INDICE
Sicurezza e Lavoro direttore@sicurezzaelavoro.org
INFO STAMPA: SCUOLE SICURE PER UN’ITALIA MIGLIORE
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
AMIANTO/ENICHEM: INCOMPRENSIBILE SENTENZA A
RAVENNA
USB Ospedale
Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
OSPEDALE
GASLINI: ALLIEVI UTILIZZATI PER COPERTURA DEI TURNI
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
FIDEL:LA RIVOLUZIONE DELLE SCIENZE
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
ANCORA 5 MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO ANCHE IERI 2
DICEMBRE
Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
LUCI E OMBRE DEL NUOVO DISEGNO DI LEGGE TESTO UNICO AMIANTO
Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
VERGOGNA: OMICIDIO COLPOSO E NON VOLONTARIO PER SCHMIDHEINY
Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
GRANDE SUCCESSO ASSEMBLEA AIEA SARDEGNA
Muglia La
Furia noreply+feedproxy@google.com
NEL 2007 LA STRAGE DELLA THYSSEN: NEL
2016 LA CONDANNA DEFINITIVA, MA... DI
ESPENHAHN IN GALERA NON C’E’ TRACCIA!
Rete Nazionale Sicurezza luoghi di lavoro e
territori bastamortesullavoro@gmail.com
PROCESSO
ILVA TARANTO: FORTE PROTESTA OPERAI, LAVORATORI, CITTADINI CONTRO
PATTEGGIAMENTI E ACCORDI SEGRETI
Dante De Angelis dadante@tiscali.it
BULGARIA, TRENO DI GAS DERAGLIATO SULLE CASE: L’EUROPA
FERROVIARIA UCCIDE ANCORA
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
SOCIALIZZAZIONE DELLO SVILUPPO TECNOLOGICO E LOTTA PER LA RIDUZIONE DELL’ORARIO
DI LAVORO
Posta Resistenze posta@resistenze.org
SFRUTTAMENTO E MORTI SUL LAVORO
Associazione Italiana Esposti Amianto aiea.mi@tiscali.it
AMIANTO E ACQUA
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
L’EMILIA ROMAGNA RADDOPPIA I MORTI PER INFORTUNI SUI
LUOGHI DI LAVORO RISPETTO AL 2015
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From: Sicurezza e Lavoro direttore@sicurezzaelavoro.org
To:
Sent: Tuesday, November 22, 2016 3:21 PM
Subject: INFO STAMPA: SCUOLE SICURE PER UN’ITALIA MIGLIORE
Sicurezza e Lavoro a
Casale Monferrato per la prima Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole.
Come annunciato lo scorso dicembre, in occasione
dell’edizione 2015 delle Settimane della Sicurezza, quest’anno Sicurezza e
Lavoro partecipa alla prima Giornata
nazionale per la sicurezza nelle scuole.
In particolare, con le nostre attività didattiche “Scuole Sicure”, rivolte a un centinaio
di studenti e studentesse dell’Istituto
alberghiero Artusi di Casale Monferrato (AL), tenute dal professor Massimo Iaretti, collaboratore di
Sicurezza e Lavoro e responsabile nazionale Apidge per la Sicurezza sul lavoro.
“Il 22 novembre abbiamo scelto di intervenire a
Casale Monferrato” – dichiara Massimiliano
Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro – “nella città simbolo della
lotta mondiale all’amianto per avviare un percorso di sensibilizzazione tra
studenti, docenti, dirigenti scolastici e Istituzioni sul tema della sicurezza
negli edifici scolastici e della prevenzione dei rischi”.
“Nel giorno dell’anniversario della tragedia al
Liceo Darwin di Rivoli (TO) in cui morì il giovane Vito Scafidi e rimase ferito
gravemente il suo compagno Andrea Macrì” – conclude Quirico – “vogliamo
ricordare le vittime dell’incuria e della mancanza di prevenzione, ma allo
stesso tempo informare e fornire strumenti utili alla prevenzione, al di fuori
di una logica emergenziale. Un’Italia migliore passa non solo da imprese e
aziende più sane e sicure, ma anche da edifici scolastici (a tutti gli effetti
luoghi di lavoro) sicuri e manutenuti.
Casale Monferrato, dove la sensibilità sui temi
della salute e sicurezza è molto alta, ancora una volta può essere la città
giusta per promuovere interventi di educazione alla cittadinanza, per
promuovere la cultura delle scuole sicure”.
Continuano intanto le tradizionali attività di
Sicurezza e Lavoro del progetto “A
scuola di Sicurezza - Io non rischio”, rivolte prevalentemente a
studenti e docenti degli istituti superiori e dei centri di formazione
professionale, in particolare nell’area metropolitana di Torino, in
collaborazione con il CeSeDi (Centro Servizi Didattici) della Città Metropolitana
di Torino.
Per richiedere un intervento gratuito: contatti@sicurezzaelavoro.org
Torino, 22 novembre 2016
CONTATTI:
Massimiliano Quirico
direttore “Sicurezza e Lavoro”
cellulare: 339 41 26 161
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From:
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent:
Wednesday, November 30, 2016 7:38 PM
Subject: AMIANTO/ENICHEM: INCOMPRENSIBILE SENTENZA A RAVENNA
Presenteremo
appello contro la sentenza pronunciata questa mattina a Ravenna; ovviamente
attendiamo le motivazioni. Auspichiamo pure che la Procura Generale
faccia ricorso, come fece ricorso la
Procura di Bologna contro una delle sentenze relative alla
Officina Grandi Riparazioni delle ferrovie.
Dopo una
istruttoria e un dibattimento durato anni (nel corso dei quali riteniamo che la
pubblica accusa e le parti civili abbiano portato elementi ampiamente probanti
che consentivano una condanna penale in termini di ragionevole certezza dell’accertamento
delle responsabilità), ci siamo trovati di fronte a una sostanziale assoluzione
che verosimilmente deve aver preso le mosse da alcune tesi della difesa degli
imputati, infondate sul piano dei fatti storici e materiali, ma anche respinte
dalla comunità scientifica in relazione alle cause di malattia.
Se la
sentenza di oggi fosse motivata dovremmo procedere alla rifondazione della
medicina del lavoro, della oncologia, della eziologia delle malattie e buttare
via interi gli studi di epidemiologia fatti negli ultimi ‘70 anni. Non solo:
verosimilmente dovremmo anche dubitare dei pilastri delle nostre conoscenze in
materia di prevenzione.
Paventiamo
che il danno di questa sentenza vada oltre il processo di Ravenna in quanto
tale poiché riproporre tesi infondate crea confusione e disorientamento anche
rispetto alle condotte da adottare in materia di prevenzione.
Come si è
detto “leggeremo le motivazioni” anche perché potrebbe nascere un quesito:
serve a qualcosa fare processi penali in Italia in materia di omicidio colposo
sul lavoro? Quale livello di “certezza” occorrerebbe fornire oltre quello
portato in aula dalla accusa e dalle parti civili?
Le parti
civili hanno argomentato che i casi giunti a giudizio erano solo una parte di
quelli verificatisi, come si deduce in maniera inoppugnabile dal confronto tra
i mesoteliomi discussi nel processo e i tumori polmonari “mancanti all’appello”;
Ma (come si
è detto) forse qualcuno ritiene utile rottamare tutto quello che la comunità
scientifica ha acquisito fino a oggi.
Anche per
evitare pareri sommari, leggeremo le motivazioni.
Una
questione però emerge subito dalla lettura della sentenza pronunciata. C’è
stata una condanna per la asbestosi di un lavoratore. Se esistevano le
condizioni per l’insorgenza di una patologia correlata a livelli di esposizione
molto alta (appunto la asbestosi polmonare parenchimale, da non confondere con
le placche asbestosiche) come è possibile che non siano state riconosciute
altre patologie (tumorali questa volta) che mostrano una curva dose-risposta “positiva”
a partire da livelli di esposizione molto più bassi di quelli che possono
indurre asbestosi?
