La
determinazione di operai e operaie Toncar vince sulla protervia
padronale
La
vicenda Toncar è finalmente, a un punto di svolta – forse.
L’obiettivo
padronale era liberarsi dei lavoratori a tempo indeterminato
organizzati in sindacato con il SI Cobas e ripartire con lavoratori a
termine, ricattabili. Dopo due settimane di lotta, martedì in
Prefettura di Monza hanno dovuto firmare il principio del rientro di
tutti i lavoratori. L’attacco è stato respinto da una lotta decisa
e condotta in modo intelligente, nonostante la massiccia presenza di
carabinieri a fianco dei padroni. Lunedì verranno messe nero su
bianco le modalità del rientro. Se ci saranno esodi, dovranno essere
volontari. L’assemblea dei lavoratori oggi ha preso atto con
soddisfazione del risultato che solo qualche giorno prima sembrava
fuori portata, ma non disarmano.
Questi padroni di impegni e accordi
se ne sono rimangiati parecchi, per cui più che in una firma in
Prefettura, la garanzia sta sempre nella determinazione dei
lavoratori a riprendere la lotta se necessario. Intanto tra i
lavoratori, che il padrone voleva umiliare e lasciare sul lastrico
con le loro famiglie, lanciando un avvertimento ai nuovi assunti, il
morale è alto, meritatamente. Si è evitata la guerra tra i poveri,
la contrapposizione tra i “vecchi” lavoratori a tempo
indeterminato e i nuovi assunti a termine. Questi, pur avendo bisogno
di guadagnare dopo periodi di disoccupazione quei maledetti soldi
strasudati in turni di 12 e 13 ore, non si sono prestati a fare da
massa d’urto contro i lavoratori estromessi. Quando i “vecchi”
lavoratori sono entrati in fabbrica la scorsa settimana, i “nuovi”
hanno rispettato lo sciopero, e per questo sono stati rispettati dai
“vecchi”. E quando questa settimana si sono trovati all’ingresso
il picchetto di sciopero non hanno ceduto alle pressioni dei capi e
dei carabinieri che li volevano far entrare sotto la protezione dei
loro manganelli. Se l’avessero fatto, la lotta sarebbe stata molto
più difficile da vincere, e per loro questi 6 mesi di contratto a
termine sarebbero stati 6 mesi di schiavitù come questi primi
giorni, con turni di 12-13 ore senza pagamento dello straordinario,
con pause ridotte a 5 minuti e possibilità di andare un bagno una
sola volta. Anche per questo i lavoratori Toncar hanno vinto, perché
i padroni non sono riusciti a scatenare la guerra tra i poveri. E per
questo i lavoratori a tempo indeterminato che hanno lottato non
chiedono di metter fuori i nuovi per far posto a loro. La lotta è
stato uno scontro aperto tra lavoro e capitale. L’obiettivo del
padrone era disfarsi dei lavoratori sindacalizzati, distruggere la
presenza del SI Cobas in fabbrica, per poter continuare a sfruttare i
lavoratori senza rispettare leggi e contratti. Ma c’era l’inghippo
che in caso di cambio d’appalto di norma si devono assumere gli
stessi lavoratori dell’appalto precedente, e che l’attività
antisindacale in Italia è ancora un reato. Per violare i diritti dei
lavoratori in maniera “legale” i legulei dei padroni hanno
inventato un escamotage: Toncar disdiceva da inizio gennaio l’appalto
alla cooperativa One Job, e affidava le lavorazioni a una nuova
società (SDO srl) che i padroni delle precedenti cooperative
(Kometa, Etika e ultima One Job) avevano appositamente costituito
all’inizio di dicembre (sede legale sempre la stessa: via Oldofredi
45, Milano…). L’innovazione è che al posto di fornitura di
“servizi”, il contratto con SDO le commissionava il “prodotto
finito”, con affitto di locali e macchinari. Questo secondo la loro
interpretazione eviterebbe l’obbligo di assumere gli stessi
lavoratori della One Job, e permetterebbe di assumerne di nuovi, con
contratto a sei mesi. Un “sindacalista” della UIL che si
prestasse a firmare l’operazione, non è stato difficile da
trovare… Così come non è stato difficile da trovare l’Ispettore
del Lavoro che verificasse la correttezza delle procedure (a parte il
ritardo nell’assunzione di qualche lavoratore, fatto lavorare prima
di essere assunto, e piccole multe conseguenti).
