati casi specifici) di
denunciare un reato di cui abbia avuto notizia all’autorità giudiziaria, sui
soggetti che rivestono qualifiche pubbliche (pubblici ufficiali o incaricati di
pubblico servizio) incombe invece l’obbligo della denuncia, relativamente ai
reati perseguibili d’ufficio di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a
causa, rispettivamente, delle loro funzioni o del loro servizio.
Salvo
che non si tratti di reati punibili a querela della persona offesa, il mancato
esercizio di tale obbligo, e cioè l’omissione di denuncia, fa scattare
conseguenze penali, anche aggravate qualora si tratti di delitti contro la
personalità dello Stato.
Affinché
sorga l’obbligo suddetto, la cui ratio è quella di consentire all’autorità
giudiziaria di promuovere l’azione penale, è necessario che la conoscenza del
fatto criminoso avvenga nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio
e quindi “in concomitanza o a cagione delle funzioni espletate” (Sentenze di
Cassazione Penale. n. 8937/2015 e n. 26081/2008) e comunque “in dipendenza
dell’attività svolta” (Pretura di Ragusa, 07/10/96). Se però il pubblico ufficiale
o incaricato di pubblico servizio “abbia notizia del reato in situazioni
differenti, l’obbligo cessa e al suo posto sorge la facoltà di denunciare
propria di qualsiasi cittadino” (Sentenza di Cassazione Penale n. 3534/2008).
La
notizia di reato può essere acquisita anche in modo indiretto, ossia non basato
sulla percezione immediata del fatto ma derivante da dichiarazioni di altri
soggetti o da documenti. Secondo la giurisprudenza, anche una denuncia
contenuta in uno scritto anonimo, pur se non può essere utilizzata
probatoriamente, può e deve, in virtù del principio di obbligatorietà
dell’azione penale “costituire spunti per l’investigazione del pubblico
ministero o della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi
diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi gli estremi utili per
l’individuazione di una valida notitia criminis” (Sentenza di Cassazione Penale
n. 4329/2008). Allo stesso modo una “denuncia irrituale”, considerata perciò
alla stregua di una denuncia anonima, anche se scritto di per sé
inutilizzabile, è tuttavia “idonea a stimolare l’attività del pubblico
ministero o della polizia giudiziaria al fine dell’assunzione di dati conoscitivi
atti a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per
l’enucleazione di una notitia criminis suscettibile di essere approfondita con
gli strumenti legali” (Sentenza di Cassazione Penale n. 25932/2008).
Perché
possa sorgere l’obbligo di comunicazione è sufficiente che il pubblico
ufficiale ravvisi nel fatto il fumus di un reato.
Ciò
che conta, in sostanza, è la conoscenza di un fatto storico, il quale,
delineato nei suoi elementi essenziali, sulla base delle nozioni proprie del
soggetto qualificato, integri, anche secondo una valutazione approssimativa,
gli estremi di un reato, mentre non compete al soggetto qualificato venuto a
conoscenza del fatto, il compito di decidere se lo stesso è punibile o meno o
si riveli infondato: purché “presenti gli elementi essenziali di un reato” deve
denunciarlo “non essendo indispensabile che la notizia di reato si riveli anche
fondata nel successivo sviluppo procedimentale” (Sentenza di Cassazione Penale
n. 8937/2015).
Presupposto
del concretizzarsi dell’obbligo di riferire è, dunque, “l’esistenza di una
notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa
l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie
illecita, mentre i giudizi di valore complementari al fatto tipico, vale a dire
antigiuridicità e dolo, competono in via esclusiva all’autorità giudiziaria”
(Sentenza di Cassazione Penale n. 12021/2014).
Ciò
non toglie che, laddove il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico
servizio, di fronte alla segnalazione di un fatto avente connotazioni di
possibile rilievo penale, “disponga i necessari approfondimenti all’interno del
proprio ufficio, al fine di verificare l’effettiva sussistenza di una notitia
criminis e non di elementi di mero sospetto”, non è integrato il reato di cui
all’articolo 361 del Codice Penale “Omessa denuncia di reato da parte del pubblico
ufficiale” (Sentenze di Cassazione Penale n. 12021/2014 e 37756/2014).
Allo
stesso modo, l’obbligo sorge allorquando una pluralità di pubblici ufficiali e
incaricati di pubblico servizio venga a conoscenza contemporaneamente (o in
tempi diversi) della notizia di reato. Il dovere della denuncia grava
autonomamente su ciascuno di loro, salva la facoltà concessa dal terzo comma
della disposizione in esame, di redigere e sottoscrivere un unico atto.
Quanto
alla condotta punibile, l’omissione di denuncia si consuma anche con il
semplice ritardo. Il secondo comma dell’articolo 331 del Codice di Procedura
Penale richiede, infatti, che la notizia venga trasmessa “senza ritardo”:
criterio generico da intendersi verificato, integrando il delitto di omessa denuncia,
allorquando la dilazione nella comunicazione della notizia di reato, fondata o
meno che sia, incida negativamente sulla pronta persecuzione del reato, non consentendo
al pubblico ministero qualsiasi iniziativa a lui spettante (Sentenza di
Cassazione Penale n. 14465/2011).