E’ possibile
che, pur lavorando in un ambiente “asbestosigeno” i lavoratori abbiano
contratto i mesoteliomi, per esempio, da altre fonti o occasioni di
esposizione?
E la signora
che è morta per mesotelioma pleurico dove e quando potrebbe essere stata
esposta al rischio se non, in ambito domestico, lavando le tute del marito?
Noi
rispettiamo la autonomia della magistratura ma quando le cose sono “incomprensibili”
vorremmo ci venissero spiegate...
Vito Totire
Medico del
lavoro e presidente nazionale Associazione Esposti Amianto e rischi per la
salute, parte civile nel processo Enichem di Ravenna.
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From: USB Ospedale
Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent:
Thursday, December 01, 2016 6:55 PM
Subject: OSPEDALE
GASLINI: ALLIEVI UTILIZZATI PER COPERTURA DEI TURNI
COMUNICATO STAMPA
Recentemente
abbiamo denunciato in Commissione Sanità, alla presenza dell’Assessore Viale,
la carenza di personale dei reparti all’Ospedale Gaslini. Si parla di almeno 40
infermiere pediatriche e 20 OSS (Operatore Socio Sanitario).
Abbiamo
chiesto che le infermiere in turno, in un reparto delicato come la Rianimazione sia
portato da 8 a
10 senza dimenticare gli altri siti, i cui turni sono coperti tramite il
mancato smaltimento delle ore di riposo a cui avrebbe diritto il personale.
In tutto
questo il Gaslini ha richiesto alla Regione un numero sicuramente inferiore di
personale infermieristico e OSS rispetto a ciò che servirebbe.
Ma qualcuno
dovrà pur pensare alle attività domestico alberghiere.
Ma ci sono
gli allievi OSS!!!!
I corsi per
accedere alla qualifica OSS, dal 2001, anno di nascita di questa figura, erano
organizzati dalla Regione. Dalla precedente giunta i corsi sono a pagamento,
con un massimale di 2.500 euro per ogni partecipante e sono organizzati da enti
accreditati.
L’organismo
che dovrebbe controllare la correttezza dello svolgimento dei corsi è l’Arsel
Liguria. Gli allievi che frequentano i corsi hanno il diritto, considerando la
cifra spesa, ad avere personale che li segue e non ad essere utilizzati per
sopperire alla carenza di personale od utilizzati come forza lavoro negli altri
ospedali.
Chiediamo a
questa giunta, nuovamente, il rispetto dei diritti dei lavoratori, il diritto
dei cittadini ad avere un’assistenza adeguata e non effettuata da chi sta
imparando.
La Regione
Liguria continua a
formare OSS. Ma quanti trovano lavoro? Negli ospedali pubblici gli OSS
attualmente vengono assunti da graduatoria del Galliera del 2009, dove non si è
arrivati ad assumere neanche la metà degli idonei.
Che
controllo avviene sugli enti accreditati? E’ di prossima discussione un’interpellanza
del Consigliere Pisani sulla situazione di Euroform
Nessun
allievo deve essere utilizzato come forza lavoro
USB Ospedale
Gaslini
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From: Gino
Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent:
Thursday, December 01, 2016 10:43 PM
Subject:
FIDEL:LA RIVOLUZIONE
DELLE SCIENZE
L’eredità del Lider Maximo.
Fidel Castro fin dall’inizio era ossessionato dall’idea
che, per attuare pienamente gli ideali rivoluzionari, Cuba dovesse puntare sullo
sviluppo scientifico. I risultati si vedono.
E’ molto probabile che fra tutte le commemorazioni che
saranno scritte su Fidel Castro mancherà un aspetto della sua opera che ha
avuto un’influenza determinante sulle scelte e le caratteristiche della Rivoluzione
cubana, ma che è poco noto tanto ai suoi fautori che ai suoi detrattori: e cioè
l’ostinata (come erano tutte le sue idee) convinzione che Cuba, per attuare
veramente gli ideali della Rivoluzione e vincere la sfida di affrancarsi dalla
condizione di partenza di subalternità, dovesse sviluppare un sistema di
ricerca scientifica e di salute pubblica al livello dei paesi sviluppati.
L’impresa di conquistare una condizione di reale
autonomia non è mai riuscita pienamente a nessun paese in via di sviluppo, a
meno di svilupparsi in dipendenza delle realizzazioni di una potenza dominante,
come ha fatto la Corea
del Sud, anche in campi avanzati come l’elettronica o l’energia nucleare.
Questa strategia, che comunque è riuscita a paesi molto più grandi di Cuba, è
legata sia a fattori generali che possono venire meno (com’è avvenuto per le
cosiddette «Tigri asiatiche» con la crisi del 1998), sia al destino della
potenza di riferimento (com’è avvenuto per i paesi del Blocco comunista dopo il
crollo dell’URSS).
La piccola Cuba (la cui superficie è appena un
millesimo delle terre emerse, e ospita appena 1,5 per mille della popolazione
mondiale) con scarse risorse è riuscita nell’impresa di conquistare nel giro di
tre decenni una condizione di autonomia sostanziale, che ha retto (unico paese
del Blocco comunista, e contro tutte le previsioni) alle terribili conseguenze
del crollo dell’Unione Sovietica nel 1989.
La giovanissima dirigenza rivoluzionaria (si andava
dai 29 anni di Fidel ai 24 di Camilo Cienfuegos) aveva ben chiaro dall’inizio
che per riscattare realmente il paese dalla condizione di subalternità era
necessario sviluppare, malgrado le condizioni tutt’altro che favorevoli, un
sistema scientifico avanzato, al livello dei paesi più sviluppati.
Significativa fu l’affermazione, in apparenza
spavalda, di Fidel Castro nel 1961: “Il futuro di Cuba dev’essere
necessariamente un futuro di uomini di scienza”, che incredibilmente si è
trasformata in realtà! Riuscendo a mobilitare con la Rivoluzione tutte le
risorse intellettuali del paese (meglio, quelle che non abbandonarono il paese
dopo la Rivoluzione)
attorno a un progetto ambizioso, moltiplicandone le potenzialità. E i metodi
sleali degli Usa anziché indebolire la Rivoluzione si sono trasformati in induttori di poderose sinergie. Come afferma un autorevole
studio di origine non sospetta: “Dopo la rivoluzione del 1959 Cuba si diede
come priorità di trovare nuovi metodi per provvedere a una popolazione povera;
parte della soluzione fu la formazione di medici e ricercatori” (D. Starr,
direttore del Centro di Giornalismo Scientifico e Medico dell’Università di
Boston).
Il modo in cui Cuba ha realizzato questa impresa
incredibile è stato assolutamente straordinario, facendo ricorso in modo quasi
spregiudicato a tutti i tipi di apporti e incorporandoli in un sistema
scientifico originale. Così, nella fisica e in certe tecnologie i cubani si
appoggiarono pesantemente all’Unione Sovietica che in questi campi era all’avanguardia,
ma si aprirono fin dai primissimi anni anche al contributo attivo di scienziati
e istituzioni “occidentali”: con entrambi questi supporti Cuba raggiunse nel
giro di 15 anni un livello paragonabile a quello dei paesi latinoamericani
molto più grandi e ricchi e con maggiore tradizione scientifica.
Nel campo della biologia moderna, dove la Russia per ragioni
ideologiche era rimasta tagliata fuori dalla genetica moderna e dalla biologia
molecolare (da quando negli anni ‘30 l’agronomo Trofim Lysenko, negando i
principi della genetica, aveva sostenuto la tesi della trasformazione delle
specie provocata da cambiamenti ambientali), i cubani, pur facendo parte del
Blocco dei paesi socialisti, ricorsero direttamente al supporto di scienziati
occidentali. In particolare (e anche questo è poco noto) fu la giovane generazione
di biologi italiani che nei primi anni ‘70, con corsi appositi e intensivi,
formò l’attuale generazione di biologi e genetisti cubani.
