mercoledì 23 gennaio 2019

23 gennaio - info internazionalista: scioperi in India, un articolo. Il più grande sciopero della storia: 150 milioni di lavoratori indiani incrociano le braccia

di Vijay Prashad
«Non c’è nulla di calmo nell’atmosfera. I lavoratori sono arrabbiati. Il governo di Delhi continua a ingannarli»
Le città indiane non si stanno mai in silenzio mai. Il suono è una caratteristica costante, i clacson, il cinguettio degli uccelli, le urla dei venditori ambulanti, il costante rumore di motore di motocicletta. Martedì 15 gennaio [ieri, ndr] l’India sarà in sciopero. È probabile che circa 150 milioni di lavoratori rimarranno lontani dai propri luoghi di lavoro. I sindacati della sinistra hanno chiamato allo sciopero generale in un paese distrutto dalla crescente ingiustizia e da una sensazione di insoddisfazione. Le vie del Kerala – uno stato governato dal Fronte Democratico di Sinistra – non sono tranquille. Le macchine e le moto continuano per la loro strada, ma le arterie grandi sono invece più tranquille. Il trasporto pubblico è fermo perché i sindacati dei trasportatori sostengono lo sciopero. A Thiruvananthapuram [capitale del Kerala ndr] sembra che sia stato fatto anche 20 anni fa, quando il traffico era più leggero e la città più calma. Ma non c’è nulla di calmo nell’atmosfera. I lavoratori sono arrabbiati. Il governo di Delhi continua a ingannarli.