La
denuncia va presentata direttamente all’autorità giudiziaria o, con effetto
liberatorio, “ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne”
(vedi articolo 361 del Codice Penale), intendendosi per tale “oltre a quella di
polizia giudiziaria, un’autorità che abbia col soggetto un rapporto in virtù
del quale l’informativa ricevuta valga a farle assumere l’obbligo medesimo in
via primaria ed esclusiva”, come nel caso delle organizzazioni di tipo
gerarchico, “che vincolano all’informativa interna, riservando a livelli
superiori i rapporti esterni” (Sentenza di Cassazione Penale n. 11597/1995).
I RISCHI DI ESPOSIZIONE AD AGENTI
CANCEROGENI E MUTAGENI
Da:
PuntoSicuro
29 maggio
2015
di Tiziano
Menduto
Indicazioni
per la gestione degli agenti cancerogeni e mutageni nei luoghi di lavoro. Gli ambienti
di lavoro e le esposizioni a rischio. La formazione, le misure di prevenzione e
le misure di protezione collettive e individuali.
Gli agenti
potenzialmente cancerogeni per l’uomo, identificati dall’Agenzia Internazionale
per la Ricerca sul Cancro (IARC), sono più di 400 e nei paesi industrializzati
all’incirca il 4% dei decessi per tumore è riconducibile ad un’esposizione
professionale.
In
particolare in Italia circa 6.400 decessi/anno per patologia tumorale sono
attribuibili all’esposizione a cancerogeni presenti nell’attività lavorativa;
tale percentuale è variabile a seconda del settore economico e della sede
anatomica della neoplasia.
A riportare
questi dati e molte altre informazioni sulle caratteristiche e la possibile
prevenzione dell’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni, è il documento
realizzato dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP)
dell’INAIL dal titolo “Agenti cancerogeni e mutageni. Lavorare sicuri”.
La recente
pubblicazione (curata da Maria Ilaria Barra, Francesca Romana Mignacca, Paola
Ricciardi) è un utile strumento per la gestione degli agenti cancerogeni e
mutageni nei luoghi di lavoro. Uno strumento pratico che riporta anche alcune
schede dedicate a specifiche sostanze chimiche ed è rivolto a datori di lavoro,
lavoratori e a tutte le figure professionali che si occupano a diverso titolo
di salute e sicurezza sul lavoro.
Benché
esistano agenti cancerogeni/mutageni fisici, biologici e chimici, segnaliamo
che il documento è dedicato in maniera specifica agli agenti chimici, con
esclusione del radon e dell’amianto, i quali meritano una trattazione separata sia
dal punto di vista normativo che pratico.
A proposito
di agenti chimici ricordiamo che dal 1° giugno 2015 entra in vigore il
Regolamento CLP (regolamento CE n. 1272 del 2008), relativo a classificazione,
etichettatura ed imballaggio di sostanze e miscele, e la Direttiva 2012/18/UE
del 4 luglio 2012 (cosiddetta Direttiva Seveso III) sostituirà l’attuale
direttiva Seveso II proprio in riferimento all’allineamento con le modifiche
alla classificazione stabilite dal regolamento CLP.
In quali
ambienti di lavoro si può venire in contatto con agenti cancerogeni e mutageni?
Per
rispondere a questa domanda il documento sottolinea che gli ambiti lavorativi
per i quali il rischio di contrarre patologie neoplastiche è più elevato sono
quelli in cui si utilizzano polveri di legno o cuoio. Studi epidemiologici
hanno, infatti, rilevato per falegnami, mobilieri e carpentieri, un aumentato
rischio per tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali.
Inoltre
l’esposizione a benzene nell’industria petrolchimica ha invece evidenziato una
maggiore incidenza di varie patologie di tipo leucemico negli addetti ai
processi di produzione, trasporto e utilizzazione della sostanza, soprattutto
in caso di versamenti o perdite accidentali di vapori o interventi di
manutenzione degli impianti.
Sono
riportate informazioni anche su due altre esposizioni a rischio:
-
l’esposizione
ai composti del cromo esavalente è stata associata a un aumento della insorgenza
di neoplasie polmonari sia nelle attività di produzione di composti cromati che
nei processi di saldatura, placcatura e verniciatura dei materiali metallici
(trattamento e rivestimento dei metalli);
-
l’esposizione
a Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) ha evidenziato un aumento di rischio
per cancro ai polmoni e della pelle: gli IPA sono spesso utilizzati sotto forma
di miscele complesse, e derivano principalmente da combustioni incomplete;
possono quindi essere presenti in tutte le attività dove avvengono combustioni
(fonderie, raffinerie, produzione di coke, di asfalto, industria della gomma,
della carta, produzione di energia, ecc.).