Questa applicazione eclettica delle conoscenze
scientifiche avanzate si è associata a Cuba con la subordinazione di tutte le
scelte alle necessità della Rivoluzione e ai bisogni primari della popolazione.
Fu proprio Fidel a promuovere lo sviluppo di un sistema sanitario efficiente ed
esteso a tutta la popolazione, che in pochi anni sradicò le infermità che
affliggono i paesi poveri, e portò il profilo sanitario dei cubani al livello
dei paesi sviluppati. E fu Fidel che fin da primi anni ‘80 si ostinò con
sorprendente lungimiranza nello sviluppo delle biotecnologie, quando queste
erano ai primordi del loro sviluppo in tutto il mondo, promuovendo i contatti
con i paesi allora più avanzati (in particolare la Finlandia, poi la Francia). Nel 1986 per sua
esplicita scelta venne costruito un grande Centro de Ingeniería Genética y
Biotecnología (CIGB), equipaggiato con la strumentazione più moderna
disponibile (affrontando costi più alti a causa dell’embargo degli Stati uniti,
anche se il Centro costò complessivamente un decimo di quanto sarebbe costato
negli Usa), che adottò un ciclo integrato che andava dalla ricerca, alla sperimentazione
clinica, alla produzione e alla commercializzazione. Cuba ha realizzato nella
biotecnologia, con ulteriori centri specializzati legati al sistema sanitario,
un modello alternativo a quello capital-intensive che domina a livello
mondiale, e particolarmente dedicato alle malattie tipiche del Terzo Mondo,
snobbate dalla logica del profitto dell’industria farmaceutica.
Quando il crollo dell’URSS nel 1989 mise in ginocchio
l’economia cubana, il governo adottò nuovamente la strategia utilizzata all’inizio
della Rivoluzione di puntare sull’eccellenza in campo scientifico: molti
settori furono duramente penalizzati dai colpi della crisi, ma il sistema
scientifico cubano nella sostanza resse, e Fidel investì somme considerevoli
per sostenere e sviluppare ulteriormente la biotecnologia. Come scrive il già
citato Starr: “Di fronte alla calamità economica, Castro fece una cosa
eccezionale: investì centinaia di milioni di dollari nei medicinali”. Questa
scelta coraggiosa fu ancora una volta lungimirante: dagli anni ‘90 i servizi
collegati alla salute e ai farmaci biotecnologici costituiscono una delle più
importanti fonti di ingresso di valuta pregiata per Cuba.
La politica promossa da Fidel avrebbe molto da insegnare a noi: un paese
che riponga speranze sul futuro e punti al benessere del suo popolo non taglia,
ma piuttosto promuove l’istruzione, l’innovazione e il servizio sanitario
pubblico, soprattutto in condizioni di risorse limitanti. Un recente rapporto
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma a proposito che “Cuba è un
esempio in cui una strategia ben sviluppata di salute pubblica ha generato
indicatori comparabili a quelli dei paesi industrializzati. Nonostante le
limitate risorse, il sistema sanitario cubano ha risolto i problemi che altri sistemi
sanitari nazionali non sono stati in grado di risolvere. I risultati di salute
pubblica di Cuba si basano in primo luogo sul principio che la salute è un
diritto della sua popolazione e, secondo, sullo sviluppo delle seguenti aree:
un sistema sanitario nazionale, la formazione delle risorse umane, lo sviluppo
della ricerca e della produzione biofarmaceutica, e la creazione di una
programma internazionale di cooperazione sanitaria e assistenza”. (OMS Report, 2015, “Cuban experience with
local production of medicines, technology transfer and improving access to
health”).
Indubbiamente oggi Cuba si trova di fronte sfide
nuove, il cui esito è assolutamente imprevedibile, ma la lungimiranza di Fidel
ha lasciato una traccia che difficilmente potrà venire cancellata.
Angelo Baracca, Rosella
Franconi
29/11/16
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From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent:
Saturday, December 03, 2016 9:47 AM
Subject: ANCORA 5
MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO ANCHE IERI 2 DICEMBRE
Ancora 5 morti sui luoghi di lavoro anche ieri 2
dicembre.
Impressionante
sequenza di morti anche ieri.
Sono morti
cinque lavoratori, 17 dalla tragedia di Messina di soli 4 giorni fa.
Fa
impressione la morte di due ventenni, morti tutti e due in modo straziante.
In una ditta
dolciaria di Torino che produce panettoni è morto in modo orribile Matteo
Bianchi di soli 23 anni. Il povero giovane è morto con la testa schiacciata da
un macchinario.
Terribile
anche la sorte di un suo coetaneo Domenico Gangemi della Provincia di Reggio
Calabria. Anche lui ha finito la sua vita a 23 anni cadendo dentro un silos di
una segheria, dentro il silos c’era una struttura elicoidale che cercava di
sbloccare con un badile. Ci è caduto morendo sul colpo.
In provincia
di Bologna a Castelguelfo un artigiano Ferdinando Procopio è stato investito da
un muletto mentre stavano posando del pietrisco in un capannone in costruzione,
aveva solo 53 anni.
In Provincia
di Vibo Valentia è morto schiacciato dal trattore Maurizio Purita di soli 36
anni.
Sull’A14 è
morto Claudio Boldrin un autotrasportatore di 50 anni a causa di un
tamponamento.
Ma che Paese
è il nostro che ni si preoccupa di salvaguardare la vita dei suoi lavoratori?
Ma come fa una classe dirigente di un paese ad
assistere senza far niente alla morte dei suoi figli migliori?
Scriverò
ancora al Presidente Mattarella, il Paese non può assistere impotente a una
strage così disumana.
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From: Mario
Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent:
Saturday, December 03, 2016 5:56 PM
Subject: LUCI E
OMBRE DEL NUOVO DISEGNO DI LEGGE TESTO UNICO AMIANTO
Si è tenuta
ieri presso Palazzo Giustiniani del Senato la II Assemblea
Nazionale sull’Amianto in cui è stato presentato un Disegno di Legge dl recante
il Testo Unico in materia di amianto, frutto delle conclusioni raggiunte dalla
Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni e delle
malattie professionali con la collaborazione dell’Università degli Studi di
Milano. Otto titoli composti da 128 articoli per cercare di affrontare e
riordinare il tema dell’amianto in tutta la sua vastità e complessità.
Presente il
Coordinamento Nazionale Amianto con i responsabili delle associazioni e
Comitati che ne fanno parte, i sindacati confederali Nazionali e tante altre
realtà attive sul territorio.
Augurandoci
che questa iniziativa non sia stata frutto di un’azione propagandistica in
vista del delicato momento referendario ed esprimendo la nostra soddisfazione
in considerazione che il tema amianto sia entrato, di fatto nell’agenda
politica delle priorità del nostro Governo, esprimiamo rammarico e delusione
per il fatto che le associazioni delle vittime a differenza del recente passato
non siano state coinvolte nella sua elaborazione e stesura.
Ricordiamo
che le associazioni degli ex esposti e delle vittime dell’amianto, insieme ai
movimenti di lotta per la salute, ai sindacati confederali e di base, fin dagli
anni ‘70 si sono battute per mettere al bando l’amianto. Si può dire che la
legge 257 del 1992 che ha interrotto la produzione e il commercio di amianto è
una loro vittoria.
