NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
LE “FREQUENTLY ASKED
QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.13
Nella
mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked
Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente,
per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Buongiorno
Marco,
colgo
l’occasione per ringraziarti per il tuo grande lavoro di ricerca e
informazione.
Ti
scrivo per chiederti se esistono normative rispetto il numero minimo di persone
addette al presidio degli impianti in orario notturno.
Lavoro
in una azienda che si appresta a una fermata di circa 6 mesi. L’unica attività
industriale che rimane in esercizio è l’erogazione di energia termica sulla
rete di teleriscaldamento, attraverso caldaie a metano.
Ci
è stato proposto di mantenere in turno un solo operatore anche di notte per la
conduzione delle caldaie a metano ad acqua surriscaldata (necessita di
patentino abilitativo per la conduzione) e il presidio degli impianti.
Mi
chiedo se esistono norme specifiche per chiedere almeno due operatori in turno.
Nel caso il datore di
lavoro procedesse unilateralmente nell’organizzazione dell’orario di lavoro,
anche temporaneamente, prevedendo lavoro solitario, ti chiedo se è
possibile far ricadere su di lui e l’RSPP la responsabilità di tali decisioni.
Grazie
mille in anticipo per le indicazioni che vorrai darmi.
Un
caro saluto.
Ciao,
la
risposta alla tua domanda non è semplice, in quanto deve tenere conto di tutta
una serie di fattori e in quanto non esistono in generale regole fisse sul
numero di operatori presenti all’interno di un turno, ma sono fornite
indicazioni di carattere generale che lasciano molto margine di interpretazione
ai datori di lavoro.
Tali
indicazioni sono comunque contenute nel D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla
sicurezza) e nel D.Lgs. 66/03 (Disciplina dell’orario di lavoro)
A
seguire ti riassumo i requisiti minimi richiesti da tali normative in caso di
lavoro notturno e/o isolato.
Deve
essere verificata l’idoneità del lavoratore a svolgere lavoro notturno, tramite
visita medica specifica eseguita dal medico competente, il quale deve esprime
un giudizio formale (per iscritto) sulla idoneità psico-fisica del lavoratore
al lavoro notturno.
Il
datore di lavoro deve specificare all’interno del documento di valutazione del
rischio, quali siano i rischi aggiuntivi rispetto alle situazioni di routine,
in caso di lavoro notturno e/o isolato e deve indicare quali misure di
prevenzione e protezione ha adottato per far fronte a qualsiasi rischio
derivante dal lavoro notturno e/o isolato. Quanto sopra deve essere
formalizzato in un documento a firma del datore di lavoro, consultabile dai
RLS.
Il datore di lavoro deve
organizzare un servizio di primo soccorso in caso di malori o infortuni ai
lavoratori isolati che garantisca sempre un adeguato livello di
efficienza del servizio di primo soccorso, tenendo anche conto della
possibilità di lavoro notturno e/o isolato, sia per monitorare costantemente lo
stato di salute dei lavoratori, sia per permettere un tempestivo ed efficace
intervento degli addetti al primo soccorso e dei soccorritori esterni.
Inoltre il datore di lavoro deve organizzare il lavoro notturno in
modo che sia sempre garantito un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di
protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno. Per servizi “adeguati” si deve
intendere che tali servizi devono tener conto di un “rischio aggiuntivo” dovuto
al fatto che il lavoratore si trova in una condizione potenzialmente di
disagio, di maggiore vulnerabilità, di minor performance. Per servizi
“equivalente” si deve intendere che tali servizi garantiscano le stesse
prestazioni di protezione e di riduzione del danno che vengono garantite
durante il giorno. Per misure di protezione “appropriate” infine si deve
intendere che la protezione da adottare, quando rischi particolarmente gravi
siano svolti durante il lavoro notturno, debba essere graduata e rivista in
base alla diversa entità e specificità del rischio.
In particolare per quanto riguarda
il servizio di primo soccorso deve essere garantita l’equivalenza al lavoro
diurno del servizio stesso, sia nei suoi aspetti gestionali (procedure di
intervento e di allerta), che materiali (numero di addetti al servizio,
disponibilità dei presidi sanitari). In particolare in caso di lavoro isolato
(notturno o diurno), l’equivalenza del servizio di primo soccorso presuppone
che sussista la medesima possibilità di allertare gli addetti al servizio o i
soccorritori esterni (118) in caso di malore o infortunio per il lavoratore.
Al di là dell’aspetto
emergenziale, inoltre tutti gli altri servizi e aspetti che possono impattare
sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori durante il lavoro notturno
(servizi tecnici, illuminazione, segnaletica, ritmo di lavoro, ecc.), devono
essere del tutto equivalenti a quelli previsti per il lavoro diurno.
Il datore di lavoro deve
inoltre prevedere sistemi per monitorare in tempo reale lo stato di salute del
lavoratore attraverso il controllo del suo stato di coscienza.
In conclusione, ritengo
difficile nel caso da te segnalato, a meno di specifici interventi di tipo
tecnologico e/o organizzativo, poter garantire la piena sicurezza con un solo
operatore presente in azienda.
In
merito alle responsabilità di una decisione unilaterale da parte dell’azienda,
gli obblighi sopra richiamati si applicano al solo datore di lavoro o al
dirigente da lui delegato. Pertanto il loro mancato adempimento comporta le
sanzioni previste dalla normativa citata.
Il
RSPP invece non può venire sanzionato (a meno che non sia a sua volta datore di
lavoro o dirigente delegato dell’azienda) perché su di lui il D.Lgs. 81/08 non
pone obblighi sanzionabili, ma assegna solo un ruolo di consulenza.
