INDICE
AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
AMIANTO: E’ SOTTO LENTE DI INGRANDIMENTO LA BATTAGLIA
DI CIVILTA’ CHE SI STA ATTUANDO IN SARDEGNA
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO E STUDENTI-OPERAI NEGLI
ISTITUTI TECNICI E PROFESSIONALI
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
LAVORARE
NELLE COOPERATIVE SOCIALI OGGI
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
FABRIZIO FABBRI, MANOVRATORE MORTO SUL LAVORO:
INDAGATI TRENITALIA E DIRIGENTI TOSCANI PER LA SUA MORTE
Posta Resistenze posta@resistenze.org
FUKUSHIMA SEI ANNI DOPO
Patria Indipendente redazione@patriaindipendente.it
IL
VOUCHER, QUESTO CONOSCIUTO
Slai Cobas per il Sindacato di classe slaicobasta@gmail.com
TARANTO: ANCORA CONDANNE PER CHI LOTTA VERAMENTE!
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To:
Sent: Monday,
March 20, 2017 12:53 PM
Subject: AMIANTO: E’ SOTTO LENTE DI INGRANDIMENTO LA BATTAGLIA
DI CIVILTA’ CHE SI STA ATTUANDO IN SARDEGNA
ASSOCIAZIONE ITALIANA
ESPOSTI AMIANTO
COMUNICATO STAMPA
Matera, 19
marzo 2017
La Sardegna è stata la regione nazionale con il più
alto tasso di industrializzazione in rapporto alla popolazione, a cui è seguito
un altissimo tasso di inquinamento ambientale per l’utilizzo di sostanze
pericolose e cancerogene come l’amianto.
Riteniamo che gli screening della sorveglianza devono
essere idonei alla verifica delle lesioni anche allo stato fibroso e per la
diagnosi precoce del carcinoma del polmone che è la patologia più comune tra
tutti coloro che sono stati esposti all’amianto nelle industrie (fattori
multifattoriali e concause).
Molti decessi prematuri che si registrano tra i
lavoratori ex esposti potrebbero essere dovuti a diagnosi tardive e imprecise,
per questo motivo l’Associazione ritiene che la Sorveglianza Sanitaria debba
essere obbligatoria per tutti i lavoratori ex esposti e debba avere come primo
obiettivo la riduzione di mortalità e la promozione della diagnosi precoce
(validi elementi di una concreta prevenzione).
Il protocollo di sorveglianza sanitaria deve
rispondere alle esigenze specifiche del territorio regionale; è stato questo il
principio che ha ispirato il protocollo sanitario in Basilicata, dove erano
presenti realtà industriali simili ed in certi casi gemelle a quelle sarde
(impianti comparto fibre ex ANIC/EniChem Ottana e Pisticci Scalo).
La Regione Basilicata ha recepito e attua le direttive
legislative nazionali e internazionali in termini riguardanti la sorveglianza
sanitaria dei soggetti ex esposti ad amianto e a rischio di patologia
amianto-correlata.
Nell’ospedale di Matera, la medicina del lavoro
coordina la sorveglianza sanitaria di oltre 2.300 lavoratori su un totale
stimato di 7.000 ex esposti nei siti industriali del Basso Basento e colline
materane; seguendo le linee guida del protocollo micronoduli, su una
coorte di oltre 2.300 ex esposti sono state effettuate 7.500 visite, che hanno
permesso di individuare circa il 20% di patologie oncologiche e non; a tal
riguardo è dato sapere che ad oggi sono state emesse oltre 450 richieste di
malattie professionali.
Si stima che in fase precoce siano stati riscontrati
circa 40 carcinomi polmonari, di questi, circa 37 vivono in buone condizioni di
salute senza essere stati sottoposti a terapia oncologica.
La sorveglianza sanitaria ha avuto procedura attiva solo
per i 550 lavoratori riconosciuti ex esposti dall’INAIL in fase amministrativa;
l’associazione AIEA Val Basento è stata il veicolo principale per le richieste
di sorveglianza sanitaria passiva per la maggior parte degli altri 1.750 ex
esposti che costituiscono la coorte di lavoratori dell’ospedale di Matera.
La diagnosi precoce del carcinoma polmonare, viene
effettuata, con l’applicazione di uno screening TC a bassa dose che permette di
ridurre le radiazioni da 13,12 fino a 0,78 mSv (millisievert), dose poco
sovrapponibile a quella della radiologia tradizionale, mantenendo una elevata
sensibilità che permette la rilevazione del nodulo e permette di fare diagnosi
precoce in patologie oncologiche dove la sopravvivenza potrebbe essere
determinata in base alla tempestività della diagnosi.
Ad integrazione dei suddetti dati, e, per avere un
quadro più chiaro delle conseguenze dovute alla esposizione lavorativa a
sostanze pericolose e cancerogene, di seguito si riporta una sintesi
provvisoria della banca dati delle patologie oncologiche e non redatta da AIEA
Val Basento.
Dati che sono stati forniti ai due medici competenti
incaricati nel 2016 dalla Procura di Matera di verificare la sussistenza del
nesso causale lavorativo per le patologie oncologiche quali il “Mesotelioma”.
Questi dati sono stati successivamente trasmessi, anche, alla Commissione
Parlamentare Infortuni, presieduta dalla senatrice Camilla Fabbri e
all’attenzione del procuratore Bruno Giordano, componente della stessa
commissione.
Complessivamente la suddetta banca dati provvisoria,
aggiornata a 28 febbraio 2017, riporta 536 casi di patologie oncologiche e non,
tra cui 215 casi di morti premature.
Nel dettaglio le patologie
nosologicamente definite sono state:
-
9 casi di mesotelioma (ex EniChem), di cui 6 deceduti,
-
54 casi di carcinoma polmonare (ex ANIC/EniChem), di
cui 40 deceduti,
-
11 casi di carcinoma polmone (altre ditte), di cui 9
deceduti,
-
11 casi di asbestosi (ex ANIC/EniChem), di cui 3
deceduti,
-
12 casi di asbestosi (altre ditte), di cui 1 deceduto,
-
64 casi di placche pleuriche (ex ANIC/EniChem), di cui
2 deceduti,
-
39 casi di placche pleuriche (altre ditte), di cui 1
deceduto,
-
13 casi di fibrosi polmonari (ex ANIC/EniChem), di cui
3 deceduti,
-
5 casi di fibrosi polmonari (altre ditte), di cui 1
deceduto,
-
26 casi di carcinoma apparato urogenitale
(exANIC/EniChem), di cui 8 deceduti,
-
4 casi di carcinoma apparato urogenitale (altre ditte),
di cui nessun deceduto,
-
30 casi di carcinoma gastrointestinale (ex ANIC/
Enichem), di cui 13 deceduti,
-
5 casi di carcinoma gastrointestinale (altre ditte),
di cui 3 deceduti,
-
9 casi di leucemia (ex ANIC/EniChem), di cui 5 deceduti,
-
2 casi di leucemia (altre ditte), di cui nessun
deceduto,
-
9 casi di morbo di Parkinson (ANIC/EniChem), di cui 3
deceduti,
-
7 casi di carcinoma testa Pancreas (ANIC/EniChem), di
cui 6 deceduti,
-
2 casi di carcinoma testa Pancreas (altre ditte), di
cui 2 deceduti,
-
5 casi di patologie cerebrali e mieloma
(ANIC/EniChem), di cui 4 deceduti,
-
3 casi di patologie cerebrali e mieloma (altre ditte),
di cui 2 deceduti.