Il problema
della presenza dell’amianto sul territorio non è stato comunque risolto dalla
legge se non in poche situazioni e a seguito di diverse mobilitazioni. Si pensi
alle conferenze organizzate dalla base, prima e dopo la conferenza governativa
di Roma del 1999, Milano 1993, Monfalcone 2003, Bruxelles nel 2005, Torino nel
2009 e la II
conferenza Nazionale presentata del governo nel 2012 a Venezia, che è stata
a gran voce richiesta e voluta dal Coordinamento Nazionale Amianto.
Si
immaginava, in considerazione del ruolo svolto e per la tenace richiesta di
giustizia per gli ex esposti, le vittime dell’amianto e dei processi che ne
sono seguiti che non si potesse procedere senza il coinvolgimento diretto dei
protagonisti delle lotte e delle richieste, sulla base delle loro conoscenze e
della presenza sul territorio a stretto contatto con le persone che soffrono o
che sono deceduti.
Esprimiamo
un parere favorevole all’istituzione di Sportelli Amianto su tutto il
territorio e della Agenzia Nazionale Amianto ma leggiamo, allo stesso tempo con
preoccupazione, l’articolo in cui si afferma “senza nuovi o maggiori oneri per
la finanza pubblica”. Ecco che ci chiediamo come è possibile pensare ad un
organismo del genere come una Agenzia Nazionale senza fondi per operare?
Quante volte
come associazioni o singoli cittadini ci si è rivolti alle istituzione
ambientali, sanitarie e sociali senza ottenere risposte o ottenendole con tempi
lunghissimi? Quante volte ci è stato detto che abbiamo ragione ma mancano i
soldi?
Apprezziamo
alcune misure che sono state inserite nel DdL, a partire da quelle che da tempo
chiediamo, come la sorveglianza sanitaria, omogenea, con protocollo unico, per
tutto il territorio nazionale e non disomogenea, come è oggi, da regione a
regione o addirittura da provincia a provincia nella stessa regione, per altro
prevista ma poco attuata e non indicativa nel testo unico.
Un paragrafo
a parte lo dedicheremo sulla possibilità di richiedere atti di indirizzo per
ottenere, la dove vi è stata una reale esposizione, per i benefici
previdenziali per gli ex esposti, anche se, sui benefici, sono di più le norme
che si chiudono che quelle che si aprono.
Siamo
finalmente soddisfatti per l’allungamento dei termini di prescrizione e il
gratuito patrocinio a spese dello Stato per le vittime dell’amianto e i familiari
nell’ambito dei processi per disastro, omicidio e lesioni. Non altrettanto per
la mancata istituzione della Procura Nazionale sulla Salute e Sicurezza sul
lavoro in particolare sull’amianto.
Avremmo,
certamente, apprezzato fosse stato affermato che per l’amianto non dovrà
esistere alcun valore limite al di sotto del quale la salute degli esposti
possa essere garantita e che i valori limiti definiti costituiscano un’aggravante
se superati.
Altrettanto
sarebbe stata interessante, fosse riportata e definita, la soluzione del
conflitto di interessi fra chi riconosce le malattie asbesto correlate e chi
eroga le relative provvidenze. Sono le istituzioni sanitarie proposta alla
Sorveglianza Sanitaria, che devono giudicare le malattie e i disagi e non l’ente
assicuratore INAIL, escludendolo dal conflitto di interesse in cui si trova.
Cercheremo infine di entrare, più puntualmente, nel merito di quanto
riportato in detto Testo Unico, confidando nell’affermazione della Senatrice
Fabbri, che si tratta di una proposta aperta ad eventuali modifiche o
integrazioni, dicendo (non come una battuta) che non sarà il sì o il no a
interrompere il processo. A breve presenteremo le nostre osservazioni sui punti
del Testo Unico che, a nostro parere, presentano delle criticità, delle lacune,
delle inesattezze o che non hanno tenuto conto delle nostre richieste giacenti
in Commissione Senato e forniremo al governo e alle parte interessati, le
nostre integrazioni, con l’augurio di poter andare avanti nella realizzazione
di questa opera così complessa ed organica tutti insieme.
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From: Mario
Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent:
Saturday, December 03, 2016 5:56 PM
Subject: VERGOGNA:
OMICIDIO COLPOSO E NON VOLONTARIO PER SCHMIDHEINY
L’accusa per
il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, imputato a Torino per la morte di 258
persone, vittime di malattie correlate all’esposizione all’amianto, è passata
da omicidio volontario a omicidio colposo aggravato plurimo al processo Eternit
bis. Il Giudice dell’Udienza Preliminare ha dichiarato prescritti un centinaio
di casi, mentre per i rimanenti ha ordinato la trasmissione per competenza
territoriale alle procure di Reggio Emilia, Vercelli e Napoli. A Torino si
celebrerà a partire dal 14 giugno il processo per due soli casi.
COMUNICATO
STAMPA ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO E MEDICINA DEMOCRATICA
Il il Giudice
dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Torino ha rinviato a giudizio Stephan
Schmideiny. Ma non è una buona notizia perché tale decisione é per omicidio
colposo e non doloso come invece era stato richiesto dal Pubblico Ministero.
Ciò vuol
dire lo smembramento del processo in 3 Tribunali diversi e il rischio della
prescrizione sempre più reale e vicino.
Se il Disegno
di Legge presentato oggi al Senato della Repubblica dalla Senatrice Fabbri e
altri “Disposizioni per il riordino della normativa in termini di amianto”
fosse già legge e già in vigore, la prescrizione sarebbe stata più lontana.
Ma nulla
sarebbe cambiato in termini di colpa. Nemmeno in questo DdL si e’ pensato di
istituire la Procura
Nazionale per i delitti del lavoro (infortuni e malattie
professionali).
Stephan
Schmidheiny, uno degli uomini più ricchi del mondo, può continuare a dormire
sonni tranquilli!
Non e’ una
novità. Il codice del sistema in vigore dice che i ricchi devono risultare
impuniti.
Milano 29/11/16
Medicina
Democratica
Associazione
Italiana Esposti Amianto
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From:
Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent:
Saturday, December 03, 2016 5:56 PM
Subject: GRANDE
SUCCESSO ASSEMBLEA AIEA SARDEGNA
In centinaia
si sono ritrovati a Ottana all’assemblea straordinaria per fare il punto sulla
battaglia iniziata un anno fa per il riconoscimento dei diritti per le malattie
legate all’amianto.
Dipendenti
ed ex lavoratori dell’area industriale ex Enichem, assistiti nella lotta dall’Associazione
Nazionale Esposti Amianto (AIEA) hanno discusso su un primo risultato ottenuto
pochi giorni fa: con un emendamento alla legge di Stabilità, presentato dal Deputato
Michele Piras (Sinistra Italiana), sono stati destinati 50 milioni ai
lavoratori sardi esposti all’amianto.
“E’ un primo
importante passo” – ha spiegato il Deputato – “L’emendamento riconosce la
pensione di inabilità ai lavoratori esposti all’amianto e riapre i termini per
il 2017 e nel 2018 per le richieste all’INAIL di coloro che abbiano contratto
malattie asbesto correlate. E’ un atto che rende parziale giustizia a chi ha
tanto sofferto per aver respirato veleni nel posto di lavoro”.
“C’è ancora
tanto da fare” – ha sottolineato Piras – “per vedere riconosciuti gli altri
diritti come indennizzi, trattamenti sanitari gratuiti e prevenzione, che i
lavoratori e i loro eredi giustamente rivendicano”.
“Non si
capisce perché i sardi che hanno lavorato nelle stesse fabbriche con la stessa
esposizione all’amianto di altri lavoratori italiani” – ha detto la presidente
nazionale dell’AIEA, Maura Crudeli – “siano stati finora discriminati sul piano
dei diritti. Noi andremo avanti nella nostra battaglia che abbiamo intrapreso
anche di fronte ai giudici”.
