INDICE
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Le “Frequently Asked Questions” di
Sicurezza Sul Lavoro - Know Your Rights! - N.25
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Mobbing o straining: il diritto al
risarcimento per il lavoratore
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Alternanza scuola-lavoro: come tutelare la
sicurezza degli studenti
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Quando non si protegge la testa
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Gli infortuni nella riparazione dei
veicoli
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your
Rights”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
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LE “FREQUENTLY
ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.25
Nella mia
attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova
rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per
evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
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Ciao Marco,
lavoro in un
magazzino, dove movimentiamo la merce su pallet con carrelli elevatori
frontali.
Ora i capi, per
fare prima, ci chiedono di prendere due pallet di merce insieme un sull’altro.
Ma così il
carico trasportato non è molto stabile.
Puoi dirmi cosa
dice la normativa a proposito?
Grazie.
Ciao,
la
movimentazione di un doppio carico comporta rischi dovuti alla ridotta o
mancata visibilità nel senso di marcia e alla riduzione della stabilità del
carico.
a livello
normativo (D.Lgs. 81/08) non ci sono particolari prescrizioni su tale aspetto,
per cui occorre fare piuttosto riferimento a linee guida o corsi di formazione
specifica.
Ti indico nel
seguito alcune di questi documenti e ti indico dove esse trattano dei rischi
legati al trasporto di doppio pallet.
Disposizioni
ricorrenti in tutti i documenti per la movimentazione sicura di carichi con
carrelli elevatori a forche sono le seguenti:
-
non prelevare con le forche carichi che
impediscano o limitino comunque la visibilità in avanti;
-
solo in casi eccezionali si possono
prelevare carichi che limitino la visibilità in avanti, ma in questo caso
occorre procedere a marcia indietro e a passo d’uomo e/o con l’ausilio di
personale a terra;
-
occorre garantire la stabilità del carico,
evitando carichi sovrapposti, se non legati tra di loro.
Direi quindi
che quanto attuato all’interno del magazzino è del tutto contrario alle regole
di condotta sicura dei carrelli elevatori e può essere tranquillamente
impugnato nei confronti dell’azienda, anche per tramite dello Spresal dell’ASL.
SPRESAL VICENZA
LINEE GUIDA CARRELLI ELEVATORI
Pagina 35
Durante la marcia il conducente deve:
-
guardare nella direzione di traslazione
del carrello e avere una visibilità sufficiente nella corsia di marcia;
-
guidare in retromarcia a passo d’uomo e
con massima cautela se la visibilità è limitata o i carichi sono ingombranti o
con l’ausilio di una seconda persona da terra.
Pagina 38
Dovrebbero essere ridotte al minimo le
possibilità di guidare in retromarcia, per esempio creando un sistema di
circolazione aziendale a senso unico.
Qualora sia comunque necessario procedere
in retromarcia, l’operatore deve sempre controllare che dietro il veicolo non
vi siano pedoni, veicoli od ostacoli ed assicurarsi che funzionino
correttamente sia il segnalatore acustico che luminoso di retromarcia.
Pagina 40
Non azionare il carrello se non è
possibile una buona visibilità. Se la visuale anteriore è ostacolata, è
indispensabile procedere in retromarcia.
Non procedere nella manovra se il carico
per essere movimentato necessita il mantenimento in posizione da parte di
un’altra persona.
ASL MILANO E
BRIANZA CARRELLI
Pagina 8
Verificare sempre la stabilità del carico
trasportato: se necessario singoli colli devono essere legati o inseriti in
ceste.
Organizzare il lavoro in modo da
trasportare carichi di dimensioni tali da garantire una buona visibilità, se il
carico è molto ingombrante procedere a marcia indietro.
BRIXIA MANUALE
OPERATORE CARRELLISTA
Pagina 14
Ma andare a bassa velocità non sempre è
sufficiente, se non riuscite a vedere dove siete diretti!
Nel caso in cui il carico trasportato
ostruisca la visibilità, girate e circolate, molto lentamente, marciando
all’indietro.
E se dopo tutto ciò ancora non riuscite
ancora a vedere il percorso chiedete collaborazione ad un’altra persona e
fatevi guidare da questi.
CORSO
CARRELLISTI 1 (L’USO DEI CARRELLI ELEVATORI)
Pagina 42
Un ostacolo alla
visuale è di solito causato dall’ingombro del carico posizionato sulle forche.
L’altezza del
carico deve sempre permettere al conducente di poter vedere una persona di
bassa statura posta davanti alle forche.
CORSO
CARRELLISTI 2 (CARRELLI ELEVATORI)
Pagina 41
Non trasportate carichi instabili o mal sistemati
o sovrapposti se sono più alti della piastra porta forche o della griglia di
reggicarico a meno che non sia un sol pezzo.
Marco
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ERGONOMIA DELLE
POSTAZIONI DI LAVORO IN AMBITO METALMECCANICO
Ciao Marco,
sono RLS in
un’azienda metalmeccanica dove sono presenti postazioni di lavoro assolutamente
inaccettabili da un punto di vista ergonomico (oggetti ad movimentare troppo
lontani o sopra la testa, pochissimo spazio tra le postazioni di lavoro,
posizioni del corpo inadeguate per sollevare carichi pesanti), ecc.).
Mi sai indicare
quali sono i criteri ergonomici da adottare e come fare per spingere l’azienda
a intervenire?
Ciao,
ti mando a
seguire brevi considerazioni sul problema che mi hai posto in merito
all’ergonomia delle postazioni di lavoro.
Secondo il
D.Lgs. 81/08 (articolo 15 “Misure generali di tutela”, che però non è un
obbligo sanzionabile):
1. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
[...]
d) il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,
nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella
definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di
ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo
[...].
