di
Vijay
Prashad
«Non
c’è nulla di calmo nell’atmosfera. I lavoratori sono arrabbiati.
Il governo di Delhi continua a ingannarli»
Le
città indiane non si stanno mai in silenzio mai. Il suono è una
caratteristica costante, i clacson, il cinguettio degli uccelli, le
urla dei venditori ambulanti, il costante rumore di motore di
motocicletta. Martedì 15 gennaio [ieri, ndr] l’India
sarà in sciopero. È probabile che circa 150 milioni di lavoratori
rimarranno lontani dai propri luoghi di lavoro. I sindacati della
sinistra hanno chiamato allo sciopero generale in un paese distrutto
dalla crescente ingiustizia e da una sensazione di insoddisfazione.
Le vie del Kerala – uno stato governato dal Fronte Democratico di
Sinistra – non sono tranquille. Le macchine e le moto continuano
per la loro strada, ma le arterie grandi sono invece più tranquille.
Il trasporto pubblico è fermo perché i sindacati dei trasportatori
sostengono lo sciopero. A Thiruvananthapuram [capitale
del Kerala ndr]
sembra che sia stato fatto anche 20 anni fa, quando il traffico era
più leggero e la città più calma. Ma non c’è nulla di calmo
nell’atmosfera. I lavoratori sono arrabbiati. Il governo di Delhi
continua a ingannarli.
Il
più grande sciopero della storia umana Scioperi
di questo tipo non sono inusuali in India. Il più grande sciopero
che la storia mondiale ricordi ebbe luogo in India nel 2016, quando
180 milioni di lavoratori hanno protestato contro il governo del
primo ministro Narendra Modi. Le richieste di questo sciopero sono –
al solito – molte, ma si concentrano attorno al deteriorarsi della
qualità di vita dei lavoratori, attorno al licenziamento per molte
persone e attorno all’attacco politico verso i sindacati. Il
Governo di Modi è ben contento di modificare le leggi sui sindacati.
Tapan Sen, il leader del Centro di Sindacati Indiani (CITU), ha detto
che la nuova legge sui sindacati porterà alla riduzione in schiavitù
dei lavoratori indiani. Sono parole forti, ma non sono non credibili.
Liberalizzazione
Da
quando l’India ha guadagnato l’indipendenza nel 1947 ha cercato
una via “mista” allo sviluppo nazionale. Importanti sezioni
dell’economia sono rimaste nelle mani del governo, con le maggiori
imprese del settore pubblico che sono state create per produrre i
beni industriali necessari per rafforzare gli obiettivi di sviluppo
del paese. Il settore agricolo fu organizzato così che il governo
offrisse credito a contadini in forma di sussidi e il governo ha
fissato prezzi di mercato per assicurarsi che i contadini
continuassero a far crescere raccolti essenziali. Tutto questo è
cambiato nel 1991, quando il governo ha iniziato a liberalizzare
l’economia, a privatizzare il settore pubblico, ridurre il proprio
ruolo nel mercato agricolo e dare il benvenuto agli investimenti
esteri. La crescita fu allora presupposta sulla quantità di ritorno
in investimenti finanziari anziché in investimenti nelle persone e
nel futuro. Il nuovo orientamento politico, la liberalizzazione, ha
fatto crescere la classe media e ha guadagnato quantitativi
esorbitanti di denaro. Ma ha anche creato una crisi agricola e
prodotto una situazione precaria per i lavoratori.
Demoralizzare
i lavoratori Il
governo, dal 1991, sapeva che non sarebbe stato sufficiente
privatizzare il settore pubblico e svendere parti preziose di beni
pubblici facendole cadere in mani private. Doveva fare altre due
cose. Primo, doveva assicurarsi che le aziende del settore pubblico
fallissero, perdendo così la loro legittimità. Il governo privò di
fondi queste aziende pubbliche ed è rimasto a guardarle mentre
scomparivano. Senza investimenti queste aziende non furono capaci di
fare i miglioramenti necessari e quindi hanno iniziato nonostante sia
stata una fine architettata tramite una interruzione
dell’investimento. Secondo il governo fece pressione per rompere il
potere dei sindacati utilizzando i tribunali per mettere in
discussione il diritto di sciopero e usando la legislatura per
modificare le leggi sul sindacato. Sindacati più deboli avrebbe
significato lavoratori demoralizzati, che a loro volta avrebbe voluto
dire che i lavoratori sarebbero stati interamente alla mercé di
aziende private.