La
presidente regionale AIEA, Sabina Contu, ha ribadito: “E’ una prima anche se
parziale vittoria. Continueremo a stare a fianco dei lavoratori e chiederemo
all’assessore della Sanità Luigi Arru di avviare un’indagine epidemiologica per
capire qual è l’incidenza delle malattie legate all’amianto nelle zone
industriali; chiederemo che vengano inserite per i benefici di legge altre
malattie legate all’esposizione di amianto, oltre al carcinoma polmonare, all’asbestosi
e al mesotelioma pleurico, già riconosciute. Abbiamo bisogno della
collaborazione dei sindaci delle zone per le bonifiche nelle zone industriali”.
Intervento di
Sabina Contu
Intervento di
Mario Murgia
Intervento di
Francesco Tolu
Da L’Unione Sarda
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From: Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Monday,
December 05, 2016 4:53 PM
Subject: NEL 2007 LA STRAGE DELLA THYSSEN: NEL 2016 LA
CONDANNA DEFINITIVA, MA... DI ESPENHAHN IN GALERA NON C’E’ TRACCIA!
Abbiamo
fatto una ricerca sul web ma anche dalla Germania non arriva nessuna
notizia.
Cosa
aspetta il governo italiano a chiedere l’applicazione della sentenza?
E non c’è
un parlamentare capace di fare un’interrogazione, un’interpellanza, proporre un
Ordine del Giorno per far sì che i due responsabili tedeschi del massacro
Harald Espenhan e Gerald Priegnitz, condannati rispettivamente a 9 anni e 8
mese e a 7 anni, finiscano in galera, come accaduto per i loro colleghi
italiani?
Noi aspettiamo,
ma non dimentichiamo.
F.M.
L’ondata
di fuoco nella notte fra il 5 e il 6 dicembre.
I
soccorritori raccontarono: “Ho visto l’inferno. Erano avvolti nelle fiamme”.
Prendetevi due minuti per ascoltare la bella poesia
di Carlo Soricelli “Morti bianche” interpretata da Flavio Insinua:
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From: Rete Nazionale Sicurezza luoghi di lavoro e territori bastamortesullavoro@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, December 06, 2016 6:15 PM
Subject: PROCESSO ILVA TARANTO: FORTE PROTESTA OPERAI,
LAVORATORI, CITTADINI CONTRO PATTEGGIAMENTI E ACCORDI SEGRETI
Dal blog http://tarantocontro.blogspot.it
di Francesco Casula
6 dicembre 2016
ILVA: ENNESIMO RINVIO DEL
PROCESSO. LA GENTE URLA
IN AULA: “VOGLIAMO GIUSTIZIA PER I MORTI”
Alla fine dell’udienza
dopo l’annuncio del nuovo rinvio al 17 gennaio immediata protesta delle parti
civili autorganizzate e dello Slai Cobas per il sindacato di classe.
Esplode dentro e fuori dall’aula la rabbia dei
tarantini dopo l’ennesimo rinvio del processo ILVA.
Sono stati in tanti a chiedere “giustizia per i
morti” dopo la decisione della Corte
d’Assise di rinviare l’udienza al 17 gennaio per consentire ai
nuovi legali dell’ex Riva
Fire (finita nella gestione statale a seguito degli accordi tra
Riva, ILVA e procure) di studiare l’enorme mole di documenti e determinare l’offerta
per raggiungere il patteggiamento. Fuori dall’aula cartelli eloquenti con le
scritte “quando inizia il processo?”.
Prima del rinvio, inoltre, sono state
depositate le richieste di patteggiamento per ILVA in amministrazione straordinaria e Riva Forni Elettrici. La
corte dovrà valutare se accettare o meno le richieste di patteggiamento
(diventando peró incompatibili con il proseguio del processo, che dovrebbe
essere celebrato da una nuova Corte d’Assise) oppure lasciare che il Presidente
del Tribunale possa decidere di nominare nuovi magistrati.
Le parti civili hanno protestato
perché ritengono che il patteggiamento della pena avanzato dalle tre società
farà venir meno le richieste di risarcimenti dei danni nei confronti delle
persone giuridiche.
* * * * *
NON SI PATTEGGIA CON I RESPONSABILI DEL DISASTRO AMBIENTALE!
PARLA L’AVVOCATO BONETTO DI TORINO
Siamo agli accordi segreti, che i lavoratori e i
cittadini, tutte le realtà che lottano a Taranto per la salute e il lavoro,
perchè i padroni assassini paghino e vadano in galera, devono leggere sulla
stampa o sentire in televisione.
Si sta facendo un processo farsa.
Dietro il processo che già ha dato e dà ampio
spazio agli avvocati di Riva, si fanno accordi tra le Procure di Milano e di
Taranto, sotto la regia del Governo, si prendono decisioni sulla vita della
gente.
L’unico che dice che sapeva è lo squallido,
inqualificabile Sindaco Stefano, che non si vergogna a dire che pur sapendo non
ha detto nulla della porcata che si stava facendo e su cui è d’accordo.
Si tratta di uno scambio tra pochi soldi, che
periodicamente si nominano e si spacciano per tutti gli interventi, e l’uscita
dal processo, anzi dai processi guardando anche a quelli di Milano, dei Riva,
dell’ILVA e delle altre società.
I lavoratori dell’ILVA, dell’appalto, tutti gli
altri che si sono costituiti parte civile, i cittadini dei quartieri inquinati,
i familiari dei morti, restano “beffati” e senza risarcimento, in un processo
svuotato dai veri colpevoli.
La beffa riguarda anche questi famosi 1,3 miliardi.
Che materialmente non potranno essere utilizzati per le bonifiche, perchè
almeno 800 milioni dovrebbero andare a coprire i prestiti già dati dalle banche
su garanzia dello Stato del recupero proprio di quel miliardo e 300 milioni.
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To:
Sent:
Saturday, December 10, 2016 2:52 PM
Subject: BULGARIA,
TRENO DI GAS DERAGLIATO SULLE CASE: L’EUROPA FERROVIARIA UCCIDE ANCORA
L’Europa
ferroviaria, quella delle compatibilità economiche, uccide ancora.
“Viareggio”
non è mai finito.
Cosa penso
dell’ERA?
O chiude o
si mette a lavorare per la sicurezza.
Ciao
Dante
* * * * *
BULGARIA: INCIDENTE FERROVIARIO CON CISTERNE CARICHE DI GAS, 4 MORTI
Almeno 4
persone sono morte e 25 sono rimaste ferite in un incidente che ha coinvolto un
treno merci a Hitrino, nel nord della Bulgaria.
Il
convoglio, che trasportava gas, è uscito dai binari andandosi a schiantare
sulle case del paese, centro con circa 800 abitanti.
Una ventina
le abitazioni coinvolte dall’esplosione, numerosi gli evacuati.
Il treno merci
trasportava 20 serbatoi di propilene e 4 di butano. Gli ultimi 2 elementi del
convoglio hanno colpito i cavi dell’elettricità.
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday,
December 08, 2016 1:54 AM
Subject: SOCIALIZZAZIONE DELLO SVILUPPO TECNOLOGICO E
LOTTA PER LA RIDUZIONE
DELL’ORARIO DI LAVORO
PERCHÉ ALL’AUTOMAZIONE DEI PROCESSI PRODUTTIVI NON È SEGUITA UNA RIDUZIONE DEI TEMPI DI LAVORO?
Sergio
Cimino
05/11/16
La
rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro come questione disgiunta
da un discorso complessivo sul rapporto di potere tra capitale e lavoro può
condurre a risultati effimeri, soggetti ad una compromissione parziale o totale
ad opera della controffensiva padronale.