Oltre a tale
principio generale di tutela della salute, trova applicazione, per quanto
riguarda l’ergonomia delle postazioni di lavoro, l’obbligo di cui all’articolo
71, comma 6 (sanzionabile) del Decreto, secondo cui:
“Il datore di lavoro prende le misure
necessarie affinché il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori durante
l’uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai
principi dell’ergonomia”.
Il Decreto non
entra nel dettaglio tecnico di quali siano i “principi dell’ergonomia”, ma rimanda a tale proposito a norme
tecniche e linee guida, così come definite dall’articolo 2.
Le norme
tecniche e le linee guida, documenti emessi da organismi riconosciuti a livello
nazionale o europeo (INAIL, UNI, ISO, ecc.), costituiscono linee di indirizzo
per il rispetto dei requisiti richiesti in maniera generica dalla normativa
cogente (il D.Lgs. 81/08 appunto).
Pertanto il
rispetto (volontario, ma non cogente) di norme tecniche e linee guida
garantisce al datore di lavoro il rispetto dei requisiti legislativi (cogenti).
Gli standard
volontari relativi all’ergonomia sono sia linee guida o norme tecniche il cui
contesto di applicazione è piuttosto generale, sia norme tecniche emesse con
riferimento a contesti specifici di applicazione
In particolare
trova puntuale applicazione nel caso da te citato il documento di Erminia
Attaianese e Gabriella Duca “Manuale di raccomandazioni ergonomiche per le
postazioni di lavoro metalmeccaniche”, edito dall’INAIL nel 2008, scaricabile
al link:
Al Capitolo 3 “Raccomandazioni e soluzioni tecniche applicabili per il miglioramento delle
condizioni ergonomiche delle postazioni di lavoro metalmeccaniche” sono
riportate una serie di soluzioni da adottare per garantire l’ergonomia fisica
della postazione, tra cui, nel caso in particolare, trovano applicazione le
seguenti:
-
nella scelta fra possibilità alternative
preferire l’opzione che riduce le distanze che devono essere colmate mediante
l’estensione delle braccia;
-
nella scelta fra possibilità alternative
preferire l’opzione che implica il minor carico sulla colonna vertebrale e le
spalle;
-
assicurare spazi sufficienti per
consentire all’operatore di assumere la postura più naturale e neutra nelle
azioni di movimentazione manuale dei carichi;
-
organizzare il layout verticale e
orizzontale della postazione evitando la necessità di portare le mani al di
sopra del capo;
-
organizzare il layout verticale e
orizzontale della postazione evitando la necessità di portare le mani lontano
dal corpo;
-
organizzare il layout della postazione in
modo che l’esercizio della forza avvenga su una direzione rettilinea e frontale
rispetto all’operatore;
-
configurare la postazione in modo da
offrire l’appoggio delle mani e degli avambracci (ad esempio con sporgenze del
piano di lavoro);
-
progettare la postazione in modo da
assicurare lo svolgimento delle manipolazioni a un’altezza compresa fra 80 cm e
110 cm.
Mentre per quanto riguarda l’ergonomia
organizzativa della postazione, il manuale dà, tra le altre, le seguenti
indicazioni:
-
prevedere il lavoro in gruppo per
movimentare manualmente carichi pesanti o ingombranti;
-
se non è possibile porgere all’operatore i
materiali ad un’altezza adeguata, offrire appoggi supplementari (ad esempio
gradini, scalette mobili, ecc) per aumentare l’altezza dell’operatore e
migliorare la raggiungibilità dei materiali da prendere (assicurarsi che questi
dispositivi non
vengano usati impropriamente e
costituiscano rischio di inciampo).
In conclusione, la tua azienda è tenuta
(ai sensi dell’articolo 71, comma 6 del Decreto) ad adottare ogni soluzione
tecnica per rispettare i principi di ergonomia del lavoro.
Tali principi sono riportati in maniera
dettagliata nella Linea Guida citata che è specifica per le aziende
metalmeccaniche e che quindi è perfettamente applicabile al caso in esame.
Le soluzioni da adottare per casi
specifici devono poi derivare da una specifica valutazione del rischio
dell’ergonomia delle postazioni di lavoro, che costituisce obbligo sanzionabile
ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del Decreto e all’interno del
quale devono essere riportate sia le misure di prevenzione e protezione
adottate per eliminare o ridurre il rischio, sia il programma di miglioramento
della situazione monitorata.
Quindi consiglio:
-
richiedere alla tua azienda la specifica
valutazione del rischio dell’ergonomia delle postazioni di lavoro;
-
richiedere come mai, nel caso in questione
non sono stati adottati i principi di cui alla Linea Guida INAIL citata;
-
richiedere l’implementazione di tali
principi.
In caso di risposte negative, come al
solito, bisogna rivolgersi alla ASL.
Marco
************
Buongiorno
Marco,
due nuovi
assunti (per fortuna da me si assume ancora) hanno sbagliato per l’80% il test
sulla sicurezza loro destinato come nuovi assunti.
Come si deve
procedere in questi casi ?
L’RSPP dice che
andrebbe rifatto il corso, rifatto il test (con costi aggiuntivi) sottolineando
il rischio che di fronte a nuovi errori potrebbe essere compromessa
l’assunzione.
Io non so
niente di tutto questo, ne se l’affermazione dell’RSPP possa essere veritiera,
e quindi, come RLS, mi sono preso un po’ di tempo.
L’RSPP ha
suggerito una alternativa per evitare i costi di cui sopra: si fa dare dal
formatore le dispense usate nel corso, insieme ai lavoratori elabora i test e
gli errori, poi dà le dispense ai lavoratori e facendo “un po’ la voce grossa”
li invita a studiare per conto proprio, dicendo loro del rischio assunzione,
cui andrebbero incontro in caso di ulteriori troppi errori, dando loro 15
giorni di tempo. Dopodiché si ritrovano RSPP e lavoratori a rifare il test.
