Domenica 29 gennaio si è tenuto alla sede Dalmine dello Slai Cobas sc di
Bergamo un breve seminario, rivolto soprattutto agli operai Dalmine dei
compagni lavoratori del “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848”, sul dossier “La
crisi mondiale della siderurgia” da loro preparato nel giugno 2016 (di cui
abbiamo pubblicato ampie parti a puntate in questo blog a fine anno scorso).
E' stato un seminario di informazione-formazione utile e importante in
questa fase, in cui il problema della crisi della siderurgia, della riduzione
del mercato dell'acciaio a livello mondiale viene usato da padroni, governo,
sindacati confederali per giustificare misure di tagli dei posti di lavoro,
ristrutturazioni che attaccano le condizioni di lavoro degli operai e per
scaricare le colpe su altri, in primis ora sulla Cina, spingendo gli operai italiani
a fare corpo unico con i padroni italiani- europei, contro padroni e lavoratori
cinesi.
Su tutto questo – è stato detto - gli operai devono avere una loro autonoma lettura, un'analisi marxista per avere una visione reale, scientifica e di classe, necessaria anche per avere una chiara rotta della strada di lotta, particolare e generale, sul piano sindacale e politico, da percorrere.
Su tutto questo – è stato detto - gli operai devono avere una loro autonoma lettura, un'analisi marxista per avere una visione reale, scientifica e di classe, necessaria anche per avere una chiara rotta della strada di lotta, particolare e generale, sul piano sindacale e politico, da percorrere.
Come ha detto la compagna del “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848”:
permettere agli operai di sollevare lo sguardo per avere una visione d'insieme.
Pensiamo che questo lavoro prolungato si deve intrecciare con le dinamiche
della lotta degli operai, in questo settore centrale della produzione
capitalistica mondiale.
Nello spiegare la situazione della siderurgia a livello mondiale, i
compagni si sono avvalsi per buona parte del seminario di slide che mostravano
con grafici, dati a livello mondiale, soprattutto l'andamento della crisi della
siderurgia negli anni, e, interessante, il rapporto tra capitalismi avanzati
dei paesi occidentali e nuovi capitalismi dei paesi emergenti (come appunto la
Cina), ecc.
Da questo, e nel dibattito che è seguito, sono emersi alcune fatti e
considerazioni:
Primo. Vi è un evidente contrasto tra aumento della capacità produttiva e
consumo dell'acciaio mondiale; ma questo contrasto si è cominciato a produrre
prima che l'acciaio della Cina invadesse il mercato europeo. Da cui ne viene
che la causa è nel modo di produzione capitalistico che per trarre più
plusvalore dagli operai aumenta il capitale costante (l'uso delle macchine,
tecnologie) e di conseguenza diminuisce il capitale variabile (la forza lavoro
operaia) fonte dei suoi profitti, portando alla caduta del saggio di profitto.
L'aumento della produttività è l'ossessione dei capitalisti per realizzare più
plusvalore, spingendo lo sfruttamento dell'operaio al limite massimo.
Questa crescita della capacità produttiva, porta da un lato a tagliare
posti di lavoro (già la Germania, per esempio, ha tagliato 200mila lavoratori)
e a sfruttare intensamente gli operai restanti (perchè da essi deve trarre lo
stesso o anche più plusvalore di prima); dall'altro porta a un eccesso di
produzione che non trova mercato, e costringe ad abbassare il prezzo. Di questo
ne ha approfittato la Cina occupando essa ampi settori del mercato mondiale. Ma
la Cina non è solo esportatrice di merci, ma anche importatrice di beni
necessari per l'industria siderurgica, per esempio, impianti produttivi
sofisticati prodotti dalle siderurgie occidentali.
Secondo. Se la produzione si è spostata in parte nei paesi di 2° schiera,
di nuovo capitalismo, i brevetti, le innovazioni tecnologiche restano sempre
nelle mani dei paesi imperialisti occidentali (in primis degli Usa, dove la
legislazione è la più protezionista e trova proprio nei sindacati il suo
puntello chiave, con una politica sciovinista, che sviluppa tra gli operai
rancore/concorrenza verso altri operai degli altri paesi – e questo ha
contribuito negli Usa alla vittoria di Trump; ma questa politica si manifesta
anche in Europa, basti pensare alla manifestazione di metà febbraio 2016 a
Bruxelles che ha visto uniti padroni, quadri aziendali e sindacati a difesa dei
padroni europei).
