Il
giudice va in pensione e il processo rischia di ripartire daccapo
di
ANNA GIORGI
Milano,
24 gennaio 2019 - È una storia che si ripete, quando si tratta
di
amianto,
che finisca in assoluzione per tutti gli imputati. Un tema
controverso, quello delle morti per amianto e soprattutto delle
responsabilità
di chi aveva il compito di gestire la sicurezza. Questa volta,
l’inghippo è processuale, così rischia di ripartire da capo il
processo d’appello, che era già alle battute finali, a carico di
cinque ex vertici ed ex
manager di Fiat, Alfa Romeo e Lancia
accusati di omicidio
colposo,
e assolti in primo grado, per una quindicina di casi di operai morti
per forme tumorali dopo essere stati esposti, secondo l’accusa,
all’amianto negli stabilimenti
Alfa di Arese. Ieri
erano attese le arringhe dei difensori, ma il presidente del collegio
della quinta sezione penale della Corte d’Appello, Pietro Carfagna,
ha comunicato che andrà
in pensione e
quindi non potrà concludere il processo, già arrivato alle battute
finali, e ha aggiornato l’udienza all’8 marzo per la composizione
di un
nuovo collegio di giudici
che si occuperà del procedimento. Insomma è possibile che sia tutto
da rifare.
Senza un eventuale accordo tra le parti per mantenere
validi gli atti del processo che si è svolto finora (e i difensori
dei manager non ne hanno l’interesse), il procedimento potrebbe
ricominciare
da zero.
Il sostituto pg Nicola Balice nelle scorse udienze ha chiesto una
condanna a 8 anni di carcere per l’ex presidente di Lancia
Industriale spa, Pietro Fusaro, 6 anni per l’ex aministratore
delegato Fiat Auto, Paolo Cantarella, 5 anni per l’ex presidente
Fiat, Giorgio Garuzzo, e 5 e 8 anni per due ex ad di Alfa Romeo. Per
il tribunale, che aveva assolto gli imputati in primo grado, non era
stato «possibile accertare» se l’amianto presente nello
stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese,
tra la metà degli anni ‘70 e metà anni ‘90,
«abbia o meno causato, o concorso a causare, i decessi per tumore
polmonare o mesotelioma pleurico dei 15 lavoratori che» in quella
fabbrica «hanno prestato per molti anni la loro attività, né a chi
siano attribuibili tali decessi». Un verdetto, quello dei giudici di
primo grado, tra l’altro in linea con gli altri recenti del
Tribunale milanese che hanno assolto manager di grandi imprese per
casi di lavoratori che sono morti o si sono ammalati dopo essere
stati esposti all’amianto. Come il caso degli
ex manager Breda,
accusati della morte di 10 operai dello stabilimento di viale Sarca,
tutti assolti. Milano è considerata «la capitale dell’amianto con
record di casi di mesotelioma». Secondo il presidente
dell’Osservatorio
nazionale sull’amianto (Ona),
Ezio Bonanni, nel capoluogo lombardo «c’è stata una particolare
trascuratezza nelle misure di sicurezza che, seppur in sé poco
efficaci, avrebbero diminuito le esposizioni e dunque l’impatto
della fibra killer sulla salute dei lavoratori e dei cittadini». La
magistratura, come ha chiarito il pm Maurizio Ascione, titolare di
molte inchieste su grandi aziende per la morte di operai finite con
assoluzioni, «sta seguendo un complesso e profondo percorso sulla
tematica, atteso il principio della obbligatoria azione penale che
poi, però, deve confrontarsi con la verifica della responsabilità
penale che è personale».
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