Alla mia
domanda su come comportarsi in caso di ulteriori esiti negativi, l’RSPP non ha saputo
rispondere.
Cosa mi dici al
riguardo della mia domanda iniziale e della proposta fatta dall’RSPP?
Ciao, sinceri
saluti e grazie della disponibilità
Ciao,
immagino che i
corsi di formazione siano stati svolti secondo le modalità e i contenuti
dell’Accordo Stato Regioni del 21/11/12 che puoi scaricare al link:
Tale accordo
prevede una frequenza minima di presenza ai corsi di formazione pari al 90% del
monte ore e una prova di verifica obbligatoria, solo per le figure di preposti
e dirigenti.
Per la
formazione dei lavoratori (anche se è assurdo), l’Accordo non prevede né
frequenza minima, né verifica di apprendimento.
Secondo tale
Accordo quindi, almeno in teoria, il test di verifica non è obbligatorio e può
essere omesso.
Ovviamente
l’azienda deve dimostrare di avere adempiuto all’obbligo di formazione e a tale
scopo deve essere almeno predisposto e compilato il registro delle presenze con
orari, argomenti, firma dei lavoratori e del docente.
A tale
proposito però alcuni Pubblici Ministeri (tra cui “in primis” il solito
Guariniello) e qualche sentenza della Cassazione, ritengono che per dimostrare
l’effettività e l’efficacia della formazione, si debba (al di là dei contenuti
minimi previsti dall’Accordo citato), dimostrare (ad esempio con un test
scritto) la reale comprensione dei lavoratori.
Nel caso in
questione, aver sbagliato l’80% delle domande dimostra che i due lavoratori non
abbiano di fatto fruito di formazione effettiva ed efficacie.
In tal caso
l’unica soluzione è ripetere la formazione e ripetere il test, spiegando bene
ai lavoratori che la formazione sulla sicurezza e condizioni imprescindibile
per poter lavorare.
La soluzione
proposta dal RSPP è il classico compromesso all’italiana che salva la forma, ma
non la sostanza.
C’è comunque da
farsi alcune domande.
Il contenuto
della formazione (secondo l’articolo 37, comma 16 del D.Lgs. 81/08) “deve essere facilmente
comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le
conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Sempre
secondo tale dettato normativo “ove la formazione
riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione
e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo”.
La formazione
è stata veramente comprensibile e mirata alla realtà aziendale?
La formazione
era adeguata nei contenuti al livello scolastico e culturale dei lavoratori?
Gli altri
lavoratori che risultati hanno ottenuto?
Se i due
lavoratori erano stranieri, è stata verificata la loro padronanza con la lingua
italiana?
Se il docente
ha svolto una formazione comprensibile e adeguata, se i due lavoratori hanno
sbagliato l’80% delle domande, o hanno serie difficoltà di comprensione o, più
facilmente, hanno dormito tutto il tempo.
Occorre loro
ricordare che tra gli obblighi dei lavoratori vi è anche quello (articolo 20,
comma 2, lettera h) del D.Lgs. 81/08) di “partecipare
ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro”.
Partecipare
non vuol dire riempire la sedia...
Ripeto, se
l’azienda i corsi di formazione li fa in maniera adeguata, comprensibile,
completa, è sacrosanto dovere dei lavoratori “studiare e fare bene i compiti”.
Pertanto
l’unica soluzione accettabile secondo norma, ma anche secondo buon senso, è
quella di “rimandarli a settembre”.
In merito a
eventuali successivi esiti negativi, se l’azienda crea le premesse per fare
bene la formazione e i lavoratori capiscono che ci devono mettere anche del
loro, non credo proprio ce ne saranno.
Fammi sapere.
A presto.
Marco
************
Ciao, Marco,
avrei un
quesito.
Mio figlio oggi
è andato a fare un colloquio di lavoro per un’azienda della grande
distribuzione organizzata e gli hanno richiesto un Certificato di corso della
sicurezza di 4 ore da fare online sul sito della ANFOS.
Volevo sapere
se avevi delle notizie al riguardo.
Ti ringrazio.
Ciao,
l’ANFOS è
Associazione Nazionale Formatori della Sicurezza e raccoglie e coordina i
formatori qualificati per la sicurezza al fine di garantire un servizio
formativo di primo livello.
Per quanto
possibile, da quello che ne so, è un’organizzazione seria.
Ma il problema
per cui mi scrivi non è certo quello.
Tuo figlio non
deve fare da solo il corso ANFOS, ma deve essere la azienda che a sue spese,
con suoi strumenti e durante l’orario di lavoro fa fare il corso a tuo figlio.
L’erogazione
della formazione è infatti un obbligo sanzionabile a carico del datore di
lavoro o dei dirigenti, come sancito dall’articolo 18, comma 1, lettera l)
secondo il quale il datore di lavoro e i dirigenti devono:
“adempiere
agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli
36 e 37”.
In particolare per quanto riguarda la
formazione (che è l’argomento di cui stiamo parlando), vale quanto sancito
dall’articolo 37.
Tale articolo prevede che i lavoratori
siano formati relativamente ai concetti generali relativi alla salute e
sicurezza e alla normativa vigente (formazione generale) e ai rischi specifici
presenti negli ambienti di lavoro (formazione specifica).
I contenuti e le modalità di erogazione
della formazione (generale e specifica), come previsto dal D.Lgs. 81/08, sono
definiti più in dettaglio dall’Accordo Stato Regioni del 21/12/11.
Tale Accordo prevede per il corso di
formazione generale una durata fissa di 4 ore e per il corso di formazione
specifico una durata variabile (4, 8, 12) in funzione del livello di rischio
della attività lavorativa.
Per il corso di formazione generale di 4
ore è ammessa la modalità ondine.