Per
rispondere in modo più esaustivo alla domanda sugli ambienti di lavoro a
rischio, il documento riporta una tabella con una panoramica degli agenti (o
gruppo di agenti) cancerogeni più conosciuti che comprende la classificazione
di cancerogenicità attribuita dall’UE e/o dalla IARC e le principali
lavorazioni in cui è possibile l’esposizione agli agenti presi in esame. Da tale
analisi sono esclusi i chemioterapici antiblastici, i principi attivi di antiparassitari
e le sostanze elencate nell’Allegato XL del D.Lgs. 81/08.
Il documento
si sofferma poi sul controllo del rischio di esposizione da parte dei
lavoratori con riferimento alle misure di prevenzione in grado di evitare o
ridurre la probabilità che si verifichi un evento che possa causare danni al
lavoratore.
Il documento
sottolinea che, nel caso degli agenti cancerogeni e/o mutageni, la più
importante misura di prevenzione dell’esposizione sarebbe la sostituzione di
tali agenti (sostanze o preparati) con altri non pericolosi per la salute o
meno pericolosi nelle condizioni di utilizzo. Con la sostituzione si
eliminerebbe il rischio direttamente alla fonte.
Questi sono
alcuni esempi di prodotti sostitutivi:
glutaraldeide
o acido peracetico per sterilizzare i presidi medico-chirurgici, al posto
dell’ossido di etilene;
vernice a
base di pigmenti azoici invece di una contenente cromati (di piombo o di
zinco).
E oltre agli
agenti chimici, si potrebbero anche sostituire i procedimenti lavorativi, ad
esempio quelli elencati nell’Allegato XLII del D.Lgs. 81/08.
In ogni caso
se la sostituzione non è possibile, il datore di lavoro deve applicare misure
tecniche, organizzative o procedurali volte a ridurre al minimo il numero di
lavoratori esposti e a ridurre a valori più bassi possibile la durata e
l’intensità dell’esposizione di tali lavoratori.
Il documento
riporta alcuni esempi di misure tecniche, organizzative o procedurali:
-
adozione di
sistemi di lavorazione “a ciclo chiuso”, caratterizzati da: assenza di scambio
di materiale con l’ambiente circostante, controllo a distanza da parte degli
addetti e reintroduzione diretta degli scarti nel ciclo lavorativo;
-
impiego di
quantitativi di agenti cancerogeni e/o mutageni non superiori alle necessità produttive,
evitandone l’accumulo sul luogo di lavoro;
-
isolamento
delle lavorazioni a rischio entro aree appositamente segnalate, accessibili
esclusivamente agli addetti. in dette aree deve essere vietato fumare,
mangiare, bere, usare pipette a bocca e applicare cosmetici;
-
regolare e
sistematica pulitura di locali, attrezzature e impianti;
-
conservazione,
manipolazione, trasporto e smaltimento dei prodotti cancerogeni e/o mutageni in
condizioni di massima sicurezza, in base a quanto prescritto dalle schede di
sicurezza di detti prodotti, che devono essere obbligatoriamente acquisite dai
fornitori;
-
disposizione,
su conforme parere del Medico Competente, dell’allontanamento dall’esposizione
di categorie di lavoratori particolarmente sensibili, quali: lavoratrici gestanti
o in allattamento, minori, soggetti ipersuscettibili (ad esempio fumatori o
immunodepressi).
E
chiaramente sono molto importanti anche un’adeguata informazione e formazione
dei lavoratori esposti o potenzialmente esposti.
Infatti il
datore di lavoro, sulla base delle conoscenze disponibili, deve assicurare che
i lavoratori siano adeguatamente informati e formati in merito a:
-
tipologia di
agenti cancerogeni e/o mutageni presenti nei cicli lavorativi, loro
dislocazione, rischi per la salute connessi al loro impiego, compresi i rischi
aggiuntivi dovuti al fumare;
-
precauzioni
da osservare per evitare o diminuire l’esposizione;
-
modalità per
prevenire il verificarsi di incidenti e misure da adottare per limitarne le
conseguenze.
Senza
dimenticare che l’informazione e la formazione vanno effettuate prima di
adibire i lavoratori alle attività a rischio di esposizione ad agenti
cancerogeni e/o mutageni e che queste attività devono essere ripetute almeno
ogni 5 anni e comunque ogniqualvolta si verifichino nelle lavorazioni
cambiamenti che influiscono sulla natura dei rischi. Gli impianti, i
contenitori e gli imballaggi contenenti agenti cancerogeni e/o mutageni devono
essere etichettati in maniera leggibile e comprensibile.
Concludiamo
con un breve cenno anche alle misure di protezione che diminuiscono l’entità
dei danni conseguenti all’esposizione a un pericolo e che possono essere:
-
collettive:
proteggono contemporaneamente tutti i lavoratori presenti in un medesimo ambiente,
indipendentemente dal loro comportamento;
-
individuali:
proteggono ogni singolo lavoratore e tipicamente consistono in Dispositivi di
Protezione Individuale (DPI).