************
Ciao
Marco,
all’interno dell’azienda dove lavoro io, non tutti i
lavoratori usano il DPI, nella fattispecie, le scarpe antinfortunistiche, a
cominciare dal direttore, il quale effettua attività lavorativa a rischio
spesso e volentieri.
Ho chiesto al mio RSPP di riferimento e mi ha detto,
un po’ scocciato a dire il vero, che il direttore in quanto tale era esonerato
da usare le scarpe antinfortunistiche anche se fa attività lavorativa.
Anche altri lavoratori non le usano, soprattutto i
part time. L’azienda giustifica tale decisione in base a una loro tabella
oraria con la quale poi decide chi deve indossare le scarpe e chi no: più tempo
stai a lavorare, allora le usi, se il tempo è relativamente poco, allora puoi
non indossarle.
Tranne che per il direttore il quale tutte le
mattine, e anche al pomeriggio, esegue attività a rischio.
E’ previsto questo dal D.Lgs. 81/08?
Siccome sospetto una risposta negativa, avrei
bisogno di un tuo suggerimento per fare una bella lettera al RSPP.
Ciao,
per
quanto riguarda il direttore che non usa le scarpe antinfortunistiche occorre
prima di tutto verificare se è assimilabile anche a lavoratore, secondo la
definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08
(“Decreto”):
“persona
che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività
lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o
privato, con o senza retribuzione”;
oppure
se rientra solo nella definizione di “datore di lavoro”, di cui all’articolo 2,
comma 1, lettera b) del Decreto:
“il
soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il
soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il
lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione
stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di
spesa”.
Tale cosa la puoi verificare abbastanza facilmente
controllando la visura camerale dell’azienda o più semplicemente se è lui che
firma il documento di valutazione dei rischi, oppure no.
Se il direttore non è datore di lavoro, ancorché
sia dirigente, rientra (anche) nella definizione di lavoratore, per cui è
soggetto agli obblighi per i lavoratori sanciti dal Decreto, tra cui quelli di
cui all’articolo 20, comma 2, lettera d):
“I lavoratori devono in
particolare utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a
loro disposizione”.
e di cui all’articolo 78, comma 2:
“In ottemperanza a quanto
previsto dall’articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori utilizzano i DPI
messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione
ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato ed espletato”.
Il fatto che il direttore sia un dirigente non lo esime da tali
obblighi, in quanto di fatto è anche un lavoratore.
Quindi anche lui è obbligato a usare le scarpe antinfortunistiche
nell’attività con rischio di schiacciamento dei piedi e se non lo fa è soggetto
alle sanzioni di cui al CCNL o al contratto particolare applicabili.
In merito alla decisione aziendale di non assegnare le scarpe ai
lavoratori, che solo saltuariamente effettuano attività a rischio, è una
decisione che non ha alcun fondamento giuridico.
Infatti il Decreto impone al datore di lavoro la scelta dei DPI in
funzione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi e di
conseguenza la consegna ai lavoratori e la richiesta del loro utilizzo.
Ciò è sancito dall’articolo 77, comma 1 del Decreto:
“Il datore di lavoro ai fini
della scelta dei DPI:
a) effettua l’analisi e la
valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
b) individua le
caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di
cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio
rappresentate dagli stessi DPI;
c) valuta, sulla base delle
informazioni e delle norme d’uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le
caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle
individuate alla lettera b);
d) aggiorna la scelta ogni
qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione”.
Presumo che, a seguito di specifica valutazione del rischio, alcune
attività lavorative svolte da lavoratori della tua azienda comportino un
rischio di caduta di oggetti sui piedi dei lavoratori stessi, con conseguente
infortunio.
Tale rischio non può essere evitato con altri mezzi, se non con
l’utilizzo di scarpe antinfortunistiche.
Il tempo di esecuzione dell’attività lavorativa a rischio può
influenzare la probabilità che avvenga l’infortunio, ma non lo elimina del
tutto.
E’ ovvio che chi esegue tutto il giorno attività a rischio è soggetto
a infortunio ai piedi con una probabilità maggiore di chi lo fa per poche ore
al giorno. Ma è anche ovvio che lavorare per poche ore al giorno non elimina
del tutto il rischio di infortunio, ma ne diminuisce solo la probabilità. Per
eliminare del tutto tale rischio l’unica soluzione è adottare scarpe
antinfortunistiche tutte le volte che si fa attività lavorativa a rischio di
schiacciamento dei piedi.
Di conseguenza le scarpe antinfortunistiche devono essere utilizzate
da tutti i lavoratori che fanno attività a rischio, indipendentemente dal tempo
per cui fanno tale attività.
Ovviamente ciò non vuol dire che tutti i lavoratori debbano sempre
indossare le scarpe, ma solo che lo devono fare nelle attività lavorative in
cui sussiste il rischio di infortunio ai piedi.
Per
il resto delle loro attività in cui non sono a rischio di schiacciamento dei
piedi possono anche non usare le scarpe antinfortunistiche. Lo stesso vale
ovviamente anche per il direttore.
Marco
************
Ciao Marco,
nel lavoro che faccio (pulizie industriali) devo
fare utilizzo di ponteggi per eseguire lavori a quote elevate.
Come deve essere il ponteggio e quali sono gli
indumenti e i DPI che devo usare in termini di sicurezza?
Grazie.
Ciao,
in
generale nell’utilizzo di attrezzature per eseguire lavori in quota
(trabatelli, scale, ponteggi, ecc.) il datore di lavoro deve rispettare gli
obblighi di cui all’articolo 111 del D.Lgs. 81/08:
“1. Il datore di lavoro, nei
casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in
condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un
luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a
garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti
criteri:
a) priorità alle misure di
protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
b) dimensioni delle
attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle
sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.