Con la fine
del periodo storico caratterizzato dalle più imponenti conquiste del movimento
operaio anche la tendenza ad una progressiva riduzione dell’orario di lavoro
conosce una battuta d’arresto, fino ad arrivare alla messa in discussione di
quelli che si ritenevano dati strutturali ormai consolidati. In Europa solo
qualche anno fa imperversava la discussione sull’opt-out, ossia la clausola che
consente di derogare il limite di 48 ore dell’orario settimanale (con la
possibilità di arrivare fino a 65 ore settimanali). Ma i segni più evidenti
sono quelli rintracciabili nella generale regressione che si registra in sede
di contrattazione sindacale.
La
subordinazione alle esigenze del sistema delle imprese avviata con l’accordo
interconfederale del 28 giugno 2011 e sublimata con il Testo unico sulla
rappresentanza del 10 gennaio 2014, trova espressione, tra le altre cose,
attraverso l’introduzione del principio di derogabilità in senso peggiorativo
dei contratti collettivi ad opera dei contratti aziendali. Un’opportunità
offerta al padronato che può intervenire su tutti gli aspetti del rapporto di
lavoro, compreso quindi l’orario, con derive facilmente intuibili data la minor
forza di resistenza dei lavoratori di una singola azienda rispetto a quelli di
un intero settore. Né, purtroppo, segni di una tendenza all’aumento dell’orario
di lavoro sono assenti già in sede di contrattazione collettiva (giusto per
fare un esempio: il contratto collettivo dei lavoratori dell’igiene ambientale,
che porta la settimana lavorativa da 36 a 38 ore, con 104 ore annuali in più).
Il processo
in atto appare paradossale a fronte di una trasformazione epocale dei processi
produttivi, determinata dall’automazione e informatizzazione dei processi
produttivi. Ma appunto, di apparenza si tratta, che si dissipa nel momento in
cui si analizza proprio la rottura di un nesso tra azione sindacale e suo
contenuto politico, analisi che dovrebbe permetterci di rispondere alla
seguente domanda: Perché i benefici in termini di produttività conseguiti
grazie all’automazione e all’informatizzazione non si sono tradotti in una
riduzione dei tempi di lavoro?
Come tutte
le innovazioni tecnologiche, anche l’ultimo impetuoso processo si è manifestato
nel sistema governato dal capitale, sotto forma di una maggiore produzione di
plusvalore relativo. Lo sviluppo delle forze produttive in un’economia
capitalista non ha come scopo l’accorciamento della giornata lavorativa ma solo
la sua parte relativa al lavoro necessario, a vantaggio di quella che produce
il plusvalore. E perché la dialettica tra rappresentanti del capitale e
rappresentanti dei lavoratori non potrebbe condurre, come del resto accaduto
storicamente, ad una traduzione di una parte della riduzione del lavoro
necessario, in termini di un ridimensionamento della complessiva giornata
lavorativa?
Lo sviluppo
capitalistico non ha solo conseguenze in termini quantitativi ma coinvolge
aspetti qualitativi che vanno ad incidere proprio sul complessivo assetto di
potere nell’ambito dei rapporti sociali di produzione. In particolare, la
connotazione sociale delle condizioni che producono un maggior plusvalore
relativo viene fatta propria dal capitale e conseguentemente raffigurata come
funzione ad esso appartenente.
Si arriva al
punto in cui “il capitale non tende
soltanto a ridurre all’indispensabile il diretto impiego di lavoro vivente e a
diminuire di continuo, mediante lo sfruttamento delle forze produttive sociali
del lavoro, il lavoro necessario per l’approntamento di un prodotto” [1],
ma “si approfondisce il dominio sempre
più esclusivo del capitale sulle condizioni di lavoro; e, attraverso questo
dominio, con l’impiego sempre più razionale di tutte le condizioni della
produzione, si sviluppa e si specifica lo sfruttamento capitalistico della
forza-lavoro. L’operaio riesce a cogliere ormai la globalità del processo di
produzione soltanto attraverso la mediazione del capitale: forza-lavoro non più
soltanto sfruttata, ma integrata dentro il capitale” [2].
La “socialità”
delle condizioni di produzione che consentono al capitale di ottenere economie
di costo, viene trasfigurata in elementi che sono insiti nella sua natura. È
quanto accade anche per il progresso tecnologico. La direzione dei vantaggi
rivenienti dalle innovazioni tecnologiche è rimessa completamente nelle mani
del capitale ed anche in questo caso l’intero processo è visto come “potenza
estranea” dal lavoratore.
La
costruzione di piattaforme sindacali che tornino a richiedere una riduzione
dell’orario di lavoro va quindi inquadrata in una complessiva azione politica
che abbia come premessa imprescindibile la ricomposizione della classe
lavoratrice. Questa ricomposizione, per essere efficace, deve ripercorrere le
trasformazioni avvenute nell’organizzazione del lavoro, affinché le forme
organizzative della rappresentanza di classe trovino corrispondenza nelle reali
articolazioni produttive.
Partendo
sempre da una irrinunciabile analisi della realtà effettiva, un tema di
riflessione per l’area costituita dal sindacalismo più conflittuale e dalle
organizzazioni politiche di classe del proletariato, potrebbe essere quello
dell’adeguatezza delle categorie contrattuali in cui è suddiviso il corpo del
lavoro salariato, nella fase attuale. Attraverso processi di esternalizzazione
e “appaltizzazione” gli ultimi decenni hanno traghettato un’economia fondata
ancora sul modello fordista verso un’organizzazione produttiva che potremmo
definire tentacolare, in cui un centro beneficiario di ultima istanza si avvale
della produzione di valore dei nodi di una rete composita, che può presentarsi
sotto le più diverse forme economiche e giuridiche.
I lavoratori
di quelle che erano le strutture portanti di un sistema basato sulla grande
impresa, hanno alimentato copiosamente la contabilità degli esuberi. Ma questo
vuol dire che il lavoro è scomparso? Questo punto rappresenta un crocevia dei
temi che sono stati affrontati finora. La narrazione ideologica del capitale
utilizza le innovazioni tecnologiche come giustificazione tecnica per l’avvio
di processi di ristrutturazione di aziende o di interi settori. L’accettabilità
dei costi sociali che i lavoratori dovranno subire trova proprio in questa
argomentazione “oggettiva” la sua base portante.
Il valore
mistificatorio di questa narrazione è nel velo con cui essa copre il fatto che
il lavoro non scompare, ma che cambiano le forme in cui il capitale estorce
plusvalore. Dal lato del lavoro queste nuove forme prendono le sembianze di un
maggior sfruttamento. Le lavorazioni espulse dal perimetro aziendale della grande
impresa vengono svolte da lavoratori inquadrati in aziende di minori dimensioni
con conseguenti livelli di diritti e garanzie più bassi, o nei moderni opifici
digitali (Accenture docet) in
cui i lavoratori sono inquadrati con contratti atipici e costantemente
sottoposti al ricatto del mancato rinnovo.
Al termine
del processo avremo un quadro in cui i lavoratori della grande impresa (e
soprattutto le loro organizzazioni rappresentative) subiscono responsabilmente
brutali processi di ristrutturazione motivati dal fattore tecnologico.
Ciò si
traduce in perdita di salario (con l’attivazione di misure statali o settoriali
per il superamento delle tensioni occupazionali, ma anche come richiesta
esplicita nei rinnovi contrattuali), di diritti e garanzie. Ciò che rende
letteralmente surreale poter ipotizzare una piattaforma rivendicativa che si
strutturi attorno alla richiesta della riduzione dell’orario di lavoro a parità
di salario.
I lavoratori
delle piccole imprese che hanno assunto le lavorazioni esternalizzate o degli
opifici digitali hanno un rapporto di lavoro che vive in un contesto di
evidente debolezza, in cui l’orario di lavoro è soggetto ad una completa
flessibilizzazione in funzione degli obiettivi aziendali.