Per quanto
riguarda la tua domanda, l’aspetto più rilevante è quanto previsto dal comma 12
dell’articolo 37:
“La
formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in
collaborazione con gli organismi paritetici ove presenti nel settore e nel territorio in cui si
svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può
comportare oneri economici a carico dei lavoratori”.
Pertanto la richiesta della Azienda è del
tutto illegale, in quanto il corso richiesto a tuo figlio da fare online sul
siti ANFOS è a pagamento e da quello che ho capito avverrebbe prima dell’assunzione
e quindi fuori dall’orario di lavoro.
Per rispettare quanto disposto dalla
normativa vigente (il D.Lgs. 81/08) la Azienda deve prima assumere tuo figlio e
poi, all’interno di una giornata lavorativa, mettergli a disposizione un
computer con collegamento al corso della ANFOS, il cui costo deve essere a
carico della Azienda stessa.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
NOTA
Nel testo delle
“Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti
acronimi e termini:
ASL = Azienda
Sanitaria Locale
CCNL =
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI =
Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento
di Valutazione dei Rischi
DUVRI =
Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in
appalto
OS =
Organizzazioni Sindacali
RSPP =
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
ASPP =
Assistente al Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS =
Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA =
Rappresentanze Sindacali Aziendali
RSU =
Rappresentanze Sindacali Unitarie
D.Lgs. 81/08 o
Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive
modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)
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MOBBING O STRAINING: IL DIRITTO AL
RISARCIMENTO PER IL LAVORATORE
Da Studio Cataldi
08/03/18
di Paolo Calmieri
Oltre alla fattispecie del mobbing, la
giurisprudenza ha affermato che dà diritto al risarcimento in favore del
lavoratore anche la singola condotta dannosa per lo stesso, legittimando di
fatto la fattispecie minore dello straining.
Per integrare il mobbing sul luogo di
lavoro, l’azione molesta deve essere caratterizzata da molteplici condotte
persecutorie, ripetute nel tempo, e tali da provocare un notevole danno alla
salute del lavoratore [1].
Dal punto di vista probatorio, ai fini
della configurabilità della condotta mobbizzante del datore di lavoro, è
necessario provare la serie di comportamenti di carattere persecutorio,
l’evento lesivo, il nesso eziologico e l’elemento soggettivo, cioè l’intento
persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi, in quanto la condotta
non è configurabile per mera colpa [2].
Dunque, per ottenere il risarcimento dei
danni da mobbing, si richiede una prova particolarmente rigorosa che deve
essere fornita dal lavoratore.
Alcune pronunce hanno individuato sette
parametri tassativi per il riconoscimento del fenomeno, rappresentati:
dall’ambiente, dalla durata, dalla frequenza, dal tipo di azioni ostili, dal
dislivello tra gli antagonisti, dall’andamento secondo fasi successive,
dall’intento persecutorio [3].
Quando invece la condotta mobbizzante è
effettuata dai colleghi del lavoratore, tale comportamento può portare ad
ottenere il risarcimento del danno da parte del datore di lavoro quando questo
sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo o delle
condizioni ambientali che rendono possibile, o le abbia addirittura
determinate. Potrà essere chiamato a rispondere civilmente anche l’autore
materiale delle condotte secondo le classiche regole civilistiche.
Infine, l’intento persecutorio unificante
i comportamenti lesivi può desumersi anche dall’uso abnorme del potere
direttivo, ossia quando il datore di lavoro o il superiore va al di là dei
poteri ad esso consentiti.
Il fondamento della tutela contro il
mobbing trae origine dal principio di buona fede cui deve ispirarsi lo
svolgimento del rapporto di lavoro, dovendo il datore di lavoro astenersi dal
porre in essere comportamenti e azioni che comportino condizioni lavorative
caratterizzate da stress, in quanto lesivi dei diritti fondamentali del
dipendente.
La giurisprudenza ha riscontrato condotte
mobbizzanti in caso di discredito continuo e palese del lavoratore;
ostruzionismo nell’esercizio dei diritti del lavoratore; rimproveri immotivati
ed aggressivi; demansionamento (però, quando sia dequalificante); e
assegnazione di giorni arretrati di permesso diversi da quelli richiesti.
Quando il comportamento mobbizzante non ha
il carattere della ripetitività della condotta, il lavoratore ha comunque
diritto a vedersi risarcito il danno patito in conseguenza della condotta
lesiva e persecutoria, anche qualora non derivi da molteplici comportamenti.
La fattispecie dello straining è stata
recentemente legittimata dalla Corte di Cassazione [4], la quale ha avuto modo
di confermare il risarcimento in favore del lavoratore danneggiato da attività
di straining, che altro non è se non “una forma attenuata di mobbing, nella
quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie”.
Sostanzialmente, mentre nel mobbing ci sono una serie di azioni ostili,
ripetute nel tempo, nello straining è sufficiente anche soltanto un’unica azione,
basta che gli effetti siano continui nel tempo.
In questo caso, dunque, il lavoratore vive
sul luogo di lavoro una situazione stressante legata ad un’azione ingiusta [5].
Si può configurare lo straining con la
privazione immotivata degli strumenti di lavoro, con l’assegnazione di mansioni
incompatibili con la situazione personale del lavoratore, con il trasferimento
ingiustificato in una sede disagiata, e con la svalutazione dell’operato del
lavoratore.
Per concludere, non è importante la
qualificazione dell’azione intentata dal lavoratore ai fini del risarcimento,
in quanto il Giudice non sbaglia se qualifica la fattispecie come straining e
non come il richiesto mobbing. Ciò che conta è che sia accertato il compimento
di una condotta contraria alla buona fede, senza che rilevi la iniziale domanda
giudiziale per l’accertamento ed il risarcimento da mobbing.
