Il teatro è stato condannato a versare alla lavoratrice 809,60 euro per ogni mese tra l’estromissione e la scadenza del contratto, oltre a interessi e rivalutazione monetaria. Dovrà poi pagare 3.500 euro di spese legali ai difensori
Il Tribunale del lavoro di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento della giovane maschera del Teatro alla Scala che il 4 maggio scorso, all’arrivo della premier Giorgia Meloni per un concerto a inviti organizzato dall’Asian development bank, era salita in prima galleria e aveva gridato “Palestina libera“. Un gesto che le è costato il posto di lavoro.
In attesa del deposito delle motivazioni, la prossima settimana, il dispositivo attesta che non c’erano i presupposti per un licenziamento per giusta causa. La Scala è stata quindi condannata a versare alla lavoratrice 809,60 euro – pari al compenso che avrebbe percepito – per ciascun mese tra l’estromissione e la scadenza del contratto, oltre agli interessi. Il contratto scadeva il 30 settembre, quindi la ragazza avrà diritto a poco più di 4mila euro. Il teatro dovrà inoltre pagare 3.500 euro di spese legali.
“Speriamo che la sentenza non venga impugnata e che la Scala ammetta lo sbaglio“, commenta l’avvocato difensore Alessandro Villari. “Il giudice ha accertato che non si può licenziare un lavoratore per aver gridato ‘Palestina libera’. Tanto più che il gesto è stato fatto durante un evento a cui partecipavano ministri e persone potenti, non semplici osservatori della situazione a Gaza”. Israele è tra i membri dell’Asian development bank e nel suo board siede il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, parte dell’ala più estremista dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu.

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