Il risultato
complessivo è una amplificazione del processo di estorsione di plusvalore
relativo, ottenuta grazie alle innovazioni tecnologiche, alle conseguenti
modifiche produttive e alle corrispondenti sovrastrutture giuridiche
(deregolamentazione del rapporto di lavoro). Nel sistema del capitale, quindi,
un orario di lavoro risalente al modello fordista (con addirittura tendenze al
suo aumento) può benissimo convivere con la più radicale delle trasformazioni
indotte dalle innovazioni tecnologiche.
L’opposizione
ad un modello siffatto - dal quale scaturiscono maggior sfruttamento della
forza-lavoro occupata, peggioramento delle condizioni di lavoro e mantenimento
di un corposo esercito industriale di riserva (con tassi di disoccupazione che
non si discostano nel loro oscillare da un nocciolo strutturale) - può venire
solo da chi ha interessi contrapposti. Solo il lavoro salariato, unito nel
vincolo di soggezione al capitale ma disgregato nell’attuale forma di processo
produttivo con una coscienza di classe frantumata dallo schiacciante potere persuasivo
dei mezzi di comunicazione di massa e dalle pressioni culturali, può farsi
carico di un compito storico tanto vecchio quanto nuovo.
Note:
[1] Karl
Marx “Il Capitale”, Libro terzo, capitolo 1, cit. in Mario Tronti, Quaderni
rossi, volume 2, La fabbrica e la società, Edizioni Avanti, pag. 10
[2] Ibidem
pag. 12
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 08,
2016 1:54 AM
Subject:
SFRUTTAMENTO E MORTI SUL LAVORO
di Michele Michelino
20/11/16
In nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a lavorare in condizioni pericolose.
In nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a lavorare in condizioni pericolose.
Da gennaio a
settembre 2016 sono 753 le morti bianche (meglio chiamarle col loro vero nome:
omicidi) rilevate in Italia, di cui 549 infortuni mortali avvenuti in occasione
di lavoro e 204 quelli accaduti in itinere. Questi dati sono stati elaborati e
forniti dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre sulla
base di dati INAIL.
Anche per il
2016 lo scenario che si apre sugli infortuni mortali in Italia continua a
essere tragico.
Una media di
83 vittime al mese, 20 infortuni mortali a settimana.
L’unico dato
positivo è che, rispetto allo stesso periodo del 2015, quando si contavano 856
morti sul lavoro, c’è una diminuzione dei morti del 12,3 per cento.
Il settore
economico che conta il maggior numero di “morti bianche” (74, pari al 13,5% del
totale dei casi di morte in occasione di lavoro) è rappresentato dall’industria
delle costruzioni.
Al secondo
posto vengono le “Attività manifatturiere” con 65 decessi (pari al 11,8% del
totale) e al terzo il “settore del Trasporto e Magazzinaggio”, con 62 casi pari
all’11,3%.
Da gennaio a
ottobre si contano 84 stranieri deceduti (il 15,3 per cento del totale) e 36
donne.
La fascia d’età
più colpita (che costituisce il 33,3 per cento di tutte le morti rilevate in
occasione di lavoro) è sempre quella compresa tra i 45 e i 54 anni.
Anche se i
dati provvisori registrano un calo degli infortuni mortali, in alcuni settori
come l’edilizia a ottobre 2016, si assiste invece a un aumento di oltre il 27%
rispetto al 2015.
Un dato che
colpisce è che la maggioranza delle vittime di infortuni, anche mortali,
riguardi gli over 60 anni: il numero dei morti è più che raddoppiato rispetto
allo scorso anno.
Il lavoro nero senza rispetto dei contratti e della sicurezza è la
condizione che accomuna molti incidenti proprio a causa della mancata
applicazione delle regole. Le vittime sono spesso lavoratori autonomi che
autonomi non sono, lavoratori occasionali in nero o pagati con i voucher nei
cantieri.
Davanti a
questa guerra di classe che fa morti e feriti solo da parte, quella dei
lavoratori, le istituzioni e il governo non vanno oltre le frasi di
circostanza, mentre le grandi centrali sindacali confederali si limitano a
proteste simboliche.
Il 7
novembre i sindacati di categoria degli edili (Feneal-Uil, Filca-Cisl e
Fillea-Cgil) hanno proclamato uno sciopero nazionale del settore di un’ora.
Obiettivo: sensibilizzare e contrastare il dramma delle morti sul lavoro
richiedendo una maggiore sicurezza sul fronte della sicurezza e salute sul
lavoro. Una sola ora di lavoro per protestare contro questa mattanza di operai
morti sul lavoro!
Naturalmente
i dati sopra riportati non tengono conto dei lavoratori in nero e di quelli non
iscritti all’INAIL.
Secondo “Articolo
21” “l’INAIL non riconosce circa 500 infortuni
mortali sul lavoro ogni anno”.
I dati degli ultimi sei anni che riportiamo in dettaglio dicono che:
-
anno 2010: denunce per infortunio mortale 1501, infortuni mortali
riconosciuti 997;
-
anno 2011: denunce per infortunio mortale 1387, infortuni mortali
riconosciuti 895;
-
anno 2012: denunce per infortunio mortale 1347, infortuni mortali
riconosciuti 851;
-
anno 2013: denunce per infortunio mortale 1215, infortuni mortali
riconosciuti 710;
-
anno 2014: denunce per infortunio mortale 1107, infortuni mortali
riconosciuti 662.
Che gli
operai e i lavoratori nella società capitalista siano considerati una merce usa
e getta si vede anche da quanto vale la loro vita per l’ente assicurativo
pubblico, l’INAIL.
Le morti sul
lavoro e da lavoro, gli infortuni, le malattie professionali sono un dramma che
ha gravi conseguenze per le vittime e per le loro famiglie che, oltre al danno,
devono subire la beffa.
Il coniuge
o, in mancanza, i figli o chiunque dimostri di aver sostenuto le spese in
occasione della morte del lavoratore, se hanno i requisiti per fruire della
rendita a superstite, hanno diritto all’assegno di rimborso delle spese
funerarie, che dal 1° luglio 2016 è di ben (!) 2.136,50 euro.
Anche i dati
“ufficiali” vanno comunque presi con le pinze. Molte delle famiglie delle
vittime degli infortuni e malattie professionali conoscono le difficoltà che
hanno dovuto attraversare per far valere i loro diritti. L’INAIL è in conflitto
d’interessi, perché è l’ente assicurativo che deve riconoscere l’infortunio e
nello stesso tempo pagarlo, per cui ha tutto l’interesse a risparmiare sulla
pelle delle vittime.
Da qui la
rivendicazione portata avanti da diverse associazioni e comitati di togliere
all’INAIL il compito di riconoscere infortuni, morti sul lavoro e malattie
professionali, affidando a un ente terzo il riconoscimento e lasciando all’Istituto
Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, assicurazione pubblica, il solo
compito di pagare il danno.
Agli
infortuni e alle morti sul lavoro si aggiungono quelle delle malattie
professionali.
I numeri
forniti dall’INAIL per il 2015 confermano che le malattie professionali sono in
crescita, anche se l’aumento delle denunce di malattia professionale è dovuto
quasi esclusivamente alla “gestione agricoltura” che ha visto un aumento del
10,16% rispetto all’anno precedente (+ 1.100 domande). Nel 2015 sono state
58.825 le denunce di malattia professionale, circa 1.500 in più rispetto al
2014 e in aumento di oltre il 33% rispetto al 2010. Queste denunce hanno
riguardato circa 44 mila soggetti ammalati.
Di lavoro si
continua ad ammalarsi e a morire, più che in guerra.
Ogni anno,
in nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi
risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a
lavorare in condizioni pericolose. Il capitale si alimenta dello sfruttamento
operaio e le sue istituzioni, legittimandolo, sono funzionali allo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo.