NOTE
[1] La normativa di riferimento è
l’articolo 2087 del Codice Civile e il D.Lgs. 81/08
[2] Ordinanza della Corte di Cassazione
Sezione Civile 21262/17
[3] Sentenza della Corte di Cassazione
Sezione Civile 10037/15
[4] Sentenza della Corte di Cassazione
3977/18
[5] Sentenza della Corte di Cassazione
3291/16
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ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: COME TUTELARE LA
SICUREZZA DEGLI STUDENTI
Da: PuntoSicuro
01/03/18
di Tiziano Menduto
La nuova Carta dei diritti e dei doveri
degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le modalità di applicazione della
normativa per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro
agli studenti in regime di alternanza.
Torniamo a parlare nel nostro giornale
dell’importante legame tra scuola e lavoro in materia di sicurezza e
dell’alternanza scuola-lavoro, una metodologia didattica che permette di
sperimentare processi di apprendimento attivi e di favorire un percorso di
attenzione alla prevenzione di infortuni e malattie professionali.
E lo facciamo con riferimento alla
pubblicazione e adozione, tramite D.M. 195/17 di un nuovo regolamento
denominato “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza
scuola-lavoro”, sicuramente un nuovo passo in avanti che si inserisce nel
quadro del più ampio del progetto regolato dalla L. 107/15 e che può facilitare
per i giovani l’acquisizione di competenze anche in materia di sicurezza sul
lavoro.
CARTA DIRITTI STUDENTI IN ALTERNANZA
Dal D.M. 195/17, entrato in vigore il 5
gennaio 2018, riprendiamo innanzitutto le finalità della Carta indicate
all’articolo 1 del regolamento.
La Carta dei diritti e dei doveri degli
studenti in alternanza ha lo scopo di dare agli studenti l’opportunità di
conoscere ambiti professionali, contesti lavorativi e della ricerca, utili a conseguire
e integrare le competenze curriculari, al fine di motivarli e orientarli a
scelte consapevoli, nella prospettiva della prosecuzione degli studi o
dell’ingresso nel mondo del lavoro.
E il regolamento definisce inoltre le
modalità di applicazione agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro
delle disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro di cui al D.Lgs. 81/08.
Il regolamento (articolo 2) si applica
agli studenti degli istituti tecnici e professionali, nonché dei licei,
impegnati nei percorsi di alternanza negli ultimi tre anni del percorso di
studi. E nel rispetto delle competenze legislative e amministrative attribuite
alle regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, il regolamento si applica
anche agli studenti dei percorsi di istruzione e formazione professionale,
erogati in regime di sussidiarietà dagli istituti professionali di Stato,
impegnati nei percorsi di alternanza.
LO SVOLGIMENTO DELL’ALTERNANZA
SCUOLA-LAVORO
Riguardo poi alle modalità di svolgimento
dell’alternanza (articolo 3) si segnala che tali percorsi, regolati dal D.Lgs.
77/05, sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità
dell’istituzione scolastica, sulla base di apposite convenzioni con le strutture
ospitanti, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e
privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, o con gli ordini professionali,
ovvero con i musei e gli altri istituti pubblici e privati operanti nei settori
del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, nonché con
enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale o con enti di
promozione sportiva riconosciuti dal CONI, disponibili ad accogliere gli
studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa, che non
costituiscono rapporto individuale di lavoro.
E tali percorsi di alternanza
scuola-lavoro sono inseriti nel Piano triennale dell’offerta formativa predisposto
dall’istituzione scolastica e nel Patto educativo di corresponsabilità e sono
co-progettati con il soggetto ospitante.
Nell’articolo 4 si fa riferimento al Patto
educativo di corresponsabilità che definisce anche i diritti e i doveri degli
studenti e dei soggetti con responsabilità genitoriale nel rapporto con
l’istituzione scolastica e con gli enti presso i quali è svolto il percorso di
alternanza. E si segnala (comma 2) che gli studenti destinatari di tale
regolamento svolgono esperienze in regime di alternanza, per una durata
complessiva di almeno 400 ore negli istituti tecnici e in quelli professionali
e di almeno 200 ore nei licei, negli ultimi tre anni del percorso di studi. E
vengono supportati (comma 6) nell’ attività di alternanza da un tutor interno
designato dall’istituzione scolastica e da un tutor della struttura ospitante
designato dalla struttura ospitante.
LA SALUTE E SICUREZZA NELL’ALTERNANZA
All’articolo 5 si sottolinea poi che gli
studenti impegnati nei percorsi in regime di alternanza ricevono
preventivamente dall’istituzione scolastica una formazione generale in materia
di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ai sensi
dell’articolo 37, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 81/08, come disciplinata
dall’accordo previsto dall’articolo 37, comma 2, del medesimo Decreto. E tale
formazione è certificata e riconosciuta a tutti gli effetti ed è integrata con
la formazione specifica che gli studenti ricevono all’ingresso nella struttura
ospitante, fatta salva la possibilità di regolare, nella convenzione tra
quest’ultima e l’istituzione scolastica, il soggetto a carico del quale gravano
gli eventuali oneri conseguenti.
Ed è dunque di competenza dei dirigenti
scolastici delle scuole secondarie di secondo grado l’organizzazione di corsi
di formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro, rivolti agli studenti inseriti nei percorsi di alternanza e svolti
secondo quanto disposto dal D.Lgs. 81/08. E per ridurre gli oneri a carico
della struttura ospitante nell’erogazione della formazione, possono essere
-
stipulati dagli uffici scolastici
regionali appositi accordi territoriali con i soggetti e gli enti competenti a
erogare tale formazione, tra i quali l’INAIL e gli organismi paritetici
previsti nell’Accordo Stato Regioni 211 del 21/12/11;
-
svolti percorsi formativi in modalità
e-learning, anche in convenzione con le piattaforme pubbliche esistenti
riguardanti la formazione, come previsto dall’ Accordo Stato Regioni 211 del
21/12/11 e dall’ Accordo Stato Regioni 128 del 07/07/16;
-
promosse forme più idonee di
collaborazione, integrazione e compartecipazione finanziaria da determinarsi in
sede di convenzione.