E
gli 80 lavoratori di One Job?
Una
volta cessato l’appalto, non hanno più nessun rapporto con Toncar:
dopo 5, 10, 15 e anche 20 anni di lavoro, un bel calcio nel sedere, e
sei sulla strada… Due giorni dopo il panettone di Natale, con un
sms: “domani non venire al lavoro” è arrivato il benservito
della One Job. E il padrone Paolo Toniolo pensava di cavarsela così:
non erano mai stati suoi dipendenti, non ne conosceva neanche i nomi,
non erano affari suoi… Ma gli 80 lavoratori che questa fabbrica
l’hanno vista crescere anno dopo anno, da una palazzina a tanti
capannoni e decine di nuove macchine – tutto il frutto del loro
sudore – non erano facili da convincere che era tutto a posto così,
secondo la legge. E al primo lunedì dopo le feste sono entrati anche
loro nella loro fabbrica, assieme ai nuovi assunti.
Violazione
della proprietà privata?
Privata
la proprietà costruita sul loro sudore?
Nessuna
violazione, ma l’affermazione di un diritto, e lotta contro la
violazione del loro rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un
giochetto delle tre carte tra padroni. L’occupazione della
fabbrica, così come lo sciopero, è una forma di lotta da sempre
praticata contro i licenziamenti. Non li hanno convinti carabinieri e
digos: “se pensate di avere ragione, procedete per le vie legali e
non mettetevi ‘dalla parte del torto’ ”. Aspettare mesi e mesi,
quando alla Toncar si saranno stabilizzati nuovi lavoratori, e
sperare che un giudice buono ordini di reintegrarci sbattendoli
fuori? No grazie! Non li hanno convinti neppure le minacce di denunce
alla magistratura e agli uffici immigrazione (tutti i lavoratori sono
immigrati, da Marocco, Romania, Egitto, Filippine) – la non velata
minaccia di applicare il Decreto Salvini e ritirare il permesso di
soggiorno (ecco a cosa serve il Decreto Sicurezza: a dare sicurezza a
lorsignori di poter sfruttare a piacimento gli immigrati!). La lotta
è continuata, nonostante uno schieramento di “forze dell’ordine”
senza precedenti: domenica (!) 13 gennaio i carabinieri schierati a
proteggere ingresso e permanenza dei nuovi assunti in un turno di 13
ore… lunedì 14 cinquanta carabinieri a guardia di 4 cancelli, per
far entrare i nuovi schiavi e tener fuori i lavoratori in lotta!
È
a questo che servono le “forze dell’ordine”?
A
proteggere i padroni quando licenziano i lavoratori?
Chi
ancora si illudeva che fossero lì per garantire la “giustizia”
ha imparato qualcosa. Armati di scudo casco e manganello erano pronti
a sgomberare il folto picchetto rafforzato da molti solidali, se solo
i nuovi si fossero fatti convincere a entrare. Si sono invece
limitati a manganellare i lavoratori da tener fuori al loro primo
tentativo di scavalcare il cancello, mandandone uno all’ospedale.
Ma proprio questo “incidente” ha rafforzato la determinazione a
continuare la lotta, costi quel che costi. E martedì il picchetto ha
tenuto dalle 6 di mattina fino alla fine dell’incontro in
Prefettura, dopo mezzanotte. L’impossibilità di terminare la
commessa nonostante le 13 ore lavorate la domenica, la constatazione
che i lavoratori non si facevano turlupinare dal giochetto delle tre
carte ed erano più decisi che mai, mentre perfino la stampa locale
dava risalto alla lotta portando simpatie in terra leghista a questi
immigrati coraggiosi, ha indotto i padroni ad accettare il rientro
dei lavoratori che avevano voluto cacciare. Con questa lotta
esemplare i lavoratori Toncar, grazie anche al sostegno di molti
lavoratori SI Cobas di altre aziende, hanno respinto l’attacco
padronale e ottenuto un primo importante riconoscimento delle loro
ragioni, che dovrà concretizzarsi nella trattativa della prossima
settimana. A questa si presentano a testa alta e più compatti che
mai. La loro lotta, come, tra le ultime, quella delle operaie di
Italpizza, deve essere conosciuta e ispirare tanti lavoratori,
italiani e stranieri, che in situazioni analoghe disperano di poter
vincere.
Solo
la lotta paga!
S.I.
COBAS
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