2. Il datore di lavoro
sceglie il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei
in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla
durata dell’impiego. Il sistema di accesso adottato deve consentire
l’evacuazione in caso di pericolo imminente. Il passaggio da un sistema di
accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare
rischi ulteriori di caduta.
3. Il datore di lavoro
dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in
quota solo nei casi in cui l’uso di altre attrezzature di lavoro considerate
più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della
breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non
può modificare.
4. Il datore di lavoro
dispone affinché siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento
mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in
circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il
lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l’impiego di un’altra
attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della
breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può
modificare. Lo stesso datore di lavoro prevede l’impiego di un sedile munito di
appositi accessori in funzione dell’esito della valutazione dei rischi ed, in
particolare, della durata dei lavori e dei vincoli di carattere ergonomico.
5. Il datore di lavoro, in
relazione al tipo di attrezzature di lavoro adottate in base ai commi
precedenti, individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori,
insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario,
l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. I predetti
dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da
evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire,
per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di
protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto
nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini.
6. Il datore di lavoro nel
caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede
l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le
cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è
eseguito previa adozione di tali misure. Una volta terminato definitivamente o
temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione
collettiva contro le cadute devono essere ripristinati.
7. Il datore di lavoro
effettua i lavori temporanei in quota soltanto se le condizioni meteorologiche
non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori.
8. Il datore di lavoro
dispone affinché sia vietato assumere e somministrare bevande alcoliche e
superalcoliche ai lavoratori addetti ai cantieri
temporanei e mobili e lavori in quota”.
Tale articolo, di natura del tutto generale, impone già dei punti
fermi di cui tenere conto in caso di lavori in quota:
-
priorità di accesso a partire da un adatto luogo
già esistente;
-
priorità delle misure collettive (ponteggi,
trabatelli) rispetto alle individuali (imbracature di sicurezza);
-
utilizzo del sistema di accesso più adatto con
possibilità di evacuare l’area di lavoro anche in condizioni di emergenza;
-
utilizzo di scale a pioli solo in casi
particolari;
-
scelta di adeguati sistemi di protezione contro
le cadute;
-
esecuzione di lavori in quota solo in condizioni
meteorologiche adeguate.
Il dettaglio di come devono essere realizzati i sistemi di accesso in
quota (trabatelli, ponteggi, scale) è trattato in numerosi articoli e allegati
del Decreto:
-
articoli da 112 a 114;
-
articoli da 122 a 140;
-
allegati da XVIII a XX;
-
allegati XXII e XXIII.
Tale
mole di normativa non può essere trattata ovviamente in maniera esaustiva in
una risposta sintetica.
Esistono
però linee guida e pubblicazioni tecniche che trattano in dettaglio
l’argomento, tra cui cito le seguenti:
-
INAIL
Quaderno Tecnico su ponteggi fissi
-
INAIL
Quaderno Tecnico su trabatelli
-
INAIL
Quaderno Tecnico sui parapetti provvisori
-
INAIL
Quaderno Tecnico sulle scale portatili
-
INAIL
Quaderno Tecnico sui sistemi di protezione individuali dalle cadute
-
ISPESL
Linee guida per l’esecuzione di lavori temporanei in quota con l’impiego di
sistemi di accesso e posizionamento mediante ponteggi metallici fissi di
facciata;
-
Linee
guida per la scelta, uso e la manutenzione delle scale portatili
-
Linee
guida per la scelta, uso e la manutenzione di dispositivi di protezione
individuale contro le cadute dall’alto:
Tenendo conto però della complessità
dell’argomento, il mio consiglio è quello di chiedere il parere di un
professionista esperto o, meglio ancora, chiedere delucidazioni al Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione o a un responsabile (dirigente o
preposto) dell’azienda.
Occorre inoltre tenere conto che i lavoratori
che eseguono lavori in quota devono essere preventivamente informati, formati e
addestrati in merito ai rischi presenti nelle lavorazioni e alle misure di
prevenzione e protezione da adottare di conseguenza, compreso il corretto
utilizzo e controllo di ponteggi e trabattelli e dei dispositivi di protezione
contro le cadute dall’alto.
Tale obbligo rientra tra quelli generali di
formazione dei lavoratori stabiliti dagli articoli 36 e 37 del Decreto.
Marco
************
NOTA
Nel
testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i
seguenti acronimi e termini:
ASL
= Azienda Sanitaria Locale
CCNL
= Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI
= Dispositivi di Protezione Individuali
DVR
= Documento di Valutazione dei Rischi
RSPP
= Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS
= Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08
o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e
integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)
INDAGINE DELL’AZIENDA
DI TUTELA DELLA SALUTE MILANO SU 7 MARCHI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
ORGANIZZATA
Da
FILCAMS CGIL Lombardia
di
Giorgio Ortolani
Cinque
malattie professionali segnalate dai Medici Competenti della Grande
Distribuzione Organizzata (GDO) su 4.084 visite effettuate in 7 marchi.
Qualcosa non quadra!
Martedì
19 aprile si è tenuto un incontro presso l’Azienda di Tutela della Salute (ATS)
di Milano città metropolitana (ex ASL) nel quale sono stati, tra l’altro,
presentati i dati relativi a un’indagine fatta in 7 aziende della GDO presenti
a Milano.
L’indagine
segue quella effettuata nel 2010 su 13 marchi della GDO. Quell’indagine
evidenzia diverse criticità, sia nei documenti di valutazione del rischio, che
nei protocolli di sorveglianza sanitaria e nelle relazioni che i Medici
Competenti predisponevano.
Nel
convegno si sono trattati i problemi legati alle patologie muscolosheletriche
che sono, come ben sappiamo, in costante crescita e riguardano un numero sempre
maggiore di lavoratori della grande distribuzione, nonostante
Federdistribuzione e le aziende continuino a sottovalutare il problema.