I morti sul
lavoro non dipendono mai dalla fatalità. L’aumento dello sfruttamento è la
causa principale degli infortuni.
---------------------
To:
Sent:
Friday, December 09, 2016 3:43 PM
Subject: AMIANTO
E ACQUA
Da Epidemiologia
e Prevenzione
RISCHIO
CLINICO DA INGESTIONE DI FIBRE DI AMIANTO IN ACQUA POTABILE
di Agostino
Di Ciarla e Valerio Gennaro
Il recente
riscontro di amianto in campioni di acqua potabile in Toscana (sino a 700.000
fibre/litro) ha riaperto il dibattito sui rischi da ingestione di queste fibre.
L’esposizione
ad amianto è stata messa in relazione a vari tumori del tratto
gastrointestinale e in vitro è stata documentata la citotossicità ileale da
ingestione di fibre di amianto.
Il riscontro
di amianto in campioni istologici di carcinoma del colon e nella bile
colecistica suggerisce la possibilità che oltre alla migrazione/traslocazione
dai polmoni ad altri organi per via linfaticasia possibile un riassorbimento
intestinale delle fibre e il raggiungimento del fegato attraverso la
circolazione portale.
E’ stato
anche descritto un possibile nesso causale tra amianto e colangiocarcinoma
intraepatico.
L’amianto
assunto per ingestione è in grado di potenziare l’effetto mutageno del
benzo(a)pirene e secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro
(IARC) ci sono evidenze sul rapporto causale tra ingestione di amianto e cancro
dello stomaco e del colon retto.
Il rischio
sarebbe proporzionale alla concentrazione di fibre ingerite, alla variabilità
del consumo idrico, alla durata dell’esposizione e alla concomitante
esposizione ad altri carcinogeni (per esempio benzo(a)pirene).
La presenza
di fibre di amianto in acqua potabile potrebbe inoltre spiegare l’evidenza
epidemiologica di mesoteliomi non associabili a esposizione inalatoria.
In
conclusione numerose evidenze suggeriscono che i rischi sanitari correlati all’amianto
possono essere subordinati a differenti vie di introduzione e sono presenti
anche per ingestione soprattutto attraverso il consumo quotidiano di acqua
potabile.
In Italia
mancano limiti di legge e rilevazioni sistematiche sulla concentrazione di
fibre di amianto in acqua nonostante sia ampia la diffusione delle condotte in
cemento-amianto e alcune di queste siano in progressivo deterioramento anche a
causa dell’alto tasso di acidità dell’acqua circolante.
Resta da
stabilire con chiarezza il limite minimo tollerabile di fibre di amianto nell’acqua
potabile e per rispetto dei principi di precauzione e di prevenzione sarebbe
opportuna una revisione della normativa nazionale e un efficace e sistematico
piano di monitoraggio dell’acqua da applicare in tutte le entità amministrative
(Comuni/Province/Regioni).
Sono inoltre
necessari ulteriori studi epidemiologici finalizzati alla corretta
identificazione delle comunità esposte e a un’adeguata valutazione del rischio
in quelle specifiche aree geografiche.
---------------------
From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Friday,
December 09, 2016 6:54 PM
Subject: L’EMILIA
ROMAGNA RADDOPPIA I MORTI PER INFORTUNI SUI LUOGHI DI LAVORO RISPETTO AL 2015
Se si parla di morti sul lavoro occorre essere
molto chiari e non mescolare le carte per fare solo confusione, in rete
diffondono come al solito dati parziale che farebbero sorridere se non si
parlasse di lavoratori morti per infortuni sul lavoro.
L’INAIL diffonde con circa un mese di ritardo le
denunce che arrivano a questo Istituto, alcuni li prendono come comprensivi di
tutte le morti per infortunio sul lavoro, in realtà come ho già scritto
centinaia di volte, quelle che diffonde sono denunce e non quelle che
riconosce.
Tra l’altro occorre ancora una volta ribadire che
tantissime lavoratori, soprattutto le partite IVA non sono assicurate da questo
Istituto dello Stato e quando all’inizio del prossimo anno andrà a respingere
per almeno un terzo.
Poi ci sono i morti in nero, gli “arrangiatori”
che muoiono numerosi nello svolgere lavori di cui non sono pratici, gli
agricoltori schiacciati dal trattore che in larga parte non sono assicurati all’INAIL.
Noi, abbiamo ritenuto che chiunque svolge un
lavoro, di qualsiasi tipo e che muore lavorando deve avere la stessa dignità
degli assicurati INAIL e non sparire dalla statistiche.
Se li monitoriamo tutti, e separiamo chi muore
sui luoghi di lavoro dai lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere
(salvo gli autotrasportatori di ogni categoria che inseriamo) ci si accorge
così che le “classifiche” regionali e provinciali cambiano completamente.
Analizziamo l’andamento delle prime 4 Regioni per
numero di morti.
Prima Regione per numero di morti sui luoghi di
lavoro risulta in questo momento la
Campania con 61 morti (di questi 3 in mare) rispetto all’intero
2015 ha
un aumento del 23%.
La seconda per numero di morti sui luoghi di
lavoro è l’Emilia Romagna. L’aumento rispetto all’intero 2015 è spaventoso, Nel
2016 ha,
a oggi, 58 morti. Nell’intero 2015
ha avuto 30 morti (ero molto contento l’anno scorso del
significativo calo rispetto al 2014 della mia regione, un calo sicuramente
dovuto alla casualità che ogni tanto si verifica): un aumento incredibile quest’anno
dell’Emilia Romagna di quasi il 100%.
Il Veneto è la terza regione per numero di morti,
ha in questo momento 56 morti sui Luoghi di lavoro, con un aumento rispetto al
2015 del 7,2%
La Lombardia risulta al
quarto posto per numero di morti. E’ questa Regione che ha un andamento
altamente positivo al 2015.
Ha in questo momento 47 morti e nell’intero 2015 72. Un
calo notevolissimo che fa abbassare il numero totale delle morti in Italia rispetto
al 2015. Il calo è del 34,8. Occorre poi ricordare che la Lombardia ha il doppio
degli abitanti delle più popolose regioni italiane.
Questo cosa significa? Che se si prende come
parametro il numero di abitanti e non l’indice occupazionale, che in questa “conta”
non ha nessun valore statistico, visto che a morire sono in tanti che non sono
assicurati all’INAIL viene fuori che la Lombardia è la regione più virtuosa ogni anno su
queste tragedie e che nel 2016 sta avendo un decremento fantastico.
Spero solo che ciò non sia dovuto al caso come è
capitato per l’Emilia Romagna nel 2015 e precedentemente al Veneto.
Come “terrone” considero la Lega che guida la Regione come la più
lontana, ma su questo fenomeno tanto di cappello a chi la sta guidando e alle
strutture che se ne occupano.
Il 1° gennaio 2017 inizierà il decimo anno di
monitoraggio dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it
Sono stati anni molto intensi e sono orgoglioso d’aver
fatto comprendere agli italiani che i morti per infortunio sono molti di più di
quelli che vengono diffusi. Che dal 2008 non c’è stato nessun calo, che sono
gli agricoltori schiacciati dal trattore a tenere il triste primato delle morti
in Italia.
Con grande amarezza devo dire che con chi ci
governa non è mai stato possibile avere nessun contatto, che le Istituzioni
hanno sempre considerato l’Osservatorio un corpo estraneo guardato con
ostracismo, un nemico che li attaccava con chissà quali motivazioni, che
metteva in discussione la loro onnipotenza.
Ma da queste Istituzioni, da chi ci governa,
voglio un riconoscimento, voglio che mi dicono che hanno apprezzato il mio
lavoro di volontario. Lo esigo, non per me, ma per tutti i milioni di volontari
che senza interesse di nessun tipo rendono migliore questo nostro Paes
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