Diritto
allo sciopero Questo
sciopero, come i 17 precedenti ad esso, è incentrato su questioni di
sopravvivenza e diritto allo sciopero. Una nuova legge sindacale sta
venendo esaminata nella legislatura. Vorrebbe dire la morte del
sindacalismo in India. La frase di Tapan Sen’s sulla schiavitù
sembra meno iperbolica in questo contesto. Se il lavoratori non hanno
potere, allora sono realmente ridotti in schiavitù dalla azienda.
Questo è già il caso in fabbriche che lavorano come campi di
concentramento. Attraversando queste aziende lungo il corridoio
Chennai-Coimbatore o nella area di Manesar, hai il senso del potere
di queste fabbriche. Sono fortezze, difficili da valicare. O
prigioni. In ogni caso i sindacati non sono certo i benvenuti li.
Sono tenuti fuori a forza- con la violenza o con la politica. I
lavoratori sono spesso portati a lavorare lì provenendo da molto
lontano, sono migranti con poche radici nell’area. Nessun
lavoratore rimane a lungo. Appena sembrano insediati, sono portati
via. I lavoratori attivi e i sindacalisti perseguitati si fanno
strada in un così faticoso contesto lavorativo. La cultura della
solidarietà tra membri della classe operaia si erode, mentre cresce
la violenza sociale – che poi è l’humus in cui crescono
politiche neofasciste.
Speranza
in Kerala Il
Kerala è un posto unico in India. Qui, la cultura della lotta rimane
forte; l’orgoglio nella storia delle trasformazioni sociali in
Kerala è evidente. Nel corso degli ultimi 100 anni il Kerala ha
accentuato il suo attacco contro la gerarchia e la divisione. Sono
state sconfitte orribili pratiche sociali e il movimento di sinistra
ha coltivato l’azione pubblica come uno strumento normale della sua
vita sociale. Quando la sinistra è al potere – e ora lo è – non
introduce nuove politiche dal nulla. Movimenti di massa della
sinistra sviluppano campagne pubbliche per accrescere consapevolezza
e costruire una volontà politica dietro a queste scelte. Questa è
una delle ragioni per le quali non aleggia aria di depressione sul
Kerala. Da altre parti in India, circa 300,000 contadini si sono
suicidati per lo più a colpa della crisi per il debito agricolo. Il
professore Siddik Rabiyath dell’università del Kerala mi dice che
i pescatori sono aggravati dai debiti più dei contadini, ma non
commettono suicidio. Il professore suggerisce che potrebbe accadere
per la speranza che la pesca del giorno dopo li sollevi dal debito.
Tuttavia è anche per la generale atmosfera di speranza presente in
Kerala. Lo scorso anno quando questo stato di 35 milioni di persone
finì sott’acqua, i pescatori afferrarono le loro barche e
diventarono addetti al salvataggio di emergenza. Non hanno lavorato
per soldi o fama. Lo hanno fatto per la tradizione della solidarietà
sociale in questo stato e per la cultura della azione pubblica (vedi
anche il dossier dell’Istituto per la Ricerca sociale sulle
alluvioni in Kerala).
Sciopero
La
linea ferroviaria di Thiruvananthapuram non funziona. Gli scioperanti
si siedono sui binari. Hanno bloccato i treni. Così hanno fatto pure
gli scioperanti ad Assam – dall’altro capo dell’India. Hanno
pure bloccato le linee ferroviarie. La strada nazionale 16 in
Bhubaneswar, Odisha, è un parcheggio. Le macchine e le moto non si
possono muovere. Le scuole e le università sono silenziose. I
sindacati controllano le aree industriali fuori Delhi e fuori
Chennai. I bus pubblici a Mumbai sono fermi nei loro punti di sosta e
parcheggio, ma alla vista trasmettono solitudine.
Il
governo del primo ministro Narendra Modi è rimasto silenzioso. Ci
sono le elezioni quest’anno. Il clima politico in India non
favorisce Modi. Ma non è questa la ragione del suo silenzio. Lo fa
per la sua abitudine a ignorare l’azione pubblica per dominarla e
fingere che non stia accadendo. Se la nuova legge sui sindacati entra
in vigore, l’India abbandonerà ogni impegno verso la democrazia
sul posto di lavoro. E’ parte di una lenta erosione dei processi
democratici nel paese, uno spostamento verso l’orrore della
gerarchia e del dominio. I lavoratori non vogliono questo. Sono in
strada, hanno altri piani per il futuro.
Questo
articolo, pubblicato su
Common Dreams
è stato scritto da Globetrotter,
progetto dell’Independent Media Institute
Nessun commento:
Posta un commento