La Spezia - La storia inizia nell’aprile del 1983 quando Luigi D’Andrea, deceduto poi nel 2004, alla Spezia, a soli 42 anni, giura fedeltà alla Repubblica Italiana arruolandosi volontario nella Marina Militare.
Trattiene il respiro, è emozionato, felice.
Finita la cerimonia fa ritorno a casa, convinto di aver fatto la scelta
giusta. Gonfia il petto e passa una vita, ventisei anni, al servizio dello
Stato. Non sa cosa gli riserverà il destino. Il suo sacrificio, la sua
professionalità vengono “ripagati” con una malattia. Trascorrono solo pochi
mesi dalla terribile diagnosi, «neoplasia polmonare», alla sua morte. La
patologia è tipica dell’esposizione da amianto: D’Andrea si ammala dopo anni
passati nei vani motore delle navi della Marina Militare. Ha due figli, un
maschio e una femmina, e una moglie. I due ragazzi vengono privati del
padre in una fase cruciale della loro vita, hanno appena vent’anni e tanto
bisogno di entrambi i genitori a fianco. Il dolore e il rimorso aumentano
quando vengono a sapere che decine di uomini imbarcati con il padre hanno fatto
la stessa fine. Il processo penale viene incardinato davanti al tribunale di
Padova. La famiglia è costretta a giocare anche la partita relativa al
risarcimento. Si trovano a fronteggiare il ministero della Difesa, che non si
vuole accollare tutte le responsabilità. La resa dei conti ora è vicina. La
moglie e i figli, rappresentati dagli avvocati Enrico Conti e Barbara Spella,
hanno citato in sede civile il ministero. I legali hanno già presentato il
conto allo Stato, calcolando l’ammontare per ogni membro della famiglia
D’Andrea: 291 mila euro alla moglie e ai figli 282 mila ciascuno. Del resto, il
consulente tecnico nominato dal tribunale veneto ha redatto una perizia che non
lascia spazio a molte interpretazioni: «La patologia riscontrata nel presente
procedimento è da ritenersi causata da esposizione professionale ad amianto». I
legali della parte offesa ritengono inoltre che «l’esposizione riguardasse sia
l’ambiente di lavoro, sia l’ambiente di vita, per la presenza di materiali
contenenti amianto negli spazi adibiti agli alloggi delle navi, dove il
personale trascorreva importanti periodi di tempo». L’accusa sostiene che la
Marina Militare abbia tante colpe in questa vicenda: non avrebbe informato «il
personale, sia imbarcato che in servizio a terra, dei rischi per la salute,
omettendo anche di sottoporre e far sottoporre con regolarità i dipendenti a
controlli sanitari specifici».
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