La
documentazione del Convegno la potete visionare o scaricare cliccando ai
seguenti link:
Documento
1: Le patologie muscoloscheletriche definizioni ed entità del fenomeno
Documento
2: Le patologie muscoloscheletriche nella grande distribuzione organizzata 20
aprile 2016
Documento
3: Il punto di vista del Medico Competente
Documento
4: La valutazione dei rischi da movimentazione manuale dei carichi, traino
spinta, movimenti ripetitivi nella GDO
Documento
5: Il punto di vista del RLS
Vogliamo
solo ricordare alcuni dei dati emersi.
il
D.M.10/01/08 prevede obbligo di denuncia da parte dei Medici Competenti e dei
medici di famiglia delle malattie professionali.
Nonostante
che diverse delle patologie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità
lavorativa (vedi tabella nel Documento 1) e che queste siano presenti tra i
lavoratori della GDO, solo cinque malattie professionali, su oltre 4.000 visite
effettuate, sono state segnalate dai Medici Competenti delle aziende prese in
esame.
Dall’indagine
della ATS di Milano risulta che dal 2010 a oggi il numero dei lavoratori, tra
quelli sottoposti a sorveglianza sanitaria, in cui si riscontrano limitazioni
per patologie muscolosheletriche è triplicato (Documento 2).
Ci
sono ovviamente come in tutte le indagini aspetti da chiarire legati alla
raccolta dei dati, infatti, chi conosce la realtà milanese sa che le 7 catene
commerciali oggetto dell’indagine (a Milano, Sesto San Giovanni e comuni
limitrofi) hanno ben più dei 4.084 dipendenti che sono stati sottoposti in due
anni a sorveglianza sanitaria.
Il
fatto è che ogni azienda ha un suo programma di sorveglianza sanitaria che
prevede, pur a parità di attività lavorativa, valutazione di rischi diversi e
quindi diversi protocolli di sorveglianza sanitaria.
La
cassiera per esempio in alcune catene è soggetta a sorveglianza sanitaria
obbligatoria in altre invece è visitata solo a richiesta.
In
ogni caso invitiamo RLS e RSU della GDO a leggere con attenzione la
documentazione del convegno in particolare i Documenti 1 e 2, ma anche il Documento
3, che indica i contenuti della sorveglianza sanitaria e quelli che sono i
compiti e doveri del Medico Competente.
Ciò
può essere utile ai RLS per fare un raffronto con quello che capita nelle
rispettive aziende.
LA SORVEGLIANZA
SANITARIA DELLE PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
Da:
PuntoSicuro
26
aprile 2016
Un
Decreto Regionale riporta le linee guida per la prevenzione delle patologie muscolo-scheletriche
connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori.
Focus
sulla sorveglianza sanitaria, sull’organizzazione e i criteri di attivazione.
Poiché
ogni anno assistiamo ad un aumento delle malattie professionali e in
particolare dei disturbi muscolo-scheletrici, è bene che le istituzioni
focalizzino l’attenzione sugli aspetti relativi alla prevenzione e alla
sorveglianza sanitaria di queste patologie.
Per
raccogliere qualche informazione sulla sorveglianza sanitaria delle patologie muscolo-scheletriche
facciamo riferimento alla presentazione di un Decreto della Regione Lombardia (il
Decreto n. 7661 del 23 settembre 2015) che riporta specifiche Linee Guida
regionali per la prevenzione delle patologie muscolo scheletriche connesse con
movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori. Le linee guida definiscono un
percorso per la prevenzione e l’emersione di queste patologie con particolare
attenzione alla valutazione del rischio e alla sorveglianza sanitaria.
Le
“Linee Guida Regionali per la prevenzione delle patologie muscolo-scheletriche
connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori” ricordano che l’attivazione
di un programma di sorveglianza sanitaria delle patologie da sovraccarico
biomeccanico da parte del Medico Competente ha finalità essenzialmente preventive,
che riguardano sia i singoli lavoratori, che il gruppo di lavoratori nel suo
complesso.
E
in particolare gli interventi di prevenzione, a livello individuale, sono
relativi all’individuazione di:
-
soggetti
portatori di condizioni di ipersuscettibilità ai rischi presenti, al fine dell’adozione
delle misure cautelative idonee per evitare l’insorgenza della patologia;
-
soggetti
con patologie conclamate, al fine di adottare le misure protettive adeguate e
di procedere agli eventuali adempimenti medico legali;
-
eventuali
patologie nella fase precoce, preclinica, al fine di evitare l’aggravamento
della patologia stessa.
Mentre
gli interventi di prevenzione, a livello collettivo, possono essere:
-
un
contributo a una più approfondita e accurata valutazione del rischio, anche
mediante l’utilizzo di dati di occorrenza delle patologie e dei disturbi nei
diversi gruppi di lavoratori esposti;
-
contributo
alla conoscenza delle patologie prese in esame, con possibilità di confronti
anche con altri gruppi di lavoratori, per effettuare analisi comparative al
fine di evidenziare eventuali significativi eccessi nel gruppo dei lavoratori
presi in considerazione;
-
redazione
di bilanci di salute collettiva, utili al fine di verificare l’efficacia degli
interventi di prevenzione adottati e di programmare eventuali ulteriori
interventi preventivi.
Quando
attivare la sorveglianza sanitaria mirata?
Le
linee guida indicano che sono due i criteri che, separatamente o in
combinazione tra loro, orientano all’attivazione della sorveglianza sanitaria
mirata, in un particolare gruppo di soggetti:
-
l’esistenza
di un potenziale rischio lavorativo;
-
la
segnalazione di casi di patologie di interesse correlabili al lavoro.
