di Maria Pia Zanni
Ho conosciuto il volto peggiore della Cgil, da
militante di questa organizzazione e da compagna che ha animato tante lotte
sociali e per il lavoro. Eppure, insieme a tanti compagni ho provato a
resistere ad un potente apparato politico e burocratico che, nel tempo, ne ha
snaturato i valori fondativi, fino a consegnarci una Cgil interdittiva del
conflitto di classe e che, davanti all’acutizzarsi dello scontro tra capitale e
lavoro e dentro uno scenario internazionale di ridefinizione degli assetti
politici, sostanzialmente arretra e ne dichiara la resa. Con molti di questi
compagni ho condiviso il progetto che, più strutturalmente di quanto non avesse
rappresentato l’esperienza sindacale della rete 28 aprile, ha posto e
rappresentato all’ultimo congresso la necessità di mantenere aperto uno spazio
politico di pratica del conflitto, di ricomposizione delle lotte e di
opposizione contro la deriva autoritaria e compatibilista della Cgil. Del resto
questa stessa necessità mi aveva portato
in Cgil anni prima, quando a rappresentarla era proprio la rete 28
aprile.
Da allora, e negli anni a seguire, i segni di un
disfacimento identitario nella linea e nella pratica della Cgil sono diventati
sempre più evidenti.
Modello di rappresentanza, jobs act e modello
contrattuale sanciscono di fatto il regime, l’ordine di Marchionne: una
condizione di lavoro permanentemente precaria, senza diritti e senza dignità, o
si è schiavi o si è fuori. Il ricatto permanente sulle nostre vite, il nostro
tempo, sulla salute, sul futuro che non ci appartiene più. Chi non ci sta è
sanzionato, colpito, cacciato.
I dispositivi di repressione del dissenso ed il
restringimento degli spazi di democrazia sono ormai entrati in ogni luogo di
lavoro, privato e pubblico, ma hanno pervaso anche luoghi che tradizionalmente
e per natura erano vocati all’esercizio della democrazia, della partecipazione
alla costruzione di processi decisionali collettivi.
Persino la scuola, attraversata da un brutale processo
di aziendalizzazione introdotto dalla controriforma cosiddetta “La buona scuola”,
ne è colpita.
Un attacco senza precedenti di governo e padroni al
quale la Cgil non ha dato nessuna vera risposta di mobilitazione generale,
preoccupata più alla conservazione di uno spazio residuale di sopravvivenza che
a promuovere e coordinare le lotte.
Anche la Fiom che pure aveva intercettato i bisogni e
le speranze nei tanti luoghi di lavoro e nella società, chiudeva lo spazio di
praticabilità del conflitto ed avviava un processo di normalizzazione al suo
interno.
Il “nuovo” corso della Cgil e la ritrovata unità con
Cisl e Uil non consentono alcun dissenso reale dentro e fuori dall’organizzazione.
La nostra esperienza di opposizione ha invece praticato realmente quel
dissenso.
Per la prima volta un’area interna all’organizzazione,
costituita e diretta dal basso, ha osato sfidare l’organizzazione, la sua
linea, le sue regole.
Per questo le compagne e i compagni FCA di Termoli e
Melfi pagano con l’incompatibilità e la destituzione pendente di ogni
titolarità alla rappresentanza dei lavoratori in fabbrica, l’opposizione vera
al modello Marchionne.
E con loro paga per tutti Sergio Bellavita, portavoce
nazionale dell’area, licenziato Fiom/Cgil.
La statuizione dell’incompatibilità nel nuovo ordine
della Cgil cambia di fatto il corso e l’agire dell’opposizione interna, sicché
nulla è più come prima. Cionostante abbiamo provato a verificare la possibilità
di mantenere uno spazio aperto, ma evidentemente il veleno inoculato era già
arrivato ai gangli vitali dell’organismo. E così all’unica vera area di
opposizione mai esistita in Cgil è mancato il coraggio del conflitto, della
lotta.
Un’area di opposizione che dice di praticare il
conflitto, non può non partire da se e provare ad organizzare la difesa della
sua identità e dignità attraverso il suo portavoce, che, come dovrebbe essere
ovvio, non è consentito considerare alla stregua di uno strillone o di un
piazzista, pena la credibilità e la sopravvivenza stessa dell’area. Né è
pensabile che sul punto si avvii al nostro interno una contrattazione definendo
aprioristicamente le condizioni per poter organizzare una risposta di lotta.
Chi si pone con questa modalità sa bene che si presenta con le armi già
spuntate, specie se la condizione è rimanere “a prescindere” in Cgil.
Non è questa l’opposizione che ho conosciuto e
praticato dentro e fuori la Cgil.
Mi riesce difficile comprendere, dentro una cultura ed
una pratica di solidarietà e di lotta, come nella prima assemblea nazionale
dell’area dopo i fatti gravi delle compagne e dei compagni di FCA e la
ritorsione seguita con il licenziamento di Bellavita, ci si possa presentare ai
compagni dei territori con due documenti che già guardano al prossimo congresso,
di fatto derubricando l’intera e dolorosa vicenda.
In realtà la precipitazione di tali ultimi accadimenti
e la gestione politica dell’area stessa impattava su visioni politiche ed
identitarie diverse e già presenti in seno all’area ed alla sua direzione.
Visioni e posizioni che invece di tradursi in
ricchezza politica da finalizzare al progetto comune hanno finito per
articolarsi in schemi rigidi e precostituiti che non hanno aiutato la
discussione e l’hanno fatta ulteriormente precipitare fino alle reciproche
interdizioni.
Per parte mia posso dire di aver vissuto intensamente
questa esperienza sindacale in Cgil e di essermi messa al servizio fino in
fondo del suo progetto di opposizione alla deriva della Cgil e di difesa
strenua dei diritti sociali e del lavoro.
Lungo il percorso ho rinvenuto le tracce di un
faticoso e difficile cammino e mi sono riconosciuta in tanti volti e storie
che, nazionalmente e localmente, parlano e attingono allo stesso alfabeto
politico.
Non sempre, è il dato di bilancio che pure affiora, la
teoria politica ha orientato con sagacia l’azione; non sempre lo sguardo è
apparso proiettato lungo e fermo sulle direttrici di un progetto comune.
Umane debolezze che in qualche caso rivelano un’antica
malattia?.
Abbiamo ancora tanto da imparare per uscire indenni
dalla tagliola del padrone di turno; tanto il cammino da fare insieme a vecchi
e nuovi compagni per rompere le nostre catene.
Sono certa che con molti compagni/e ci ritroveremo
nelle lotte comuni a difesa dei diritti dei lavoratori e dei più deboli.
Alle tante compagne e compagni che ho conosciuto e con
i quali ho condiviso questa straordinaria esperienza, va il mio saluto
affettuoso, Alle compagne e ai compagni di Napoli e della Campania che mi hanno
accompagnata nella difficile e faticosa costruzione di questa esperienza anche
a livello locale, un caloroso abbraccio ed un arrivederci.
Maria Pia Zanni
Direttivo Nazionale Cgil - Direttivo Nazionale FP-Cgil
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