Dalla banca dati AIEA Val Basento emerge che le
patologie oncologiche quali: leucemie, patologie cerebrali e morbi di
Parkinson, hanno interessato lavoratori ex ANIC/EniChem le cui mansioni
comportavano sia l’esposizione a sostanze chimiche pericolose (acrilonitrile,
amianto, trielina ed altre) che a probabile esposizione a campi
elettromagnetici (elettricisti, elettro-strumentisti, quadristi elettrici,
addetti ai compressori, saldatori). A tal riguardo sono in corso valutazioni
tecniche e medico-legali.
Ci auguriamo che il Governo della Regione Basilicata
approvi e deliberi il finanziamento del progetto della Fondazione Basilicata
Ricerca Biomedica per gli anni 2017, 2018 e 2019 al fine di rendere più
incisiva la sorveglianza sanitaria nei soggetti ex esposti ad amianto
(eliminazione dei falsi negativi) e allo scopo di contribuire scientificamente
alla ricerca di marcatori molecolari per facilitare la diagnosi precoce di
lesioni asbesto correlate e non.
La Fondazione Basilicata Ricerca Biomedica prevede
opportune collaborazioni con le Aziende Sanitarie di Matera e Potenza, con enti
nazionali e sovranazionali (istituzionalmente riconosciuti), che operano in
questo ambito, al fine di perseguire la più ampia ed efficace azione nello
screening della sorveglianza sanitaria.
CONCLUSIONE
Chi ha permesso l’utilizzo spregiudicato e lucrativo
dell’amianto, è responsabile di una vera tragedia sociale.
L’Associazione, con la sua azione continua e
capillare, ma soprattutto instancabile, promuove convegni e incontri per
rendere consapevoli i cittadini delle conseguenze all’esposizione a sostanze
pericolose e cancerogene come l’amianto; sta frantumando anche in Sardegna il
muro di silenzio che negli anni ha favorito la crescita di una immane
ingiustizia sociale, unica in Italia per le sue dimensioni.
E’ una grande battaglia di civiltà per dare DIGNITA’ e
RISPETTO ai lavoratori, alle vittime ed ai loro familiari che sono rimasti
senza volto.
NON POSSIAMO CAMBIARE CIO’ CHE E’ STATO.
MA SE, CON IL NOSTRO OPERATO, RIUSCIREMO A SALVARE
ANCHE UNA SOLA PERSONA, DAREMO UN SENSO ALLE NOSTRE VITTIME.
Ci auguriamo che il crescendo impegno profuso da AIEA
Sardegna, da ANMIL, dalla CGIL della provincia di Nuor permetta di rimuovere
gli ostacoli istituzionali che impediscono il raggiungimento delle finalità di
questa grande battaglia di civiltà.
Pertanto si renderebbe opportuno che anche i Sindacati
Confederali prendano una posizione attiva sulla vertenza, perché deve esistere
una GIUSTIZIA anche per i lavoratori ex esposti della Sardegna, finora
dimenticati.
Mario Murgia
Vicepresidente Nazionale ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO
* * * * *
INIZIATIVE SVOLTE IN
SARDEGNA
Giovedì 09 marzo
presso la sede regionale dell’assessorato alla sanità
di Cagliari, si è tenuto il secondo incontro per definire il nuovo protocollo
operativo per la sorveglianza sanitaria degli ex lavoratori esposti
all’amianto:
Sabato 11 marzo
Si è svolta l’Assemblea
AIEA di Bono (SS), comune dell’area del Goceano, a cui hanno aderito tante
delegazioni arrivate da tutta la Sardegna, dall’Ogliastra, dal Sassarese,
dall’Oristanese, dal Mandrolisai e dal Campidano.
I sindaci del Goceano, territorio colpito da tanti
lutti e morti, con la loro presenza hanno voluto testimoniare il loro impegno
istituzionale a sostegno delle rivendicazione dei lavoratori ex esposti e del
risanamento ambientale dell’area industriale:
Lunedì 13 marzo
AIEA, ANMIL, CGIL Nuoro, chiedono “Urgente
Convocazione Conferenza dei Capigruppo sullo Stato di Attuazione del protocollo
di Sorveglianza Sanitaria degli ex esposti all’amianto Legge Regionale 22 del
2005 e per l’attuazione di un protocollo per le bonifiche delle aree inquinate
da amianto un impegno per l’ approvazione degli atti di indirizzo ministeriale
per i siti di Ottana ed Assemini propri della legge 257 del 1992, completamente
disattesi in Sardegna a discapito dei lavoratori sardi dell’industria rispetto
alle restanti regioni di Italia”.
Giovedì 16 marzo
Si è tenuta la riunione
dei capigruppo dal 16/03/17 ore 13:00 al 16/03/2017 ore 14:00 a Cagliari. Il
Comunicato dell’ufficio Stampa del Consiglio Regionale in merito all’incontro
dei capigruppo con la rappresentanza guidata dall’AIEA al link:
COMUNICATO
AIEA SULL’INCONTRO CON I CAPIGRUPPO
La delegazione AIEA era composta da: Sabina Contu,
Tonino Sechi, Gigi Cocco, Francesco Tolu, Saverio Ara, Giovanni Collu, Claudio
Mameli, Tore Battelli, Angelo Ruiu, Giuseppe Pilia, Egidio Addis
Nell’incontro di oggi è intervenuta Sabina Contu,
esponendo in termini generali le richieste dell’AIEA e sollecitando l’esigenza
di avere in tempi brevi il nuovo Protocollo di Sorveglianza Sanitaria indicando
alcune priorità sulla tutela sanitaria. In particolare, ha indicato in modo
deciso che nel nuovo protocollo sanitario vengano inseriti esami in grado di
diagnosticare nello stadio il più precoce possibile il loro sviluppo.
Il professor Pierluigi Cocco, componente del tavolo
tecnico ha illustrato il carattere del nuovo Protocollo Sanitario e le resistenze
presenti all’interno de tavolo stesso, da parte di una parte consistente dei
medici facenti parte degli Spresal delle diverse ASL Provinciali.
Francesco Tolu è intervenuto sottolineando gli aspetti
negativi del protocollo attuale e ha indicato alcuni aspetti che il nuovo
dovrebbe colmare, a partire dall’ informazione e chiedendo alle forze politiche
presenti un impegno deciso affinché venga dato un indirizzo politico sulle
linee generali del protocollo in via di definizione.
La posizione dell’AIEA in modo unanime, ribadita e
sottolineata da tutti gli interventi, nella riunione di oggi, è stata quella di
avere una tutela sanitaria in cui ogni lavoratore, oltre ad avere maggiori
sicurezze, possa riconoscersi.
I rappresentanti AIEA hanno altresì sottolineato la
necessità che le bonifiche ambientali dei siti industriali diventino argomento
istituzionale nei rapporti con il Governo Nazionale e l’ENI per il
riconoscimento di SIN.
Questo in estrema sintesi i contenuti dell’incontro
convocato d’urgenza presso il Consiglio Regionale, con i capigruppo di tutte le
forze politiche e gli assessori alla Sanità dottor Luigi Arru e all’Ambiente
Donatella Spano.