Riguardo
al primo criterio si segnala che il modo più adeguato per stabilire l’esistenza
di un potenziale rischio lavorativo è quello di condurre un’analisi e una
valutazione delle condizioni di lavoro, secondo le procedure descritte nelle Linee
Guida.
Nel
documento alcuni paragrafi forniscono precise indicazioni per la valutazione
del rischio e per la stima dell’esposizione attraverso l’uso di strumenti
semplificati di analisi.
Ad
esempio si indica che i posti di lavoro e le lavorazioni comportanti compiti
ripetitivi, per i quali l’esito della valutazione rapida (quick assessment)
abbia evidenziato una condizione né sicuramente accettabile né sicuramente
critica, oppure che siano stati eventualmente identificati come “lavori
problematici”, vanno, in prima istanza, analizzati attraverso strumenti
semplificati di valutazione per operare una stima del livello di esposizione
dei lavoratori agli stessi specificatamente addetti.
E
possono essere usati vari strumenti di indagine proposti dalla letteratura e
dalla norma ISO 11228-3 (Allegato A), nonché dalla norma TR ISO 12295 al
relativo Allegato C. Ed è fortemente suggerito l’utilizzo della checklist OCRA
nella sua versione più recente, data la sua grande sperimentazione e la sua
forte relazione con il metodo dell’indice OCRA assunto come preferito nella
norma ISO 11228-3.
Tornando
al capitolo delle Linee Guida dedicato alla sorveglianza sanitaria, esso indica
che, se applicata la procedura di calcolo della checklist OCRA, si suggerisce:
-
nei
casi in cui il punteggio risulti compreso nell’ area “gialla” (7,6 < punteggio
< 11) di effettuare uno screening anamnestico da parte del Medico Competente
(o, in carenza, di un medico del lavoro consulente) i cui risultati
orienteranno, di volta in volta, gli ulteriori provvedimenti (rivalutazione
dell’esposizione, attivazione della sorveglianza sanitaria);
-
nei
casi in cui la valutazione risulti in area “rossa” (punteggio > 11) va
attivata una sorveglianza sanitaria completa, utilizzando gli schemi
tradizionali;
-
nei
casi in cui l’esito risulti in “area verde” (punteggio < 7,6) non si attiva
la sorveglianza sanitaria.
Inoltre
nei casi in cui la valutazione analitica non sia stata ancora condotta o
conclusa, ci si potrà basare sugli esiti del “quick assessment” per il lavoro
manuale ripetitivo o in alternativa si potrà valutare se è necessario attivare
la sorveglianza sanitaria sulla base della presenza di almeno uno dei quattro cosiddetti
“segnalatori di possibile rischio” riportati nella tabella 5.4 delle Linee Guida.
Con
riferimento alle Linee Guida, che si soffermano in dettaglio anche sul secondo
criterio di attivazione della sorveglianza sanitaria relativo alla segnalazione
di casi di patologie di interesse correlabili al lavoro, focalizziamo la nostra
attenzione sull’organizzazione della sorveglianza sanitaria.
Il
documento sottolinea che tale sorveglianza per le patologie da sovraccarico
biomeccanico degli arti superiori si effettua prima dell’assegnazione a lavori
comportanti uno specifico rischio potenziale e periodicamente, in analogia ai
principi generali che regolano la materia.
Inoltre
la sorveglianza sanitaria preventiva e, più che altro, periodica delle
patologie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori può essere
organizzata in due livelli:
-
il
primo livello è rivolto a tutti i lavoratori esposti e conduce all’individuazione
dei “casi anamnestici”; consiste, infatti, nella raccolta di dati anamnestici
dai singoli soggetti attraverso interviste condotte dal medico competente;
-
il
secondo livello consiste nell’approfondimento clinico rivolto unicamente ai
soggetti risultati positivi alla raccolta anamnestica, e conduce all’individuazione
dei casi clinicamente definiti.
E
in fase preventiva, data la possibile difficoltà di una completa raccolta
anamnestica, andrà posta ogni attenzione alla diagnosi di preesistenti patologie
dell’arto superiore anche attraverso l’eventuale ricorso, basato su un
preliminare screening clinico condotto dal medico competente, ad accertamenti
strumentali quali ecografia, elettromiografia
(EMG), elettroneurografia (ENG).
Si
tenga presente che i sintomi riferiti dai lavoratori sono molto importanti per
questo gruppo di patologie, in quanto nella maggior parte dei casi compaiono
precocemente e quindi, se ben raccolti, possono costituire un indicatore
prezioso.
Concludiamo
questa disamina sulla sorveglianza sanitaria riprendendo dalle Linee Guida i
criteri minimi che conducono alla definizione di “caso anamnestico”:
-
dolore
e/o parestesie (formicolio, bruciore, punture di spillo, intorpidimento, ecc.)
all’arto superiore riferiti agli ultimi 12 mesi, con durata di almeno una
settimana oppure occorsi almeno una volta al mese;
-
insorgenza
non correlata a traumi acuti.
La
raccolta dei dati anamnestici condurrà all’individuazione dei “casi anamnestici”
che dovranno essere sottoposti ad approfondimenti diagnostici
clinico-strumentali al fine di individuare i casi clinicamente definiti e gli
ulteriori atti che ne derivano.
E
se anche si arriva a un esito negativo, il soggetto sarà comunque definito come
“caso anamnestico”, e richiederà controlli sanitari più ravvicinati nel tempo
rispetto ai soggetti classificati normali. In ogni caso, quindi, il Medico Competente
deve adottare, sia per i casi anamnestici, sia per i casi clinicamente
definiti, uno specifico programma di controllo nel tempo.