In
particolare le principali misure di protezione collettive contro l’esposizione
ad agenti chimici comprendono:
-
ventilazione
generale: la ventilazione generale (naturale e/o forzata) consente il ricambio
dell’aria in tutto l’ambiente di lavoro; un sistema di ventilazione forzata
prevede l’immissione di aria pulita e l’espulsione di aria inquinata; tuttavia,
la ventilazione generale non diminuisce la quantità totale di inquinanti
aerodispersi, bensì la loro concentrazione per effetto della diluizione;
-
aspirazione
localizzata: l’aspirazione localizzata cattura gli inquinanti (particelle, gas
o vapori) presso il punto di emissione, prima che raggiungano la zona di
respirazione dei lavoratori; una volta captati, gli inquinanti vengono estratti
dall’ambiente, previa eventuale filtrazione; nel frattempo, viene immessa aria
pulita dall’esterno; intervenendo alla fonte, l’aspirazione localizzata
garantisce generalmente una protezione migliore rispetto alla ventilazione
generale.
Segnaliamo,
infine, che la ventilazione generale e l’aspirazione localizzata sono
complementari l’una all’altra e che il datore di lavoro è tenuto a verificare periodicamente
il corretto funzionamento dei sistemi di protezione collettiva e a garantirne
la manutenzione.
Il documento
di INAIL CONTARP “Agenti cancerogeni e mutageni. Lavorare sicuri”, a cura di
Maria Ilaria Barra, Francesca Romana Mignacca, Paola Ricciardi è scaricabile
all’indirizzo:
SICUREZZA DELLE MACCHINE: GLI
OBBLIGHI E LE RESPONSABILITA’ PENALI
Da:
PuntoSicuro
29 maggio
2015
Un
intervento si sofferma sugli obblighi e responsabilità penali dei soggetti che
possono incidere sulla sicurezza nell’uso di una macchina durante il suo ciclo
di vita. Quali sono gli usi scorretti ragionevolmente prevedibili?
Non è
semplice comprendere limiti e confini delle responsabilità dei molti soggetti
(ad esempio fabbricanti, fornitori, installatori, utilizzatori e manutentori)
che possono incidere sulla sicurezza nell’uso di una macchina durante il suo
ciclo di vita.
E a
complicare il già intricato quadro di riferimento ha concorso, da ultimo, la
novità introdotta dalla Direttiva 2006/42/CE in materia dei “principi
d’integrazione della sicurezza” con riferimento all’uso scorretto
ragionevolmente prevedibile che il “fabbricante” della “macchina” deve prendere
in considerazione, oltre all’uso previsto, sia in sede di progettazione e di
costruzione che in sede di redazione delle istruzioni (vedi punto 1.1.2
dell’allegato 1 della Direttiva Macchine 2006/42/CE).
A parlare in
questi termini del tema degli obblighi e responsabilità in materia di sicurezza
delle macchine, con riferimento anche alle trasformazioni e manomissioni delle
macchine stesse, è un intervento che si è tenuto due anni fa al seminario
(organizzato dall’INAIL in collaborazione con Assolombarda e Federmacchine) dal
titolo “La manipolazione dei dispositivi di sicurezza...Un rischio da non
correre” (Milano, 3-4 dicembre 2013).
L’intervento
“Uso scorretto ragionevolmente prevedibile, trasformazioni e manomissioni delle
macchine: obblighi e responsabilità penali nell’esperienza italiana”, a cura di
Antonio Oddo, segnala che una definizione contenuta nella Direttiva indica che
si può identificare tale uso scorretto ragionevolmente prevedibile con l’uso
della macchina diverso da quello indicato nelle istruzioni per l’uso. Tuttavia
una volta differenziata nettamente (almeno nella misura in cui le “istruzioni”
lo consentano) l’area degli “usi” che sono previsti dal “fabbricante” e che
sono oggetto di “informazioni” da parte del fabbricante stesso, residua il
problema interpretativo collegabile all’area di usi che resta “scoperta” in
quanto non è oggetto di “informazioni” coerenti con la concezione e la
destinazione della macchina. Quanti, infatti, e soprattutto quali possono
essere gli “usi” che si discostano dalle “istruzioni” (e dalle “avvertenze”) ma
che possono “derivare da comportamenti umani facilmente prevedibili”?
L’intervento
segnala un importante principio stabilito dalla Corte di Cassazione in ordine
specificamente alla “prevedibilità dell’evento”. La Suprema Corte
afferma che, “occorre accertare con valutazione ex ante la prevedibilità
dell’evento, giacché non può essere addebitato all’agente modello (“homo
eiusdem professionis et condicionis”) di non avere previsto un evento che, in
base alle conoscenze che aveva o che avrebbe dovuto avere, non poteva
prevedere, finendosi, diversamente opinando, con il costruire una forma di
responsabilità oggettiva”.