I rappresentanti AIEA hanno altresì sottolineato la
necessità che le bonifiche ambientali dei siti industriali diventino argomento
istituzionale nei rapporti con il Governo Nazionale e l’ENI per il
riconoscimento di SIN.
17
marzo 2017
Articolo
su Sardinia post
Sabato
18 marzo
A
Cagliari presso il teatro delle Saline si è tenuta
l’assemblea AIEA, che ha visto la partecipazione del dottor Roberto Cherchi
della chirurgia toracica dell’ospedale Businco di Cagliari e del professor Pier
Luigi Cocco del Dipartimento di sanità pubblica, Sezione di Medicina del
Lavoro, Università degli Studi di Cagliari.
Il dibattito si è
concentrato:
-
sull’importanza dell’approvazione del nuovo protocollo
di sorveglianza sanitaria per gli ex esposti, che è il primo obiettivo AIEA;
-
sul riconoscimento delle malattie professionali;
-
sugli esposti/denunce alla Procura della Repubblica di
Cagliari;
-
sulla richiesta di Atto di indirizzo ministeriale per
il sito industriale di Assemini.
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To:
Sent: Tuesday,
March 21, 2017 10:18 AM
Subject: ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO E STUDENTI-OPERAI NEGLI
ISTITUTI TECNICI E PROFESSIONALI
Cultura,
spirito critico? Addio. La scuola pubblica diventa uno strumento di selezione
classista, da cui reperire manodopera giovane e prestante. Che crescerà con
l’idea che il lavoro sia gratuito.
Quest’anno scolastico (2016/2017) l’alternanza scuola-lavoro sta per
raggiungere il suo apice, dal prossimo anno tutti gli studenti dell’ultimo
triennio di licei, istituti tecnici e professionali saranno impiegati nei
progetti di alternanza, e addirittura il nuovo governo Gentiloni-Fedeli propone di allargare l’alternanza pure
agli studenti del secondo anno. Per citare il sito governativo del
Ministero dell’Istruzione: “L’estensione delle attività di alternanza anche ai
licei rappresenta un unicum
europeo. Persino in Germania, con il sistema duale, le esperienze scuola-lavoro
riguardano solo gli istituti tecnici e professionali. Il nostro modello supera
la divisione tra percorsi di studio fondati sulla conoscenza e altri che
privilegiano l’esperienza pratica. Conoscenze, abilità pratiche e competenze
devono andare insieme”.
Questo almeno è quello che il governo, prima
Renzi-Giannini e ora Gentiloni-Fedeli, ci dice. La realtà è ben diversa: se da
un lato le ore di alternanza
scuola-lavoro sono doppie (400 ore) per gli istituti tecnici e professionali
rispetto a quelle per i licei, e i fondi stanziati dal Decreto
Ministeriale 435/15 per tecnici e professionali sono 17 milioni mentre quelli
per i licei sono 1,9 milioni di euro, i percorsi sono estremamente divisi.
Questo articolo vuole porre l’accento sulla “esperienza pratica” negli istituiti tecnici e professionali, che
si traduce troppo spesso in sfruttamento
gratuito di manodopera operaia anche minorenne nelle catene di montaggio delle fabbriche.
Le notizie ci raccontano di una realtà di alternanza
scuola-lavoro inutile e non producente: studenti e studentesse che passano ore
a sistemare scartoffie, preparare caffè, pulire, oppure di scuole che
letteralmente non sanno dove poter mandare i propri studenti, per mancanza di
strutture che possano “ospitarli”. Per tentare di ovviare a questo problema è
balzata alle cronache l’accordo tra il MIUR e la multinazionale McDonald’s, che dovrebbe assumere
10.000 studenti da tutti gli indirizzi di studio, per consentire loro di avere
esperienze in vari campi, dalla ristorazione al rapporto con i clienti alla
cura dei bambini. Il progetto, dopo essere stato presentato ed aver ricevuto
valanghe di critiche da più parti, sembra essersi fermato, o comunque non ci
sono novità a riguardo, ma si inserisce nel contesto delle grandi aziende,
nazionali e multinazionali, pronte ad assumere migliaia di studenti avendo a
disposizione numerosissimi posti per la manodopera gratuita (stiamo parlando
dei cosiddetti “campioni dell’alternanza”
tra cui spuntano Zara, Poste Italiane,
McDonald’s, ENI, Intesa Sanpaolo etc.).
Perché queste aziende sono “campionesse”? Per il
semplice motivo che hanno molti posti a disposizione, ma questo abbassa
decisamente la qualità del lavoro, rendendo il tutto una prestazione di bassa
specializzazione. Si starà pensando che è ovvio che degli studenti anche
minorenni non possano accedere a lavori specializzati, e gli si risponde
subito: allora a cosa serve l’alternanza scuola-lavoro, soprattutto in contesti
di tecnici e professionali, dove la maggioranza degli studenti fa l’alternanza
nelle fabbriche? Quello che si osserva è uno sfruttamento non retribuito di una
posizione, di due mensilità e mezzo di lavoro a tempo pieno che vengono
occupate da uno studente, per quanto per ora spalmate su un arco di tre anni.
Si nota facilmente la differenza sostanziale tra un sistema di alternanza per i figli della classe medio-alta borghese
e un’alternanza per studenti e studentesse che nella maggior parte dei casi
provengono da un’estrazione popolare. Sappiamo bene che è molto più facile che
gli studenti diplomati nei licei continuino gli studi nelle università, mentre
invece chi frequenta un tecnico o un professionale è più semplice che si
appresti a cercare un lavoro, come è anche (ma non unicamente) il suo percorso
di studi, composto da materie spendibili nell’ambito lavorativo. Ecco dunque a
cosa serve questa ipertrofizzazione delle esperienze di alternanza in questi
istituti: convogliare la futura classe
operaia nelle fabbriche fin da quando è adolescente, dato che le aziende
per avere più facilmente gli studenti promettono alle scuole che assumeranno
con maggiore semplicità i ragazzi che hanno fatto l’alternanza nelle loro
strutture.
Ovviamente questi novelli operai saranno persone già abituate a lavorare nel senso più
pratico possibile senza nessun diritto (dato che ad oggi, dopo tre anni,
ancora la “Carta dei diritti e doveri
degli studenti in alternanza scuola-lavoro” non è stata emanata) e senza
una paga, dunque sarà più facile abituarsi a contratti ultra precari, bassa
specializzazione e inserimento in una catena di montaggio che rende l’operaio
alienato. Questo discorso si inserisce nel più ampio dell’aziendalizzazione della Scuola pubblica
italiana, progetto che Confindustria e i vari governi italiani stanno
portando avanti dagli anni ‘90.
Inoltre i dati parlano chiaro, consultando i dati
ISTAT elaborati dal Consorzio
Interuniversitario Almalaurea dell’Università di Bologna, pubblicati
nell’aprile 2015, relativi a laureati e non laureati e il loro inserimento nel
mondo del lavoro: “Il tasso di disoccupazione a cavallo della recessione,
ovvero tra il 2007 e il 2014, è cresciuto di 8,2 punti per i neolaureati
(ovvero di età compresa tra i 25-34 anni), passando dal 9,5 al 17,7%, e di ben
16,9 punti per i neodiplomati (di età compresa tra 18 e i 29 anni), aumentando
dal 13,1 al 30,0%. Ne deriva che, nel medesimo periodo, il differenziale tra il
tasso di disoccupazione dei neolaureati e dei neodiplomati è passato da 3,6 a
12,3 punti percentuali, a conferma delle migliori opportunità lavorative dei
primi rispetto ai secondi”.