Segnaliamo
infine che nelle Linee Guida sono presenti tabelle che sintetizzano il flusso
operativo della sorveglianza sanitaria proposta e che mostrano come utilizzare
i risultati della valutazione dei rischi e/o dello screening/sorveglianza
sanitaria ai fini della periodicità dei successivi controlli. Inoltre si indica
che l’Allegato 6 al Decreto della Direzione Generale della Sanità n. 3958 del 2009
fornisce criteri orientativi per l’espressione dei giudizi di idoneità al
lavoro specifico da parte del medico competente.
Il
documento “Regione Lombardia Decreto n. 7661 del 23 settembre 2015 - Linee
Guida Regionali per la prevenzione delle patologie muscolo scheletriche
connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori” è scaricabile
all’indirizzo:
PROCEDURE DI
SICUREZZA PER LE SOSTANZE INFIAMMABILI E PERICOLOSE
Da:
PuntoSicuro
03
maggio 2016
Esempi
di procedure di sicurezza dedicate all’utilizzo di sostanze e preparati
infiammabili e all’utilizzo di sostanze e preparati pericolosi.
Come
evitare o ridurre i rischi prima, durante e dopo l’uso delle sostanze.
Lo
stoccaggio e l’utilizzo di sostanze e preparati infiammabili e/o pericolosi può
esporre i lavoratori e le strutture aziendali alla possibilità di subire effetti
nocivi. E possono essere necessarie nelle aziende specifiche procedure di
sicurezza per fornire indicazioni operative per la gestione delle sostanze e
dei preparati che espongono a rischi i lavoratori e gli ambienti.
Per
poter presentare alcuni esempi di procedure possiamo far riferimento al
“Manuale delle procedure di sicurezza” (elaborato dal Servizio di Prevenzione e
Protezione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico
Sant’Orsola-Malpighi) che contiene anche alcune schede dedicate proprio alla
prevenzione degli infortuni correlati all’utilizzo di sostanze e preparati
infiammabili o pericolosi; schede che hanno, come specifico luogo di
applicazione, l’interno dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna e
tutti i luoghi di pertinenza dell’Azienda.
Una
procedura di sicurezza (SIC03) è dedicata all’utilizzo di sostanze e preparati
infiammabili ed è applicata per le sostanze e i preparati pericolosi
classificati come comburenti, estremamente infiammabili, facilmente infiammabili,
infiammabili, utilizzati in tutti i luoghi di pertinenza dell’Azienda
Ospedaliero-Universitaria.
Se
quando si manipolano sostanze o preparati pericolosi (infiammabili e/o
comburenti) è possibile che si generino le condizioni che portino ad incendio o
a un principio di incendio, per evitare o ridurre i rischi occorre prima
dell’uso:
-
formare
adeguatamente il personale addetto alla manipolazione delle sostanze
infiammabili sulle modalità operative e sugli aspetti relativi ai rischi
connessi al loro impiego;
-
mettere
a conoscenza tutto il personale delle procedure di emergenza incendio previste
nel piano di emergenza incendio aziendale;
-
rendere
disponibili sul posto di lavoro le schede di sicurezza di tutti gli
infiammabili utilizzati durante il lavoro;
-
prendere
visione delle informazioni di sicurezza riportate sull’etichetta del prodotto
(frasi di rischio, consigli di prudenza) e di quelle riportate sulla relativa
scheda di sicurezza (DPI da utilizzare, incompatibilità con altre sostanze
ecc.);
-
indossare
correttamente i DPI previsti nella scheda di sicurezza e indicati nel Catalogo
aziendale dei DPI verificandone preventivamente lo stato di efficienza, la
scadenza e seguendo le indicazioni della nota informativa;
-
attivare
i dispositivi di protezione collettiva disponibili verificando il loro corretto
funzionamento (ad esempio cappe aspiranti);
-
verificare,
con particolare attenzione, la presenza e l’efficienza di idonei mezzi di
estinzione in tutti i locali in cui sono impiegati e stoccati infiammabili e/o
comburenti (verifica a cura del personale addetto all’emergenza incendio);
-
conservare
nel locale una quantità di prodotti infiammabili strettamente necessaria
all’uso settimanale e comunque in quantità non superiore a 10 litri, tali
prodotti dovranno essere stoccati in armadi di sicurezza.
Invece
durante l’uso occorre:
-
attenersi
alle istruzioni di sicurezza e ai consigli di prudenza riportate sull’etichetta
del prodotto e/o sulla relativa scheda di sicurezza;
-
effettuare
il travaso degli infiammabili sotto cappa o in locali adeguatamente ventilati;
-
maneggiare
con particolare attenzione i contenitori non infrangibili di infiammabili;
-
non
usare fiamme libere per il riscaldamento delle sostanze infiammabili,
utilizzando sistemi alternativi come: riscaldatori elettrici, bagni d’olio,
termomanti ecc.;
-
in
caso di principio di incendio seguire le indicazioni del piano emergenza
incendio aziendale, si rammenta che il tentativo di spegnimento del focolaio
d’incendio mediante estintore può essere effettuato solamente da personale
adeguatamente formato e addestrato (personale addetto all’emergenza incendio).
E
dopo l’uso:
-
procedere
alla richiusura di tutti i recipienti che contengono le sostanze e preparati
infiammabili;
-
ricollocare
i recipienti utilizzati negli appositi armadi di sicurezza evitando di riporli
in scaffalature che contengano prodotti che, in base alle informazioni
riportate sulle schede di sicurezza, siano incompatibili;
-
procedere
alla pulizia dei DPI riutilizzabili e alla loro conservazione secondo le modalità
previste dalle note informative e comunque al riparo da prodotti pericolosi
procedendo inoltre allo smaltimento dei DPI monouso seguendo le indicazioni
delle procedure aziendali in materia di rifiuti.