Il più grande sciopero della storia umana Scioperi di questo tipo non sono inusuali in India. Il più grande sciopero che la storia mondiale ricordi ebbe luogo in India nel 2016, quando 180 milioni di lavoratori hanno protestato contro il governo del primo ministro Narendra Modi. Le richieste di questo sciopero sono – al solito – molte, ma si concentrano attorno al deteriorarsi della qualità di vita dei lavoratori, attorno al licenziamento per molte persone e attorno all’attacco politico verso i sindacati. Il Governo di Modi è ben contento di modificare le leggi sui sindacati. Tapan Sen, il leader del Centro di Sindacati Indiani (CITU), ha detto che la nuova legge sui sindacati porterà alla riduzione in schiavitù dei lavoratori indiani. Sono parole forti, ma non sono non credibili.
Liberalizzazione Da quando l’India ha guadagnato l’indipendenza nel 1947 ha cercato una via “mista” allo sviluppo nazionale. Importanti sezioni dell’economia sono rimaste nelle mani del governo, con le maggiori imprese del settore pubblico che sono state create per produrre i beni industriali necessari per rafforzare gli obiettivi di sviluppo del paese. Il settore agricolo fu organizzato così che il governo offrisse credito a contadini in forma di sussidi e il governo ha fissato prezzi di mercato per assicurarsi che i contadini continuassero a far crescere raccolti essenziali. Tutto questo è cambiato nel 1991, quando il governo ha iniziato a liberalizzare l’economia, a privatizzare il settore pubblico, ridurre il proprio ruolo nel mercato agricolo e dare il benvenuto agli investimenti esteri. La crescita fu allora presupposta sulla quantità di ritorno in investimenti finanziari anziché in investimenti nelle persone e nel futuro. Il nuovo orientamento politico, la liberalizzazione, ha fatto crescere la classe media e ha guadagnato quantitativi esorbitanti di denaro. Ma ha anche creato una crisi agricola e prodotto una situazione precaria per i lavoratori.
Demoralizzare i lavoratori Il governo, dal 1991, sapeva che non sarebbe stato sufficiente privatizzare il settore pubblico e svendere parti preziose di beni pubblici facendole cadere in mani private. Doveva fare altre due cose. Primo, doveva assicurarsi che le aziende del settore pubblico fallissero, perdendo così la loro legittimità. Il governo privò di fondi queste aziende pubbliche ed è rimasto a guardarle mentre scomparivano. Senza investimenti queste aziende non furono capaci di fare i miglioramenti necessari e quindi hanno iniziato nonostante sia stata una fine architettata tramite una interruzione dell’investimento. Secondo il governo fece pressione per rompere il potere dei sindacati utilizzando i tribunali per mettere in discussione il diritto di sciopero e usando la legislatura per modificare le leggi sul sindacato. Sindacati più deboli avrebbe significato lavoratori demoralizzati, che a loro volta avrebbe voluto dire che i lavoratori sarebbero stati interamente alla mercé di aziende private.
Diritto allo sciopero Questo sciopero, come i 17 precedenti ad esso, è incentrato su questioni di sopravvivenza e diritto allo sciopero. Una nuova legge sindacale sta venendo esaminata nella legislatura. Vorrebbe dire la morte del sindacalismo in India. La frase di Tapan Sen’s sulla schiavitù sembra meno iperbolica in questo contesto. Se il lavoratori non hanno potere, allora sono realmente ridotti in schiavitù dalla azienda. Questo è già il caso in fabbriche che lavorano come campi di concentramento. Attraversando queste aziende lungo il corridoio Chennai-Coimbatore o nella area di Manesar, hai il senso del potere di queste fabbriche. Sono fortezze, difficili da valicare. O prigioni. In ogni caso i sindacati non sono certo i benvenuti li. Sono tenuti fuori a forza- con la violenza o con la politica. I lavoratori sono spesso portati a lavorare lì provenendo da molto lontano, sono migranti con poche radici nell’area. Nessun lavoratore rimane a lungo. Appena sembrano insediati, sono portati via. I lavoratori attivi e i sindacalisti perseguitati si fanno strada in un così faticoso contesto lavorativo. La cultura della solidarietà tra membri della classe operaia si erode, mentre cresce la violenza sociale – che poi è l’humus in cui crescono politiche neofasciste.
Speranza in Kerala Il Kerala è un posto unico in India. Qui, la cultura della lotta rimane forte; l’orgoglio nella storia delle trasformazioni sociali in Kerala è evidente. Nel corso degli ultimi 100 anni il Kerala ha accentuato il suo attacco contro la gerarchia e la divisione. Sono state sconfitte orribili pratiche sociali e il movimento di sinistra ha coltivato l’azione pubblica come uno strumento normale della sua vita sociale. Quando la sinistra è al potere – e ora lo è – non introduce nuove politiche dal nulla. Movimenti di massa della sinistra sviluppano campagne pubbliche per accrescere consapevolezza e costruire una volontà politica dietro a queste scelte. Questa è una delle ragioni per le quali non aleggia aria di depressione sul Kerala. Da altre parti in India, circa 300,000 contadini si sono suicidati per lo più a colpa della crisi per il debito agricolo. Il professore Siddik Rabiyath dell’università del Kerala mi dice che i pescatori sono aggravati dai debiti più dei contadini, ma non commettono suicidio. Il professore suggerisce che potrebbe accadere per la speranza che la pesca del giorno dopo li sollevi dal debito. Tuttavia è anche per la generale atmosfera di speranza presente in Kerala. Lo scorso anno quando questo stato di 35 milioni di persone finì sott’acqua, i pescatori afferrarono le loro barche e diventarono addetti al salvataggio di emergenza. Non hanno lavorato per soldi o fama. Lo hanno fatto per la tradizione della solidarietà sociale in questo stato e per la cultura della azione pubblica (vedi anche il dossier dell’Istituto per la Ricerca sociale sulle alluvioni in Kerala).
Sciopero La linea ferroviaria di Thiruvananthapuram non funziona. Gli scioperanti si siedono sui binari. Hanno bloccato i treni. Così hanno fatto pure gli scioperanti ad Assam – dall’altro capo dell’India. Hanno pure bloccato le linee ferroviarie. La strada nazionale 16 in Bhubaneswar, Odisha, è un parcheggio. Le macchine e le moto non si possono muovere. Le scuole e le università sono silenziose. I sindacati controllano le aree industriali fuori Delhi e fuori Chennai. I bus pubblici a Mumbai sono fermi nei loro punti di sosta e parcheggio, ma alla vista trasmettono solitudine.
Il governo del primo ministro Narendra Modi è rimasto silenzioso. Ci sono le elezioni quest’anno. Il clima politico in India non favorisce Modi. Ma non è questa la ragione del suo silenzio. Lo fa per la sua abitudine a ignorare l’azione pubblica per dominarla e fingere che non stia accadendo. Se la nuova legge sui sindacati entra in vigore, l’India abbandonerà ogni impegno verso la democrazia sul posto di lavoro. E’ parte di una lenta erosione dei processi democratici nel paese, uno spostamento verso l’orrore della gerarchia e del dominio. I lavoratori non vogliono questo. Sono in strada, hanno altri piani per il futuro.
Questo articolo, pubblicato su Common Dreams è stato scritto da Globetrotter, progetto dell’Independent Media Institute


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