Sempre poi all’articolo 5 si indica che al
fine di garantire la salute e la sicurezza degli studenti è stabilito che il
numero di studenti ammessi in una struttura sia determinato in funzione delle
effettive capacità strutturali, tecnologiche e organizzative della struttura
ospitante, nonché in ragione della tipologia di rischio cui appartiene la
medesima struttura ospitante con riferimento all’Accordo Stato Regioni 211 del
21/12/11, in una proporzione numerica studenti/tutor della struttura ospitante
non superiore al rapporto di 5 a 1 per attività a rischio alto, non superiore
al rapporto di 8 a 1 per attività a rischio medio, non superiore al rapporto di
12 a 1 per attività a rischio basso.
Concludiamo segnalando che per gli
studenti in regime di alternanza è garantita la sorveglianza sanitaria di cui
all’articolo 41 del D.Lgs. 81/08, nei casi previsti dalla normativa vigente.
Il D.M. 195/17 “Regolamento recante la
Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro e le
modalità di applicazione della normativa per la tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro”
è scaricabile all’indirizzo:
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QUANDO NON SI PROTEGGE LA TESTA
Da: PuntoSicuro
01/03/18
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni in cui è stata
rilevata l’assenza di dispositivi di protezione di protezione del capo.
Incidenti nel montaggio di un ponteggio e in attività di demolizione. Gli
eventi infortunistici, i fattori causali e la prevenzione.
Nelle attività lavorative non è importante
solo usare bene la “testa”, per mettere in atto tutte le buone prassi per
lavorare in sicurezza, ma anche proteggerla da eventuali infortuni, ad esempio
con riferimento alle cadute dei materiali dall’alto.
A ricordarlo è anche l’Allegato VIII
(Indicazioni di carattere generale relative a protezioni particolari) del
D.Lgs. 81/08 che in relazione alla protezione del capo indica: “I lavoratori
esposti a specifici pericoli di offesa al capo per caduta di materiali
dall'alto o per contatti con elementi comunque pericolosi devono essere
provvisti di copricapo appropriato. Parimenti devono essere provvisti di adatti
copricapo i lavoratori che devono permanere, senza altra protezione, sotto
l'azione prolungata dei raggi del sole”.
In riferimento al lungo viaggio della
rubrica “Imparare dagli errori” attraverso gli infortuni in cui si evidenzia
una mancata fornitura o un mancato utilizzo di idonei dispositivi di protezione
individuale (DPI), ci soffermiamo oggi sugli elmetti di protezione.
Le dinamiche degli infortuni presentati
sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei
casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali
e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio
avvenuto in fase di montaggio di un ponteggio a telai prefabbricati a
un’altezza di circa 12 metri.
Un lavoratore assieme ad un collega stanno
procedendo al montaggio del ponteggio, ma, mancando alcuni elementi, il
lavoratore invece di scendere a terra a prenderli si reca sul solaio al quarto
piano dell’edificio dove è allestito un ponteggio a telai prefabbricati a un
solo piano. Su tale ponteggio sono stati portati diversi travetti in legno, e
toglie il telaio di parapetto. Appena rimosso il telaio di parapetto, il
ponteggio crolla anche a causa del peso dei travetti investendo il lavoratore
che cade riportando trauma cranico non commotivo e alcune fratture. E’ stato
rilevato successivamente che l’infortunato che lavorava già da circa 4 anni nel
settore edile non aveva però mai partecipato al montaggio di ponteggi e non
utilizzava l’elmetto.
Questi i fattori causali dell’incidente
rilevati dalla scheda:
-
il lavoratore toglieva il telaio di
parapetto dal ponteggio;
-
il lavoratore non portava elmetto;
-
presenza di travetti in legno accatastati
sopra il ponteggio.
Il secondo caso riguarda un infortunio in
attività di demolizione.
Un lavoratore sta compiendo delle opere di
demolizione del solaio del primo piano di un edificio da ristrutturare. Essendo
state demolite quasi tutte le pignatte, incomincia a togliere i ferri ancorati
alle pareti. Per effettuare tale operazione, l'infortunato sprovvisto di casco
di protezione, è su una scala posizionata instabilmente sopra del materiale di
demolizione e procede tagliando i ferri del solaio dal basso con l'utilizzo di
un utensile manuale.
Il lavoratore cade dalla scala e mentre si
trova a terra viene investito da un pezzo di solaio. L'infortunato riporta la
contusione del cranio.
I fattori causali:
-
il lavoratore tagliava i ferri del solaio
dal basso;
-
infortunato sprovvisto di casco;
-
presenza di materiale di demolizione sotto
la scala;
-
il lavoratore demolisce il solaio
utilizzando un'attrezzatura non idonea e posizionata in modo instabile cadendo
dalla stessa.
Il terzo caso riguarda un altro infortunio
nel comparto edile.
Un lavoratore mentre sta raccogliendo
alcune attrezzature di lavoro al di sotto di un balcone improvvisamente viene
colpito alla testa da una soglia che cade dal balcone sovrastante. Il
lavoratore riporta la frattura del cranio e non usa il casco.
Questi i fattori causali rilevati:
-
mancato uso del casco;
-
soglia in marmo pericolante.
Ci soffermiamo brevemente oggi su quanto
indicato dalle “Linee guida alla scelta dei DPI: calzature e elmetti” che
riporta indicazioni, tratte da materiali del CPT di Bergamo, sugli elmetti di
protezione per l'industria.
Tali elmetti sono copricapi il cui scopo
primario è quello di proteggere la parte superiore della testa
dell'utilizzatore contro lesioni che possono essere provocate da oggetti in caduta.