Superfluo quindi dire come Confindustria punti a
produrre studenti-operai spendibili subito nel mercato del lavoro, non persone
che abbiano il tempo e la possibilità di studiare e specializzarsi, a discapito
però del loro futuro lavorativo nel medio-lungo periodo. In ogni caso sembra
che questa tattica non funzioni, dato che la disoccupazione giovanile a gennaio 2017 è risalita al 40,1%.
A sostegno di questa tesi leggiamo le ultime notizie:
pochi mesi fa Confindustria ha
inviato in Parlamento le proprie osservazioni riguardo una riforma degli
istituti professionali statali, chiedendo un aumento fino ad almeno il 50%
dell’orario scolastico per i progetti di alternanza scuola-lavoro, e
soprattutto incolpando il governo di dare troppo spazio alle competenze
teoriche, all’istruzione, insomma all’apprendimento di materie non prettamente
spendibili nel mercato del lavoro. Di qui la proposta del governo di una sua
riforma “che purtroppo però è ancora molto timida” secondo Confindustria. Il
punto è che serve un’istruzione
professionale di qualità che garantisca alle imprese un bacino di mestieri e
professioni strategiche per l’economia manifatturiera e ai ragazzi competenze
spendibili sul lavoro. In quest’ottica il Decreto Legislativo all’esame
delle Camere è piuttosto carente. Sul piano della didattica, per esempio,
conferma un’impostazione per “assi culturali” che non professionalizza,
penalizzando le competenze costruite sull’interdisciplinarietà.
E’ da ritenersi inaccettabile che studenti,
addirittura fino dai quindici anni, debbano lavorare in fabbrica, non essere
retribuiti e passare metà del loro percorso scolastico a lavorare piuttosto che
a sviluppare conoscenze critiche del mondo, cultura e formazione. Se il
progetto di Confindustria, dei vari governi che si stanno avvicendando e
dell’Unione Europea è quello di creare operai non specializzati a partire
dall’adolescenza per poterli immettere in un mercato del lavoro che comunque
non li accetta, se non con contratti precari, a tempo determinato, con i
voucher o a cottimo, è necessaria una risposta chiara e unitaria, che rifiuti
l’alternanza scuola-lavoro come strumento in mano alle borghesie europee e che
delinei delle regolamentazioni per una Scuola
pubblica, laica e gratuita.
Fonte: http://www.terrelibere.org
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To:
Sent:
Tuesday, March 21, 2017 10:18 AM
Subject: LAVORARE NELLE COOPERATIVE SOCIALI OGGI
Dal
cittadino persona al cittadino utente e il lavoratore nella morsa della
precarietà.
Prende il via da questo numero una rubrica curata da
alcuni lavoratori di cooperative
sociali che ha come intento quello di fare luce sulla condizione di
lavoro di migliaia di persone, che, con il loro impegno quotidiano,
garantiscono una vita normale a
tutte quelle persone, adulti e minori, uomini e donne, italiani e stranieri,
non più autosufficienti o bisognosi di assistenza.
Il nostro intento sarà quello di aprire una
riflessione che abbia il pregio di unire in una sola voce lavoratori e
cittadini beneficiari dei servizi, rivendicare diritti e tutele per entrambi, e
tornare a pensare ad un nuovo diritto alla salute pubblica per tutti, che
rifiuti la normalità della società della negazione dei diritti e della crisi
permanente.
Con l’inchiesta della magistratura che ha portato alla
luce l’abbraccio mortale tra amministratori di alcune cooperative sociali e
tecnici e amministratori degli enti locali e istituzionali, denominata “Mafia Capitale”, è emerso un giro di
mazzette che servivano a corrompere chi all’interno delle istituzioni che
amministrano Roma potesse pilotare bandi milionari in barba alla legalità, alla
trasparenza e ai diritti dei lavoratori.
Sul banco degli imputati sono finiti esponenti
politici, amministratori e presidenti di diverse cooperative sociali di Roma.
Il bottino era rappresentato dai grandi profitti che nel corso degli ultimi
anni hanno maturato le emergenze sull’accoglienza dei migranti, l’emergenza
della casa e quella dei rifiuti.
Il processo è ancora in corso e tra pochi mesi si
potrà capire meglio la storia e i tanti scenari.
Solo a Roma, nell’accoglienza ai migranti sono
impiegati oltre duemila lavoratori, molto spesso si tratta di giovani neo
laureati, psicologi, assistenti sociali o insegnanti, persone competenti e
capaci ai quali vengono corrisposti compensi bassissimi.
Già nel 2005 un grande protagonista della storia
politica e sindacale del nostro paese, l’ex partigiano ed ex segretario della
CGIL Bruno Trentin, rilasciò
un’intervista a l’Unità dopo il
caso Consorte-Unipol dove segnalava con preoccupazione la sempre più evidente
ed inquietante trasformazione e metamorfosi culturale e di identità del mondo
cooperativo.
La vicenda di Mafia Capitale, affrontata nelle aule
processuali ha però avuto il limite, secondo chi scrive, di aver lasciato fuori
dalla porta a luci spente i lavoratori e le condizioni in cui questi si
trovavano a compiere il loro lavoro all’epoca dei fatti contestati.
Ci si è limitati a condannare le cosiddette “mele
marce” senza però cercare di analizzare seriamente ed in profondità il contesto
generale, “il cesto” nel quale si è resa possibile l’attività illecita degli
inquisiti. Come se le condizioni di lavoro e di vita delle migliaia di
lavoratori e lavoratrici, il diffuso utilizzo di contratti anomali, le gare di
appalto al massimo ribasso e a termine annuale che poi significano salari da
fame e carichi di lavoro, e la stessa qualità dei servizi forniti, non
interessasse a nessuno.
Per chi, come noi, lavora nel sociale da oltre un
ventennio, non sono nuove le anomalie che anche in questa vicenda sono emerse e
che a quanto pare non vedremo mutare dopo questa inchiesta.
Innanzitutto vi è la macroscopica singolarità che le cooperative
sociali, a cui vengono esternalizzati
i servizi di assistenza, accoglienza, ecc., godono di denaro pubblico, erogato attraverso gare di appalto, senza che a
livello centrale o periferico ci siano enti istituzionali che garantiscano e vigilino al fine di verificare il
rispetto delle regole, dei
contratti, delle retribuzioni e anche l’organizzazione del lavoro, le mansioni,
le professionalità e le competenze, la formazione, la salute di tutti i
soggetti coinvolti.
Se i lavoratori delle cooperative sociali che si
occupano dell’accoglienza ai migranti non se la passano bene, meglio non va per
coloro che si impegnano quotidianamente nell’assistenza degli anziani, dei
disabili, dei minori, nelle case, nelle strutture protette, nelle scuole.
A Roma, il comune ed i municipi, erogano, per ogni ora
di prestazione, 20-23 euro lordi alle cooperative sociali che si aggiudicano
gli appalti di assistenza, dalla domiciliare alle scuole, per i vari servizi
sociali diretti alla prevenzione, cura e assistenza. Di questi solo 8 euro lordi, quando viene rispettato
il contratto nazionale di categoria, finiscono nelle retribuzioni degli
operatori impiegati in questi servizi.