E infatti
(continua il relatore) taluni sforzi immaginifici o, anche, semplicemente
possibilistici si possono, forse, richiedere allo psicologo ma non si possono
certamente esigere sul piano delle conoscenze effettive, o comunque dovute, dal
“fabbricante” e dal “progettista” secondo il modello di condotta propria del
“homo eiusdem professionis et condicionis”, cioè (come già indicato nella
Sentenza) di un’astratta figura di agente/modello sufficientemente esperta ed
accorta.
L’intervento
indica poi che occorre riconoscere che appartiene all’area dei comportamenti “facilmente
prevedibili”, tra l’altro, tutto quanto indicato opportunamente, sia pure a
titolo esemplificativo, dalla norma EN ISO 12100-1:2010 e altrettanto
opportunamente richiamato nella “Guida all’applicazione della Direttiva
Macchine 2006/42/CE” edita dalla Commissione europea.
Ci si
riferisce infatti ora a esempi classificati come comportamenti umani che
possono dare luogo a “usi scorretti” e “a situazioni anormali prevedibili”
quali:
-
perdita di
controllo della macchina da parte dell’operatore;
-
reazione
istintiva di una persona in caso di malfunzionamento, incidente o guasto
durante l’ uso della macchina;
-
comportamento
derivante da mancanza di concentrazione o noncuranza;
-
scelta/comportamento
derivante dall’adozione della “linea di minor resistenza” nell’esecuzione di un
compito;
-
comportamento
risultante da pressioni per tenere la macchina in esercizio in tutte le circostanze;
-
comportamento
di alcune persone (bambini, persone disabili).
E a queste
importanti indicazioni di comportamenti umani forieri di “condizioni anormali”
nell’uso (“scorretto”) della macchina, occorre altresì aggiungere la rilevanza
di tutte le “misure” che possono consentire di evitare i suddetti usi che
comportano un rischio da prevenire, ovviamente secondo l’ordine di priorità
rigidamente e progressivamente prescritto dal punto 1.1.2, lettera b)
dell’Allegato 1 della Direttiva Macchine.
Questo
genere di “misure” derivano infatti direttamente dal “principio” enunciato al
punto 1.1.2, lettera c) dell’Allegato 1 della Direttiva che, com’è noto, impone
di progettare e costruire la macchina in modo da evitare che sia utilizzata in
modo anormale.
Si collocano,
infatti, in tale area tutte le “misure”, prioritariamente di ordine “tecnico” e
subordinatamente di ordine “informativo” (con le quali si impongono
preliminarmente limitazioni o riserve dell’uso della macchina a personale
qualificato e autorizzato per effetto non solo di scelte organizzative, ma
anche, principalmente, di idonea e specifica formazione, informazione, nonché
di addestramento) e le limitazioni dell’uso, inoltre, se del caso, solo a
personale abilitato ex lege.
Rientrano
altresì nella stessa categoria le misure che impediscono il funzionamento
stesso della macchina in presenza di sovraccarichi, o in assenza di
stabilizzatori, di personale al posto di comando, ecc. .
Senza
dimenticare che anche una difettosità funzionale e prestazionale della
“macchina” può avere ripercussioni sulla sicurezza in quanto può indurre (per
il condizionamento spesso pressante delle esigenze lavorative) a un “uso
scorretto”.
Anche il
requisito di sicurezza connesso alla “ergonomia” (punto 1.1.6 dell’Allegato 1
della Direttiva 2006/42/CE) può esplicare un ruolo rilevante ai fini che qui
interessano se si considera che una progettazione non ergonomica può indurre,
nell’uso a disagio, affaticamento, stress fisico o psicologico che favorisce la
possibilità di infortuni.
Rimandando
alla lettura integrale dell’interessante intervento (che si sofferma su vari
aspetti, come i contrasti tra la Direttiva Comunitaria
e gli indirizzi interpretativi adottati dalla Corte di Cassazione italiana e il
concetto della “massima sicurezza tecnologicamente fattibile” o della “migliore
tecnologia disponibile”) concludiamo riportando qualche indicazione in merito
alla trasformazione e manomissione delle macchine.
Riguardo
alle trasformazioni, il relatore rimarca come l’ambito più o meno precisamente
tracciato dal “fabbricante” con le “istruzioni” e le “avvertenze” possa
assumere rilevanza decisiva anche per delimitare l’area di confine tra le
modifiche e le trasformazioni di cui il “fabbricante” potrà essere ritenuto
responsabile durante il ciclo di vita della macchina, da una parte, e
dall’altra parte, le modifiche e le trasformazioni di cui il “fabbricante” non
potrà essere chiamato a rispondere.
E si
ricorda, a questo proposito, che l’alterazione dello stato originario della
macchina, è infatti, è cosa ben diversa dal “uso scorretto” della macchina
stessa nella sua struttura e nelle sue funzioni originarie.