Una
seconda scheda (SIC16) si sofferma sulle procedure di sicurezza per l’utilizzo
di sostanze e preparati pericolosi. Le sostanze e i preparati presi in esame in
questo documento sono quelli classificati come molto tossici, tossici, nocivi,
corrosivi, irritanti, sensibilizzanti. Le altre sostanze e preparati sono presi
in esame in documenti specifici.
Riportiamo
anche in questo caso le procedure per evitare o ridurre i rischi.
Prima
dell’uso:
-
formare
e informare adeguatamente il personale addetto alla manipolazione delle
sostanze pericolose sulle modalità operative e sugli aspetti relativi ai rischi
connessi al loro impiego;
-
rendere
disponibili sul posto di lavoro tutti i DPI previsti per la manipolazione delle
sostanze e dei preparati pericolosi;
-
rendere
disponibili sul posto di lavoro le schede di sicurezza di tutti i prodotti
pericolosi utilizzati durante il lavoro;
-
prendere
visione delle informazioni di sicurezza riportate sull’etichetta del prodotto
(frasi di rischio, consigli di prudenza) e di quelle riportate sulla relativa
scheda di sicurezza (DPI da utilizzare, incompatibilità con altre sostanze
ecc.);
-
indossare
correttamente i DPI previsti nella scheda di sicurezza e indicati nel Catalogo
aziendale dei DPI verificandone preventivamente lo stato di efficienza, la
scadenza e seguendo le indicazioni della nota informativa;
-
attivare
i dispositivi di protezione collettiva disponibili verificando il loro corretto
funzionamento (ad esempio cappe aspiranti);
-
accertarsi
dell’efficienza dei i necessari dispositivi di emergenza (doccia di emergenza
lava occhi).
Durante
l’uso:
-
attenersi
alle istruzioni di sicurezza e ai consigli di prudenza riportate sull’etichetta
del prodotto e/o sulla relativa scheda di sicurezza;
-
evitare
l’imbrattamento di superfici o oggetti estranei alla lavorazione che potrebbero
costituire un pericolo se accidentalmente toccati da altri lavoratori o senza
dispositivi di protezione individuale al termine dell’attività.
E
infine, dopo l’uso:
-
procedere
alla richiusura di tutti i recipienti che contengono le sostanze e preparati pericolosi
utilizzati;
-
ricollocare
i recipienti utilizzati negli appositi spazi di deposito evitando di riporli in
scaffalature che contengano prodotti che siano incompatibili in base alle
informazioni riportate sulle schede di sicurezza;
-
effettuare
la bonifica delle attrezzature utilizzate o alla loro collocazione in un punto
di raccolta del materiale da bonificare procedere inoltre alla bonifica delle
superfici eventualmente contaminate e allo smaltimento dei rifiuti secondo le
procedure di raccolta dei rifiuti esistenti in azienda;
-
procedere
alla pulizia dei DPI riutilizzabili e alla loro conservazione secondo le
modalità previste dalle note informative e comunque al riparo da prodotti
pericolosi procedendo inoltre allo smaltimento dei DPI monouso seguendo le
indicazioni delle procedure aziendali in materia di rifiuti.
Il
documento dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico
Sant’Orsola-Malpighi, “Manuale delle procedure di sicurezza”, a cura del
Servizio di Prevenzione e Protezione, documento aggiornato e approvato il 15
giugno 2011 è scaricabile all’indirizzo:
AGENTI FISICI: COME
PREVENIRE I RISCHI DELLE RADIAZIONI OTTICHE
Da:
PuntoSicuro
06
maggio 2016
di
Tiziano Menduto
Indicazioni
e suggerimenti per la prevenzione nei luoghi di lavoro del rischio di
radiazioni ottiche. Focus sulle radiazioni ottiche artificiali, sulla
valutazione del rischio, sulle sorgenti giustificabili e sulle informazioni
fornite dai fabbricanti.
Il
Portale Agenti Fisici (PAF), realizzato dal Laboratorio di Sanità Pubblica
dell’Azienda Sanitaria USL 7 Siena (ora Azienda USL Toscana Sudest) con la
collaborazione dell’INAIL e dell’Azienda USL di Modena, non solo mette a
disposizione un importante strumento informativo per favorire nei luoghi di
lavoro una corretta prevenzione e protezione dall’esposizione ad agenti fisici,
ma organizza anche specifici corsi di formazione.
Corsi
di formazione che hanno l’obiettivo di far conoscere le principali funzionalità
del Portale e di migliorare la conoscenza e la capacità di valutazione dei
rischi da agenti fisici, rumore e vibrazioni, campi elettromagnetici,
radiazioni ottiche.
Con
questi obiettivi si è tenuto a Empoli, il 12 e 13 aprile 2016, il corso di
formazione “Il Portale Agenti Fisici e la valutazione dei rischi da agenti
fisici: stato attuale e ipotesi di sviluppi futuri” di cui sono stati
pubblicati sullo spazio web del portale gli atti/interventi con specifico
riferimento ai campi elettromagnetici (CEM), al rumore, alle vibrazioni e alle
radiazioni ottiche artificiali (ROA).
Per
fornire anche ai nostri lettori utili informazioni sulla valutazione dei rischi
da agenti fisici, ci soffermiamo oggi su un intervento al corso, a cura della
dottoressa Iole Pinto (AUSL Toscana SE), dal titolo “Prevenzione del rischio da
radiazioni ottiche”.
L’intervento,
che affronta il tema delle radiazioni ottiche da diversi punti di vista,
presenta la normativa con particolare riferimento al Titolo VIII del D.Lgs.