Da sottolineare anche la grande anomalia dei compensi
relativi alla malattia, l’assenza di democrazia interna, l’attività
antisindacale e le assemblee svuotate di legittimazione e partecipazione
collettiva.
In conclusione, nonostante esista ancora molta
cooperazione sociale che, faticando nel groviglio delle logiche mercantili e
dei tagli della spesa, riesce a fornire servizi di qualità e a garantire
diritti ai propri soci o collaboratori, c’è tanta cooperazione sociale che
invece ha smarrito gran parte della sua spinta ideale, finendo così per
favorire gli interessi privati e particolari che arricchiscono chi gestisce e
impoveriscono chi lavora sul campo, nelle case, nelle scuole, negli ospedali,
nei centri diurni, nelle case famiglia, nei centri anti violenza, nei centri di
accoglienza.
Fonte: http://www.umbria24.it
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To:
Sent:
Wednesday, March 22, 2017 8:41 PM
Subject: FABRIZIO FABBRI, MANOVRATORE MORTO SUL LAVORO:
INDAGATI TRENITALIA E DIRIGENTI TOSCANI PER LA SUA MORTE
CHIUSA
L’INCHIESTA PER LA MORTE DEL VICCHIESE FABRIZIO FABBRI:
INDAGATI TRENITALIA E 4 PERSONE
FIRENZE
L’inchiesta preliminare sulla morte del giovane
ferroviere vicchiese Fabrizio Fabbri, che morì nel 2014 stritolato sotto le
ruote di un treno alla stazione di Santa Maria Novella, si è conclusa.
Il procuratore Filippo Focardi ha inviato l’avviso del
termine delle indagini a quattro persone fisiche e alla società Trenitalia, che
adesso possono presentare richieste, inviare documentazioni e farsi
interrogare. Ne ha dato notizia questa mattina il quotidiano La Nazione.
Il 2 gennaio 2014 Vicchio visse una tragedia. Fabbri,
un ragazzo attivo nel volontariato, autista della Misericordia, tra i più
attivi donatori di sangue Fratres, di cui era una colonna portante, ricordato
ancora oggi “come uno dei vicchiesi migliori”, lasciò una moglie, un figlio, e
un paese nel lutto e nel dolore.
Morì svolgendo il suo lavoro di manovratore di treni a
Firenze, cercando di fermare un treno che stava conducendo in stazione dal
deposito del Romito. Era solo alla guida ed era sceso quattro volte per
azionare gli scambi. L’ultima volta il treno si mosse accidentalmente, lui
cercò di raggiungerlo correndo per 150 metri, ma poi finì travolto. Fu un
difetto della macchina o un errore umano?
Le inchieste preliminari oggi hanno indicato alcune
responsabilità, accertando che la tragedia si è verificata, oltre che
per alcune manovre avventate e rischiose del Fabbri, per una errata e
illegittima organizzazione del lavoro.
Dovranno rispondere dei loro atti o delle loro
omissioni i dirigenti Gianluca Scarpellini, Silvano Padovani, Paolo Petrioli e
Sergio Bernardini.
Massimo Mugello
Da: Il Filo - Idee e Notizie dal Mugello
22 marzo 2017
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To:
Sent: Thursday, March 23, 2017 7:06 AM
Subject: FUKUSHIMA
SEI ANNI DOPO
IL PACIFICO CONTAMINATO
Il disastro, la catastrofe nucleare di Fukushima, ha
contaminato il più grande oceano del mondo in soli sei anni.
Ricordiamo brevemente che cosa è accaduto: nel 2011,
un terremoto (si è detto che probabilmente fu una ripetizione del terremoto del
2010 in Cile) genera uno tsunami che causa un crollo nella centrale nucleare
della TEPCO (Tokyio Electric Power Company) a Fukushima, in Giappone, con sei
reattori nucleari, di cui tre vanno in fusione. Quello che accade dopo è il più
grande rilascio di radiazioni in acqua della storia mondiale: il materiale
radioattivo, in alcuni casi in quantità ancora maggiore rispetto a Chernobyl,
filtra nell’Oceano Pacifico.
La quantità, è ragionevole ipotizzare alla luce di
quanto sappiamo oggi, potrebbe essere molto più grande rispetto alle stime
ufficiali giapponesi, che per molti scienziati sono alquanto imprecise.
Fukushima continua ancora oggi a rilasciare circa 300
tonnellate di rifiuti radioattivi in mare, nel Pacifico. Quotidianamente. E
continuerà a farlo in futuro. Il punto di origine della perdita non può essere
sigillato. E’ inaccessibile tanto ai lavoratori (disperati o inconsapevoli, in
molti casi, del rischio che corrono nello svolgere questo lavoro) che ai robot,
a causa delle temperature estremamente elevate.
Fukushima potrebbe diventare il peggior disastro
ambientale nella storia dell’umanità, ma viene a mala pena menzionato dalla
maggior parte dei politici istituzionali e dai molti scienziati non
interessati, oltre ad essere assente dalle notizie dei media mainstream. Una
possibile spiegazione: la TEPCO, proprietaria dell’impianto colpito e di molte
altre centrali nucleari giapponesi, una grande corporation, può senza dubbio esercitare
un controllo forte, diretto o indiretto, sulle società dell’informazione e su
molti politici.
Anche se non possiamo sentire direttamente le
radiazioni, che non si vedono, né hanno odore, alcune zone della costa
occidentale del Nord America conviveranno per anni con i loro effetti.
Naturalmente, i funzionari del governo affermano che
Fukushima non ha nulla a che vedere con quello che è successo, anche se le
radiazioni nei tonni dell’Oregon sono triplicate dopo il disastro. Già nel 2012
fu pubblicata in una delle riviste scientifiche più prestigiose, la PNAS
(Proceedings of the National Academy of Sciences), la notizia che i tonni del
Pacifico assorbono radionuclidi di Fukushima, rilevando in quelli pescati in
California quantità di cesio radioattivo 10 volte superiori (un incremento del
1.000%!) a quelle determinate prima dell’incidente nucleare.
RADIAZIONI
La stessa TEPCO ha annunciato qualche settimana fa di
aver osservato livelli record di radiazioni e un buco in una parte metallica
all’interno del sarcofago del reattore 2.
Verso la fine di gennaio, in questa unità è stata
inviata una piccola telecamera. L’analisi delle immagini filmate ha permesso di
dedurre che in una parte del sarcofago “le radiazioni possono raggiungere i 530
sievert per ora” (un essere umano esposto a una tale radioattività morirebbe
quasi all’istante).
Il sievert (Sv), ricordiamolo brevemente, è il nome
(in onore del fisico svedese Rolf Sievert, un pioniere della radioprotezione)
dell’unità di misura della dose equivalente di radiazione nel Sistema
Internazionale. Esso tiene conto delle caratteristiche del tessuto irradiato e
della natura della radiazione. Costituisce l’unità paradigmatica nella
protezione contro le radiazioni ionizzanti, poiché sebbene con alcune
limitazioni, tenta di esprimere il rischio degli effetti stocastici (cioè,
casuali) associati all’insieme delle situazioni di possibile esposizione.
In pratica, il sievert è la dose di energia assorbita
(gray) moltiplicata per un fattore di ponderazione specifico di ogni radiazione
e organo o tessuto (equivale a 100 rem, la vecchia unità di misura di dose
equivalente; rem: roetgen equivalent
man).