E su questo
tema la giurisprudenza della Suprema Corte italiana ha ripetutamente affermato
che il principio secondo il quale il costruttore risponde per gli eventi
dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione e fornitura di una macchina
priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza...a meno che
l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità
tale da potere essere considerata causa sopravvenuta da solo sufficiente a
determinare l’evento.
Se ciò non
si verifica si ha una permanenza della posizione di garanzia del costruttore
che non esclude il nesso di condizionamento con l’evento, sempre che,
naturalmente, quell’evento sia stato provocato dall’inosservanza delle cautele
antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina (Sentenza
Cassazione Penale n. 1216 del 26 ottobre 2005).
Principio
consolidato che richiederebbe ormai di essere aggiornato e precisato alla luce
delle disposizioni legislative che segnano il limite tra gli interventi che
costituiscono manutenzione “ordinaria” o “straordinaria” e quelli che, invece,
esorbitano dalla manutenzione anche “straordinaria”, in quanto comportano,
rispetto alla condizione originaria della “macchina” una alterazione
“qualificata” (ex lege) che sia tale, per “natura” e/o per “entità”, da imporre
al soggetto autore degli interventi gli obblighi che competono al “fabbricante”
di una macchina “nuova”.
E infine
rilevanza determinante ai fini dell’accertamento della responsabilità dei
soggetti astrattamente titolari della “posizione di garanzia” ai sensi degli
articoli 22, 23, 24, 70 e 71 del D.Lgs. 81/08 è stata altresì attribuita agli
interventi di “manomissione” che, al pari delle “trasformazioni” rilevanti, non
può anch’essa (e a maggior ragione) essere ricondotta nell’ambito degli “usi
scorretti” che siano “facilmente prevedibili”, in quanto non si tratta di “usi
scorretti” della stessa macchina addebitabili al “fabbricante”, bensì di una
alterazione dello stato originario della macchina che può divenire, agli
effetti della sicurezza, “altra” rispetto a quella originaria, con tutto quanto
ne consegue sul piano soggettivo della colpa e oggettivo del rapporto di
causalità tra le condotte e l’evento.
Il documento
“Uso scorretto ragionevolmente prevedibile, trasformazioni e manomissioni delle
macchine: obblighi e responsabilità penali nell’esperienza italiana”, a cura
dell’avvocato Antonio Oddo, intervento al seminario “La manipolazione dei
dispositivi di sicurezza...Un rischio da non correre” è scaricabile
all’indirizzo:
MOVIMENTAZIONE MANUALE DI CARICHI
SOTTO I 3 KG: QUESITO SUL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI
Da:
PuntoSicuro
03 giugno
2015
L’attività
di movimentazione manuale di carichi del peso inferiore ai 3 kg in maniera
ripetitiva e continuativa nell’arco del turno di lavoro può comportare un
rischio per la salute del lavoratore? E’ soggetta all’obbligo di valutazione
dei rischi?
Pubblichiamo
un articolo tratto da “Articolo 19” n. 01/14, bollettino di informazione e
comunicazione per la rete dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza
delle aziende della Provincia di Bologna realizzato dal SIRS (Servizio
Informativo per i Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza) con la
collaborazione di vari soggetti istituzionali provinciali (Provincia di Bologna,
AUSL, INAIL, DPL, organizzazioni sindacali, ecc.).
QUESITO
L’attività
di movimentazione manuale di carichi del peso inferiore ai 3 kg in maniera
ripetitiva e continuativa nell’arco del turno di lavoro va considerata come
movimentazione manuale di carichi, soggetta quindi a un obbligo di valutazione
da parte del datore di lavoro?
Può
comportare, nonostante il basso peso degli oggetti movimentati, un rischio per
la salute del lavoratore?
RISPOSTA
Il caso
presentato costituisce una tipologia particolare di movimentazione, cioè la
manipolazione di carichi leggeri ad alta frequenza.
Essa non
rientra nella movimentazione manuale “classica”, che comprende l’azione di
sollevamento, deposito, trasporto, spostamento di carichi pesanti, o comunque
di peso superiore ai 3 kg, che può comportare “un rischio di patologie da
sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari” e che viene
comunemente valutata con il metodo NIOSH.
La
manipolazione di oggetti anche leggeri, ma effettuata in maniera continuativa e
ripetitiva e con una certa velocità (alta frequenza d’azione), in particolare
se associata al mantenimento di posture incongrue o se effettuata con le
braccia sollevate, con l’uso di forza o di strumenti vibranti, non è esente da
rischi.
Le
condizioni sopra elencate possono determinare un sovraccarico biomeccanico
degli arti superiori, con conseguente insorgenza di disturbi e patologie a
carico di questi ultimi. Fra queste si ricordano le patologie della spalla
(periartriti, sindrome della cuffia dei rotatori) e del gomito (epicondiliti),
le tendiniti del polso e della mano e la sindrome del “tunnel carpale”.