E' pur sempre l'esportazione di capitale dai paesi imperialisti all'origine
della situazione.
Breve nota: Come scrive A. Ariezo, riprendendo “L'imperialismo” di Lenin,
nel saggio su “Note su crisi capitalistica, governance neoliberale e
organizzazione politica” all'interno del libro “Crisi, governance,
imperialismo”: “Favorendo lo sviluppo del capitalismo in tutto il mondo,
l'esportazione di capitale costituisce le condizioni del mercato “globale”. I
paesi imperialisti non esportano soltanto capitali nei paesi “meno progrediti”:
con questi capitali essi esportano il capitalismo stesso... i paesi imperialisti
esportano nei paesi di destinazione, con i propri capitali, la produzione
capitalistica, il rapporto di capitale: la proprietà privata capitalistica e lo
sfruttamento del lavoro salariato. L'esportazione di capitali, in altri
termini, crea non solo nuovi mercati di merci, ma nuovi paesi produttori di
merci. Così facendo, esso espande, insieme il mercato capitalistico e il modo
di produzione capitalistico in tutto il mondo, producendo connessioni sempre
più fitte tra i diversi paesi (e quindi tra i diversi mercati locali) e tra i
capitali di diversa provenienza nel mercato mondiale”.
Il modo di produzione capitalistico si diffonde in tutto il mondo, mette al
lavoro migliaia, milioni di operai nei paesi di nuovo capitalismo, ma tutto
questo non fa che accentuare le contraddizioni tra paesi avanzati e paesi meno
avanzati.
Quindi, le “giustificazioni” dei padroni, degli economisti borghesi, dei
loro giornalisti di addebitare fuori da sé, in una “concorrenza” o in un
astratto “mercato globale” le cause dei loro piani di scarico della crisi sui
lavoratori, sono false, dato che sono proprio questi capitalisti e il loro
sistema a livello mondiale la vera causa.
Terzo. Sono le leggi del capitale che portano alla sovrapproduzione.
Ciascun singolo capitalista fa la produzione per la produzione, per difendere,
accrescere i profitti, non tiene conto della domanda di mercato, non si
“autoregola”.
Questo porta ad un abbassamento dei prezzi, di cui ne ha approfittato la
Cina, ma non solo, vendendo a basso prezzo, cosa che a sua volta ha
incrementato la sovrapproduzione. Poi la produzione di acciaio è cominciata a
calare in tutti i paesi, compreso la Cina.
Nel dibattito che è seguito è stato detto che il contrasto tra capacità
produttiva e consumo dell'acciaio non è un fatto inevitabile, ma è frutto della
logica e delle leggi del capitale volte unicamente al profitto. Non vi sarebbe
sovrapproduzione se: uno, la produzione fosse volta ai bisogni delle
popolazioni, sia dei paesi occidentali imperialisti, sia in maniera macroscopica
dei paesi del Terzo mondo – il sistema capitalista, per esempio, produce grandi
infrastrutture come la Tav, piuttosto che strutture che salvaguardino città,
popolazioni dagli affetti dei terremoti; due, se i proletari e le masse
popolari non fossero tenute in una condizione di bassi salari o di miseria. Ma
tutto questo è impossibile fermo restando il sistema capitalista.
Il “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848” ha infine sottolineato tre
questioni:
- L'innovazione da fattore progressivo del capitale per battere la
concorrenza è anche la sua morte, perchè ad ogni innovazione c'è l'introduzione
di nuovi macchinari, aumenta il capitale fisso, diminuiscono gli operai, si
riduce il saggio di profitto;
- sulla questione di crisi del consumo dell'acciaio, occorre anche
combattere le tesi che propongono come “soluzione” di aumentare la capacità di
consumo con una più equa redistribuzione dei redditi; ma questo nasconde
l'esistenza delle classi, su cui si regge il capitale:
- il capitalismo non è un'economia eterna, è un “modo di produzione a
tempo”, e la sua vite e la sua fine è nelle sue stesse contraddizioni.
E' seguito quindi un dibattito/esposizione fatta dagli operai della Dalmine
e dalla rappresentante dell'Ilva di Taranto sulla situazione in queste importanti
fabbriche siderurgiche – Ma di questo parleremo in altre note.
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