Il concetto inerente a questa unità di misura è che la
stessa quantità di energia assorbita può determinare effetti molto diversi a
seconda del tipo di radiazione e dell’organo esposto. Il fattore di
ponderazione dei fotoni gamma e degli elettroni è 1, mentre quello dei protoni
è 5 e quello delle particelle alfa sale fino a 20. Infatti, il Sv è una
grandezza molto elevata e solitamente si utilizzano i sottomultipli
millisievert (mSv, 1 Sv = 1000 mSv) e i microsievert (μSv, 1 mSv = 1000 µSv).
Conviene tener presente (spesso lo si fraintende o usa
erroneamente) che, per definizione, il sievert può essere utilizzato solo per
valutare il rischio di effetti stocastici negli esseri umani, ma non su fauna e
flora.
Riprendiamo il filo del discorso. C’è un margine di
errore nella cifra segnalata (530 Sv/h), cioè il livello potrebbe anche essere
inferiore del 30%. “Ma è ancora alto”, ammette il portavoce di TEPCO, Tatsuhiro
Yamagishi.
L’ultimo valore, registrato nel 2012 in altre parti
del reattore 2, era, anche secondo la TEPCO, di 73 sievert. Il livello
estremamente alto di radiazioni rilevate in un luogo, se esatto, “può indicare
che il combustibile non è lontano e che non è coperto dell’acqua”, ha
dichiarato all’emittente pubblica NHK Hiroshi Miyano, professore
dell’Università di Hosei, che presiede una commissione di studi per lo
smantellamento della centrale.
Ha anche trovato un buco, un quadrato di un metro di
lato, in una piattaforma metallica situata nel sarcofago, sotto la vasca che
contiene il nocciolo del reattore. Ipotesi ragionevole: potrebbe essere stato
causato dalla caduta di combustibile, che avrebbe fuso e forato il contenitore.
I reattori 1, 2 e 3, lo ricordiamo, sono stati i più
danneggiati nel 2011 e causarono un massiccio rilascio di sostanze radioattive.
Non è ancora stato localizzato il combustibile che presumibilmente si è fuso in
quelle tre unità delle sei, ricordiamo, che possiede la centrale danneggiata.
SALUTE
A dispetto delle informazioni del complesso
politico-industriale elettronucleare che sostengono non esserci rischi per la
salute umana e ambientale a causa della radioattività di Fukushima, esistono
(sia pure scarsi) studi pubblicati sulle più rigorose riviste scientifiche che
mostrano tutto il contrario.
L’impatto sulla salute pubblica, ancora negato da
molteplici esigenze di “sicurezza nucleare”, continua a crescere
inesorabilmente secondo le previsioni che la scienza radiobiologica e
l’esperienza degli incidenti precedenti permettono di avanzare.
Così, il primo effetto previsto a causa del rilascio
di iodio 131 è l’aumento del cancro alla tiroide nei bambini e nei giovani a
partire dal 3°/4° anno dall’incidente. E, in effetti, lo studio epidemiologico
pubblicato rileva questa realtà. Tsuda e altri hanno studiato la prevalenza del
cancro alla tiroide in 298.577 soggetti sotto i 19 anni dell’area di Fukushima
tra il 2011 e il 2014 e trovato un incremento di 30 volte (variabile a seconda
della sottoarea) rispetto alla prevalenza prevista dagli indici del resto del
Giappone in quello stesso periodo.
I 110 casi diagnosticati alla fine del 2014 continuano
ad aumentare, perché non tutta la popolazione della zona è stata controllata.
Nei prossimi anni sono attesi altri effetti, tutti dannosi.
COSTI
Il costo di smantellamento e di risarcimento ai
residenti e la decontaminazione ambientale dopo l’incidente-catastrofe nucleare
supererà di 170 miliardi di euro rispetto quanto inizialmente previsto, come
annunciato da fonti autorevoli al canale televisivo NHK.
Vedremo le cifre definitive, verificheremo la loro
attendibilità. La stima è approssimativamente il doppio di quella dichiarata
alla fine del 2013 dal Ministero dell’Industria giapponese. Le revisioni non
finiscono qui. TEPCO in un primo momento aveva dichiarato che lo smantellamento
e le opere sul luogo del disastro sarebbero costate quattro volte meno di
quanto stimato adesso, vale a dire circa 70 miliardi di euro.
Questo è importante per comprendere ciò che significa,
per l’uomo ed economicamente, recuperare il combustibile che si è fuso in tre
unità e bonificare il meglio possibile il sito e il territorio, cosa che
richiederà tre o quattro decenni (non ci sono date precise).
In realtà, un comitato di esperti nominato dal governo
giapponese aveva già avvertito in ottobre che il costo sarebbe stato di molto
superiore alla previsione iniziale. Sono una parte delle “esternalità”, si
pensi alla pubblicità atomica e alle affermazioni degli “intellettuali
organici”, dell’industria nucleare: “a buon mercato, sicura e pacifica”. Che
truffa!
COLLASSO
Migliaia di chilometri quadrati di territorio intorno
al complesso nucleare di Fukushima-Daiichi sono attualmente considerati zona di
esclusione, dove è consentito solo l’eventuale passaggio sotto la propria
responsabilità e in cui è vietata la residenza. Ottantamila profughi atomici
(l’espressione è più che adeguata) sono stati reinsediati in altre zone dal
governo giapponese.
Oltre alla profusione di segnalazioni sul pericolo di
contaminazione, le autorità giapponesi hanno dispiegato in alcune zone delle
barriere di plastica trasparente per segnare il confine. I documentaristi
Carlos Ayesta e Guillaume Bression, un venezuelano e un francese residenti in
Giappone, hanno regolarmente viaggiato lungo la zona di esclusione dal 2011 e
hanno lanciato un progetto online dal titolo “Fukushima, No Go Zone”. Hanno
realizzato una video inchiesta sulle conseguenze umane e ambientali della crisi.
“L’incidente è tutt’altro che concluso, sia nella centrale che tra i profughi
nucleari”, avvertono.
Questi fotografi hanno raccolto in Retracing Our Steps. Fukushima Exclusion
Zone. 2011–2016 (Tornando sui nostri passi. La zona di esclusione di
Fukushima. 2011-2016), “un’antologia delle visite e un inventario degli
incontri avuti con gli evacuati, persone espulse dai loro luoghi di residenza
dopo il disastro”. Mostra il terribile paesaggio dopo l’incidente-battaglia
atomica: paesaggi incontaminati dove non ci sono macerie, rovine, né resti di
un disastro tangibile, ma una sensazione di desolazione assoluta.
Carlos Ayesta e Guillaume Bression cercano di far
rivivere “le emozioni degli ex residenti nel caso di un ritorno alle loro case,
scuole o nei supermercati dove compravano tutti i giorni”. Con l’acquiescenza
di chi ha accettato di tornare per riprendere delle immagini, “hanno portato le
persone della zona in quei luoghi e li hanno invitati a posare come se nulla
fosse accaduto”.
Le immagini colpiscono: “Una donna posa con un
carrello della spesa in un supermercato in cui le confezioni alimentari sono
ancora sugli scaffali, un adolescente ascolta musica nel negozio dove comprava
i dischi, un impiegato finge di parlare al telefono nel suo ex luogo di lavoro.
Tutti sembrano statue di cera, con gli sguardi fissi e increduli, in luoghi
dove il tempo si è fermato”.