Tale tipologia
di attività, potenzialmente a rischio, deve essere quindi ricompresa nella
valutazione dei rischi, in quanto ai sensi dell’articolo 28 del D.Lgs 81/08 il
datore di lavoro, con la collaborazione del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione e del medico competente, ha l’obbligo di valutare
tutti i rischi.
Il Titolo VI
e l’Allegato XXXIII del sopracitato Decreto danno indicazioni su come valutare
questa tipologia di movimentazione: le norme tecniche ISO 11228, relative alle
attività di movimentazione manuale di carichi, nella parte terza trattano
appunto della “movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza”, dando
anche riferimenti sulle procedure di stima del rischio e sui possibili
interventi di miglioramento.
Alla luce
delle novità introdotte dal D.Lgs. 81/08, per movimentazione manuale di carichi
dobbiamo quindi intendere anche tutte le attività di sollevamento, trasporto,
traino, spinta e movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza.
Nel caso di
un lavoratore che già presenti un disturbo o una patologia osteoarticolare, il
medico competente nell’espressione del giudizio di idoneità dovrà considerare
oltre al peso degli oggetti da movimentare anche le condizioni in cui viene
svolta l’attività, in particolare la frequenza delle azioni di movimentazione,
la postura del corpo e delle braccia, la necessità di effettuare azioni con
forza.
A titolo di
esempio se un lavoratore è affetto da una patologia della spalla, la sola
indicazione nel giudizio di una limitazione del peso da sollevare potrebbe non
essere tutelante, se non vengono adeguatamente considerati anche altri fattori
di rischio, che comportano una sollecitazione meccanica delle strutture degli
arti superiori, come lavorare a braccia sollevate e l’effettuazione
LA SCELTA, IL MONTAGGIO, L’USO E LO
SMONTAGGIO DEI TRABATTELLI
Da:
PuntoSicuro
04 giugno
2015
Un quaderno
tecnico per i cantieri temporanei o mobili è dedicato alla scelta, il montaggio
e l’uso dei trabattelli. I fattori che influiscono sulla stabilità, i controlli
da fare prima di usare il trabattello e l’importanza del manuale d’istruzioni.
I
trabattelli sono attrezzature di lavoro utilizzate in molteplici attività edili
nei cantieri temporanei o mobili, specialmente quando ci sia la necessità di
spostarsi rapidamente nel luogo di lavoro e si debbano eseguire attività ad
altezze non particolarmente elevate. Per scegliere l’attrezzatura più idonea
alla natura dei lavori da eseguire e alle sollecitazioni prevedibili, il datore
di lavoro deve considerare attentamente diversi fattori.
Per dare
qualche informazione sulla scelta e sull’ uso dei trabattelli e contribuire
alla prevenzione degli incidenti correlati all’uso di questa attrezzatura,
l’INAIL ha recentemente prodotto un nuovo volume della collana dei Quaderni
Tecnici per i cantieri temporanei o mobili, brevi opuscoli che hanno
l’obiettivo di accrescere il livello di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili
e migliorare le misure di prevenzione contro i rischi professionali fornendo
informative basate su leggi, circolari, norme tecniche specifiche e linee
guida.
Il Quaderno
tecnico su cui ci soffermiamo oggi è intitolato “Trabattelli” ed è realizzato
dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti
e insediamenti antropici (DIT).
Il documento
ricorda innanzitutto che i trabattelli sono torri mobili costituite da elementi
prefabbricati che presentano uno o più impalcati di lavoro e appoggiano a terra
permanentemente su ruote.
E i
trabattelli possono essere utilizzati:
-
nelle
lavorazioni nelle quali ci sia la necessità di operare in altezza;
-
nei lavori
in quota (attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da
una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile).
Riguardo
alla classificazione si indica che la norma UNI EN 1004:2005 classifica i
trabattelli in base alle classi di carico e al tipo di accesso agli impalcati.
Inoltre individua l’altezza massima dei trabattelli in riferimento alle
condizioni di utilizzo.
Veniamo alle
indicazioni per la scelta, il montaggio, l’uso e lo smontaggio dei trabattelli,
attività che devono essere eseguite nel pieno rispetto del D.Lgs. 81/08 e del
manuale di istruzioni che il fabbricante deve produrre a corredo di ogni
trabattello e che deve essere disponibile nel luogo di utilizzo e nella lingua
del Paese di utilizzo. Il manuale deve fornire tutte le informazioni
sull’utilizzo, sul montaggio e lo smontaggio in sicurezza del trabattello.
