Di
seguito riportiamo il testo dell’appello. Le adesioni vanno inviate
via email all’indirizzo: ilminollo@hotmail.com oppure firmando la
petizione su
https://www.change.org/p/si-cobas-gli-scioperi-non-si-processano-in-difesa-di-aldo-milani
Lo
sciopero e la libertà di iniziativa sindacale non sono materia di
diritto penale. In difesa del coordinatore nazionale del Si Cobas
Aldo Milani, per il quale a breve si arriverà a sentenza con una
richiesta di condanna a 2 anni e 4 mesi. In difesa dei sindacalisti e
dei solidali colpiti dalla repressione. Da circa dieci anni il mondo
della logistica, uno dei settori-cardine dell'economia italiana e
mondiale, è attraversato con cadenza quasi quotidiana da scioperi e
agitazioni sindacali. Contrariamente a quanto accadeva nel secolo
scorso, quando il movimento dei lavoratori si mobilitava quasi sempre
per conquistare leggi e contratti migliorativi rispetto a quelli già
esistenti, nella logistica le agitazioni sindacali sono state
innescate da uno status quo caratterizzato dalla palese e sistematica
violazione dei Contratti Collettivi Nazionali di lavoro e delle più
elementari tutele legislative in materia di salario, orari e
sicurezza.
Questo movimento, indipendentemente dalla condivisione o
meno delle pratiche adottate e dei metodi di lotta e di
contrattazione con la controparte, ha avuto due indubbi meriti: da un
lato ha restituito diritti e dignità a migliaia di lavoratori (in
gran parte immigrati) fino ad allora senza voce, di fatto ridotti a
una condizione di semischiavitù, sottopagati, ricattati, soggetti a
orari, ritmi e carichi di lavoro inumani, privati del diritto a ferie
e malattia, spesso defraudati del Tfr e privi di ogni tutela e/o
rappresentanza sindacale; dall'altro ha fatto venire alla luce un
fitto e intricato sottobosco di illegalità, evasione fiscale,
fallimenti pilotati, speculazioni e infiltrazioni della malavita
organizzata, rese possibili da una concorrenza spietata tra grandi,
medie e piccole aziende in nome della rincorsa estenuante e senza
freni all'abbattimento dei costi. Questo sistema ha trovato nelle
cooperative e nelle ampie agevolazioni fiscali e normative previste
nella nostra legislazione per questa “ragione sociale”, lo
strumento cardine per dar vita a una vera e propria giungla di
appalti e subappalti, spesso affidati a cooperative “spurie” le
cui modalità operative e di gestione della manodopera ricalcano
fedelmente quel sistema del caporalato che il movimento operaio e
bracciantile del secolo scorso misero fuorilegge a seguito di lunghe
e aspre battaglie sindacali e politiche. In quest'ottica non è un
caso se il nostro ordinamento penale considera tuttora
l'intermediazione illecita di manodopera e lo sfruttamento del lavoro
nel novero dei “delitti contro la persona e contro la libertà
individuale” (art. 603 bis c.p.), prevedendo per questi reati
congrue pene, anche se poi è rarissimo vederle effettivamente
applicate. Il movimento dei lavoratori della logistica, estesosi
negli ultimi anni a importanti filiere dell'agroalimentare, delle
ceramiche, del commercio e dei metalmeccanici, rappresenta oggi uno
degli esempi più nitidi di quanto sia sempre più marcata la
distanza tra legge formale e legge sostanziale: in questi anni
Questure e Prefetture hanno troppe volte affrontato gli scioperi e le
agitazioni sindacali (promossi quasi sempre dalle sigle di base SI
Cobas e Adl Cobas) trasformandoli in un mero “problema di ordine
pubblico”, sottovalutando o ignorando quel contesto di illegalità,
di supersfruttamento e di soprusi che porta a tali agitazioni. Il
paradosso di ciò che sta avvenendo è che in tantissime delle
principali filiere della logistica, solo grazie a determinate forme
di lotta, che in alcuni casi vengono considerate illegali, (blocchi
ai cancelli, manifestazioni spontanee che finiscono col bloccare le
strade di accesso ai magazzini, scioperi improvvisi) si è riusciti a
portare legalità, a far rispettare le leggi dello Stato in materia
di diritti sul lavoro, di sicurezza, di rispetto delle normative in
materia fiscale e contributiva. Non solo ma in alcune circostanze il
lavoro di denuncia fatto da SI Cobas e Adl Cobas di casi palesi di
caporalato e di forme di rapporti di tipo schiavistico, ha portato
all’apertura di procedimenti giudiziari e anche ad arresti di
caporali o di imprenditori privati o legati alle cooperative. In
assenza di tutto ciò il mondo della logistica sarebbe ancora un
mondo attraversato interamente da illegalità e da organizzazioni
criminali. Questo paradosso si è tradotto in centinaia di cariche
fuori ai cancelli, procedimenti penali e amministrativi, fogli di via
e DASPO urbani nei confronti di lavoratori e delegati sindacali che
nella gran parte dei casi rivendicano nient'altro che il rispetto
delle leggi e dei contratti nazionali. Da tale quadro a tinte fosche
emerge in maniera sempre più evidente un uso arbitrario, strumentale
e unilaterale delle norme del codice penale, teso a schiacciare il
dissenso e colpire i settori più oppressi della nostra società: un
quadro che rischia di peggiorare ulteriormente con la recente
approvazione da parte del governo Conte del DL Sicurezza, il quale,
tra l'altro, prevede condanne fino a 12 anni per il reato di “blocco
stradale” (e, contestualmente, il rimpatrio immediato per quei