E la principale norma tecnica di riferimento è la UNI EN 397:2013.
Inoltre si ricorda che qualsiasi elmetto
sottoposto a un grave urto dovrebbe essere sostituito, non si devono applicare
vernici, solventi, modificare o togliere uno qualsiasi dei componenti originali
dell'elmetto.
Alcuni requisiti obbligatori sono:
-
assorbimento degli urti: l'elmetto deve
avere una resistenza di una massa di 5 kg da un'altezza di 1 m;
-
resistenza alla penetrazione: la punta di
percussione non deve entrare in contatto con la testa, l'elmetto deve avere una
resistenza di 3 kg da un'altezza di 1 m;
-
resistenza alla fiamma: i materiali della
calotta non devono bruciare con emissione di fiamma trascorsi 5 s
dall'allontanamento della fiamma;
-
ancoraggi del sottogola: la forza
esercitata provocata sull'elmetto deve permettere la rottura dell'ancoraggio.
Infine i requisiti facoltativi richiedono
che ogni elmetto deve riportare una marcatura stampata o impressa o
un'etichetta autoadesiva durevole che dichiari i requisiti facoltativi ai quali
è conforme, come segue:
temperatura molto bassa: -20 °C / -30 °C;
temperatura molto alta: +150 °C;
isolamento elettrico: 440 V circa;
deformazione laterale: LD;
spruzzi di metallo fuso: MM;
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo sono state presentate le schede numero 3417, 5650 e 6324, è
consultabile all’indirizzo:
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GLI INFORTUNI NELLA RIPARAZIONE DEI
VEICOLI
Da: PuntoSicuro
08/03/18
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni avvenuti in officine
meccaniche per la manutenzione e riparazione di veicoli a motore. Infortuni in
officine di autoriparazione e di manutenzione di mezzi pesanti. Le dinamiche
degli incidenti e la prevenzione.
Come abbiamo rilevato in precedenti
articoli dedicati alle attività di riparazione e manutenzione dei veicoli, sono
molti i rischi, sia per la sicurezza che per la salute, a cui possono essere
soggetti i lavoratori.
Riprendiamo dunque il viaggio della
rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli
eventi infortunistici, su alcuni dei possibili incidenti, carenze, errori che
si traducono in infortuni per i lavoratori di autofficine, carrozzerie,
officine di verniciatura.
Esaminiamo oggi, in particolare, alcuni
infortuni che sono avvenuti in attività di riparazione dei veicoli e che sono
stati registrati dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi
attraverso le schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi
di infortunio.
Il primo caso riguarda un infortunio che
si è verificato all’interno di un’officina meccanica di autoriparazione.
Un lavoratore doveva eseguire lavori di
riparazione sulla carrozzeria della cabina di un camioncino collocato al di
sopra di una fossa di ispezione.
La dinamica (l’infortunio non ha avuto
testimoni diretti) è stata ricostruita in base a quanto riferito dai colleghi
di lavoro dell’infortunato e a quanto osservato nel corso di un sopralluogo
effettuato a distanza di circa due ore dall’evento.
Per carteggiare la parte da riparare,
posta a circa due metri da terra, l’infortunato si serviva di una scala
metallica doppia, priva di piedini antislittamento, rinvenuta all’interno
dell’officina. Probabilmente a causa dei movimenti del lavoratore, la scala
scivolava sul pavimento in cemento, causando la perdita di equilibrio e la
caduta al suolo dell’infortunato.
Il decesso avveniva per trauma cranico.
Questi i fattori causali dell’incidente
rilevati:
-
il lavoratore per carteggiare la parte da
riparare, posta a circa due metri da terra, si serviva di una scala metallica
doppia;
-
la scala, priva di piedini
antislittamento, scivolava sul pavimento in cemento.
Il secondo caso riguarda un infortunio
mortale in una officina meccanica di manutenzione di mezzi pesanti.
Un lavoratore dopo aver effettuato la
sostituzione dei freni posteriori del pullman, scarica il mezzo dal sollevatore
e lo mette a terra, pronto per la prova finale prima della riconsegna. Il
pullman è dotato di sospensioni elettroniche che consentono il controllo del
veicolo, in funzione della riparazione dei pesi e delle condizioni stradali. In
pratica il sistema provvede a livellare (abbassando e alzando il pianale del
mezzo ) il pullman in maniera indipendente fra i due lati del posteriore.
Successivamente all’infortunio si è
accertato che il pullman era acceso, il circuito, raggiunta la pressione di
esercizio, provvedeva a livellare il mezzo abbassandolo sulla ruota posteriore
destra, lasciando uno spazio libero tra carrozzeria e gomma non maggiore di 10 cm.
Premesso che nessuno dei colleghi ha
materialmente assistito all’incidente, in base ai dati rilevati e ai
sopralluoghi effettuati, si presume la seguente dinamica: l’infortunato, per
motivi non accertabili e comunque non spiegabili, si è infilato con la testa e
la parte del tronco fra il parafango e la ruota posteriore sinistra, in quanto
il pullman abbassato sul lato destro, lasciava sul lato sinistro uno spazio
libero di circa 20-30 cm, consentendo all’infortunato tale manovra. A quel
punto il sistema di livellamento elettronico è entrato in azione provocando un
abbassamento repentino del telaio che schiacciava l’operaio.
Il primo ad accorgersi dell’incidente è
stato il padre che dava l’allarme e insieme ad altri colleghi, utilizzavano un
sollevatore pneumatico, estraevano l’infortunato in gravissime condizioni. A
seguito di intervento di eliambulanza, il medico rianimatore, esaurite tutte le
possibili procedure di soccorso, ne constatava la morte per schiacciamento del
cranio e del torace.
In questo caso l’unico fattore causale
rilevato è il fatto che il lavoratore si è infilato nello spazio libero tra
parafango e ruota.