Una testimonianza diretta, quella di Shigeko Watanabe:
“Ora sono abituato, ma in un primo momento non riuscivo nemmeno a rimanerci
un’ora qui, nella mia vecchia tipografia. Pensavo di poter tornare a viverci di
nuovo, ma tutti i miei vicini hanno comprato casa altrove e nessuno prevedeva
di tornare. Questa zona è un pezzo di niente e a nessuno importerebbe se
scomparisse”.
Centinaia di migliaia di sacchetti di plastica neri,
accatastati nella zona, contengono 25 milioni di metri cubi di materiali e
terreno potenzialmente contaminati.
ROBOT
Le sonde robotiche inviate in uno dei reattori nucleari
danneggiati hanno rivelato difficoltà maggiori del previsto per l’opera di
bonifica dell’impianto.
Il robot “Scorpion” a controllo remoto è andato nella
vasca di contenimento del reattore dell’unità 2 per indagare l’area intorno al
nucleo che si è fuso sei anni fa. Il dispositivo è andato in avaria quando era
tra i detriti radioattivi.
Dotato di un dosimetro e di due piccole telecamere, il
robot è stato in grado di trasmettere alcuni dati e immagini, ma non di trovare
il combustibile nucleare fuso, un’informazione chiave per capire come rimuovere
i detriti dal reattore.
Il robot è stato abbandonato nella vasca in un punto
che non blocca l’accesso a un altro dispositivo simile in futuro. Nelle ultime
settimane, le prime analisi hanno individuato danni strutturali ai percorsi
previsti per i robot e più radiazioni del previsto, il che implica che
dovrebbero essere rivisti i progetti e i sistemi dei robot.
Come accennato, l’altra macchina progettata per
eliminare i detriti a favore del dispositivo principale, la sonda “Scorpion”, è
dovuta tornare a metà del lavoro in quanto due delle sue telecamere erano
divenute inservibili dopo due ore, in cui l’esposizione totale alle radiazioni
aveva raggiunto il livello di tolleranza massima di 1.000 sievert (la durata prevista
del robot era di 10 ore, o 100 sievert per ora).
Le immagini riprese mostrano danni e strutture coperte
da materiale, “forse mescolato con il combustibile nucleare fuso e parte di una
piattaforma a forma di disco collegata al nucleo, anch’esso fuso”.
Eduard Rodríguez Farré e Salvador López Arnal
Traduzione per Posta Resistenze a cura del Centro di
Cultura e Documentazione Popolare
11/03/17
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To:
Sent:
Thursday, March 23, 2017 4:56 PM
Subject: IL VOUCHER, QUESTO
CONOSCIUTO
Per decisione del Consiglio
dei Ministri, si va all’abolizione, tramite Decreto Legge, del pagamento della
prestazione lavorativa con i cosiddetti voucher. Di conseguenza, se tale
decreto verrà convertito in legge, non si svolgerà più il referendum promosso
dalla CGIL. Il premier Gentiloni ha dichiarato in proposito che “useremo le
prossime settimane per rispondere all’esigenza di una regolazione seria per il
lavoro saltuario e occasionale, nella consapevolezza che quello strumento si
era gradualmente deteriorato e aveva gradualmente modificato le intenzioni
iniziali per le quali era stato introdotto e che quindi non era quello lo
strumento attraverso il quale dare una risposta efficiente e moderna alla
necessità di lavoro saltuario e occasionale”.
E’ comunque opportuno fare
il punto su questa materia, per capire come hanno funzionato fino ad oggi i
buoni lavoro e quali problemi si siano aperti in ragione del loro utilizzo.
* * * * *
BREVE STORIA DEI BUONI LAVORO
Perché l’istituto si è prestato a forme fraudolente di
evasione contributiva. La precarietà implicita di questo tipo di retribuzione.
La tassa di esazione pari al 5%
Il primo dei referendum proposti dalla CGIL e ammessi
dalla Corte Costituzionale prevede, com’è noto, l’abrogazione completa di tutta
la normativa relativa ai cosiddetti buoni lavoro o “voucher”, attualmente contenuta negli articoli 48, 49 e 50 del
D.Lgs. 81/15. Istituiti con il D.Lgs. 276/03, attuativo della cosiddetta
“riforma Biagi” del mercato del lavoro, essi consistono in buoni, del valore di
10 euro ciascuno, acquistati dal datore di lavoro e utilizzati come mezzo di
pagamento dei lavoratori. Dei 10 euro corrispondenti al loro valore e costo,
7,50 vengono riscossi dal lavoratore, 1,30 è versato all’INPS a titolo di
contributi previdenziali, 0,70 all’INAIL per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro e il restante 0,50 costituisce tassa di esazione.
L’istituto in origine ha una diffusione limitata, sia
in ragione delle difficoltà di reperimento dei buoni, che potevano essere
ritirati solo presso le sedi INPS, sia perché ne era previsto per legge
l’utilizzo solo per lavori di carattere occasionale e limitato ad alcune
specifiche attività, quali ad esempio i lavori di giardinaggio, le ripetizioni
e i piccoli lavori domestici. Era (ed è tuttora) stabilito anche un limito
massimo di buoni che può essere percepito da ciascun lavoratore.
Anche dal punto di vista soggettivo vi erano forti
limitazioni: potevano essere assunte e retribuite mediante i buoni lavoro solo
alcune categorie di persone, peraltro considerate in ragione del loro
particolare status (in origine
solo disoccupati, casalinghe, disabili ed extracomunitari), con rilevanti dubbi
di legittimità costituzionale, in quanto si riservava questa forma di lavoro a
gruppi di persone protetti dal divieto di discriminazioni.
Negli anni successivi numerosissimi interventi
legislativi modificano la regolamentazione, prevedendo più ampie e comode forme
di distribuzione dei buoni (presso le Poste, le banche e le tabaccherie e da ultimo
in via telematica) e soprattutto ampliando considerevolmente sia le attività
che possono essere retribuite mediante i buoni, sia le categorie di soggetti
che li possono incassare in quanto lavoratori.
Sostanzialmente tra il 2008 e il 2015 la possibilità
di retribuire i lavoratori mediante i buoni è estesa a tutte le imprese e a
tutte le categorie di prestatori, con il limite massimo per ciascun percettore
di 7.000 euro di reddito all’anno e di 2.000 euro per ciascun datore di lavoro
(elevati a 3.000 nel caso in cui il lavoratore sia un destinatario di
ammortizzatori sociali).
Nel corso del 2016, secondo i dati dell’INPS, i
voucher sono stati utilizzati per retribuire circa 133 milioni di ore di
lavoro; nel 2015 hanno coinvolto circa 1.380 mila lavoratori, con un’età media
di 35,9 anni, con una media di 63,8 buoni per ciascun percettore;
corrispondenti a una percentuale pari a circa l’8% della forza lavoro. Il loro
impiego è stato effettuato da oltre 473.000 imprese nel 2015, in prevalenza nei
settori alberghiero, della ristorazione, dei servizi alle imprese e alle
persone.
Finalità fondamentale di questa forma di lavoro è
quella di fornire uno strumento agile per prestazioni di lavoro considerate
minori, che altrimenti rischierebbero di essere svolte in nero. I vantaggi sono
individuati generalmente nella comodità data dal fatto che il datore di lavoro
non deve adempiere a tutti gli obblighi connessi all’assunzione del lavoratore
per lavori di breve durata (comunicazioni agli enti previdenziali, versamento
mensile dei contributi, ecc.), nel minor costo previdenziale (con un
abbattimento per il datore di lavoro dal 33% al 20%), nel carattere esentasse
del reddito così percepito dal lavoratore e della sua compatibilità con lo
svolgimento di altri lavori o con il mantenimento dello status di disoccupato.