lavoratori immigrati che prendono parte a tali iniziative) e i cui
effetti immediati sono apparsi già evidenti con la
“militarizzazione” di alcune delicate vertenze, come dimostrano i
casi emblematici di Italpizza a Modena, della Toncar a Muggiò, e
della DHL di Carpiano, dove in questi giorni un impressionante
dispositivo di polizia e carabinieri (una decina di blindati più un
idrante) è intervenuto per spezzare la protesta operaia contro 4
licenziamenti politici. Altrettanto indicativa è una recente
sentenza del tribunale di Milano con condanne fino a 2 anni e 6 mesi
contro membri del SI Cobas e del Centro sociale Vittoria per un
picchetto di alcuni anni fa, avvenuto senza alcuna tensione, tant'è
che lo stesso p.m. aveva chiesto l'assoluzione per tutti gli
imputati, per non parlare delle centinaia di denunce inoltrate nei
confronti di altrettanti lavoratori e attivisti per violenza privata
o blocco stradale. Contro le lotte nella logistica c'è un
accanimento repressivo tutto speciale, ma non si tratta, però, solo
di questo settore. La lunga vicenda che ha visto FCA licenziare e
perseguitare 5 operai di Pomigliano "colpevoli" di avere
con tenacia irriducibile denunciato le gravi, e perfino mortali,
conseguenze delle politiche aziendali, la sequenza di provvedimenti
repressivi contro i movimenti sociali (dal No Tav alle lotte per la
casa) e il clima di intimidazione che si sta creando nelle scuole
contro chiunque dissenta dalle direttive di revisionismo storico, ci
dicono che si vuole mettere in discussione, oltre il diritto di
sciopero e le libertà sindacali, ogni forma di conflitto sociale,
comunque agìta, nonchè le più elementari forme di auto-difesa dei
lavoratori e la stessa libertà di critica e di opinione. La vicenda
giudiziaria che ha colpito il coordinatore nazionale del SI Cobas
Aldo Milani è da questo punto di vista paradigmatica: un militante
sindacale di lunga lena, prima arrestato e tenuto per tre giorni in
carcere al termine di una trattativa sindacale con l'accusa di
estorsione ai danni della famiglia Levoni (imprenditori attivi nel
settore delle carni nel modenese e indagati per corruzione), sbattuto
in fretta e furia in prima pagina su stampa e media alla stregua di
un criminale, e ora alle prese da due anni con un estenuante processo
in cui sul banco degli accusatori figurano imprese e cooperative
dedite allo sfruttamento intensivo di manodopera immigrata e
ultraricattata. Un processo che, nel corso del dibattimento, ha fatto
emergere da un lato il livello di complicità e connivenze tra
imprenditoria privata e organi centrali e periferici dello stato,
dall'altro la totale estraneità di Aldo Milani alle accuse mosse. A
fronte di una situazione che assume connotati grotteschi, nell'ultima
udienzail PM è arrivato a richiedere per il coordinatore nazionale
del SI Cobas una condanna “ridotta” a 2 anni e 4 mesi, in quanto
quest'ultimo meriterebbe l’attenuante di avere agito per un “alto
valore morale”,cioè non chiedendo soldi per sé, bensì per i
lavoratori licenziati in sciopero” (!!!)... Al di là del fatto che
la vertenza Levoni aveva caratteristiche del tutto simili ad una
infinità di altre vertenze nelle quali il compito del sindacato è
quello di preoccuparsi di far avere ai lavoratori tutto il dovuto per
le retribuzioni arretrate, per TFR e spettanze di fine rapporto ed
eventualmente forme di riconoscimenti economici per i lavoratori a
fronte di conciliazioni, da parte del PM, si cerca di criminalizzare
una normale vertenza sindacale prospettando una condanna molto
pesante attenuata dall’alto valore morale. Questo inedito tentativo
di “salvare capra e cavoli” equiparando un sindacalista ad un
Robin Hood che “estorce” ai ricchi per dare ai poveri, a nostro
avviso costituisceun pericolosissimo precedente giurisprudenziale.
Essendo oramai chiaro anche agli organi inquirenti che Milani non
solo non ha estorto soldi ai Levoni al fine di trarne un
arricchimento personale, ma non ha messo in atto alcuna pratica
estorsiva, agendo invece nel pieno delle sue prerogative di
rappresentante sindacale, mettendo in atto forme di lotta e di
iniziativa sindacale lecite al fine di impedire il licenziamento di
55 lavoratori, e soprattutto di garantire che a questi ultimi
venissero pagate quelle spettanze e quei versamenti contributivi che
i datori di lavoro illecitamente si rifiutavano di liquidare, è
evidente che una condanna penale nei suoi confronti può aprire una
profonda breccia nel nostro sistema di relazioni industriali: se ogni
richiesta economica e monetaria a favore dei lavoratori diventa
passibile di essere qualificata come reato di estorsione, allora
l'esercizio dell'attività sindacale è messo in discussione fin
nelle sue fondamenta. Per questo motivo chiediamo a tutte le forze
politiche, sociali e sindacali sinceramente democratiche, agli
esponenti del mondo giuridico, accademico, dell'arte, della cultura e
dello spettacolo di sottoscrivere questo appello per la piena
assoluzione di Aldo Milani dalle accuse intentate e di avviare una
campagna per la depenalizzazione totale del reato di “blocco
stradale” per ragioni sociali o sindacali e per sancire il divieto
dell'utilizzo dei reparti-celere in occasione di agitazioni sindacali
all'esterno dei luoghi di lavoro.
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