Rimandando alla lettura dei tanti articoli
di PuntoSicuro sui lavori in quota, sull’uso delle scale portatili e sugli
errori umani in materia di infortuni, ci soffermiamo su alcune indicazioni
generali di prevenzione nel settore della riparazione dei veicoli.
E lo facciamo riportando alcune
informazioni tratte dal documento “Sicurezza e tutela della salute nel settore
dei veicoli”, prodotto in Svizzera dalla Commissione Federale di coordinamento
per la Sicurezza sul Lavoro (CFSL).
Il documento segnala che la maggior parte
degli infortuni sul lavoro è dovuta a disattenzione e leggerezza. E se la
fretta spesso causa stress ed errori anche l’ordine e la pulizia sul posto di
lavoro sono premesse fondamentali per garantire la sicurezza.
Il CFSL presenta una serie di attività
specifiche mettendo in rilievo i pericoli e alcuni idonei comportamenti/metodi
di lavoro:
-
motore in moto: per evitare il rischio di
intossicazione da gas di scarico, aspirare i gas di scarico alla fonte (tubo di
scappamento) e non lasciar acceso inutilmente il motore;
-
lavorare con il veicolo sollevato (veicoli
industriali): in questo caso il rischio principale è di caduta; utilizzare un
dispositivo anticaduta per le persone; utilizzare piattaforme di lavoro mobili
o scale fisse come accesso munite di un dispositivo di arresto e installare un
parapetto come minimo sul lato aperto verso il vuoto;
-
lavori in posture forzate: in relazione al
rischio di sovraccarico fisico, osservare i principi ergonomici;
-
ponti di carico o cabine di guida poste in
altezza: in relazione al rischio di schiacciamento in seguito alla discesa
accidentale del ponte o della cabina di guida, mettere in sicurezza il ponte di
carico con un sostegno; portare la cabina al di sopra del punto morto;
-
montaggio/smontaggio sul veicolo: per
evitare lesioni da taglio, urto, schiacciamento, rispettare il manuale d’uso e le
indicazioni del costruttore; indossare i guanti di protezione; utilizzare
correttamente gli utensili;
-
inserire ed estrarre le batterie/riempire
le batterie: in questo caso i rischi sono correlati a esplosione, a spruzzi di
acido (causticazione di pelle e occhi) e intossicazione da piombo: evitare i
cortocircuiti; indossare i dispositivi di protezione individuale; utilizzare un
dispositivo per il travaso dell’acido; mettere a disposizione una doccia
oculare;
-
collegare in parallelo le batterie:
rispettare l’esatta sequenza durante il collegamento; indossare gli occhiali di
protezione; osservare le prescrizioni del fabbricante; non collegare mai le
batterie se sono ghiacciate;
-
inserire ed estrarre l’airbag: in
relazione a vari rischi si indica innanzitutto di osservare le prescrizioni del
fabbricante;
-
impianti di climatizzazione: si consiglia
di consultare la scheda di sicurezza; verificare la tenuta; non inalare i gas;
-
veicoli ibridi o funzionanti a metano: per
evitare i rischi con questi veicoli innanzitutto è bene rivolgersi a uno
specialista qualificato;
-
svuotare il serbatoio di carburante e/o
svuotare le condotte di carburante: lavorare solo con pompe aspiratrici
azionabili a mano o antideflagranti; evitare le cariche elettrostatiche
(mettere a terra il serbatoio);
-
gonfiare le ruote/montare le ruote: per
non essere colpiti e per evitare danni all’udito durante il montaggio mantenere
la pressione di esercizio a un valore non superiore a 1 volta e mezza; gonfiare
i pneumatici e le ruote di grandi dimensioni con cerchioni speciali in speciali
gabbie; durante il gonfiaggio non avvicinare il corpo al fianco del pneumatico;
-
riparazione ruote: prima della riparazione
smontare il pneumatico sempre dal cerchione e controllarlo;
-
lavori di saldatura in prossimità di
serbatoi o condotte di carburante: schermare adeguatamente la zona di lavoro
dalla proiezione di scintille, dal calore e dalla conduzione termica;
-
lavori di riparazione e pulizia sui
veicoli: oltre a formare e istruire adeguatamente il personale è necessario
osservare quanto riportato nella guida dell’officina e nel manuale d’uso;
-
interventi sotto il veicolo: in questo
caso sono diversi i rischi: penetrazione di corpi estranei negli occhi; essere
colpito da oggetti (parti, utensili); essere investito dal veicolo; per
evitarli indossare gli occhiali di protezione; non portare pezzi o utensili sul
proprio corpo; fare in modo che il veicolo non cada o si ribalti; bloccare la
piattaforma nei nottolini di sicurezza;
-
lavori sull’impianto idraulico e
pneumatico del veicolo: osservare il manuale d’uso e indossare gli occhiali di
protezione;
-
verificare gli ugelli di iniezione: non
accedere alla zona di pericolo;
-
soccorso stradale: per evitare
investimenti mettere in sicurezza il luogo in cui si trova il veicolo guasto;
usare il gilet ad alta visibilità; sull’autoveicolo per l’assistenza stradale
portare adeguati indumenti per proteggersi dalle intemperie e il materiale di
pronto soccorso; portare il telefonino; fare in modo che l’autoveicolo non si
sposti da solo.
Nota Bene
Gli eventuali riferimenti legislativi
contenuti nel documento del CFSL riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti
indicati sono comunque utili per tutti i lavoratori.
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo sono state presentate le schede numero 705 e 3147, è consultabile
all’indirizzo:
Il documento “Sicurezza e tutela della
salute nel settore dei veicoli”, prodotto in Svizzera dalla Commissione
Federale di Coordinamento per la Sicurezza sul Lavoro (CFSL) è scaricabile
all’indirizzo:
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