81/08 e in particolare al Capo V (Protezione dei lavoratori dai rischi di
esposizione a radiazioni ottiche artificiali) del Titolo VIII che stabilisce
prescrizioni minime di protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute
e la sicurezza che possono derivare, dall’esposizione alle radiazioni ottiche
artificiali durante il lavoro con particolare riguardo ai rischi dovuti agli
effetti nocivi sugli occhi e sulla cute.
L’intervento
si sofferma anche sulle linee guida e in particolare sulle indicazioni
operative dal titolo “Decreto Legislativo 81/2008 Titolo VIII, Capo I, II, III,
IV e V sulla prevenzione e protezione dai rischi dovuti all’esposizione ad
agenti fisici nei luoghi di lavoro” a cura del Coordinamento Tecnico per la
sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome.
Nell’intervento
sono riportate in breve alcune indicazioni operative sullo schema di flusso per
effettuare la valutazione del rischio di esposizione alle ROA:
-
conoscenza
delle sorgenti: è necessario preliminarmente censire le sorgenti ROA (incluse
informazioni fornite da produttore);
-
conoscenza
delle modalità espositive: tutte le attività che comportano o possono
comportare l’impiego di sorgenti ROA devono essere censite e conosciute a
fondo;
-
esecuzione
di misure: nel caso non siano disponibili i dati del fabbricante o non vi siano
riferimenti bibliografici o a standard tecnici specifici, è necessario
effettuare delle misure strumentali secondo le indicazioni fornite da norme
tecniche specifiche. O per valutazione rischio residuo;
-
esecuzione
di calcoli: partendo dai dati forniti dal fabbricante, dai dati di letteratura
o dai valori misurati, mediante appositi calcoli si ottengono le grandezze
necessarie al confronto con i valori limite;
-
confronto
con i valori limite dell’allegato XXXVII del D.Lgs. 81/08.
L’intervento
si sofferma, inoltre, sulle condizioni nelle quali la valutazione del rischio
può concludersi con la “giustificazione” secondo cui la natura e l’entità dei
rischi non rendono necessaria una valutazione più dettagliata.
Le
sorgenti “giustificabili” (“sorgenti innocue” o “trivial sources”) non
necessitano di valutazione del rischio più dettagliata perché sono sorgenti
intrinsecamente sicure:
-
sorgenti
di radiazioni ottiche che, nelle usuali condizioni d’impiego, non danno luogo
ad esposizioni tali da presentare rischi per la salute e la sicurezza;
-
sorgenti
che danno luogo a emissioni accessibili insignificanti.
Esempio
di sorgenti “innocue” sono l’illuminazione standard per uso domestico e di
ufficio, i monitor dei computer, i display, le fotocopiatrici, le lampade e i
cartelli di segnalazione luminosa. Sorgenti analoghe nelle corrette condizioni
di impiego si possono “giustificare”.
Inoltre
riguardo alle sorgenti innocue nel visibile, in generale non è necessario
procedere alla valutazione del rischio da luce visibile per qualsiasi sorgente
di luminanza inferiore a 104 cd/m2 (richiesta solo eventuale verifica con
luxmetro calibrato).
Inoltre
per alcune sorgenti vanno verificate le appropriate condizioni di uso per poter
essere “innocue”:
-
lampade
fluorescenti da illuminazione di ambienti: innocue per le normali condizioni di
illuminamento negli ambienti di lavoro (circa 600 lux);
-
proiettori
da tavolo: innocui se non si fissa il fascio;
-
riflettori
(alogenuri metallici o a mercurio): se schermo in vetro intatto e non fissati
direttamente (fascio non in linea con asse visivo).
Inoltre
tutte le apparecchiature che emettono radiazione ottica non coerente
classificate nella categoria 0 secondo lo standard UNI EN 12198:2009 sono
giustificabili così come le lampade e i sistemi di lampade, anche a LED,
classificate nel gruppo “Esente” dalla norma CEI EN 62471:2009.
Si
segnala che le lampade e i sistemi di lampade sono classificati in 4 gruppi
secondo lo standard CEI EN 62471:2009. Questa norma, che prevede metodi di
misura e classificazione e anche se non definisce vincoli specifici per la
marcatura, rappresenta attualmente lo stato dell’arte in termini di
informazioni sulla sicurezza fotobiologica delle lampade e dei sistemi di
lampade (compresi i LED).
L’intervento,
che vi invitiamo a visionare integralmente e che si sofferma anche sulle
radiazioni ottiche naturali e i lavoratori outdoor, riporta alcuni esempi di
classificazione e pericoli (moduli led, lampade a scarica MH chiare, ecc.).
Si
sottolinea l’importanza delle informazioni sui livelli di emissione di
radiazioni fornite dai fabbricanti.
Infatti
le attrezzature che emettono radiazioni non ionizzanti, devono essere corredate
dalle informazioni sulle emissioni in conformità a:
-
Direttiva
98/37/CE (Direttiva macchine) recepita con D.P.R. 459/96, sostituita dalla
Direttiva 2006/42/CE recepita con D.Lgs. 17/10;
-
Direttiva
2007/47/CE (Direttiva dispositivi medici) recepita con D.Lgs. 37/10 e Direttiva
98/79/CE (Direttiva dispositivi medici diagnostici in vitro) recepita con
D.Lgs. 332/00.
Concludiamo
questa breve presentazione segnalando che nella parte conclusiva delle slide,
relative all’intervento della dottoressa Pinto, sono riportate precise
indicazioni anche sui dispositivi di protezione individuali utilizzabili.
Il
link del Portale Agenti Fisici (PAF) è:
Il
documento “Prevenzione del rischio da radiazioni ottiche”, a cura della dottoressa
Iole Pinto (AUSL Toscana SE), intervento al corso di formazione “Il Portale
Agenti Fisici e la valutazione dei rischi da agenti fisici: stato attuale e
ipotesi di sviluppi futuri” è scaricabile all’indirizzo:
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