Ad esempio
nel manuale il fabbricante del trabattello deve specificare tutti quei fattori
che influiscono sulla stabilità dell’attrezzatura. In particolare:
-
le
condizioni del vento e gli interventi da effettuare nel caso in cui esse non
permettano di lavorare sul trabattello e quando lo stesso deve essere smontato
o fissato;
-
le
istruzioni per l’uso di stabilizzatori, sporgenze esterne e/o zavorra per tutte
le condizioni previste nell’uso sul trabattello;
-
gli
avvertimenti relativi ai carichi orizzontali e verticali che contribuiscono a
rovesciare il trabattello, quali: carichi orizzontali causati dall’uso, per
esempio per effetto del lavoro in corso su una struttura adiacente; carichi
aggiuntivi del vento (effetto galleria di edifici aperti verso l’alto, edifici
non rivestiti e sugli angoli di edifici);
-
le
raccomandazioni per il fissaggio dei trabattelli lasciati incustoditi.
E il manuale
deve contenere l’avvertimento che gli stabilizzatori o sporgenze esterne e
zavorra devono essere sempre applicati quando ciò è specificato.
La scelta
del trabattello da adottare in una specifica attività dipende dai rischi da
eliminare e/o ridurre preventivamente individuati nell’attività di valutazione
dei rischi e deve essere realizzata in relazione alla tipologia di lavorazione
da fare (manutenzione o costruzione) e alla complessità, alla estensione e alla
geometria dell’opera da servire.
In
particolare prima del montaggio i lavoratori, allo scopo incaricati dal datore
di lavoro, devono verificare la posizione del trabattello per evitare rischi
che potrebbero mettere in pericolo il montaggio, lo smontaggio, lo spostamento
e la sicurezza operativa riguardo a:
-
condizioni
del terreno;
-
piano e in
pendenza;
-
ostacoli;
-
condizioni
del vento.
Inoltre il
manuale di uso e manutenzione deve specificare il numero di persone necessarie
per il montaggio, l’elenco degli elementi, il peso e quantità di quelli
necessari per il montaggio del trabattello a una data altezza.
Deve essere
inoltre definito il procedimento di montaggio del trabattello che descriva la
corretta sequenza delle operazioni. Tale descrizione deve comprendere
illustrazioni e, se necessario, testi aggiuntivi e riguardare:
-
metodo di
allineamento verticale della torre mobile con inclinazione fino all’1%;
-
informazioni
dettagliate sul modo di fissare e staccare i collegamenti;
-
descrizione
dell’uso e fissaggio di stabilizzatori, sporgenze esterne e/o zavorra;
-
descrizione
del metodo consigliato per il sollevamento dei componenti per il montaggio delle
sezioni superiori;
-
corretta
posizione dei collegamenti per elementi di controventamento, sporgenze esterne
o stabilizzatori e zavorra che devono essere chiaramente illustrate;
-
descrizione
dell’uso e del fissaggio della scala di accesso a gradini o a pioli;
-
descrizione
dell’uso e del fissaggio dei correnti di parapetto e della tavola fermapiede;
-
procedimento
per lo smontaggio del trabattello (se applicabile, con riferimento al procedimento
di montaggio).
E il manuale
deve contenere l’avvertimento che non devono essere utilizzati componenti danneggiati
o inadatti.
Veniamo
all’uso del trabattello.
Nel manuale
di istruzioni il fabbricante deve specificare i seguenti controlli prima di
ogni uso del trabattello, in aggiunta a quelli eseguiti durante la fase di
montaggio:
-
verifica che
il trabattello sia verticale o richieda un riposizionamento;
-
verifica che
il montaggio strutturale sia sempre corretto e completo;
-
verifica che
nessuna modifica ambientale influisca sulla sicurezza di utilizzo del
trabattello.
Il manuale
deve inoltre:
-
fornire
indicazioni per l’uso in sicurezza nel rispetto dei regolamenti nazionali;
-
precisare
che non è consentito aumentare l’altezza dell’impalcato mediante l’uso di
scale, casse o altri dispositivi;
-
fornire
indicazioni riguardo al sollevamento di utensili e materiali fino agli
impalcati di lavoro del trabattello, nei limiti dei carichi ammissibili e della
stabilità.
Infine il
manuale di istruzioni deve precisare il procedimento per spostare il
trabattello in riferimento a:
-
le
condizioni massime di vento;
-
le modalità
per sbloccare e bloccare i freni delle ruote;
-
le modalità
per lo spostamento;
-
le modalità
per utilizzare la regolazione dei piedini allo scopo di riallineare il
trabattello;
-
le
istruzioni per verificare il corretto supporto da parte delle sporgenze
esterne.
E
chiaramente il manuale deve riportare l’avvertimento che il trabattello non
deve essere mai spostato quando ci sono materiali o persone su di esso e che
non è progettato per essere sollevato e sospeso.
Concludiamo
con qualche indicazione sullo smontaggio.
Anche in
questo caso il manuale di istruzioni deve specificare il numero di persone
necessarie, l’elenco degli elementi, il peso e quantità di quelli necessari per
lo smontaggio del trabattello e relativo procedimento.
Il documento
dell’INAIL Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti
e insediamenti antropici (DIT) “Trabattelli” Quaderno Tecnico per i cantieri
temporanei o mobili è scaricabile all’indirizzo:
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