Peraltro è da osservare subito che per lungo tempo
l’istituto dei buoni lavoro, come detto volto a favorire l’emersione dal
sommerso di attività lavorative minori, si è prestato a forme fraudolente di
evasione contributiva. Ciò in quanto il datore di lavoro poteva attivare un
solo buono lavoro, corrispondente a un’ora di lavoro e impiegare per giornate
intere il lavoratore. In caso di ispezione, sarebbe bastato dichiarare che il
lavoratore aveva appena iniziato a lavorare con quell’unico buono attivato per
risultare a norma.
A questo tipo di utilizzo fraudolento dei buoni è
stato posto rimedio solo nel mese di ottobre del 2016, quando il legislatore ha
imposto l’attivazione del buono 60 minuti prima dell’inizio del lavoro, con
indicazione del nominativo del lavoratore impiegato, del luogo, del giorno e
dell’ora del suo utilizzo, obbligo questo, che però riguarda solo i datori di
lavoro imprenditori non agricoli.
Tra gli aspetti più critici dell’istituto va sottolineata
anzitutto la precarietà implicita nel loro utilizzo: sebbene la questione sia
discussa tra i giuristi, il lavoratore non è di fatto considerato titolare di
un contratto di lavoro. Il limite di 2.000 euro l’anno che egli può percepire
da ciascun datore di lavoro corrisponde a poco più di un mese di lavoro, che
può essere anche distribuito lungo tutto l’anno, durante il quale il lavoratore
rimane nella totale incertezza del se e del quando potrà essere chiamato a
lavorare, potendosi attivare i buoni uno alla volta, giorno per giorno.
Dal punto di vista economico, il corrispettivo netto
di 7,50 all’ora per il lavoratore risulta sì più alto di quanto previsto per i
più bassi livelli salariali dei dipendenti, ma ad esso fanno da contraltare
altri rilevanti svantaggi: rispetto al lavoratore assunto con ogni altro
contratto di lavoro, il dipendente ha un accredito di contributi nettamente
inferiore, che comporta oltre che una pensione decisamente più bassa, anche il
rischio di non riuscire a maturare i requisiti necessari per accedere alla
pensione (ciò sia perché, secondo le disposizioni attualmente vigenti per
maturare una settimana di contribuzione occorre percepire un reddito minimo di
200,76 euro a settimana, sia perché la riforma Fornero del 2011 ha previsto che
i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 e andranno
in pensione con il sistema di calcolo interamente contributivo, potranno farlo
a 67 anni solo qualora, oltre ad aver maturato 20 anni di contribuzione, il
calcolo della pensione raggiunga l’importo minimo di 1,5 volte l’assegno
sociale, pari a circa 640 euro).
Anche dal punto di vista fiscale l’istituto appare
discutibile, in quanto si tratta di redditi che si trovano comunque al di sotto
del limite minimo di tassazione (e che quindi sarebbero altrimenti esentasse),
ma che sono soggetti alla tassa di esazione pari al 5% del loro valore. E’
opportuno precisare che, come ha osservato anche la Corte costituzionale nel
giudizio di ammissibilità del referendum, il buono è solo una modalità di
lavoro alternativa alle altre, ma non necessaria, nel senso che la sua mancanza
non renderebbe affatto impossibile lo svolgimento di quelle attività lavorative
oggi retribuite con i buoni: più semplicemente le renderebbe soggette alle regole
e alle tutele previste per la generalità dei lavoratori. Il carattere
occasionale della prestazione inoltre potrebbe giustificare il ricorso ad altri
tipi di contratti estremamente flessibili, come il contratto a termine, il part-time per solo alcuni giorni
della settimana o del mese, o il lavoro a chiamata. Tra l’altro, per i lavori
di carattere domestico svolti in ambito familiare, gli oneri di comunicazione
dell’assunzione e il costo previdenziale del lavoro sarebbero anche minori.
Olivia Bonardi
Docente all’Università
Statale di Milano Dipartimento di scienze sociali e politiche
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To:
Sent: Monday,
March 27, 2017 8:54 AM
Subject: TARANTO: ANCORA CONDANNE PER CHI LOTTA VERAMENTE!
La
coordinatrice dello Slai Cobas di Taranto e vari lavoratori e lavoratrici della
Pasquinelli, e disoccupati, sono stati condannati a più di 2 mesi (senza pena
sospesa).
Nel dicembre 2011 erano in lotta contro
il Comune, l’AMIU (come, peraltro negli anni precedenti e successivi) che
invece di fare la raccolta differenziata, in violazione delle stesse leggi di
questo Stato borghese, usavano fondi pubblici per distribuire manciate di appalti,
ultra precari per i lavoratori, alle ditte.
Oggi il Tribunale invece di
criminalizzare chi ha ampiamente contribuito alla situazione di Taranto
(neanche pochi giorni fa è uscito il rapporto di ispettori del Ministeri di
Economia e Finanze che ha rilevato una serie di irregolarità del Comune e
partecipate, tra cui: non governo delle finanze
comunali, errate contabilizzazioni di Bilancio, errato calcolo della tariffa
rifiuti, errata costituzione del fondo crediti di dubbia esigibilità,
affidamenti diretti da parte delle partecipate in assenza di controllo,
incarichi dirigenziali a termine e del personale flessibile, con nomine
ritenute dagli ispettori fuori dai limiti previsti dalla legge e in assenza di
procedure selettive, utilizzo di collaborazioni autonome al di fuori delle
regole previste dalla legge, senza nessuna preventiva selezione, ecc.) condanna
chi lottava e lotta contro tutto questo e molto di più.
Ma c’è da dire
che grazie a quelle lotte, e solo per quelle lotte una parte dei Disoccupati Organizzati
si sono conquistati allora il lavoro.
Questo sistema giudiziario, intrecciando
politica e visione di parte (contro i diritti dei lavoratori, per cui una lotta
sacrosanta è considerata peggio di una truffa, della rapina continua ai danni
delle popolazioni, degli attacchi al lavoro, alla salute) a un burocratismo
facile che non vuole vedere le ragioni della protesta, scarica condanne e
sanzioni pecuniarie.
Questo è
ancora più inaccettabile e osceno in una realtà in cui la stessa Magistratura,
nella persona del suo massimo rappresentante, il Procuratore, verso chi per i
profitti ha fatto morire tanti operai e gente dei quartieri, dopo tre anni
dall’inizio del processo ILVA, fa accordi con gli assassini, perché escano dal
processo.
QUESTA (IN)GIUSTIZIA E’ DI CLASSE!
PERCHE’ QUESTO SISTEMA E’ DI CLASSE, DIFENDE I PADRONI, I LORO PROFITTI, LE
ISTITUZIONI DEL MALAFFARE.
MA POTETE
CONDANNARCI QUANTO VOLETE, I LAVORATORI, LE LAVORATRICI ORGANIZZATI NON SOLO
CONTINUERANNO LE LORO LOTTE, MA LAVORANO PER METTERE FINE A QUESTO SISTEMA DI
PERENNE INGIUSTIZIA.
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